Il tempo passa, la Democrazia cristiana no e le contese sulla sua "eredità" neppure: lo sa bene chi è un attento e frequente lettore di queste pagine. Vari soggetti, nel corso del tempo, hanno ritenuto e ritengono di rappresentare proprio la Dc che all'inizio del 1994 ha cambiato nome (non correttamente) in Partito popolare italiano; altri, richiamandosi semplicemente all'eredità politica di quel partito, vorrebbero poterne utilizzare indisturbati il nome e possibilmente anche il simbolo dello scudo crociato, soprattutto alle elezioni. Con riguardo a quest'ultimo obiettivo, a volte i singoli gruppi ci sono riusciti; spesso hanno dovuto fare i conti con le contestazioni degli uffici elettorali competenti o con le lamentele dell'Udc (che usa elettoralmente lo scudo dal 2002 ed è presente in Parlamento, dunque i suoi elettori sono tutelati dalla legge contro eventuali usi confusori dell'emblema), per cui in tante occasioni si è dovuto depositare un simbolo sostitutivo di scorta oppure, se non era già pronto, se n'è dovuto preparare uno in fretta e furia, magari tra la delusione di chi sperava di potersi distinguere con il fregio che era stato di Sturzo, De Gasperi e Moro.
Se però alcuni "devoti" alla Democrazia cristiana non hanno la minima intenzione di demordere, altri hanno deposto le armi e hanno cercato soluzioni alternative, per non rischiare ogni volta di farsi respingere le liste qualora nemmeno la nuova soluzione grafica sia ritenuta adeguata (e alcune sentenze dei giudici amministrativi, in effetti, hanno precisato che chi viene invitato a sostituire il contrassegno per confondibilità o illegittimità ha una sola possibilità per sostituirlo correttamente; eventuali atteggiamenti più indulgenti delle singole commissioni elettorali, che pure si riscontrano, evidentemente sono ritenuti "non dovuti" in base alle norme vigenti). Tra coloro che, in un modo o nell'altro, hanno preso atto della situazione ci sono anche i democratici cristiani di Ferrara, guidati da Giuseppe Toscano. La sua vicenda è particolare e merita di essere raccontata in dettaglio.
"Quando nel 2018 la Dc di Gianni Fontana, alla quale aderivo come iscritto al partito nel 1992 - ricorda lo stesso Toscano - cercammo di presentare il simbolo dello scudo crociato, un funzionario del Viminale da me interpellato informalmente disse che quel fregio non sarebbe stato accolto come contrassegno elettorale, per la presenza consolidata dell'Udc nelle aule parlamentari. Cercai di far valere a nostro favore le sentenze che secondo noi avevano stabilito che, in mancanza di un congresso di scioglimento nel 1994, la Democrazia cristiana era rappresentata dai suoi ultimi iscritti, ma mi sentii dire che l'uso elettorale seguiva regole diverse rispetto a quello civile e che gli elettori e gli eletti dell'Udc dovevano comunque essere protetti. Noi depositammo lo stesso il simbolo e, come previsto, ce lo bocciarono al Viminale con le solite ragioni di sempre; quella volta però decidemmo di sostituirlo con una bandiera crociata, anche se quella scelta grafica non era piaciuta a molti. Era comunque la dimostrazione, secondo me, che si poteva far passare il nome e qualcosa dell'emblema tradizionale, rinunciando a qualche sua parte importante. lì avevamo tenuto la croce e i colori rinunciando allo scudo e alla parola 'Libertas', ma si sarebbe potuto anche cercare di tenere lo scudo, sostituendo la croce con qualche altro elemento in cui potevamo identificarci".
