Il 1990, come si è visto, aveva portato a Roberto Gremmo risultati importanti (in particolare la sua elezione in consiglio comunale a Torino, l'ingresso della moglie Anna Sartoris nel consiglio regionale del Piemonte grazie alla lista Piemont Union Autonomia e, contemporaneamente, l'elezione di Pierangelo Brivio a consigliere regionale lombardo con la lista Autonomia - Alleanza lombarda, propiziata dallo stesso Gremmo) e anche pagine meno gradevoli (l'inizio del procedimento penale legato alla raccolta firme per le elezioni comunali di Torino). L'appuntamento più importante, dopo quella pletora di voti sul territorio, era certamente rappresentato dalle elezioni politiche del 1992: dopo le occasioni perse cinque anni prima (con i due Piemont sulla scheda) e alle europee del 1989 (con la lista dell'Union Piemonteisa bocciata per ragioni formali), quella nuova scadenza doveva essere assolutamente sfruttata per rimettere in campo le battaglie per l'autonomia in Piemonte e in Lombardia (ovviamente su strade diverse da quelle della Lega Nord, sempre più forte dopo il suo ingresso in Parlamento nel 1987). Occorreva prepararsi per quelle elezioni e, possibilmente, ottenere un po' di attenzione dai media, magari per qualcosa di diverso dai problemi legati alle firme (e, anzi, più attenzione ci fosse stata, più sarebbe stato facile in seguito raccogliere le sottoscrizioni necessarie per partecipare alle elezioni politiche).
Dalla Stampa, 15 giugno 1991, pagina 1 |
A quel punto Gremmo ebbe un'idea, escogitando la "battaglia del ponte". Il nome, visto ora, può far pensare a qualche rievocazione storica o a disfide locali con tocchi di folklore; il senso dell'iniziativa, però, era tutt'altro. Gremmo ricordò che il 19 maggio 1990 Umberto Bossi, assieme a vari dirigenti della Lega Nord, aveva dato vita al primo raduno di Pontida, sul "pratone" in seguito teatro di molti appuntamenti leghisti (anche dopo la fine della guida bossiana). Il leader della Lega aveva dato appuntamento ai "padani" il 16 giugno 1991, con l'intento di proclamare la "Repubblica del Nord" per riunire entro gli stessi confini Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria, individuando in Mantova la "capitale".della nuova "repubblica".
Dal Corriere della Sera, 15 giugno 1991, pagina 43 |
A Gremmo quel progetto non andava affatto a genio: per lui e per i suoi seguaci, i confini esistevano eccome, perché marcavano innanzitutto le identità legate ai territori; dovevano dunque rimanere e, anzi, la condotta annunciata dai leghisti sarebbe apparsa persino contraria alla Costituzione (un attacco alla Repubblica "una e indivisibile" sancita dall'art. 5) e al codice penale, concretando un attentato all'unità dello Stato (art. 241 c.p.). Mentre contro l'iniziativa si erano concentrate varie segnalazioni e denunce all'autorità di pubblica sicurezza (una delle quali era stata presentata da Francesco Miglino, allora segretario della Lega Meridionali d'Italia, in seguito demiurgo del Partito internettiano), Gremmo avvisò le testate giornalistiche che, in coincidenza con il raduno di Pontida, lui e coloro che condividevano il suo progetto politico autonomista avrebbero presidiato i ponti sul Ticino (anzi ,il "fatal Ticino") che mettevano in comunicazione Piemonte e Lombardia, per manifestare la loro netta contrarietà al disegno bossiano.
Dalla Stampa, 17 giugno 1990, pagina 4 |
La Stampa mise la notizia in prima pagina il 15 giugno, il giorno prima della doppia manifestazione (La Lega anti-Lega ferma Bossi sul Ticino) e la Rai mandò una troupe a San Martino di Trecate (No). Proprio lì il gruppo di Piemont Union Autonomia e di Autonomia - Alleanza lombarda si sarebbe riunito al mattino nel ristorante vicino al ponte sul Ticino per la sua manifestazione autonomista: dopo che anche ai giornali era arrivata la voce che qualche militante leghista si sarebbe staccato da Pontida e sarebbe arrivato all'altro capo del ponte (mettendosi in auto per oltre un'ora), le forze dell'ordine preferirono evitare grane chiedendo a Gremmo e alle altre persone convenute di non uscire dal ristorante, anche se non poterono impedire loro di sventolare le bandiere alla vista di alcuni sostenitori al di fuori del locale.
