lunedì 1 novembre 2021

Le norme su simboli, liste, firme e quorum all'esame del Parlamento

Passato circa un mese dal voto del 3-4 ottobre (e a due settimane dai ballottaggi), è tempo di parlare di nuovo di norme elettorali. Non si pensi, però, a discussioni sul sistema elettorale in senso stretto, che pure servirebbero (anche pensando alla prossima applicazione del taglio dei parlamentari). In questo periodo, infatti, le Camere sono chiamate innanzitutto a lavorare su norme relative alle elezioni che non riguardano la trasformazione dei voti in seggi, ma non sono meno importanti; anzi, per chi aderisce alla cerchia dei #drogatidielezioni - sottoinsieme dell'eletta schiera dei #drogatidipolitica - si tratta di regole fondamentali, anche solo per gli effetti che potrebbero avere sul funzionamento dei prossimi turni di voto.
Il Senato ora si occupa dell'iter preparatorio alle elezioni politiche, con la previsione di un procedimento ad hoc per impugnare davanti al giudice amministrativo le decisioni in materia di simboli e candidature (possibilità finora non regolata e di fatto sempre negata). Palazzo Madama ha invece già approvato un testo per abbassare stabilmente il quorum delle elezioni comunali con una sola lista e, soprattutto, per introdurre l'obbligo di presentare le liste raccogliendo le firme anche nei comuni "sotto i mille": ora toccherà alla Camera esprimersi su disposizioni solo in apparenza minori, ma molto rilevanti per chi vive o si candida in quei comuni, nonché per chi studia quelle elezioni. Questo sito si è già occupato più volte di entrambi i temi; ora è bene fare il punto, anche offrendo il punto di vista di alcuni parlamentari coinvolti nelle discussioni e interpellati proprio per questo scritto.

Perché cambiare l'iter preparatorio alle elezioni politiche  

Conviene partire dall'ultimo tema venuto all'attenzione del Parlamento e che, in fondo, lo riguarda direttamente, essendo legato al procedimento preparatorio alle elezioni politiche. La questione nasce dalla sentenza n. 48/2021 della Corte costituzionale, che rigettò varie questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal tribunale di Roma in un processo avviato da un ricorso di Riccardo Magi e di +Europa - sulle disposizioni in materia di raccolta firme a sostegno delle liste da presentare alle elezioni politiche e di esenzione dalla stessa. 
Quando qui si è analizzata la sentenza, si è ritenuto importante che la Corte avesse creduto di potersi esprimere sulle questioni di legittimità, giudicandole rilevanti (anche se poi le ha respinte). Per Palazzo della Consulta il tribunale civile aveva giurisdizione sulla materia, soprattutto perché i comizi elettorali non erano stati convocati: in momenti lontani dalle elezioni c'erano le condizioni e il tempo per accertare se il diritto di elettorato passivo risultasse leso da alcune norme dettate per il procedimento elettorale (ciò, di fatto, ha aperto la via della sindacabilità davanti alla Corte di ogni norma elettorale politica, anche non relativa al diritto di voto com'era stato nelle sentenze nn. 1/2014 e 35/2017). La Corte costituzionale, però, aveva ammesso le questioni anche perché mancava - e ancora manca - un'effettiva tutela davanti a un giudice per chi si ritenesse leso da atti preparatori alle elezioni politiche relativi all'ammissione di simboli, liste e candidature. Per anni, in base al testo di alcune disposizioni costituzionali e di legge, si è assistito a un "conflitto negativo di giurisdizione" (in pratica: un gioco a scaricabarile) tra i giudici, da un lato, e le Giunte elettorali delle Camere, dall'altro: i giudici - quelli civili, ma anche buona parte di quelli amministrativi - ritenevano di non poter decidere i ricorsi contro le "bocciature" di contrassegni, liste e candidature, credendo che dovesse occuparsene il Parlamento (anche per salvaguardare la sua indipendenza); gli organi parlamentari, invece, negli ultimi trent'anni hanno escluso che toccasse a loro farlo, perché le lamentele arrivavano da soggetti che non avevano partecipato alle elezioni e non c'erano legami con la valutazione dei titoli dei membri del Parlamento.
