Aveva previsto di moltiplicare, anzi di quadruplicare i propri sforzi nel 1990 Roberto Gremmo, in vista delle elezioni regionali, provinciali e comunali che si tenevano in quell'anno (si sarebbe votato il 6 e il 7 maggio): il progetto autonomista doveva andare avanti, ma bisognava recuperare altri consensi puntando anche su pensionati, ambientalisti e cacciatori, nonché sulle persone che si erano spaventate per il proliferare della droga (il cui spaccio, secondo Gremmo, era legato anche e soprattutto alla presenza di numerosi immigrati clandestini). Quel progetto elettorale, tuttavia, aveva dovuto essere modificato in corsa, per l'entrata in vigore della legge n. 53/1990, volta tra l'altro a far lievitare il numero di firme da raccogliere per le elezioni comunali, soprattutto nelle grandi città.
A Torino, comune che in base al censimento del 1981 risultava avere oltre un milione di abitanti (nel 1991 sarebbe invece risultata sotto quella soglia), fino al 22 marzo era necessario raccogliere da 350 a 500 firme, mentre ne sarebbero servite da 3500 a 5000 - giusto dieci volte di più - dal 23 marzo, giorno dell'entrata in vigore delle nuove norme (volutamente applicabili già nel procedimento elettorale preparatorio in corso, con mille dubbi di costituzionalità e di opportunità). Una grana enorme, visto che liste e firme dovevano essere consegnate entro le ore 12 dell'11 aprile 1990: il fatto che il disegno di legge del ministro dell'interno Antonio Gava fosse stato presentato il 10 febbraio, dunque si fosse saputo con un paio di mesi di anticipo che probabilmente la raccolta delle firme sarebbe stata molto più onerosa, non sarebbe stato comunque sufficiente per mobilitare tutte le risorse (personali ed economiche) necessarie a chi avesse voluto presentare tante liste. E l'aumento di sforzi da profondere nelle elezioni comunali, allo stesso tempo, avrebbe consigliato di valutare con attenzione anche l'impegno nel voto per le province e per la regione, visto che improvvisamente la ricerca di una presenza elettorale significativa nei comuni era diventata assai più onerosa. Gremmo ritenne, dunque, che fosse più opportuno concentrarsi su una sola lista, tanto alle comunali, alle provinciali e alle regionali, lasciando da parte gli altri progetti, compreso quello della Lega contro la droga e contro l'immigrazione clandestina del Terzo Mondo (con il suo teschio con siringa che aveva tanto fatto parlare di sé nei mesi precedenti).
Il problema, casomai, era capire su quali simboli puntare per la corsa nei vari enti, oltre a cercare di organizzarsi per portare a termine la raccolta firme. Occorreva in qualche modo inventare qualcosa di nuovo: l'Union Piemonteisa, che in tutte le elezioni era sempre stata chiamata Piemont per l'unica parola presente all'interno del simbolo, aveva bisogno di fare un passo in più, in Regione e anche nei territori più ristretti. Se, in fondo, nelle tante elezioni comunali cui il gruppo di Gremmo aveva partecipato non si era assistito tanto alla partecipazione di un partito, ma di liste presentate da singoli gruppi di cittadini (motivo per cui capitava che il simbolo oscillasse nella grafica, con aggiustamenti successivi per vedere l'effetto che faceva), alle regionali occorreva un pensiero più ampio. Fu così che prese corpo Piemont Union Autonomia, assai più simile a un partito che a un semplice gruppo politico che presenta liste. Il Piemonte, vista la lunga battaglia portata avanti fino a quel momento, aveva sempre l'evidenza principale nel contrassegno (grazie alla scritta bianca su fondo nero, sperimentata con un certo successo negli ultimi anni, e alla riproduzione circolare del drapò), ma era venuto il tempo di enfatizzare anche altri concetti: "Union" e "autonomia" erano parole chiave non meno di "Piemont" e potevano servire da richiamo per gli elettori.
