domenica 26 febbraio 2017

All'Ergife ritorna la Dc, o almeno ci prova: racconto di una giornata

Le bandierine tricolori e i vessilli con lo scudo crociato per addobbare il tavolo, la prova microfono e i volumi da regolare, i ritratti di don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi posti sotto la tribuna, quali numi tutelari di chi dovrà parlare. Benvenuti al piano -2 - sala Leptis Magna - dell'hotel Ergife di Roma, il congressificio più noto d'Italia, per l'assemblea dell'associazione Democrazia cristiana, la cui convocazione è stata richiesta al tribunale di Roma da cinque soci del 1992 (Nino Luciani, Renzo Gubert, Alberto Alessi, Renato Grassi, Luigi D'Agrò) e disposta con decreto dal giudice Guido Romano in base all'articolo 20, comma 2 del codice civile. 
Alberto Alessi si accredita
L'appuntamento è per le 10 - in seconda convocazione, dopo che ieri sera alle 21, come ampiamente prevedibile, la prima convocazione non ha raggiunto un numero sufficiente di presenti - ma già poco dopo le 9 arrivano i primi soci per dare una mano a predisporre i tavoli per l'accreditamento. Dall'interno risuonano le note dell'inno nazionale e di O Biancofiore simbol d'amore, per provare, giusto per evitare che al momento di far partire la musica qualcosa vada storto. Fuori, intanto, i primi iniziano ad accreditarsi, proponenti e semplici firmatari: ognuno deve esibire la lettera con cui è stato convocato in assemblea, compilare un modulo con tutti i dati e farsi dare il badge di rito. Perché il controllo all'ingresso è ferreo, con tanto di personale per la security: "Chi non è nella lista degli iscritti non deve entrare, almeno all'inizio - dicono alcuni degli organizzatori - non vogliamo brutte sorprese, nulla deve rischiare di rovinare questa giornata".
Già, perché di tentativi andati non proprio come si sperava se ne sono già assommati diversi e più di qualcuno dei presenti, che nel frattempo arrivano alla spicciolata, ha partecipato a vari di questi. "Se stavolta non va bene, non voglio più saperne", dice qualcuno a mezza bocca prima di entrare nella sala.
Nel frattempo gli arrivi si intensificano, si crea un po' di fila davanti all'ingresso, le operazioni di iscrizione richiedono un po' di tempo, così la security distribuisce direttamente i moduli per l'accreditamento, per cercare di sveltire le procedure. Ai tavoli si avvicinano, tra gli altri, alcuni tra coloro che negli anni hanno cercato - sia pure sotto diversi simboli, magari adattati alla bisogna quando gli uffici elettorali rilevavano la confondibilità - di far rivivere la Dc: Luigi Torriani da Novara, Pellegrino Leo da Caltabellotta, Renato Grassi (già parlamentare Udc), Emilio Cugliari da Milano, Ettore Bonalberti da Mestre, Raffaele Lisi da Lecce, Graziano Crepaldi da Savona ("dalle mie parti posso ancora contare sul 2,5-3%"), esponenti dei comitati di iscritti del 1992-1993 come Raffaele Cerenza e Franco De Simoni e anche Gianni Fontana, che da più parti era stato indicato come possibile presidente - transitorio - della Dc.   
In effetti non va tutto perfettamente liscio, visto che qualcuno fuori chiede di entrare, anche se non è presente nell'elenco di coloro che nel 2012 - dopo che si era già tentato di risvegliare la Dc autoconvocando il consiglio nazionale - avevano dichiarato di essere iscritti nel 1992 e, contestualmente, di voler confermare la propria adesione al partito. "Mi spiace, se non è in elenco non può entrare". "Ma io ho pagato la quota di iscrizione nel 2012, nei termini stabiliti allora", protesta De Simoni. La questione sarà affrontata in seguito; intanto altre persone continuano ad arrivare (arrivando fino a 86 presenti all'inizio, poi diventeranno 104) e qualcuno continua a volersi assicurare che questa volta tutto fili liscio, anche perché l'organizzazione del tutto - tra spese per la sala (oltre 7mila euro), per gli invii delle convocazioni (oltre 8mila euro) e le altre spese materiali - è costata parecchio: "Sapete quanto ho messo io per questa assemblea? - racconta uno dei soci più anziani - Più di un mese della mia pensione!". Le 10 passano, ma si sceglie di aspettare ancora un po', visto che qualcuno sta ancora arrivando: "cinque minuti e cominciamo", dicono dal tavolo della presidenza, poco dopo partono (per davvero) gli inni italiano e democristiano, con quasi tutti i presenti in piedi ad ascoltare, a volte a cantare. "Apriamo questa assemblea - spiega Nino Luciani, indicato come presidente provvisorio della riunione - che ha lo scopo di eleggere il presidente della Democrazia cristiana: è la scintilla che la fa rinascere dopo che per tanti anni è stata priva di organi". E questa volta, forse, si comincia sul serio. 