In passato (l'ultima volta nel 2009) la Corte costituzionale aveva sostenuto che non ci fosse un vuoto di tutela, almeno "sulla carta" (la Cassazione aveva stabilito che quelle vicende non fossero materia dei giudici e il fatto che le Camere la pensassero diversamente era un problema da non risolvere dichiarando incostituzionali alcune norme), ma aveva ricordato che il Governo era stato delegato (dalla legge n. 69/2009) a introdurre la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie sugli atti del procedimento preparatorio alle elezioni politiche, per uniformare quell'iter a quello delle altre elezioni (comunali, regionali e - dal 2012 - anche europee). Si è già ricordato però che la delega sul punto non è stata esercitata (sul tema si tornerà più in là) e nessun intervento normativo successivo si è occupato del tema: visto che questioni relative all'ammissione o alla bocciatura delle candidature (e, a monte, dei simboli con cui dovrebbero distinguersi) riguardano un diritto fondamentale e inviolabile, tutelato da norme costituzionali, per la Corte un giudice era ed è necessario. Ferma restando la giurisdizione "naturale" del giudice civile in materia di diritti, per la Corte era ed è assolutamente necessario prevedere "un rito ad hoc, che assicuri una giustizia pre-elettorale tempestiva", anche davanti al giudice amministrativo ove il legislatore - cioè il Parlamento - ritenga che questo sia opportuno.
Sulla base della sentenza della Corte costituzionale, il 19 aprile il senatore Dario Parrini (Pd), presidente della I Commissione (Affari costituzionali) di Palazzo Madama, ha chiesto alla presidente del Senato di assegnare alla sua commissione l'esame della decisione della Corte: il regolamento del Senato prevede l'assegnazione d'ufficio solo in caso di sentenza che ha dichiarato illegittime una o più norme), ma per Parrini la materia era comunque rilevante e la decisione conteneva un monito inequivocabile, quindi era bene discuterne. L'affare in effetti è stato assegnato: il 28 aprile Parrini ha proposto in commissione un ciclo di audizioni di persone esperte, svoltosi tra maggio e giugno, suggerendo dopo l'approfondimento di arrivare a passi concreti, "sul presupposto che un intervento del legislatore non sia rinviabile e che il vuoto di tutela rilevato dalla Corte costituzionale vada colmato prima delle prossime elezioni politiche" (così si legge nel resoconto della seduta dell'8 giugno).
"Sulla base della sentenza della Corte, che segnalava questo problema rimasto aperto, il presidente Parrini ha costituito un gruppo di lavoro ristretto in seno alla commissione, con un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare rappresentato in commissione: lì si è scelto di predisporre un unico disegno di legge, sottoscritto appunto dai membri del gruppo di lavoro, anche perché se le forze politiche avessero presentato più testi, poi da congiungere e magari fondere, avrebbe fatto perdere tempo". A parlare qui è Luigi Augussori, senatore della Lega, componente della commissione e del gruppo di lavoro. Il frutto di quell'opera comune è stato appunto il disegno di legge n. 2390, presentato il 17 settembre e decisamente pluripartisan: se la prima firma è quella di Parrini, alla sua seguono quelle di Gianclaudio Bressa (Pd ma iscritto al gruppo Per le Autonomie), di Maria Laura Mantovani (M5S), del citato Augussori (Lega), Valeria Valente (Pd), Nazario Pagano (Forza Italia), Lucio Malan (all'inizio dei lavori del comitato aderiva a Forza Italia, a luglio è passato a Fratelli d'Italia), Loredana De Petris (Liberi e Uguali - Sinistra italiana) e Leonardo Grimani (Italia viva). 
Nel gruppo di lavoro c'erano idee diverse o gradi di consapevolezza diversi sul tema? "La necessità di dare una risposta legislativamente virtuosa al monito della Corte Costituzionale mi è parsa ben presente a tutti da subito, a dire il vero" spiega Parrini, che - come si è detto - ha spinto perché l'affare fosse assegnato alla commissione. "Evidentemente in questi casi è inevitabile che vi sia un ruolo trainante del presidente di commissione, ma in nessuno dei componenti ho percepito disattenzione alla questione o sottovalutazione di essa". Si tratta, in effetti, di una buona notizia, soprattutto per chi studia da anni queste questioni: ci si augura che questo sia il presupposto perché una lacuna normativa (e una carenza di tutela per chi intende candidarsi) sia finalmente colmata, peraltro in modo ragionevole.

