mercoledì 12 maggio 2021

La disputa sul Partito liberale europeo: i marchi che complicano le cose

A volte non servono lunghi documenti per (tentare di) stroncare un'idea, un progetto, un simbolo per qualche ragione sgraditi: possono bastare, in fondo, poche righe per (cercare di) togliere ogni barlume di legittimità a un'iniziativa. Si prenda, per esempio, la comunicazione che, l'8 maggio, il Partito liberale italiano ha rilasciato ad alcune agenzie di stampa, che l'hanno immediatamente rilanciata:
In merito alla costituzione del Ple è doveroso ricordare che il proprietario del marchio e del simbolo del Pli e del Ple è il Partito Liberale Italiano. Va menzionato altresì che è stata già prodotta una diffida per l’uso fraudolento di tale denominazione.
Il riferimento è alla presentazione ufficiale alla stampa del Partito liberale europeo, in un evento tenutosi a Roma, all'Hotel Nazionale, in piazza di Monte Citorio, proprio nel giorno 8 maggio (e alla vigilia della Festa dell'Europa). In quell'occasione - che ha trovato spazio sui media anche per alcuni interventi di figure di rilievo, quali Matteo Salvini, Vittorio Sgarbi e Giovanni Toti (ma si sono visti anche l'ex M5S Emilio Carelli e l'ex sindaco di Parma Pietro Vignali, riabilitato poco meno di un anno fa - si sono fatti conoscere, tra gli altri, il presidente Francesco Patamia, il segretario Marco Montecchi e il tesoriere Giovanni Antonio Cocco. Il progetto politico, in quell'occasione, è stato definito come "una nuova forza liberale, convintamente europeista, aperta al dialogo con i movimenti riformisti di centro, le iniziative civiche e il mondo moderato di centrodestra già a partire dalle prossime amministrative".
Proprio l'8 maggio, tuttavia, il Pli ha emesso la nota sopra citata. La frase "il proprietario del marchio e del simbolo del Pli e del Ple è il Partito Liberale Italiano", piuttosto circostanziata, merita qualche riflessione. Nessun dubbio sulla titolarità del simbolo del Pli, se non altro perché ormai è utilizzato da oltre quindici anni; se si parla di marchio, tuttavia, corre l'obbligo di notare che i tentativi di registrare come marchio quello stesso simbolo - insieme ad altri già legati al Partito liberale di Stefano De Luca - non sono andati a buon fine. Le domande di marchio datate 2011 e 2014, infatti, dal database dell'Ufficio italiano brevetti e marchi risultano rifiutate (e non è dato sapere se alla base vi sia il noto atteggiamento ostile del Ministero dell'interno alla registrazione come marchio dei simboli, specie di forma rotonda, che hanno significazione politica e possono essere impiegati come contrassegni elettorali; tanto nel 2011 quanto nel 2014, infatti, il Pli esisteva già da tempo, era approdato anche nelle aule parlamentari e quindi l'emblema poteva essere registrato come segno notorio, com'è avvenuto in passato per il MoVimento 5 Stelle). Curiosamente l'8 marzo è invece stata depositata richiesta di marchio verbale per l'espressione "Partito liberale italiano", ma non dal partito, bensì dal ravennate Gian Luca Lombardi (di cui non è dato sapere se abbia legami con il partito).
Quanto al Ple, compulsando la stessa banca dati si nota che il 26 marzo 2021 risulta depositata domanda di marchio verbale per la dicitura "Partito liberale europeo", con riferimento alla sola classe 41 (Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali): il richiedente è proprio il Partito liberale italiano (e come rappresentante è stata indicata la stessa avvocata che si era occupata in precedenza delle procedure per i marchi figurativi). Si tratta della prima domanda per quell'espressione e non risulta alcuna richiesta per una grafica che la contenga. Non pare dunque del tutto congruo dire che il Pli è titolare del marchio del Ple e forse nemmeno del simbolo: il marchio verbale, pur depositato, è ancora sottoposto al vaglio senza essere stato registrato e non risultano marchi antecedenti. L'uso della denominazione "Partito liberale europeo" da parte del Ple è peraltro precedente rispetto a quello fatto valere dal Pli: già solo l'articolo che in questo sito era stato dedicato al simbolo del Ple è datato 8 marzo, ma lo stesso dominio www.partitoliberaleeuropeo.it è stato registrato il 28 settembre 2020; la pagina Facebook è nata il 6 febbraio 2021, tutte date precedenti quella del deposito della domanda di marchio.
E se, al di là di questa domanda di marchio, il Pli rivendicasse altri titoli sull'espressione "Partito liberale europeo", magari ritenendo di poter utilizzare in esclusiva l'aggettivo "liberale"? Se fosse messa in campo, questa spiegazione non basterebbe affatto: da una parte, nessun soggetto politico potrebbe rivendicare l'uso esclusivo di una parola qualificante un orientamento politico, potenzialmente comune a più forze politiche (lo ha ribadito più volte l'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione, anche con riferimento proprio all'aggettivo "liberale"); il discorso vale pure per la combinazione "liberale europeo" o "liberali europei", non rivendicabile in esclusiva da alcuno (tanto più che il Pli non risulta essere nemmeno parte dell'Alde). Al più il Pli potrebbe lamentarsi - con qualche ragione - della somiglianza data dall'uso dell'espressione "Partito liberale", sulla quale (anche senza l'aggettivo "italiano") quel soggetto politico ha maturato diritti; la frase del comunicato, tuttavia, lascia intendere altro, cioè che l'esclusiva riguardasse proprio il nome integrale del Ple. Così non è - almeno in base ai dati di cui si è in possesso - e, per non avere scocciature, la neonata forza politica potrebbe semplicemente chiamarsi "Movimento liberale europeo", ma già ora si era cautelata adottando una grafica del tutto diversa, punto che fin qui è stato considerato dirimente nelle controversie sorte in passato quando era in comune una parte del nome (anche se non due terzi dello stesso, come accade ora).
Al di là di tutto ciò, questa vicenda mostra con chiarezza come l'ormai sempre più frequente prassi di depositare nomi e simboli partitici come marchi per sperare di averne dei vantaggi in termini di tutela presenta più difetti che pregi: in questo caso, per esempio, rischia di far prevalere un tentativo di registrazione (non ancora andato in porto) su un uso più risalente, sia pure di poco. Allo stesso tempo, non sarebbe troppo corretto depositare e anche registrare un nome o un simbolo come marchio per "occuparlo", decidendo magari di usarlo solo in seguito se qualcuno - ignorando quel precedente privo di pubblicità - pensasse di distinguere la propria formazione con un nome o un simbolo simili. Per questo e per altri motivi, sarebbe bene smettere una volta per tutte di cercare tutela per un simbolo attraverso la strada del marchio, pensata per altri fini: chi sceglie di percorrerla pensando di proteggersi, in realtà complica solo le cose.

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