"Siamo sempre stati convinti - ricorda ora Gremmo - che i voti presi nel corso del tempo da Gipo Farassino e Renzo Rabellino fossero nostri, nel senso che le battaglie su quei temi le avevamo iniziate e fatte crescere noi, loro avevano colto i frutti del nostro lavoro. Per questo più volte abbiamo cercato di utilizzare parole che suonassero agli elettori autonomisti come un messaggio, per dire loro che gli originali, i veri punti di riferimento per quelle idee, eravamo noi. Il nostro giornale si chiamava da tempo 'Union' Piemonteisa, come il nostro partito, quindi la parola 'Union' nel simbolo era pienamente giustificata; lo stesso poteva dirsi per la parola 'autonomia', anzi la scelta di inserirla nel contrassegno rimediava all'errore fatto nel 1987, quando avremmo potuto utilizzare il simbolo con la scritta 'autonomia regionale' e invece fummo convinti da Bossi a mantenere quello vecchio con il solo riferimento al Piemonte. Lo avessimo fatto allora, per noi sarebbe stata tutta un'altra storia, ma eravamo ancora in tempo per rimediare".
Quello, dunque, fu il simbolo pensato per le regionali e per le varie elezioni provinciali previste. Nella sfida per il comune di Torino invece, vista l'esigenza di raggiungere l'obiettivo delle 3500 firme, Gremmo decise di stringere un accordo con il Movimento di liberazione fiscale di Sergio Gaddi (già organizzatore di una partecipatissima marcia antifisco a Torino il 23 novembre 1986, cui lo stesso gruppo di Gremmo aveva partecipato). Per questo, nel simbolo, "Piemont" restava l'elemento più visibile sul fondo nero, ma in alto si rinunciò alla nuova dicitura "Union autonomia" per inserire il riferimento alla liberazione fiscale, mentre in basso, accanto al tondo con il lambello, ne apparve un altro con la spada che taglia i tentacoli del fisco-piovra, immagine che da tempo caratterizzava il Mlf e che lo stesso Gaddi aveva presentato come contrassegno elettorale alle elezioni politiche del 1987.
Se negli ultimi anni la sfida principale tra i piemontesisti (alle elezioni politiche e locali) aveva visto opporsi essenzialmente l'Union di Gremmo e il Piemont Autonomista di Gipo Farassino, prima da solo (1987-1988) e poi come parte dell'Alleanza Nord guidata dalla Lega Lombarda (1989), questa volta in campo ci sarebbe stato proprio il simbolo della Lega Nord, con Alberto da Giussano inserito nella sagoma del Nord Italia (come nel contrassegno delle europee dell'anno prima, ma senza più il sasso su cui poggiare il piede destro), ma con l'aggiunta di un gigantesco riferimento al Piemonte, che finiva per schiacciare e rendere quasi invisibile la "pulce" della Lega Lombarda, inserita per avere la sicurezza di non dover raccogliere le firme grazie alla rappresentanza parlamentare.
Quella volta i sondaggi attribuivano anche al gruppo di Gremmo la probabile conquista di un consigliere regionale. Era una novità non da poco, ma anche in quell'occasione la sfida a due sullo stesso terreno appariva a più di qualcuno poco opportuna, perché avrebbe disperso voti destinati a non trasformarsi in seggi. Anche per questo, può non stupire che, alcune settimane prima della scadenza del termine della presentazione delle candidature delle regionali, a Roberto Gremmo fosse arrivata - attraverso Andrea Fogliato, un nome già incontrato nella spiacevole vicenda dei certificati "spariti" prima delle europee 1989 - una richiesta urgente di incontro da parte di Umberto Bossi. "Non mi tirai certo indietro - raccontò Gremmo nel suo libro Contro Roma - chiesi solo che [l'incontro] avvenisse in Piemonte". Il ritrovo era stato fissato presso un autogrill dell'A4, nei pressi di Novara, "a sera tarda, perché Bossi doveva arrivare da Roma in aereo"; si presentò però Francesco Speroni, europarlamentare leghista, adducendo un ritardo del volo di Bossi e invitando a seguirlo in auto a Linate. Una volta arrivato, il Senatùr portò Speroni, Gremmo e Fogliato in una pizzeria (era quasi l'una di notte, secondo quanto scritto da Gremmo, diffidente per i toni bossiani ben più cordiali che in passato) e fece notare che una lista comune Lega-Piemont avrebbe raccolto cinque consiglieri regionali, uno in più della somma degli eletti che i sondaggi attribuivano alle due formazioni separate (tre a Bossi e Farassino, uno a Gremmo). Per il fondatore dell'Union Piemonteisa l'idea sarebbe stata ragionevole (oltre che un ritorno dei leghisti sui loro passi), ma disse di aver chiesto garanzie sulla composizione delle liste e del contrassegno elettorale (perché anche l'emblema di Piemont fosse visibile) e anche sulla ripartizione del finanziamento pubblico in caso di risultato elettorale utile.