Un discorso ripreso oltre dieci anni dopo

Esaurite le premesse, è venuto il momento di capire cosa propone quel disegno di legge, già esaminato dalla commissione Affari costituzionali e - dopo alcune modifiche - pronto per essere discusso dall'aula di Palazzo Madama. Il testo di fatto ha assunto come base gli articoli in tema di giudizio sugli "atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, concernenti i contrassegni, le liste, i candidati, i collegamenti" della bozza di codice del processo amministrativo licenziata l'11 febbraio 2010 da una commissione speciale del Consiglio di Stato (presieduta dall'allora presidente del Consiglio di Stato, Paolo Salvatore, e coordinata da Pasquale De Lise, all'epoca presidente aggiunto del Consiglio di Stato, in seguito presidente): il testo era stato predisposto su incarico del Governo, delegato dal Parlamento a emanare un decreto legislativo per il riassetto del processo amministrativo (e, in quella sede, si collocava la ricordata delega sul contenzioso pre-elettorale politico). Quelle disposizioni (artt. 143-146) prevedevano, in breve, la possibilità di ricorrere al Tar del Lazio contro l'esclusione di un contrassegno, di una lista o di una candidatura alle elezioni politiche entro 48 ore dalla pubblicazione degli atti impugnati; il ricorso sarebbe stato discusso molto in fretta - entro un giorno dal deposito per i contrassegni, entro due giorni per le candidature - e deciso con sentenza semplificata lo stesso giorno dell'udienza; si poteva poi ricorrere entro due giorni al Consiglio di Stato, con udienza da tenersi il giorno dopo il deposito e con sentenza semplificata da emettere nello stesso giorno.
A dispetto della previsione nella bozza originaria, quelle disposizioni non entrarono nel testo sottoposto dal Governo alle commissioni parlamentari competenti, né nel codice del processo amministrativo. L'esecutivo non volle inserire quegli articoli nel testo, non esercitando la delega sul contenzioso pre-elettorale politico: nella relazione si scrisse che "[i] tempi serrati di tale fase preparatoria - insuperabili per il vincolo posto dall’art. 61 della Costituzione, che impone di espletare le elezioni politiche nei 70 giorni dal decreto presidenziale di scioglimento delle Camere [...] - hanno sconsigliato il Governo dall’intraprendere la via della soppressione del procedimento amministrativo di competenza dell'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione ipotizzata dalla commissione redigente". La relazione al disegno di legge ora in esame cita quella spiegazione (e ammette che il mancato esercizio della delega "ha determinato il permanere di una situazione asimmetrica e del rilevato vuoto di tutela"), ma forse le ragioni non erano state solo tecniche. Nel Comitato per la legislazione (chiamato a dare un parere sul codice), Anna Maria Bernini (Pdl) disse che "ragioni di discrezionalità politica [avevano] indotto il Governo a non intervenire", dunque a non esercitare la delega sul contenzioso elettorale. Nel cercare di intuire queste ragioni di "discrezionalità politica", si nota che tra la fine dei lavori della "commissione De Lise" (8 febbraio 2010) e la deliberazione dello schema di decreto da parte del Governo (il 16 aprile 2010) si era consumata la vicenda della lista del Pdl esclusa dalle elezioni regionali in Lazio, perché presentata in ritardo. Il Tar Lazio e il Consiglio di Stato avevano confermato la bocciatura in quei giorni (il 16 e il 20 marzo): ciò contribuì a determinare la scelta di non affidare ai giudici amministrativi il contenzioso pre-elettorale politico? 
"Sicuramente all'epoca ci furono anche valutazioni politiche sull'opportunità di affidare al giudice amministrativo il potere di decidere su una materia così delicata come le elezioni di Camera e Senato - riflette ora il senatore Parrini -. Non si capisce però come mai, proprio per quelle competizioni elettorali che sono più diretta manifestazione della sovranità popolare, si sia preferito evitare di introdurre una tutela giurisdizionale di qualunque forma, in palese violazione dell’articolo 24 della Costituzione, che prevede il diritto di tutti di agire in giudizio. Tra l'altro, all'epoca, la Corte si era già espressa, con la sentenza n. 259 del 2009, attendendosi che il vuoto di tutela venisse colmato dall'esercizio della delega sul codice del processo amministrativo. Ciò che invece non fu fatto, nonostante, peraltro, non vi fossero elezioni politiche in vista. Di fronte al secondo e più pressante invito rivolto dalla Consulta al Parlamento pochi mesi fa, non non si poteva rimanere inerti. Peraltro, l'accentramento in capo al giudice amministrativo di questi ricorsi ha portato ormai a una giurisprudenza consolidata che sembra allontanare molti dei timori, compresi quelli sui tempi, visto che nella pratica sono rispettati. Infine una notazione: nella vicenda del 2010 che ha evocato, che cosa si sarebbe detto se non ci fosse stato alcun giudice cui rivolgersi [per le elezioni regionali, ndb]? Non sarebbe stato infinitamente più grave?"