A quel punto a Toscano venne in mente la Rosaspina, vale a dire un gruppo civico fondato da lui proprio a Ferrara alla fine degli anni '90, di matrice ex Dc anche se spesso schierato a fianco del centrodestra e in particolare di Forza Italia: il simbolo era costituito da "un biancofiore, con cinque petali bianchi e ovario bianco da cui spunta un ciuffo di pistilli arancioni; stelo verde con un ciuffo a sinistra di cinque foglie verdi e a destra due ciuffi verdi con cinque foglie in basso e quattro in alto, con quattro spine - due a sinistra e due a destra. Il tutto su scudo blu scuro schiarito al centro con il fiore che si poggia sul lato sinistro dello scudo stesso e con lo stelo che finisce in basso a destra". Fatto quel pensiero, per Toscano la scelta era semplice: bastava prendere il simbolo della Rosaspina, inserirlo in una circonferenza blu con fondo bianco e aggiungere il nome della Democrazia cristiana (con una struttura grafica simile a quella della Dc guidata da Angelo Sandri). Nella sua proposta grafica, dunque, lo scudo c'era ancora, ma era di colore azzurro sfumato, senza "Libertas" e senza croce; la sfumatura radiale, peraltro, poteva far leggere qualcosa che somigliava proprio a una croce (e l'effetto era un po' innocente, un po' no). Soprattutto, quello scudo sulla carta avrebbe potuto creare meno problemi perché era finito in secondo piano, dietro a un fiore bianco, anzi a un "bianco fiore, simbol d'amore": più che cercare di capire quale fiore fosse stato usato come modello di quell'invenzione grafica, contava che fossero ben visibili i petali bianchi. "Proposi di adottare il mio simbolo, staccandoci dallo scudo tradizionale per non farci sempre bloccare alle elezioni; sulla mia proposta però non trovai l'accordo ed emersero dissidi anche su altre questioni politiche legate al partito, così io mi sono stancato e ho deciso di muovermi per conto mio".
L'8 agosto, quindi, Toscano e altre persone (Marco Montanari, Lara Altini, Paolo Gollini, Maria Ortalli e Antonio De Marco) hanno costituito un'associazione denominata Nuova Democrazia cristiana, allo scopo di "concorrere a realizzare, in ambito locale, gli ideali del popolarismo italiano ed europeo fondati sui principi e valori della civiltà cristiana", facendo propri "gli stessi obiettivi di don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi", confermandone "il carattere laico-etico-morale, in apertura alle istanze sociali, in spirito di servizio alla società civile". Toscano divenne presidente e legale rappresentante dell'associazione, Montanari ne fu il segretario; il 20 agosto è stata registrata presso l'agenzia delle entrate di Ferrara, con attribuzione di un proprio codice fiscale.
Se però alcuni "devoti" alla Democrazia cristiana non hanno la minima intenzione di demordere, altri hanno deposto le armi e hanno cercato soluzioni alternative, per non rischiare ogni volta di farsi respingere le liste qualora nemmeno la nuova soluzione grafica sia ritenuta adeguata (e alcune sentenze dei giudici amministrativi, in effetti, hanno precisato che chi viene invitato a sostituire il contrassegno per confondibilità o illegittimità ha una sola possibilità per sostituirlo correttamente; eventuali atteggiamenti più indulgenti delle singole commissioni elettorali, che pure si riscontrano, evidentemente sono ritenuti "non dovuti" in base alle norme vigenti). Tra coloro che, in un modo o nell'altro, hanno preso atto della situazione ci sono anche i democratici cristiani di Ferrara, guidati da Giuseppe Toscano. La sua vicenda è particolare e merita di essere raccontata in dettaglio.
Il simbolo ricusato nel 2018 |
A quel punto a Toscano venne in mente la Rosaspina, vale a dire un gruppo civico fondato da lui proprio a Ferrara alla fine degli anni '90, di matrice ex Dc anche se spesso schierato a fianco del centrodestra e in particolare di Forza Italia: il simbolo era costituito da "un biancofiore, con cinque petali bianchi e ovario bianco da cui spunta un ciuffo di pistilli arancioni; stelo verde con un ciuffo a sinistra di cinque foglie verdi e a destra due ciuffi verdi con cinque foglie in basso e quattro in alto, con quattro spine - due a sinistra e due a destra. Il tutto su scudo blu scuro schiarito al centro con il fiore che si poggia sul lato sinistro dello scudo stesso e con lo stelo che finisce in basso a destra". Fatto quel pensiero, per Toscano la scelta era semplice: bastava prendere il simbolo della Rosaspina, inserirlo in una circonferenza blu con fondo bianco e aggiungere il nome della Democrazia cristiana (con una struttura grafica simile a quella della Dc guidata da Angelo Sandri). Nella sua proposta grafica, dunque, lo scudo c'era ancora, ma era di colore azzurro sfumato, senza "Libertas" e senza croce; la sfumatura radiale, peraltro, poteva far leggere qualcosa che somigliava proprio a una croce (e l'effetto era un po' innocente, un po' no). Soprattutto, quello scudo sulla carta avrebbe potuto creare meno problemi perché era finito in secondo piano, dietro a un fiore bianco, anzi a un "bianco fiore, simbol d'amore": più che cercare di capire quale fiore fosse stato usato come modello di quell'invenzione grafica, contava che fossero ben visibili i petali bianchi. "Proposi di adottare il mio simbolo, staccandoci dallo scudo tradizionale per non farci sempre bloccare alle elezioni; sulla mia proposta però non trovai l'accordo ed emersero dissidi anche su altre questioni politiche legate al partito, così io mi sono stancato e ho deciso di muovermi per conto mio".
