Il 1990 fu un anno davvero importante per Roberto Gremmo. Si è già visto che alle elezioni del 6 e 7 maggio lui - che era consigliere regionale in Valle d'Aosta - era riuscito a diventare consigliere comunale a Torino, mentre la moglie Anna Sartoris aveva centrato l'elezione in consiglio regionale in Piemonte (con la lista Piemont Union Autonomia); in quegli stessi giorni, tuttavia, era stato eletto consigliere regionale anche Pierangelo Brivio, ma questa volta in Lombardia e con una lista dichiaratamente "lombardista", alla quale Gremmo era tutt'altro che estraneo. Per capire cosa fosse accaduto, occorre fare un passo indietro di alcuni anni e ricostruire alcuni episodi solo in apparenza minori.
Occorre in effetti tornare al 1987, anno piuttosto delicato per Gremmo: alle elezioni politiche si era presentata la sua Union piemonteisa, ma c'era anche il Piemont autonomista di Gipo Farassino e Renzo Rabellino e, dividendosi tra due liste i voti dello stesso elettorato, non erano arrivati eletti per nessuno dei due gruppi. Già prima che Gremmo, Sartoris e Umberto Bossi (nonché Farassino) presentassero i loro contrassegni per quelle elezioni politiche, tuttavia, si era consumato un primo litigio tra Bossi e Pierangelo Brivio, che del primo era il cognato, avendone sposato la sorella, Angela Bossi: Brivio, che nel 1984 era stato tra i fondatori della Lega autonomista lombarda (come tuttora testimonia l'atto costitutivo), era molto irritato con il cognato perché questi gli aveva espresso la netta intenzione di non candidarlo alle elezioni. Per quello che riteneva uno sgarbo del tutto in giusto, Brivio era pronto a rendere la pariglia.
Nei giorni in cui ancora sarebbe stato possibile muoversi per presentare un simbolo e preparare la raccolta firme, Brivio aveva cercato proprio Gremmo e gli aveva chiesto una mano: aveva pensato di mettere in campo una lista per ostacolare il cammino di Umberto Bossi e dei suoi verso il Parlamento, ma aveva bisogno di aiuto. In quell'occasione Gremmo, dopo aver riflettuto, non volle accontentare Brivio ("stupidamente, aggiungo ora", chiosa oggi lo stesso Gremmo, nel rievocare quelle vicende con il senno del poi): allora vedeva Bossi come un proprio alleato e non voleva tradirlo, ma soprattutto non voleva tradire la causa autonomista, che sarebbe stata ostacolata dalla presenza di due liste (proprio come stava avvenendo e sarebbe avvenuto in Piemonte). Pierangelo Brivio, a quel punto, non presentò alcuna lista (e non si impegno nemmeno nella campagna elettorale) e ciò spianò la strada all'elezione di Giuseppe Leoni alla Camera e di Umberto Bossi al Senato con il simbolo della Lega lombarda.
Dal Corriere della Sera, 27 giugno 1987, pagina 2 |
Tempo qualche settimana e la rottura tra i cognati divenne insanabile. Persino i quotidiani scrissero che la prima riunione del consiglio federale della Lega lombarda successivo alle elezioni politiche era finita con "un incidente burrascoso" proprio tra Bossi e Brivio, con il secondo che finì al pronto soccorso, lamentando di essere stato picchiato dal neosenatore. Alla base della lite c'era il disimpegno di Brivio nella campagna elettorale, ma la lite non tardò a estendersi (lo stesso Gremmo, nel suo libro Contro Roma, aveva parlato di rivendicazioni personali di Brivio). In ogni caso, all'inizio di luglio la Lega dichiarò che Brivio, essendo stato espulso dal partito, non avrebbe più potuto rappresentare il partito nel consiglio comunale di Gallarate, dov'era stato eletto nel 1985 (tentando di parlare in dialetto fin dalla prima seduta).