Ricorsi ai giudici amministrativi, grazie a pochi giorni in più

Chiunque legga può rispondere come crede a questa domanda formulata da Parrini, come a quella prima offerta da chi scrive. Nel frattempo, si può notare che, rispetto al testo elaborato nel 2010, le modifiche non sono moltissime (anche se alcune si notano) e gli interventi riguardano soprattutto i tempi del procedimento elettorale preparatorio, leggermente allungati per consentire a chi si ritiene leso di rivolgersi ai giudici amministrativi senza ridurre ancora di più tempi già stringatissimi. "Rispetto al testo del 2010 - chiarisce il senatore - ci sono state innovazioni redazionali, prevedendo un unico articolo per i due gradi di giudizio invece che due, e sui tempi: in quella sede erano previsti termini più brevi per i ricorsi sui contrassegni, che invece abbiamo uniformato. È stato poi affrontato e risolto, tramite un serrato confronto con il ministero dell’interno, il problema della compatibilità dei nuovi ricorsi con i tempi serrati previsti per la circoscrizione Estero: ricordo che la legge prevede che il ministero dell’interno invii alle ambasciate e i consolati le liste e le schede, per la stampa, 26 giorni prima delle elezioni. È poi stata fatta un’opera di coordinamento, per uniformare i termini previsti dai vari ricorsi, e sono state apportate alcune innovazioni di ammodernamento, in particolare eliminando il riferimento allo strumento desueto del fax".
Per vedere le ricadute pratiche delle modifiche proposte, vanno ricordate le norme in vigore. Oggi i contrassegni per le elezioni politiche si presentano al Ministero dell'interno dalle ore 8 del 44° giorno alle ore 16 del 42° giorno che precede il voto; entro le ore 24 del 40° giorno il Viminale valuta se ammettere i simboli, invitare a sostituirli o ritenerli non in grado di consentire la presentazione di liste (per mancato deposito dei nomi dei delegati a presentare le liste, del programma, dello statuto o - al suo posto - della dichiarazione di trasparenza) o, ancora, se chiedere un'integrazione della dichiarazione di trasparenza; entro 48 ore dalla comunicazione della decisione del ministero è possibile presentare opposizione all'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di Cassazione, che deciderà a sua volta entro 48 ore dalla ricezione (il che vuol dire, in base alla prassi corrente, che le decisioni arrivano entro il 36° giorno precedente l'apertura dei seggi). Le candidature, poi, devono essere depositate presso ogni Ufficio centrale circoscrizionale, tra le ore 8 del 35° giorno e le ore 20 del 34° giorno precedente il voto; entro il 33° giorno ogni ufficio elettorale decide se accettare, ricusare o correggere le candidature (ed entro il giorno dopo decide se ammettere eventuali integrazioni documentali), essendo prevista la possibilità di ricorrere contro gli atti di esclusione di liste o singole candidature entro 48 ore (dunque entro il 31-30° giorno prima delle elezioni) all'Ufficio elettorale centrale nazionale, che deve a sua volta decidere entro due giorni. Il quadro delle candidature, insomma, è definitivo allo scadere del 29°-28° giorno (a seconda che si voglia considerare o meno la mezza giornata in più concessa per valutare le eventuali integrazioni documentali in sede di candidature).