L'8 agosto, quindi, Toscano e altre persone (Marco Montanari, Lara Altini, Paolo Gollini, Maria Ortalli e Antonio De Marco) hanno costituito un'associazione denominata Nuova Democrazia cristiana, allo scopo di "concorrere a realizzare, in ambito locale, gli ideali del popolarismo italiano ed europeo fondati sui principi e valori della civiltà cristiana", facendo propri "gli stessi obiettivi di don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi", confermandone "il carattere laico-etico-morale, in apertura alle istanze sociali, in spirito di servizio alla società civile". Toscano divenne presidente e legale rappresentante dell'associazione, Montanari ne fu il segretario; il 20 agosto è stata registrata presso l'agenzia delle entrate di Ferrara, con attribuzione di un proprio codice fiscale.
L'art. 1 dello statuto dell'associazione qualificava la Nuova Dc di Toscano come "strumento politico ed elettorale, immediatamente operativo", ma in realtà la prima mossa elettorale era stata fatta ancora prima che l'associazione fosse costituita. Alla fine di luglio del 2018, quando alle elezioni comunali a Ferrara mancavano ancora dieci mesi, Toscano e Andrea Rossi annunciarono la presentazione di una lista della Nuova Democrazia cristiana in appoggio al candidato di centrodestra (in particolare della Lega) Alan Fabbri, annunciando un "progetto civico, aperto a tutti", con cui "ripartire da zero, con metodi nuovi e persone con esperienza diversa rispetto a quelle che ci sono state fino adesso". Il progetto elettorale, presentato da Toscano e da Andrea Rossi, non aveva la pretesa di rappresentare tutti i cattolici (lo dichiaravano gli stessi promotori), ma certamente si ispirava ai valori originari del partito, oltre che prenderne il nome. La spiegazione ufficiale della scelta del "bianco fiore", data da Toscano in conferenza stampa, parlò di un "simbolo della speranza, perché oggi tanti valori sono andati persi e uno di quelli è proprio la libertà che dobbiamo riconquistare. I partiti hanno anche perso il valore dell’etica e tenteremo di mandare a casa chi spadroneggia da 70 anni". Naturalmente, con quell'emblema, si sarebbero evitate potenziali grane legate all'uso dell'emblema democristiano: non era prevista la partecipazione dell'Udc alla competizione elettorale (quindi sulla carta poteva esserci qualche problema in meno), ma in ogni caso si era preferito non rischiare.
Il progetto, in effetti, non è stato portato a termine: già all'inizio di febbraio 2019 si è appreso che il gruppo della Nuova Dc non era stato nemmeno invitato ai primi incontri legati alla coalizione di centrodestra (che poi sarebbe risultata vittoriosa); oltre alle incomprensioni politiche,avrebbe pesato soprattutto la difficoltà nella raccolta delle firme, per un gruppo che non era strutturato sul territorio. Non è difficile immaginare la delusione di chi a Ferrara si proclama tuttora democratico cristiano, per quella che è apparsa come un'occasione persa: "Pensi che, una volta fatta la conferenza stampa di presentazione del simbolo, pur senza impegnarci in particolari attività politiche o di propaganda, un sondaggio ci dava intorno all'1,5%: se avessimo potuto partecipare davvero alla campagna elettorale con una nostra lista, chissà come sarebbe andata...". Impossibile dirlo, naturalmente; certo è che, vista la vittoria della coalizione, la Nuova Democrazia cristiana avrebbe potuto centrare l'ingresso in consiglio se la lista avesse ottenuto almeno il 3%.