Quella lista ovviamente non nacque e, anzi, il giorno dopo l'incontro - scrisse Gremmo - Bossi disse che Gipo Farassino aveva posto il veto all'accordo. Lo stesso Gremmo sostenne che quell'abboccamento fosse stato in realtà un tranello, per saggiarne le intenzioni e renderlo inoffensivo: disse di averlo capito quando, al leader leghista che chiedeva lumi sul candidato di punta dell'Union Piemonteisa nella lista unica, lasciò credere che avrebbe proposto l'avvocato Mario Tosco - già assessore Dc di Carignano - e Bossi non solo non ebbe nulla da ridire, ma dimostrò di conoscerlo già (anzi, sarebbe stato proprio lui a farne il nome per primo). "Se in quella pizzeria, abbassando la guardia, Bossi non avesse pronunciato un nome che non aveva alcun motivo di conoscere non avrei preso le mie contromisure nei confronti del Tosco e oggi Anna non sarebbe in Regione". Già, perché quando furono rese note le liste per le regionali, si seppe che la candidatura principale della lista di Piemont Union Autonomia era quella di Anna Sartoris, moglie di Gremmo - il quale, essendo ancora consigliere regionale in Valle d'Aosta, non avrebbe potuto presentarsi - e assai più nota di Tosco (che finì in fondo alla lista).
Tra attacchi e polemiche si arrivò alle urne, che restituirono un risultato assai rilevante per il gruppo di Gremmo: sfiorando i 67mila voti (2,3%), Piemont Union Autonomia riuscì a far eleggere Anna Sartoris in consiglio e andò molto vicino a un secondo eletto (lo ebbero i Verdi arcobaleno con il 2,76%); la Lega Nord ebbe tre eletti con il 5,09% (a Torino furono Farassino e Rabellino), ma non riuscì a impedire a Gremmo di entrare a Palazzo Lascaris. Proprio Gremmo riottenne un seggio in provincia a Torino (a Cuneo fu eletto Alberto Seghesio) e fu eletto anche consigliere comunale sempre a Torino, con 11.550 voti (1,73%), mentre Alberto da Giussano in salsa piemontese ottenne anche lì tre consiglieri (con il 4,04%, masticando amaro perché qualche decimo in più avrebbe fatto scattare un altro eletto). Piemont Union Autonomia era riuscita poi a entrare in vari altri consigli comunali, anche di rilievo (come Biella).