In base a quanto è previsto dal disegno di legge in discussione al Senato (guardando solo ai termini che interessano chi deve presentare candidature), il decreto di convocazione dei comizi elettorali dovrebbe essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale non oltre il 50° giorno antecedente quello della votazione (oggi non si deve superare il 45° giorno). I contrassegni elettorali dovrebbero essere depositati al Viminale tra le ore 8 del 49° giorno e le ore 16 del 47° giorno prima del voto (con un anticipo di cinque giorni rispetto a oggi); le candidature invece si presenterebbero tra il 40° e il 39° giorno prima del voto (conservando l'anticipo di cinque giorni; le nuove date valgono espressamente anche per il collegio della Valle d'Aosta), riducendo poi da 48 a 24 ore il tempo per presentare eventualmente ricorso all'Ufficio elettorale centrale nazionale. I nuovi termini consentirebbero - mantenendo ferma anche la possibilità di rivolgersi all'Ufficio centrale nazionale presso la Cassazione - di ricorrere al Tar del Lazio contro le decisioni in materia di contrassegni, liste, candidature e collegamenti, "inclusi gli atti di accertamento dell'incandidabilità", entro due giorni dalla pubblicazione o dalla comunicazione (se prevista) degli atti da impugnare (nello stesso termine il ricorso dovrebbe essere notificato, personalmente o via Pec, al Ministero dell'interno, all'eventuale altro ufficio che ha emanato l'atto e agli eventuali controinteressati); entro due giorni si dovrebbe tenere l'udienza di discussione e nella stessa giornata dovrebbe essere pubblicata la sentenza in forma semplificata (la cui motivazione "può consistere anche in un ero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e far proprie"). Sarebbe ulteriormente prevista la possibilità di ricorrere entro due giorni dalla pubblicazione della sentenza del Tar Lazio al Consiglio di Stato, con una nuova udienza e relativa sentenza entro i due giorni successivi.
In concreto, posto che la decisione del Viminale sui simboli arriverebbero entro il 45° giorno prima del voto e le eventuali decisioni dei magistrati di Cassazione si avrebbero entro il 41° giorno, i ricorsi al Tar Lazio contro l'esclusione di un contrassegno dovrebbero essere presentati dalle persone interessate entro il 39° giorno e le decisioni arriverebbero entro il 37° giorno; si potrebbe eventualmente ricorrere al Consiglio di Stato entro il 35° giorno, avendo la sentenza entro il 33° giorno. Quanto alle candidature - posto che le decisioni degli uffici elettorali arriverebbero tra il 38° e il 37° giorno prima del voto e gli esiti degli eventuali ricorsi all'Ufficio elettorale centrale nazionale sarebbero noti tra il 35° e il 34° giorno antecedente le elezioni - i ricorsi al Tar Lazio su candidati e liste dovrebbero essere presentati al più tardi entro il 32° giorno, con emissione della sentenza entro il 30° giorno (mentre i ricorsi al Consiglio di Stato, presentati entro il 28° giorno, sarebbero comunque decisi entro il 26° giorno prima del voto). Rispetto al testo originario del disegno di legge pluripartisan, un procedimento speciale acceleratorio sarebbe previsto con riferimento al procedimento elettorale preparatorio riferito alla circoscrizione Estero: i tempi per impugnare gli atti davanti al Tar Lazio e al Consiglio di Stato (e per eseguire le notifiche) sarebbero dimezzati da 48 a 24 ore, stesso taglio applicato ai tempi per reagire, in precedenza, ai provvedimenti amministrativi in materia di contrassegni e candidature. In tutti questi passaggi, in ogni caso, sarebbe assicurata la pubblicità tanto dei ricorsi, quanto delle decisioni, come già si fa per i processi relativi agli atti preparatori delle elezioni comunali, regionali ed europee (anzi, il disegno di legge si propone di ridurre i tempi previsti per il processo amministrativo pre-elettorale relativo a queste consultazioni).     
Si tratta di soluzioni soddisfacenti o qualche problema rischia di rimanere aperto? "La soluzione è equilibrata - dichiara Dario Parrini - perché modella il nuovo ricorso su quelli già previsti per le altre elezioni e perciò in grado, di per sé, di colmare il vuoto di tutela senza creare ulteriori problemi. L'impostazione è stata quella di inserirsi nell'ordinamento riconoscendo il diritto a un giudice laddove non c'era, senza cedere alla tentazione di andare oltre quanto necessario o di introdurre asimmetrie. La stessa scelta della giurisdizione  amministrativa va letta in quest'ottica." "Credo che il testo licenziato dalla I Commissione risponda al compito che abbiamo scelto di autoassegnarci, proprio perché avevamo ben presente il problema - aggiunge Augussori -. Il testo elaborato da noi dà all'elettore più certezza di apprestarsi a votare su un quadro elettorale il più possibile corretto e completo; si tratta comunque di allungare il procedimento solo di cinque giorni, un tempo ridotto, a fronte dei vantaggi che porta. Il Parlamento ovviamente potrà intervenire sul testo, ma ci pare che il nostro sani il vulnus evidenziato, poi sarà l'applicazione pratica a dirci se i problemi in effetti si risolveranno oppure no." In effetti in passato il procedimento elettorale preparatorio durava ben di più: prima che, nel 1976, si arrivasse ai tempi oggi previsti, i contrassegni si depositavano presso il Viminale tra il 68° e il 62° giorno prima del voto, mentre le liste si presentavano tra il 55° e il 45° giorno prima del voto. 