In seguito, come si è visto, sarebbe maturata anche la rottura tra Bossi e Gremmo, diventata definitiva alla vigilia delle elezioni europee del 1989. Svanito in fretta il progetto proposto da Gremmo di un'azione combinata degli autonomisti nelle due circoscrizioni elettorali settentrionali (con una lista "Alpe-Adria" per il Nord-Est, magari da presentare con l'esenzione dalla raccolta firme fornita dal Partito sardo d'azione, e una curata dallo stesso Gremmo nel Nord-Ovest), lo storico autonomista biellese convocò a Rivoli una riunione delle persone a lui più vicine per decidere la presentazione di una lista nella circoscrizione Nord-Ovest. A quel piano si unì anche Pierangelo Brivio, ormai deciso a contrastare il cognato Bossi: fu proprio Brivio a curare la raccolta delle firme in Lombardia, insieme a un altro ex leghista, Augusto Arizzi.
Come si è visto, la lista non arrivò sulle schede perché una piccola parte di certificati elettorali era risultata mancante; intanto però Brivio si era fatto conoscere meglio e, dal mese di ottobre del 1988, aveva anche iniziato a pubblicare un suo quindicinale. Nel proprio libro Contro Roma, Gremmo disse che a suggerirgli di avviare quella pubblicazione era stato Franco Rocchetta: "In realtà fui io a consigliarlo - ricorda ora - dicendogli che quell'impegno avrebbe potuto portare dei frutti. Guarda caso, Brivio chiamò il suo giornale La Lega Lombarda. Giornale per l'unione del popolo lombardo. Ricordo che l'uscita di quel periodico creò un certo panico in Bossi: lui non aveva alcuna stima del cognato, non capiva come avesse potuto avere quell'idea e iniziò a sospettare che dietro a Brivio ci fossero i servizi segreti che manovravano contro di lui. Il mistero, tuttavia, durò pochissimo e purtroppo contribuii proprio io a farlo svelare, perché in almeno un incontro durante la nostra campagna elettorale ad Albenga nel novembre 1988 per la Lega ligure c'era anche Brivio a distribuire il giornale: là certamente c'erano alcuni osservatori mandati da Bossi che gli riferirono tutto e lui come stessero davvero le cose e intuì che dietro l'azione del cognato c'ero io".
In ogni caso, dopo il funesto 1989, era arrivato il 1990 con il suo carico di elezioni e la macchina politico-elettorale si era rimessa in moto. Anche se il suo impegno principale era ovviamente rivolto al Piemonte, Roberto Gremmo non mancò di dare alcuni suggerimenti a Brivio, seriamente intenzionato a presentare una candidatura autonoma alle regionali in Lombardia. "Lo incoraggiai nel suo progetto - spiega Gremmo - e gli dissi che, se nel suo simbolo avesse inserito la rosa camuna, che da oltre un decennio era l'emblema della Regione, e un riferimento evidente alla Lombardia, ancor meglio se nella forma dialettale 'Lumbarda'" avrebbe potuto centrare l'elezione. Certo, c'era il solito problema delle firme da raccogliere, ma devo dire che Brivio ci si mise d'impegno e fece di tutto per raggiungere il risultato". Alla fine le sottoscrizioni necessarie arrivarono soltanto a Como, Varese e Milano (raccolte soprattutto a Seveso): furono però sufficienti perché il simbolo della lista Autonomia - Alleanza lombarda - allora tutto nero (ma nel 1992 sarebbe diventato verde proprio come il logo della Regione), con il riferimento ben visibile all'autonomia e la parola "Lombarda" scritta a caratteri cubitali - finisse sulle schede in quelle tre circoscrizioni. Nella lista provinciale di Milano, oltre a Brivio e alla moglie Angela Bossi nei primi due posti della lista, c'era anche Anna Sartoris (che contemporaneamente correva in Piemonte con la sua lista), così come figuravano storiche figure dell'Union piemonteisa come Alberto Seghesio e Dario Barattin, necessarie per completare il numero minimo di candidature.