Ai piemontesi (che ovviamente unirono anche il sostegno dell'Union Autonomiste che Gremmo rappresentava in Valle d'Aosta) e ai lombardi - su tutti Pierangelo Brivio, intervistato da più parti, anche per la curiosità che il cognato di Bossi fosse contro di lui mentre questo era a Pontida - si unirono anche Umberto Vecchiato e altri esponenti di Veneto autonomo (evoluzione del Movimento Veneto regione autonoma visto alle elezioni politiche del 1987), nonché - secondo quanto scritto dai giornali - alcuni esponenti del Movimento autonomista toscano. Ovviamente non accadde nulla di problematico: nessun leghista arrivò sull'altra sponda del Ticino e non ci fu alcuno scontro o anche solo uno scambio di insulti. A dire il vero, in un certo senso, si era già dato: il 10 febbraio 1991, a chiusura del primo congresso della Lega Nord (a Pieve Emanuele), Umberto Bossi aveva già urlato nei confronti dei contestatori, dai partiti ai movimenti autonomisti avversi, l'indimenticabile sentenza "Sappiano che la Lega Nord ce l'ha duro, duroo, durooo!".
Falloforia a parte, Gremmo si era reso conto che, soprattutto dopo l'affermazione alle regionali del 1990 dell'Autonomia - Alleanza lombarda, il suo progetto autonomistico non sarebbe più potuto restare limitato ai confini del Piemonte, anche se ovviamente lì avrebbe continuato a vivere; ci sarebbe voluto un soggetto politico adatto al Piemonte, alla Lombardia, alla Valle d'Aosta (nel 1993 sarebbe scaduto il suo mandato da consigliere regionale) e magari anche altrove. Ma quale poteva essere l'orizzonte migliore? Per capirlo, si dovrebbe poter leggere qualche pagina di Contro Roma, il volume che Gremmo nel 1992 aveva dedicato alla sua avventura politica:
Appesa nell'ingresso di casa mia c'è una grande carta geografica che riproduce le Alpi. E' stata stampata in Germania e mi è stata regalata dal caro amico sudtirolese Karl Bargolin. Vi si vede l'arco alpino ma con una prospettiva capovolta rispetto a quella delle stereotipate cartine che sono appese nelle aule scolastiche o nei corridoi dei treni. Al centro c'è la Svizzera, in primo piano la Baviera e poi da Aosta a Trieste, da Torino a Bolzano, da Milano ad Udine si vede una specie di grande torta a ciambella con le sue vallate, i picchi, i fiumi, il Po che fa da sbarramento; in fondo, sfumata verso l'orizzonte, come una specie di nebbione, l'Italia. E' proprio un veder l'erba dalla parte delle radici. Questa è la sola cartina che a me interessa [...]. Nelle mie speranze e nella mia volontà [...] i Popoli Alpini sono largamente disinteressati ai destini dei popoli italici, il cui avvenire ideale è semmai collocato in una dimensione neutralista e non allineata a carattere mediterraneo. Com'è, per esempio, nella vocazione dei catalani. Non ho interesse a mettere a posto l'Italia [...]. Preferisco guardare all'Europa, pensare che come fra Canton Ticino e Lombardia ci sono certo più legami etnici e culturali che non fra Lombardia e Sicilia, così fra Piemonte e Savoia c'è più affinità che tra Piemonte e Calabria. La fantasiosa repubblica del Nord raccordata alle consorelle centrale e meridionale non mi interessa. Una grande regione delle Alpi occidentali che in una Europa dei Popoli unisca in un nuovo federalismo Piemonte e Savoia, Val d'Aosta e Ponente Ligure col Nizzardo è il mio progetto.
Ecco allora che la chiave di lettura, il trait d'union del disegno di Roberto Gremmo erano le Alpi. Un elemento geografico, certamente, ma anche - se non soprattutto - culturale, per tenere insieme territori solo amministrativamente divisi o collocati in Stati differenti. Di questo si doveva necessariamente tenere conto nella progettazione del simbolo, anzi, dei simboli: alla Camera era importante essere presenti con lo stesso simbolo, ma al Senato i seggi erano pur sempre distribuiti su base regionale (ed erano possibili tra l'altro collegamenti con emblemi diversi), quindi si poteva pur sempre adottare un emblema base da differenziare dal punto di vista territoriale, per cercare di raccogliere il maggior numero di voti possibile.