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Il primo punto si apre con la presa d'atto che il giudice del tribunale di Roma ha incaricato Nino Luciani di provvedere all'apertura dell'assemblea. Lui spiega di avere interpretato il decreto del giudice - con tanto di ordine del giorno - in modo estensivo, per evitare ricorsi e problemi; per questo, tuttavia, ha ricevuto la lettera di un avvocato (nell'interesse di alcuni degli iscritti) che lamentava scarso rispetto del decreto del giudice. "Io allora ho scritto al giudice - precisa Luciani - e lui ha detto, essendo stato io indicato per predisporre tutto, che il modo in cui ho proceduto va bene". 
La prima questione riguarda l'ammissione all'assemblea e al voto di sette persone che non figurano nell'elenco degli iscritti confermati nel 2012, quali "eventuali altri aventi titolo": "Vorrei evitare che ci fossero altri ricorsi, com'è avvenuto in passato", precisa Luciani. Qualcuno manifesta dubbi - "questo il giudice non l'ha detto, rischiamo troppo altre grane" -, ma alla fine si vota: ad ampia maggioranza si decide di far votare anche quelle persone, sulla base dei documenti presentati.
Un'altra variazione rispetto all'odg presentato al giudice riguarda la nomina del vicepresidente: "Visto che è probabile che come presidente eleggeremo una persona anzianotta, ho pensato che un vice fosse necessario - aggiunge Luciani - Se per qualche motivo il presidente dovesse venir meno, noi saremmo di nuovo a terra e ci toccherebbe ricominciare daccapo con le firme e questo credo sia da evitare". Sono in molti, però, in questo caso a temere che questa innovazione possa essere causa di altri ricorsi: per questo, quasi tutti, votando, scelgono che non si proceda a indicare anche il vicepresidente. 
Il clima, peraltro, inizia a scaldarsi, visto che le persone che manifestano dubbi sembrano aumentare e il rischio che qualcuno si rivolta al tribunale di Roma per cancellare anche questo nuovo tentativo si fa sempre più concreto: "Abbiamo già perso quattro anni a causa dei ricorsi - dice dalla tribuna Ettore Bonalberti - chiedo un favore a Raffaele Cerenza e ad altri che avessero dubbi procedurali: non ricominciamo un'altra volta, facciamo fronte comune e lavoriamo per ripartire insieme con la Dc". 
Di possibili ricorsi, del resto, qualcuno ha già parlato e non all'interno della sala dell'Ergife, a partire da Pierluigi Castagnetti intervistato oggi da Pietro De Leo per Il Tempo ("L'iniziativa in questione è illegittima. Il fatto che ci sia una sentenza a stabilire che la Dc non si è mai sciolta non fa che confermare la realtà di quanto successe nel '94, cioè la sua trasformazione nel Partito popolare"): "Se Castagnetti ci farà causa - ribatte Bonalberti - noi andremo in tribunale e gli chiederemo conto dei patti di Cannes che hanno distrutto il patrimonio e il partito!"
Quando però si passa a parlare delle deleghe, il clima si surriscalda: per Luciani si dovrebbe ammettere una sola delega ("Non è possibile che qualcuno si presenti in rappresentanza di 300 persone, sarebbe ingiusto!"), ma la si dovrebbe comunque prevedere, a norma del codice civile, per permettere a chi non c'è di votare. In sala, però, l'idea delle deleghe non piace praticamente a nessuno, essendo ritenuta decisamente al di fuori dell'ordine del giorno presentato al giudice. La questione delle deleghe, peraltro, porta alcuni dei presenti a contestare in modo concitato l'operato di Luciani come presidente provvisorio della riunione: le lamentele maggiori arrivano da Leo, da Lisi e da Cerenza. Alcuni interventi non programmati - e, secondo alcuni, certi ingressi non autorizzati - peggiorano decisamente il clima, Luciani invoca più volte l'intervento della polizia (che ovviamente non viene realmente chiamata) e ci vuole più di qualche minuto per portare un minimo di ordine e di calma nella sala. L'impresa. tuttavia, alla fine riesce e si può riprendere con un briciolo di serenità, decidendo - tra l'altro - che non ci saranno deleghe.
Alla fine, con pazienza, si arriva a eleggere il presidente della riunione: tra le candidature di Alberto Alessi, Raffaele Lisi e Renato Grassi, il maggior numero di voti se lo aggiudica Grassi (mentre Emilio Cugliari viene nominato segretario verbalizzante della riunione). E' lui, dunque, a sedersi al centro del tavolo della presidenza, davanti alla bandiera dello scudo crociato (a proposito, nemmeno questa volta è stato scelto l'ultimo simbolo adottato nel 1992: le bandiere portano impressa la versione che fu usata da Pizza, con bordo bianco sullo scudo).