Nessuno pensava realisticamente che sarebbe bastato coprire quelle province a eleggere un consigliere regionale, invece l'obiettivo fu raggiunto. Con il suo 1,22% regionale (pari a 76.516 voti, più di quelli ottenuti rispettivamente da Democrazia proletaria e dagli Antiproibizionisti sulla droga, che elessero consigliere Marco Taradash), Autonomia - Alleanza lombarda ottenne un eletto: non erano stati male il 3,15% di Como e il 2,8% di Varese, ma Brivio fu eletto in provincia di Milano, dove la lista aveva ottenuto "solo" l'1,58%, ma i consiglieri da distribuire erano molti di più. Quando fu chiaro il risultato delle elezioni, Roberto Gremmo e Anna Sartoris uscirono a cena con Pierangelo Brivio: allo stesso tavolo sedevano tre consiglieri regionali di tre regioni diverse (Valle d'Aosta, Piemonte e Lombardia), senza contare che Gremmo era pure riuscito a farsi eleggere consigliere comunale a Torino.
Nel complesso la Lega - che allora si era presentata come Lega lombarda, ma aveva inserito nel simbolo anche la dicitura "Lega Nord" (varata ufficialmente il 4 dicembre 1989, con atto costitutivo del notaio bergamasco Giovanni Battista Anselmo) e la "pulce" di Alberto da Giussano sopra la sagoma dell'Italia settentrionale - aveva ottenuto 1.183.493 voti e portato a casa 15 consiglieri (tanto quanti il Pci e dieci in meno della Dc): non c'era stata partita con Brivio, ma probabilmente nei piani di Bossi non sarebbe dovuto arrivare nemmeno quell'unico consigliere e quell'inatteso risultato era comunque un piccolo, ma significativo campanello di allarme di cui occorreva tenere conto.
Dal Corriere della Sera, 18 giugno 1990, p. 2 |
Alla prima riunione del consiglio regionale lombardo - nel quale per la Lega lombarda erano entrati, tra gli altri, Franco Castellazzi, Francesco Speroni, Alessandro Patelli e il fondatore della Lega emiliano-Romagnola Giorgio Conca - si era presentato lo stesso Bossi e, quando lui andò al bar, si era formato intorno a lui un crocchio di persone e di giornalisti. A un certo punto un cronista di una testata cremonese gli aveva chiesto cosa pensasse dell'elezione in consiglio del cognato Brivio e si sentì rispondere che lui era "solo un burattino nelle mani di Roberto Gremmo". In quel momento, dietro a Bossi, spuntò un tipo con gli occhiali che si rivolse direttamente al giornalista: "Guardi che Gremmo sono io!". C'è chi è pronto a ricordare come Bossi, giratosi di colpo verso quella voce dalla chiara intonazione piemontese, avesse intimato a un tale che era al suo fianco, senza troppe cerimonie, "Spaccagli la faccia!", con conseguente sbiancamento in volto del povero giornalista che tutto avrebbe voluto, meno che trasformarsi in testimone di una scazzottata.
Per sua fortuna, il passaggio alle vie di fatto non ci fu, ma Bossi non perse tempo: accolse in fretta nella Lega Nord Mario Tosco, Andrea Fogliato e altri transfughi dell'Union piemonteisa; in più, qualche mese dopo il voto, proprio le denunce della Lega Nord fecero aprire l'indagine sull'autenticità e regolarità delle firme raccolte da Piemont - Liberazione fiscale e da altre tre liste, con il processo che pesò come un macigno sull'intero mandato consiliare di Gremmo a Torino. Non per questo, l'attività e la creatività politica dell'autonomista biellese si fermò, arrivando anzi a favorire la nascita di più Leghe: la storia, tuttavia, va approfondita in seguito.
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