Il risultato, oggettivamente, fu tutt'altro che trascurabile e sembrava finalmente il segnale di un tempo più tranquillo per Gremmo e chi era vicino a lui. Non fu così, perché alcuni mesi dopo le elezioni piovve su Piemont e sulle altre tre liste obbligate a raccogliere le firme - quella dei Pensionati, che aveva eletto due rappresentanti, nonché la Lista Azzurra e Impegno per Torino - una denuncia penale della Lega Nord (alla quale, nel frattempo, avevano aderito Mario Tosco e Andrea Fogliato), con cui si lamentava la falsità di molte delle sottoscrizioni raccolte. Che la decuplicazione per legge delle firme necessarie avesse creato una marea di problemi era già noto, anche perché proprio i monarchici della Lista Azzurra - guidata da Roberto Vittucci Righini, ancora nel 2013 tra gli animatori di Italia Reale - avevano presentato solo poco più di 350 sottoscrizioni e, dopo l'esclusione da parte della commissione elettorale, erano riusciti a ottenere l'ammissione cautelare dal Tar (in seguito a un ricorso presentato da Claudio Dal Piaz, insigne amministrativista che sarebbe stato coinvolto anche nella vicenda della "doppia Dc" di Pinerolo), probabilmente facendo balenare qualche vizio di incostituzionalità della nuova legge applicata in corso di raccolta firme. Il procedimento penale ebbe tempi lunghi (la sentenza di primo grado a giugno del 1992, quella di appello a gennaio del 1993, la decisione di cassazione alcuni mesi dopo) e si sarebbe chiuso in modo non favorevole a Gremmo, mentre per altri scattò la prescrizione; fu la testimonianza palese, in ogni caso, che l'aumento spropositato del numero di firme da raccogliere quando ormai il termine per depositarle era vicino aveva reso la vita impossibile a chi aveva previsto ben altro impegno basandosi sulle norme vigenti fino a pochi giorni prima, per cui qualcosa era sfuggito di mano (tra firme falsificate o "riciclate" da raccolte precedenti).
Ciò che era accaduto con riguardo al comune di Torino, tuttavia, non infirmò in nulla il risultato ottenuto in Regione; al contrario, proprio l'elezione di Anna Sartoris fruttò a Piemont Union Autonomia una discreta somma di finanziamento pubblico (anche se l'amministrazione della Camera versò il denaro con vari mesi di ritardo, a causa di un ricorso presentato da alcuni dei candidati non eletti). I risultati, tra l'altro, non erano arrivati solo in Piemonte, ma anche nella vicina Lombardia: questa storia, però, merita una narrazione a parte.
"Siamo sempre stati convinti - ricorda ora Gremmo - che i voti presi nel corso del tempo da Gipo Farassino e Renzo Rabellino fossero nostri, nel senso che le battaglie su quei temi le avevamo iniziate e fatte crescere noi, loro avevano colto i frutti del nostro lavoro. Per questo più volte abbiamo cercato di utilizzare parole che suonassero agli elettori autonomisti come un messaggio, per dire loro che gli originali, i veri punti di riferimento per quelle idee, eravamo noi. Il nostro giornale si chiamava da tempo 'Union' Piemonteisa, come il nostro partito, quindi la parola 'Union' nel simbolo era pienamente giustificata; lo stesso poteva dirsi per la parola 'autonomia', anzi la scelta di inserirla nel contrassegno rimediava all'errore fatto nel 1987, quando avremmo potuto utilizzare il simbolo con la scritta 'autonomia regionale' e invece fummo convinti da Bossi a mantenere quello vecchio con il solo riferimento al Piemonte. Lo avessimo fatto allora, per noi sarebbe stata tutta un'altra storia, ma eravamo ancora in tempo per rimediare".
Quello, dunque, fu il simbolo pensato per le regionali e per le varie elezioni provinciali previste. Nella sfida per il comune di Torino invece, vista l'esigenza di raggiungere l'obiettivo delle 3500 firme, Gremmo decise di stringere un accordo con il Movimento di liberazione fiscale di Sergio Gaddi (già organizzatore di una partecipatissima marcia antifisco a Torino il 23 novembre 1986, cui lo stesso gruppo di Gremmo aveva partecipato). Per questo, nel simbolo, "Piemont" restava l'elemento più visibile sul fondo nero, ma in alto si rinunciò alla nuova dicitura "Union autonomia" per inserire il riferimento alla liberazione fiscale, mentre in basso, accanto al tondo con il lambello, ne apparve un altro con la spada che taglia i tentacoli del fisco-piovra, immagine che da tempo caratterizzava il Mlf e che lo stesso Gaddi aveva presentato come contrassegno elettorale alle elezioni politiche del 1987.
