Il 12 ottobre dell'anno scorso a Roma si era tenuta un'assemblea costituente dei soci del 1993 della Democrazia cristiana, con l'idea di far ripartire la vita del partito dopo tanti tentativi incompiuti o bloccati per via giudiziaria; esattamente undici mesi dopo, il 12 settembre - quindi dopodomani - buona parte di quelle stesse persone hanno convocato il XIX congresso nazionale della Dc, sperando che questa possa essere la volta buona. Già perché sarebbe almeno la quinta che - per provocazione, come a giugno del 1997 per iniziativa di Gianfranco Rotondi, o credendoci sul serio, come nelle occasioni successive - viene celebrato e, a quanto si è capito, non è affatto escluso che stia per arrivarne addirittura una sesta.
Perché un altro XIX congresso?
Al solito, come ogni volta che c'è di mezzo lo scudo crociato, occorre spiegarsi meglio e fare qualche nome, altrimenti farsi capire è impossibile. L'assemblea del 2019 era stata "autoconvocata", a nome degli iscritti del 1993, da Raffaele Cerenza, indicato come presidente dell'associazione che riunisce i soci di allora. Erano finiti male i tentativi di far rivivere la Dc dopo il "risveglio" guidato da Alessandro Duce (bloccato per via giudiziaria) e proseguito da Angelo Sandri prima e - a partire dal XIX congresso celebrato nel 2003 - da Giuseppe Pizza poi, almeno fino alle sentenze del 2009 e 2010 tra corte d'appello di Roma e Cassazione: lì si era detto che la Dc dal 1994 in avanti non risultava essere stata sciolta (anche perché formalmente si trattava solo di un cambio di nome - pur fatto nel modo sbagliato - da Democrazia cristiana a Partito popolare italiano) e che tutti i partiti che in seguito avevano operato (Ccd, Cdu, Udc e tutti i vari tentativi di rimettere in piedi la Dc, soprattutto da Flaminio Piccoli in poi) erano soggetti politici e giuridici nuovi e diversi, che non potevano vantare alcun diritto esclusivo sul nome e sul simbolo democristiani. Ma aveva avuto esito negativo anche il nuovo tentativo di rimettere in modo la Balena Bianca dalla fine di marzo del 2012, sperimentando la via della riconvocazione del consiglio nazionale (cioè l'ultimo organo a essersi espresso sulla trasformazione in Ppi): era uscito eletto segretario Gianni Fontana e il XIX congresso ricelebrato il 10-11 novembre 2012 lo aveva confermato, ma tutti gli atti vennero travolti tra il 2013 e il 2015 in tribunale, anche grazie a un ricorso presentato da Raffaele Cerenza per sollevare vari vizi formali di quel percorso.
Cerenza, tuttavia, non ha condiviso nemmeno l'ulteriore via intrapresa nel 2016, provando a riconvocare l'assemblea dei soci su richiesta di un decimo degli associati, che in base all'elenco formato nel 2012 in vista del congresso (poi "demolito", anche nei suoi presupposti) erano 1742. Il tribunale di Roma aveva disposto la convocazione dell'assemblea degli "iscritti" per il 26 febbraio 2017, alla quale sarebbe seguito il 14 ottobre 2018 un nuovo XIX congresso, conclusosi di nuovo con l'elezione di Renato Grassi alla segreteria. Nel frattempo, Cerenza - insieme a Franco De Simoni - aveva già impugnato gli atti di quell'assemblea e altrettanto ha fatto con quelli del congresso del 2018, facendo valere nuovi vizi di quel procedimento: quelle cause sono ancora in piedi e, anzi, proprio a ottobre dovrebbero arrivare a sentenza.
Se per Cerenza e De Simoni nessuna delle strade seguite fino a quel momento era corretta, a loro dire - e secondo i suggerimenti dell'ex magistrato Francesco Maria Fioretti - era più opportuno sostenere che, se per i giudici la Dc aveva continuato a esistere ma il decorso del tempo l'aveva privata degli organi di vertice, a rappresentare l'associazione-partito era rimasta l'assemblea stessa dei soci, che dunque avrebbe potuto autoconvocarsi. Così era appunto accaduto il 12 ottobre 2019, quando al termine dell'assemblea erano risultati eletti De Simoni come segretario politico, Cerenza come segretario amministrativo e Antonio Ciccarelli come responsabile organizzativo. Da lì in avanti le iniziative sono proseguite allo scopo di ricelebrare - un'altra volta - il XIX congresso e ora, dopo il blocco forzato causa Covid-19 che ha fermato molte cose e ha rallentato l'organizzazione, il giorno è quasi arrivato.