Anche per questo, non sarebbe stato inutile prendersi almeno un paio di giorni in più, anticipando ulteriormente i soli tempi di deposito dei contrassegni. I motivi sono sostanzialmente due. Innanzitutto si avrebbe avuta la certezza di concludere il primo grado del processo amministrativo sui contrassegni entro il termine per depositare le candidature (e i relativi documenti necessari), mentre questo in base al testo in esame non accadrebbe (immaginando che gli opponenti/ricorrenti, l'Ufficio elettorale centrale nazionale e il Tar Lazio usassero tutto il tempo loro concesso rispettivamente per presentare le impugnazioni e per deciderle); la situazione sarebbe peggiore in caso di ricorso al Consiglio di Stato, che ove fosse accolto dovrebbe mettere chi avesse comunque raccolto le firme nei tempi stabiliti dalla legge nella condizione di veder accolte le proprie candidature con il contrassegno riammesso il 32° giorno, cioè una settimana dopo la scadenza dei termini per il deposito (se vigessero le norme previste dal disegno di legge in esame, gli interessati farebbero bene a presentare comunque, per precauzione, tutti i documenti richiesti per le candidature e a esperire tutti i ricorsi previsti contro i provvedimenti di ricusazione che si vedrebbero opporre, sperando di ottenere nel frattempo una sentenza favorevole del Tar Lazio o del Consiglio di Stato). Secondariamente, qualche giorno in più collocato tra la presentazione dei contrassegni e quella delle candidature potrebbe essere decisamente utile ai fini della raccolta delle firme: del resto, proprio la sentenza n. 48/2021 della Corte costituzionale aveva riconosciuto che i tempi per ottenere le sottoscrizioni erano molto stretti, dunque riconoscere qualche giorno in più per definire la prima fase sarebbe stato apprezzabile. Sarebbe utile che l'aula del Senato si confrontasse anche su questo, ovviamente quando la discussione del progetto di legge sarà calendarizzata. Ma il fatto stesso che finalmente si voglia attivare il canale di tutela giurisdizionale in materia di simboli e liste per le elezioni politiche - e i parlamentari abbiano scelto di fare seri sforzi per questo - rappresenta una novità da apprezzare in pieno.

Firme "sotto i mille" e quorum facilitato con una sola lista

Il 26 maggio scorso, invece, proprio l'assemblea di Palazzo Madama aveva già approvato un testo del disegno di legge in materia di elezioni comunali, relativo agli enti più piccoli. Questo disegno di legge - di cui ci si è già occupati - è intervenuto sul quorum di validità delle elezioni comunali ove sia stata presentata una sola lista (richiedendo che l'affluenza sia almeno pari al 40% degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune, non tenendo conto - solo ai fini di quel computo - "degli elettori iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero che non hanno votato") e ha previsto la reintroduzione della raccolta di sottoscrizioni a sostegno delle liste anche nei comuni fino a mille abitanti (eliminata nel 1993): in particolare, se il disegno di legge completasse il suo percorso, servirebbero tra 15 e 30 firme nei comuni con popolazione "legale" tra 751 e 1000 abitanti, tra 10 e 20 firme nei comuni che hanno tra 501 e 750 abitanti, mentre ne basterebbero 5 (fino a un massimo di 10) nei comuni fino a 500 abitanti.
La prima innovazione era già stata introdotta una tantum per le elezioni amministrative del 2021 in sede di conversione del decreto di rinvio di quello stesso voto: ciò è stato possibile grazie a due diversi emendamenti, formulati in aula dalla Commissione Affari costituzionali, a partire da due proposte della Lega Nord a prima firma del senatore Luigi Augussori (firma seguita da quella di Roberto Calderoli e di altre tre persone elette). Proprio Augussori aveva presentato già nel 2019 un disegno di legge - alla base del testo approvato a maggio - che si era proposto di affrontare il problema, limitandosi in quella sede a non conteggiare ai fini del quorum i non votanti iscritti all'Aire.