Se negli ultimi anni la sfida principale tra i piemontesisti (alle elezioni politiche e locali) aveva visto opporsi essenzialmente l'Union di Gremmo e il Piemont Autonomista di Gipo Farassino, prima da solo (1987-1988) e poi come parte dell'Alleanza Nord guidata dalla Lega Lombarda (1989), questa volta in campo ci sarebbe stato proprio il simbolo della Lega Nord, con Alberto da Giussano inserito nella sagoma del Nord Italia (come nel contrassegno delle europee dell'anno prima, ma senza più il sasso su cui poggiare il piede destro), ma con l'aggiunta di un gigantesco riferimento al Piemonte, che finiva per schiacciare e rendere quasi invisibile la "pulce" della Lega Lombarda, inserita per avere la sicurezza di non dover raccogliere le firme grazie alla rappresentanza parlamentare.
Quella volta i sondaggi attribuivano anche al gruppo di Gremmo la probabile conquista di un consigliere regionale. Era una novità non da poco, ma anche in quell'occasione la sfida a due sullo stesso terreno appariva a più di qualcuno poco opportuna, perché avrebbe disperso voti destinati a non trasformarsi in seggi. Anche per questo, può non stupire che, alcune settimane prima della scadenza del termine della presentazione delle candidature delle regionali, a Roberto Gremmo fosse arrivata - attraverso Andrea Fogliato, un nome già incontrato nella spiacevole vicenda dei certificati "spariti" prima delle europee 1989 - una richiesta urgente di incontro da parte di Umberto Bossi. "Non mi tirai certo indietro - raccontò Gremmo nel suo libro Contro Roma - chiesi solo che [l'incontro] avvenisse in Piemonte". Il ritrovo era stato fissato presso un autogrill dell'A4, nei pressi di Novara, "a sera tarda, perché Bossi doveva arrivare da Roma in aereo"; si presentò però Francesco Speroni, europarlamentare leghista, adducendo un ritardo del volo di Bossi e invitando a seguirlo in auto a Linate. Una volta arrivato, il Senatùr portò Speroni, Gremmo e Fogliato in una pizzeria (era quasi l'una di notte, secondo quanto scritto da Gremmo, diffidente per i toni bossiani ben più cordiali che in passato) e fece notare che una lista comune Lega-Piemont avrebbe raccolto cinque consiglieri regionali, uno in più della somma degli eletti che i sondaggi attribuivano alle due formazioni separate (tre a Bossi e Farassino, uno a Gremmo). Per il fondatore dell'Union Piemonteisa l'idea sarebbe stata ragionevole (oltre che un ritorno dei leghisti sui loro passi), ma disse di aver chiesto garanzie sulla composizione delle liste e del contrassegno elettorale (perché anche l'emblema di Piemont fosse visibile) e anche sulla ripartizione del finanziamento pubblico in caso di risultato elettorale utile.
Quella lista ovviamente non nacque e, anzi, il giorno dopo l'incontro - scrisse Gremmo - Bossi disse che Gipo Farassino aveva posto il veto all'accordo. Lo stesso Gremmo sostenne che quell'abboccamento fosse stato in realtà un tranello, per saggiarne le intenzioni e renderlo inoffensivo: disse di averlo capito quando, al leader leghista che chiedeva lumi sul candidato di punta dell'Union Piemonteisa nella lista unica, lasciò credere che avrebbe proposto l'avvocato Mario Tosco - già assessore Dc di Carignano - e Bossi non solo non ebbe nulla da ridire, ma dimostrò di conoscerlo già (anzi, sarebbe stato proprio lui a farne il nome per primo). "Se in quella pizzeria, abbassando la guardia, Bossi non avesse pronunciato un nome che non aveva alcun motivo di conoscere non avrei preso le mie contromisure nei confronti del Tosco e oggi Anna non sarebbe in Regione". Già, perché quando furono rese note le liste per le regionali, si seppe che la candidatura principale della lista di Piemont Union Autonomia era quella di Anna Sartoris, moglie di Gremmo - il quale, essendo ancora consigliere regionale in Valle d'Aosta, non avrebbe potuto presentarsi - e assai più nota di Tosco (che finì in fondo alla lista).