E se l'imperativo era raccogliere, non c'era dubbio che - dopo il 5.09% raccolto in Piemonte e soprattutto il 18,94% ottenuto in Lombardia dalla Lega Nord - la parola che avrebbe permesso di ottenere più consensi fosse proprio "Lega". Certo, Bossi e i suoi avrebbero protestato, ma di Leghe ne erano state presentate anche negli anni precedenti, quindi non si poteva parlare di esclusiva su quella parte di nome (almeno, così si sarebbe cercato di spiegare se ci fossero stati problemi); in più, se si fosse evitato di scimmiottare i caratteri utilizzati dal Carroccio per i suoi simboli, le grane sarebbero state sicuramente minori.
Sulla base di queste riflessioni, dunque, era nata la Lega alpina, ufficialmente fondata all'inizio di dicembre del 1991. Gremmo, tra l'altro, era arrivato a quella nuova tappa dopo che, pochi mesi prima - il 26 giugno - aveva consolidato la propria presenza in consiglio regionale in Valle d'Aosta, entrando a far parte dell'Ufficio di presidenza come segretario d'aula. Fu eletto a quel ruolo per un soffio (18 voti a favore, 17 astensioni), ma lui aveva chiesto quella carica come contropartita per avere consentito la formazione - giusto un anno prima - di una nuova giunta regionale sostenuta da Dc, Pci, Adp, Psi e Pri (oltre che dalla sua Union autonomiste), che per la prima volta aveva costretto l'Union Valdôtaine ad andare all'opposizione (dopo aver governato la regione per i primi due anni della legislatura, fino alla crisi scoppiata all'inizio di giugno del 1990). L'ingresso di Gremmo in maggioranza era stato favorito dal socialista Bruno Milanesio, ma considerando che per molti mesi il voto dell'autonomista piemontese era stato determinante per la maggioranza, lui alla fine di marzo del 1991 aveva chiesto un riconoscimento tangibile: non potendo entrare in giunta, aveva puntato all'Ufficio di presidenza e, per consentire il suo ingresso, erano state necessarie le dimissioni dall'incarico di segretaria d'aula di Cristina Monami (Pci-Pds), particolarmente gradite da Gremmo visto che lei in passato aveva firmato un appello con cui si era accusato di razzismo l'autonomista piemontese.
Tornando alla Lega alpina, questa avrebbe avuto almeno due versioni: quella piemontese, amministrata dallo stesso Gremmo, ma anche quella lombarda, affidata a Pierangelo Brivio. Anzi, visto che in Piemonte si sarebbe continuato a utilizzare il nome vernacolare "Piemont", oltre Ticino si sarebbe potuto utilizzare l'aggettivo "Lumbarda", come già Gremmo aveva suggerito a Brivio nel 1990. I riferimenti regionali avrebbero dovuto avere molto rilievo, almeno quanto il termine "Lega", che veniva proposta con una "A" particolare, a forma di triangolo rettangolo, in grado di saltare all'occhio. Certo, in questo modo la parola "alpina" rischiava di finire schiacciata tra li due termini che si volevano mettere chiaramente in evidenza, ma a rafforzare il concetto delle Alpi come filo conduttore avrebbe dovuto provvedere la grafica: il simbolo, infatti, avrebbe dovuto contenere tanto l'immagine di un alpino, con tanto di cappello dalla penna nera e picozza in mano, quanto un'immagine geometrica che richiamava un profilo montuoso ("Ricordo - spiega oggi Gremmo - che mi ispirai direttamente al logo della Cifra, un ente associativo legato alla montagna"); tra l'altro, la "A" a triangolo rettangolo vista prima aveva esattamente la stessa "pendenza" del profilo delle montagne e la parola "Alpina" - con la prima e l'ultima "A" disposte in modo speculare - era perfettamente in armonia con quell'elemento grafico. Il simbolo pensato per il Piemonte conteneva anche il drapò circolare; quello lombardo avrebbe potuto contenere un piccolo riferimento ai Pensionati, il cui apporto nel 1988 - grazie a Luigi Nava - era stato fondamentale.per mettere in piedi la lista in Valle d'Aosta.
I simboli vennero preparati in bianco e nero, ma anche a colori (con scritte e grafiche di colore bianco su fondo azzurro): proprio in quelle settimane si stava discutendo alla Camera la "leggina" che avrebbe consentito di riprodurre sulle schede i contrassegni a colori e, nel caso, occorreva tenersi pronti. La fine della legislatura, in ogni caso, era vicina e, nel frattempo, in casa leghista stavano accadendo fatti nuovi, potenzialmente interessanti. Al punto che meritano di essere approfonditi in seguito, per leggere in modo più completo l'esordio della Lega alpina.