"Mi sento di dire che abbassare e ricalcolare il quorum è stato utile - ci spiega Augussori - visto che al turno elettorale appena celebrato ho contato 62 comuni che, senza la norma che abbiamo introdotto nel convertire il decreto 'rinvia elezioni', sarebbero andati incontro al commissariamento, essendosi presentata una lista sola e essendosi registrata un'affluenza sotto il 50%. Naturalmente il dato va preso con cautela: senza il quorum ribassato probabilmente ci sarebbe stato un appello al voto più vigoroso, così come non escludo che in qualcuno di quei comuni ci si sarebbe organizzati diversamente, magari con la presentazione di una seconda lista; l'effetto, in ogni caso, mi pare positivo." 
Quella adottata era l'unica soluzione possibile, per evitare il commissariamento dei piccoli comuni? "Io in effetti nel mio disegno di legge avevo solo previsto, per calcolare l'affluenza ai fini della validità dell'elezione, di scomputare le persone iscritte all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero e non votanti dal numero degli aventi diritto: occorre tenere presente che in alcuni comuni gli iscritti Aire sono talmente numerosi da rendere inutile qualunque abbassamento ragionevole del quorum, pensi che in alcune località gli iscritti Aire arrivano al 70% del corpo elettorale... In un secondo momento, in ogni caso, l'Associazione nazionale dei comuni italiani ha chiesto espressamente anche di abbassare il quorum: in effetti, con il trend delle affluenze sempre in calo, questo è parso come un intervento ragionevole. Questa prima applicazione è stata giustificata sulla base dell'emergenza Covid-19, immaginando che questa situazione avrebbe portato più persone a non votare: non so però dire se la pandemia abbia avuto davvero effetti tangibili sull'affluenza ai seggi, senza contare che quest'anno e nel 2020 nel turno ordinario si è votato anche il lunedì."
Dopo l'applicazione una tantum per quest'anno, la norma potrebbe stabilizzarsi se il disegno di legge approvato a fine maggio a Palazzo Madama completasse il suo percorso parlamentare. Quel testo, tuttavia, è molto importante anche perché reintroduce la necessità di raccogliere le firme nei comuni fino a mille abitanti: quell'onere è stato tolto nel 1993 e, se questo ha sicuramente semplificato il rito elettorale per le poche persone del luogo interessate a partecipare all'amministrazione del comune, senza alcun dubbio ha consentito di candidarsi con enorme facilità anche a persone prive di ogni legame con il territorio, a volte semplicemente per cercare di far radicare un progetto politico esterno, altre volte per fini assai meno lodevoli. Tutti fenomeni che in questo sito sono stati puntualmente raccontati da Massimo Bosso nei suoi articoli dedicati ogni anno ai comuni "sotto i mille" dell'intera Italia e che sempre Bosso, insieme a chi scrive, ha illustrato in un viaggio lungo un quarto di secolo nei microcomuni del Piemonte, nel libro M'imbuco a Sambuco!
 "Ora l'iter del progetto di legge che abbiamo approvato a maggio - continua Augussori - è nelle mani del presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia. Il giorno in cui si deciderà di mettere all'ordine del giorno la discussione di quel testo, si potrà capire se il 2021 è stato l'ultimo anno in cui le firme non erano necessarie". In effetti i lavori al Senato erano stati piuttosto rapidi, dando l'impressione che si volesse arrivare all'entrata in vigore delle norme già prima del voto di quest'autunno, ma così non è stato: è segno di qualche difficoltà o di disinteresse? "Probabilmente alla Commissione Affari costituzionali della Camera erano intasati di lavoro e capirei una situazione simile - continua il senatore leghista - ma mi sembrerebbe inopportuno 'arrivare lunghi' con i lavori parlamentari anche la prossima volta e mancare la scadenza del turno ordinario delle elezioni amministrative del 2022, visto che anche quest'anno episodi anomali si sono registrati."