Il simbolo, dunque, non è finito sulle schede (e la raccolta firme non andò bene nemmeno a Copparo, dove l'ex segretario della Dc si era fatto avanti per chiedere la possibilità di usare il simbolo per una lista e l'aveva ottenuta) ed è ritornato nei cassetti di chi lo aveva creato; eppure qualcuno lo aveva notato e ne era rimasto colpito, al punto da considerarlo seriamente come opzione per il futuro. A metà di agosto dello scorso anno, infatti, il bolognese Nino Luciani - che agisce qualificandosi come "presidente ad interim della Democrazia cristiana" dopo l'assemblea degli iscritti da lui presieduta il 12 ottobre 2019 a Roma e che aveva dichiarato nulli gli atti del XIX congresso svoltosi nel 2018 (anche se, come è noto, non tutti coloro che si ritengono soci concordano con questa impostazione) - aveva fatto notare che nelle liti giudiziarie e non il simbolo dello scudo crociato aveva avuto "la sua parte", tra chi ne rivendicava l'uso più o meno esclusivo e chi voleva invece impedirlo; stante quella situazione, forse era opportuno preparare un simbolo "di riserva" e poteva essere proprio quello che avrebbe dovuto correre alle comunali ferraresi nelle intenzioni dei suoi proponenti (anche se, nelle sue intenzioni, era privo della dicitura "Nuova"). Un mese dopo, sul suo profilo Facebook, Luciani ha ripetuto la sua proposta, sottolineando che "non si può morire per un simbolo" e che l'emblema adottato dagli "amici della città di Ferrara" è caro al popolo Dc".
Non è proprio casuale il fatto che Luciani conosca il simbolo preparato da Toscano: proprio l'esponente democratico cristiano ferrarese, infatti, risultava primo firmatario - assieme a quasi tutti coloro che avevano fondato in estate la Nuova Democrazia cristiana - della proposta di candidatura dello stesso Luciani a segretario della Dc in vista del XIX congresso che il 14 ottobre 2018 aveva però eletto alla segreteria Renato Grassi. Proprio l'assise congressuale che, nell'assemblea del 12 ottobre 2019 di cui si parlava, sarebbe stata dichiarata nulla. "Al di là del mio impegno degli ultimi anni nella Dc nazionale - precisa Toscano - il simbolo che ho legato alla mia associazione resta nella mia disponibilità: come presidente posso attribuirlo a chi voglio perché possa farne uso, così come reagirei se qualcuno si azzardasse a utilizzare il mio emblema senza il mio benestare".
Come si è visto spesso, non tutti tra i "diccì non pentiti" vogliono la stessa cosa: al di là di coloro che hanno accettato di militare in altri partiti nel tentativo di portare avanti le stesse idee di un tempo (e che per chi è rimasto fedele alla vecchia Dc sono né più né meno che degli approfittatori o dei traditori), alcuni non sono minimamente disposti a scendere a patti, perché se la Dc deve tornare, può farlo solo con il suo nome e simbolo originali (per non parlare di chi vorrebbe recuperare pure il patrimonio). Altre persone, invece, si accontenterebbero di rivedere in campo un soggetto politico di cattolici dai valori autenticamente democratici cristiani e dal seguito rilevante: l'ideale sarebbe che questo avesse il nome e il simbolo ma potrebbero rinunciare a quest'ultimo, se costituisse un problema insormontabile e facesse, per l'ennesima volta, bloccare l'intero progetto politico.
A queste persone, in effetti, il simbolo elaborato a Ferrara - magari privo dell'aggettivo "nuova" - potrebbe realmente interessare, anche perché lo scudo c'è ma, senza croce, non dovrebbe dare fastidio a nessuno e il "bianco fiore" fa parte del patrimonio politico-culturale dei democristiani, senza che nessuno possa rivendicare l'esclusiva. Certo, ciò che resta giuridicamente della Dc - vale a dire l'associazione Partito popolare italiano, che in realtà si chiama ancora Democrazia cristiana, avendo cambiato male il suo nome - potrà sempre opporsi all'uso della denominazione storica, ammesso naturalmente che ritenga conveniente e opportuno farlo. Se nessuno dovesse protestare, ci si potrebbe ritrovare insieme, nel nome dell'inno democristiano per eccellenza: e se è difficile immaginare l'arrivo della "gloria / della vittoria", vista la situazione non proprio semplice dei cattolici in politica, sarebbe già molto se il "bianco fiore / simbol d'amore" portasse "la pace / che sospira il cor". Visto che di pace, in area democristiana, ce n'è stata - e probabilmente ce ne sarà - assai poca.