E se l'imperativo era raccogliere, non c'era dubbio che - dopo il 5.09% raccolto in Piemonte e soprattutto il 18,94% ottenuto in Lombardia dalla Lega Nord - la parola che avrebbe permesso di ottenere più consensi fosse proprio "Lega". Certo, Bossi e i suoi avrebbero protestato, ma di Leghe ne erano state presentate anche negli anni precedenti, quindi non si poteva parlare di esclusiva su quella parte di nome (almeno, così si sarebbe cercato di spiegare se ci fossero stati problemi); in più, se si fosse evitato di scimmiottare i caratteri utilizzati dal Carroccio per i suoi simboli, le grane sarebbero state sicuramente minori.
Sulla base di queste riflessioni, dunque, era nata la Lega alpina, ufficialmente fondata all'inizio di dicembre del 1991. Gremmo, tra l'altro, era arrivato a quella nuova tappa dopo che, pochi mesi prima - il 26 giugno - aveva consolidato la propria presenza in consiglio regionale in Valle d'Aosta, entrando a far parte dell'Ufficio di presidenza come segretario d'aula. Fu eletto a quel ruolo per un soffio (18 voti a favore, 17 astensioni), ma lui aveva chiesto quella carica come contropartita per avere consentito la formazione - giusto un anno prima - di una nuova giunta regionale sostenuta da Dc, Pci, Adp, Psi e Pri (oltre che dalla sua Union autonomiste), che per la prima volta aveva costretto l'Union Valdôtaine ad andare all'opposizione (dopo aver governato la regione per i primi due anni della legislatura, fino alla crisi scoppiata all'inizio di giugno del 1990). L'ingresso di Gremmo in maggioranza era stato favorito dal socialista Bruno Milanesio, ma considerando che per molti mesi il voto dell'autonomista piemontese era stato determinante per la maggioranza, lui alla fine di marzo del 1991 aveva chiesto un riconoscimento tangibile: non potendo entrare in giunta, aveva puntato all'Ufficio di presidenza e, per consentire il suo ingresso, erano state necessarie le dimissioni dall'incarico di segretaria d'aula di Cristina Monami (Pci-Pds), particolarmente gradite da Gremmo visto che lei in passato aveva firmato un appello con cui si era accusato di razzismo l'autonomista piemontese.
Tornando alla Lega alpina, questa avrebbe avuto almeno due versioni: quella piemontese, amministrata dallo stesso Gremmo, ma anche quella lombarda, affidata a Pierangelo Brivio. Anzi, visto che in Piemonte si sarebbe continuato a utilizzare il nome vernacolare "Piemont", oltre Ticino si sarebbe potuto utilizzare l'aggettivo "Lumbarda", come già Gremmo aveva suggerito a Brivio nel 1990. I riferimenti regionali avrebbero dovuto avere molto rilievo, almeno quanto il termine "Lega", che veniva proposta con una "A" particolare, a forma di triangolo rettangolo, in grado di saltare all'occhio. Certo, in questo modo la parola "alpina" rischiava di finire schiacciata tra li due termini che si volevano mettere chiaramente in evidenza, ma a rafforzare il concetto delle Alpi come filo conduttore avrebbe dovuto provvedere la grafica: il simbolo, infatti, avrebbe dovuto contenere tanto l'immagine di un alpino, con tanto di cappello dalla penna nera e picozza in mano, quanto un'immagine geometrica che richiamava un profilo montuoso ("Ricordo - spiega oggi Gremmo - che mi ispirai direttamente al logo della Cifra, un ente associativo legato alla montagna"); tra l'altro, la "A" a triangolo rettangolo vista prima aveva esattamente la stessa "pendenza" del profilo delle montagne e la parola "Alpina" - con la prima e l'ultima "A" disposte in modo speculare - era perfettamente in armonia con quell'elemento grafico. Il simbolo pensato per il Piemonte conteneva anche il drapò circolare; quello lombardo avrebbe potuto contenere un piccolo riferimento ai Pensionati, il cui apporto nel 1988 - grazie a Luigi Nava - era stato fondamentale.per mettere in piedi la lista in Valle d'Aosta.
I simboli vennero preparati in bianco e nero, ma anche a colori (con scritte e grafiche di colore bianco su fondo azzurro): proprio in quelle settimane si stava discutendo alla Camera la "leggina" che avrebbe consentito di riprodurre sulle schede i contrassegni a colori e, nel caso, occorreva tenersi pronti. La fine della legislatura, in ogni caso, era vicina e, nel frattempo, in casa leghista stavano accadendo fatti nuovi, potenzialmente interessanti. Al punto che meritano di essere approfonditi in seguito, per leggere in modo più completo l'esordio della Lega alpina.
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