La questione dei comuni "sotto i mille" sembra stare molto a cuore ad Augussori, in virtù tanto dei suoi interessi per la materia elettorale (ha partecipato, tra l'altro, a varie missioni di osservazione elettorale Osce), quanto della sua esperienza passata di consigliere comunale: non a caso, la presentazione del disegno di legge che chiedeva la reintroduzione delle firme - sia pure in misura diversa rispetto all'accordo poi trovato a Palazzo Madama - ha preceduto i casi incredibili del 2020 che hanno attirato l'attenzione di Striscia la notizia e di molte testate. "Personalmente - precisa - non ho mai avvertito che, anche in realtà comunali piccole, firmare per una o per l'altra lista per alcune persone potesse rappresentare un problema, anche se non escludo che in certe realtà questo possa accadere. In ogni caso, le soglie che abbiamo proposto sono davvero ridotte e non si va certo a ledere la segretezza del voto. Di certo il clamore sollevato dalle inchieste di Striscia la notizia ha aiutato a far conoscere situazioni di questo tipo, anche se a colpire è stata soprattutto la candidatura di appartenenti alle forze di polizia, legata alle previsioni sull'aspettativa retribuita concessa loro; il fatto che, ad esempio, la presentazione di liste senza firme potesse agevolare tanto chi intendeva candidarsi anche senza avere legami con il paese, quanto chi voleva mettere in piedi una seconda lista per evitare l'ostacolo del quorum era una finezza che non molti avevano colto. Una volta spiegata l'importanza del problema, la questione è stata compresa e per questo l'iter ha avuto successo, almeno in questa prima parte del lavoro". 
Su ciò che accade nei comuni più piccoli anche il senatore Dario Parrini - anch'egli da sempre attento ai temi elettorali, dopo la laurea in Scienze politiche a Firenze, e a quelli amministrativi, per la sua lunga esperienza di consigliere, assessore e sindaco a Vinci - ha le idee molto chiare: "I diritti politici, quale è quello di elettorato passivo, non possono essere utilizzati per scopi impropri come quello di fruire di congedi retribuiti, e neppure per conquistare il diritto di rappresentare l’opposizione in un comune senza aver alcun legame con il territorio e voti reali. Ne va della dignità della rappresentanza politica in quanto tale, a partire dal livello più vicino ai cittadini: del resto è lo stesso principio che ispira le iniziative assunte dalla nostra commissione in materia di indennità e responsabilità dei sindaci. Erano state proposte altre soluzioni, quale quella di vincolare la candidatura alla residenza o di uniformare le disposizioni sul congedo elettorale di militari e poliziotti a quelle vigenti per gli altri dipendenti pubblici; in entrambi i casi però la soluzione di un problema specifico avrebbe portato alla modifica di norme che comunque hanno una loro ratio e aperto inevitabilmente altri problemi. L’anomalia è invece quella per cui nei piccolissimi comuni non sia richiesto un numero di firme, ancorché quasi simbolico, per presentarsi alle elezioni: un granello di sabbia nell'ingranaggio necessario e sufficiente a prevenire gli abusi. Sull'abbassamento del quorum e sullo scomputo dei residenti all'estero per i comuni con una sola lista siamo invece già intervenuti, per le elezioni amministrative appena celebrate,  con un emendamento al decreto-legge n. 25/2021, che ha consentito a numerosi comuni di non essere commissariati e avere un sindaco eletto. Purtroppo si trattava di una norma derogatoria solo per queste elezioni: poiché il disegno di legge S. 1196 di cui parla, oltre alla norma sulle firme, contiene proprio quest'altra disposizione mettendola a regime, anche solo per questo sarebbe necessario che la Camera lo approvasse definitivamente prima delle prossime elezioni amministrative".
Se il percorso del disegno di legge di cui si parla si completasse, dunque, per i piccoli comuni si compirebbe una svolta: molte amministrazioni locali vivrebbero con maggiore serenità il momento elettorale, non dovendosi più preoccupare di temere troppo la scarsa affluenza (o magari di preparare una seconda lista in fretta e furia) e assistendo a una riduzione significativa delle presenze nelle competizioni elettorali di soggetti del tutto esterni al paese. Probabilmente - bisogna ammetterlo - il mondo delle elezioni "sotto i mille", nel normalizzarsi, finirebbe per perdere un po' di fascino e di mistero, senza offrire più fasci di episodi improbabili, che ogni anno qui si sono raccontati con dovizia di dettagli (anche se probabilmente non sparirebbero simboli dalla grafica - diciamo - opinabile). Vale però quello che ha ricordato prima il senatore Parrini: la rappresentanza merita di essere rispettata nella sua dignità e, per quanto la democrazia sia un gioco, questo va preso dannatamente sul serio.

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