L'appuntamento, come si diceva, è per il 12 settembre, alle ore 9 e 30 a Roma (presso il ristorante "l'Ardito", in Piazza dei Navigatori). C'è un titolo ("La crisi del sistema politico ed il ruolo di un partito popolare, democratico, nazionale, europeista, d'ispirazione cristiana") e c'è un ordine del giorno: al di là dei saluti di rito del segretario De Simoni e della nomina delle cariche di quell'assemblea congressuale (inclusa la Commissione verifica poteri), si proporrà di modificare lo statuto del partito (pensato per le dimensioni e il ruolo che la Dc ancora aveva all'inizio degli anni '90, non per i numeri attuali di aderenti) e soprattutto, dopo la discussione, si passerà all'elezione delle cariche, in particolare del segretario e dei consiglieri nazionali; nel pomeriggio è prevista subito la riunione del consiglio nazionale, che provvederà a darsi un presidente e a indicare, tra l'altro, il segretario amministrativo.
L'impressione è che si voglia fare in fretta a rimettere il partito in condizione di operare, perché il programma politico da attuare c'è già ed è piuttosto articolato: "i nostri valori e i nostri ideali - scrivono Cerenza, De Simoni e Ciccarelli in una nota - sono in continuità con la Dc storica facendoli vivere naturalmente nella realtà di oggi. I problemi che il nostro Paese ha oggi di fronte sono di dimensioni epocali e crediamo di avere le proposte, le intelligenze e la preparazione politica per contribuire alla loro soluzione".
Perché potrebbe non essere "l'ultimo XIX congresso"?
Si darà conto, ovviamente, anche dell'esito di questo congresso, a patto di sapere fin d'ora che - visto che le questioni nei dintorni dello scudo crociato non possono essere semplici e lineari - è assai probabile che il XIX congresso della Democrazia cristiana venga celebrato di nuovo entro ottobre. Non si tratta, ovviamente, di un errore: semplicemente, a indirlo sarebbero persone diverse, anche se non è scontato che qualche volto possa vedersi qua e là. Il fatto è che l'assise del 2018 era stata contestata, oltre che da Cerenza e De Simoni, anche da un altro gruppo di soci che aveva però individuato un percorso diverso per reagire ai vizi che erano stati rilevati. Sempre il 12 ottobre 2019 e sempre a Roma, infatti, si era svolta un'altra assemblea materialmente convocata da Nino Luciani che sosteneva di essere stato delegato a tanto da Gianni Fontana, in questo caso in qualità di presidente di quell'assemblea dei soci che si era riunita su impulso del tribunale di Roma nel 2017: i presenti avevano di fatto revocato gli atti del congresso del 2018 dichiarandoli gravemente viziati e disponendo che l'assise dovesse essere riconvocata ad opera dei soci rimasti, che nel frattempo - in assenza di Fontana - avevano indicato Luciani come presidente ad interim.
Gli incontri in questi mesi sono continuati, sia pure in remoto a causa del lockdown, fino a un'assemblea in presenza il 2 luglio a Roma, dall'esito per lo meno tumultuoso e nemmeno univoco, a stare a sentire le due versioni sul punto. Per Nino Luciani, stando a quanto ha comunicato e fatto comunicare in queste settimane, il XIX congresso dovrebbe ricelebrarsi - un'altra volta! - il 3 ottobre; tuttavia, in seguito alle dimissioni irrevocabili di Gianni Fontana (da lui stesso confermate in agosto) verrebbe meno anche la presidenza interinale dello stesso Luciani, il quale dovrebbe essere sostituito dal vicepresidente che era stato nominato in una delle assemblee svolte online, Gabriele Pazienza. L'idea è di svolgere comunque il congresso - solo con soci regolarmente iscritti - entro il mese di ottobre, anche per l'avvicinarsi delle udienze conclusive dei due processi civili intentati da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni tra il 2017 e il 2018; nel frattempo, per il 12 settembre - lo stesso giorno, dunque, del congresso convocato da Cerenza - alle 16 è prevista un'ulteriore assemblea dei soci, da svolgere soprattutto per nominare un nuovo presidente nazionale dopo le dimissioni di Fontana, ma anche per fare il punto sull'organizzazione del congresso, sul suo regolamento e sull'ordine del giorno (nonché per valutare la posizione di "soci che compiono atti emulativi ai danni della Dc").