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Grassi fissa finalmente l'orario per la votazione alle 13, aprendo le candidature, mentre si procede alla nomina di una commissione elettorale (con Raffaele Lisi presidente). Tra i primi interventi, tuttavia, si registrano le parole critiche di Raffaele Cerenza, presidente del'associazione iscritti alla Dc al 1993 (e, come tale e come avvocato, già impegnato a lungo nelle cause che hanno portato alla sentenza di Cassazione del 2010): per lui - che ha preparato con Franco De Simoni un intervento da allegare al verbale - ci sono troppi elementi di criticità, a partire dall'odg (modificato rispetto a quello presentato al giudice) e dalla mancata corrispondenza tra i richiedenti la convocazione e i soci Dc (l'elenco presentato al giudice - che non sarebbe nemmeno l'unico - sarebbe stato privato di valore da sentenze precedenti, molti iscritti sarebbero decaduti per aver fondato altri partiti), ma soprattutto nessun tesseramento nel 2012 sarebbe stato possibile. Sulla base di questo, Cerenza chiede di non procedere ad alcun atto, specialmente all'elezione del presidente, suggerendo di svolgere un'altra assemblea aperta a tutte le componenti di coloro che si ritengono democratici cristiani. La sua proposta, tuttavia, viene accolta in modo decisamente negativo, con la consapevolezza che quelle censure si trasformeranno probabilmente in altrettanti punti di un ricorso in sede civile.
Nel frattempo arrivano anche le proposte di candidatura. Pellegrino Leo si propone come presidente ("mi raccomando, scrivete Leo, che si fa anche prima"), ricordando di avere combattuto la battaglia per il ritorno della Dc fin dall'inizio, fin dalla metà degli anni '90 e, in particolare, con la partecipazione all'atto di citazione del 2002 a firma Sandri-Travagin: "La Cassazione ci ha dato ragione, ma non ci si è arrivati per caso - ammonisce - La Dc dev'essere di tutti, ma ha bisogno di un progetto nuovo sulla scia della tradizione". Per questo riprende la sua idea - "molto democristiana, ricordate i biglietti di Aldo Moro?" - della moneta complementare da stampare per migliorare l'economia. Leo avrebbe però preferito indicare la candidatura di Alberto Alessi, in quanto simbolo della Dc non contestabile da alcuno (il partito è nato nello studio notarile di suo padre e il simbolo lo aveva disegnato proprio lui), ma lui si è detto indisponibile e subito dopo tocca proprio ad Alberto Alessi intervenire: "Mio padre aveva detto che la Dc sarebbe caduta per vari motivi - rivela - ma sarebbe ritornata". Sull'eventualità che Pierluigi Castagnetti faccia ricorso, Alessi è tranchant: "Fossero stati vivi don Sturzo e mio padre lo avrebbero preso a calci nel sedere". Ed è sempre Alessi a fare il nome più anticipato nei giorni scorsi, quello di Gianni Fontana, come "candidatura di garanzia: è un uomo mite, può far crescere la Dc che in futuro avrà molti nemici".
La stessa idea viene sostenuta anche da altre persone (che in più di un caso invitano Leo a ritirare la propria disponibilità, per arrivare a una candidatura unitaria, altri invece lo sostengono), mentre non viene accettata dal presidente Grassi (proposto come presidente da Luciani, ma lui non accetta) la proposta di votare Fontana per acclamazione: "Il passato insegna che una scelta simile è rischiosa". L'ultimo a parlare prima del voto è proprio Fontana: "Noi qui non dobbiamo rifare la Dc, solo tirarla fuori dal fiume carsico in cui era stata cacciata; io, sia chiaro, non sono il futuro della Dc, tutti noi siamo solo umili servitori di un'idea".
Alla fine - con un po' di ritardo - si vota, con tanto di urna di plastica forata alla bisogna: ciascuno viene chiamato, mostra i documenti e infila il foglietto nell'urna. Alle 14.30 in punto, come da precedente comunicazione, l'urna viene aperta e inizia lo spoglio: "Fontana, Fontana, Fontana Gianni, Gianni Fontana, Fontana..." scandisce Lisi durante lo scrutinio, mentre in aula arriva anche Mario Tassone, rinnovato leader del Cdu. Alla fine dal voto  - e sono circa le 15 - risultano, su 104 presenti e 92 votanti, risultano 82 voti per Fontana, 5 per Leo, 2 per Luciani e per Grassi, una scheda bianca. "Vorrei che i democristiani - dice alla fine il presidente eletto - non dovessero più piangere, non dovessero più essere tristi per il fatto che le loro scelte che hanno portato l'Italia a traguardi importanti non sono state capite". 
Esaurita l'elezione del presidente, resta l'ultimo punto delle "varie ed eventuali", in cui si discute tra l'altro dell'opportunità che nella nuova assemblea - che sarà convocata dal presidente in seguito - si affidi allo stesso organo il potere di modificare lo statuto (un'opportunità che trova d'accordo molti, ma non Renato Grassi, che ricorda come in passato in tribunale operazioni simili siano state bastonate, né Lisi, che insiste sul fatto che il compito di modificare lo statuto spetti al congresso). Se ne riparlerà probabilmente in futuro, nella nuova riunione; per Gianni Fontana, in ogni caso, sembra pronto un nuovo inizio all'insegna dello scudo crociato. Ciò, almeno fino a quando un altro ricorso e un altro giudice non dovessero intervenire per ribaltare tutto.

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