Tra attacchi e polemiche si arrivò alle urne, che restituirono un risultato assai rilevante per il gruppo di Gremmo: sfiorando i 67mila voti (2,3%), Piemont Union Autonomia riuscì a far eleggere Anna Sartoris in consiglio e andò molto vicino a un secondo eletto (lo ebbero i Verdi arcobaleno con il 2,76%); la Lega Nord ebbe tre eletti con il 5,09% (a Torino furono Farassino e Rabellino), ma non riuscì a impedire a Gremmo di entrare a Palazzo Lascaris. Proprio Gremmo riottenne un seggio in provincia a Torino (a Cuneo fu eletto Alberto Seghesio) e fu eletto anche consigliere comunale sempre a Torino, con 11.550 voti (1,73%), mentre Alberto da Giussano in salsa piemontese ottenne anche lì tre consiglieri (con il 4,04%, masticando amaro perché qualche decimo in più avrebbe fatto scattare un altro eletto). Piemont Union Autonomia era riuscita poi a entrare in vari altri consigli comunali, anche di rilievo (come Biella).
Il risultato, oggettivamente, fu tutt'altro che trascurabile e sembrava finalmente il segnale di un tempo più tranquillo per Gremmo e chi era vicino a lui. Non fu così, perché alcuni mesi dopo le elezioni piovve su Piemont e sulle altre tre liste obbligate a raccogliere le firme - quella dei Pensionati, che aveva eletto due rappresentanti, nonché la Lista Azzurra e Impegno per Torino - una denuncia penale della Lega Nord (alla quale, nel frattempo, avevano aderito Mario Tosco e Andrea Fogliato), con cui si lamentava la falsità di molte delle sottoscrizioni raccolte. Che la decuplicazione per legge delle firme necessarie avesse creato una marea di problemi era già noto, anche perché proprio i monarchici della Lista Azzurra - guidata da Roberto Vittucci Righini, ancora nel 2013 tra gli animatori di Italia Reale - avevano presentato solo poco più di 350 sottoscrizioni e, dopo l'esclusione da parte della commissione elettorale, erano riusciti a ottenere l'ammissione cautelare dal Tar (in seguito a un ricorso presentato da Claudio Dal Piaz, insigne amministrativista che sarebbe stato coinvolto anche nella vicenda della "doppia Dc" di Pinerolo), probabilmente facendo balenare qualche vizio di incostituzionalità della nuova legge applicata in corso di raccolta firme. Il procedimento penale ebbe tempi lunghi (la sentenza di primo grado a giugno del 1992, quella di appello a gennaio del 1993, la decisione di cassazione alcuni mesi dopo) e si sarebbe chiuso in modo non favorevole a Gremmo, mentre per altri scattò la prescrizione; fu la testimonianza palese, in ogni caso, che l'aumento spropositato del numero di firme da raccogliere quando ormai il termine per depositarle era vicino aveva reso la vita impossibile a chi aveva previsto ben altro impegno basandosi sulle norme vigenti fino a pochi giorni prima, per cui qualcosa era sfuggito di mano (tra firme falsificate o "riciclate" da raccolte precedenti).
Ciò che era accaduto con riguardo al comune di Torino, tuttavia, non infirmò in nulla il risultato ottenuto in Regione; al contrario, proprio l'elezione di Anna Sartoris fruttò a Piemont Union Autonomia una discreta somma di finanziamento pubblico (anche se l'amministrazione della Camera versò il denaro con vari mesi di ritardo, a causa di un ricorso presentato da alcuni dei candidati non eletti). I risultati, tra l'altro, non erano arrivati solo in Piemonte, ma anche nella vicina Lombardia: questa storia, però, merita una narrazione a parte.
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