Anche quello di cui parla Luciani (che ovviamente non riconosce validità all'assise convocata da Cerenza e De Simoni), tuttavia, potrebbe non essere "l'ultimo XIX congresso della Dc". Si sta muovendo per poterlo celebrare al più presto anche Emilio Cugliari, anch'egli qualificatosi come "presidente facente funzione" della Democrazia cristiana: nella citata assemblea romana del 2 luglio, secondo l'altra versione dei presenti, Luciani sarebbe stato sfiduciato e sostituito proprio con Cugliari, altrettanto interessato a riprendere in fretta il cammino verso la piena operatività del partito. C'è da scommettere, quindi, che tra qualche settimana si avrà notizia di una nuova ripetizione dell'assise.
Perché non ci sarebbe bisogno di altri XIX congressi?
Inutile dire che, in tutto questo, non manca chi ritiene che il vero XIX congresso sia stato celebrato nel 2003 (il gruppo che dal 2004 è guidato da Angelo Sandri) e chi, più semplicemente, è sicuro che il congresso del 2018 che aveva eletto alla segreteria Renato Grassi sia in realtà pienamente valido, non solo perché non è (ancora) stato dichiarato nullo da un provvedimento giudiziario, ma soprattutto perché non avrebbe i vizi che certuni lamentano. A sostenerlo ovviamente è lo stesso Grassi e, con lui, lo pensano i democristiani che hanno ritenuto di voler continuare seguire quel percorso di "rimessa in moto" del partito, senza seguire la strada dei ricorsi o delle revoche di atti.
Non ci sarebbe alcun bisogno dunque di ricelebrare il XIX congresso, secondo Grassi e altri, quando i problemi di cui preoccuparsi sarebbero casomai altri. Il 2 settembre, infatti, sul sito della Dc-Grassi è comparso un lungo scritto, attribuito allo stesso segretario politico della Dc, in cui si lamenta "un crescente malessere per la gestione politica" della Federazione popolare dei democratici cristiani "nella fase di preparazione, di definizione delle liste e delle iniziative politiche per le elezioni regionali e comunali. La Democrazia Cristiana, con grande senso di responsabilità, ha supportato in Puglia e Campania le liste dell'Unione di centro nonostante le ulteriori autonome raffigurazioni simboliche e le articolate aggregazioni di formazioni partitiche con candidature di varia provenienza politica. Analogo speculare atteggiamento non è stato rilevato in altre regioni e in particolare in Veneto e in Liguria, dove si rischia di disperdere la presenza politica in territori di antica e radicata presenza democratico cristiana".
Il punto è che nelle settimane scorso i costituenti della Federazione popolare Dc avevano deciso di presentare, ogni volta che fosse stato possibile, liste unitarie con il simbolo della Federazione stessa ("risultato purtroppo non utilizzabile - si legge nell'articolo - in quanto mai registrato e quindi non delegabile") o almeno con quello dell'Udc leggermente modificato, con la dicitura "Unione democratici cristiani", giusto per non dare l'impressione di una lista dell'Udc appena un po' allargata, ma vissuta come "momento di interpretazione, sintesi e rappresentazione delle istanze partecipative provenienti dalle associazioni e dai movimenti di ispirazione cristiana" (sono parole di Alberto Alessi). Ciò, di fatto, non è avvenuto quasi mai, per cui "chiuse le vicende elettorali, auspicabilmente senza ulteriori traumi, è certamente necessaria una riflessione complessiva per le conseguenti scelte politiche e operative". Sapendo che, volendo "andare alle origini, riconsiderandole e ri-adattandole all'oggi", occorrerà "un bagno di grande umiltà per immergersi nei valori fontali e istitutivi della Dc" (cioè la dottrina sociale della chiesa e l'umanesimo cristiano) e superare "ogni idea di posizionamento geometrico e le costruzioni tradizionali del mondo della politica". La storia, insomma, continua e la si dovrà raccontare ancora, sperando che lo scudo crociato non resti troppo ammaccato.
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