Il progetto, in effetti, non è stato portato a termine: già all'inizio di febbraio 2019 si è appreso che il gruppo della Nuova Dc non era stato nemmeno invitato ai primi incontri legati alla coalizione di centrodestra (che poi sarebbe risultata vittoriosa); oltre alle incomprensioni politiche,avrebbe pesato soprattutto la difficoltà nella raccolta delle firme, per un gruppo che non era strutturato sul territorio. Non è difficile immaginare la delusione di chi a Ferrara si proclama tuttora democratico cristiano, per quella che è apparsa come un'occasione persa: "Pensi che, una volta fatta la conferenza stampa di presentazione del simbolo, pur senza impegnarci in particolari attività politiche o di propaganda, un sondaggio ci dava intorno all'1,5%: se avessimo potuto partecipare davvero alla campagna elettorale con una nostra lista, chissà come sarebbe andata...". Impossibile dirlo, naturalmente; certo è che, vista la vittoria della coalizione, la Nuova Democrazia cristiana avrebbe potuto centrare l'ingresso in consiglio se la lista avesse ottenuto almeno il 3%.
Il simbolo, dunque, non è finito sulle schede (e la raccolta firme non andò bene nemmeno a Copparo, dove l'ex segretario della Dc si era fatto avanti per chiedere la possibilità di usare il simbolo per una lista e l'aveva ottenuta) ed è ritornato nei cassetti di chi lo aveva creato; eppure qualcuno lo aveva notato e ne era rimasto colpito, al punto da considerarlo seriamente come opzione per il futuro. A metà di agosto dello scorso anno, infatti, il bolognese Nino Luciani - che agisce qualificandosi come "presidente ad interim della Democrazia cristiana" dopo l'assemblea degli iscritti da lui presieduta il 12 ottobre 2019 a Roma e che aveva dichiarato nulli gli atti del XIX congresso svoltosi nel 2018 (anche se, come è noto, non tutti coloro che si ritengono soci concordano con questa impostazione) - aveva fatto notare che nelle liti giudiziarie e non il simbolo dello scudo crociato aveva avuto "la sua parte", tra chi ne rivendicava l'uso più o meno esclusivo e chi voleva invece impedirlo; stante quella situazione, forse era opportuno preparare un simbolo "di riserva" e poteva essere proprio quello che avrebbe dovuto correre alle comunali ferraresi nelle intenzioni dei suoi proponenti (anche se, nelle sue intenzioni, era privo della dicitura "Nuova"). Un mese dopo, sul suo profilo Facebook, Luciani ha ripetuto la sua proposta, sottolineando che "non si può morire per un simbolo" e che l'emblema adottato dagli "amici della città di Ferrara" è caro al popolo Dc".
Non è proprio casuale il fatto che Luciani conosca il simbolo preparato da Toscano: proprio l'esponente democratico cristiano ferrarese, infatti, risultava primo firmatario - assieme a quasi tutti coloro che avevano fondato in estate la Nuova Democrazia cristiana - della proposta di candidatura dello stesso Luciani a segretario della Dc in vista del XIX congresso che il 14 ottobre 2018 aveva però eletto alla segreteria Renato Grassi. Proprio l'assise congressuale che, nell'assemblea del 12 ottobre 2019 di cui si parlava, sarebbe stata dichiarata nulla. "Al di là del mio impegno degli ultimi anni nella Dc nazionale - precisa Toscano - il simbolo che ho legato alla mia associazione resta nella mia disponibilità: come presidente posso attribuirlo a chi voglio perché possa farne uso, così come reagirei se qualcuno si azzardasse a utilizzare il mio emblema senza il mio benestare".
Come si è visto spesso, non tutti tra i "diccì non pentiti" vogliono la stessa cosa: al di là di coloro che hanno accettato di militare in altri partiti nel tentativo di portare avanti le stesse idee di un tempo (e che per chi è rimasto fedele alla vecchia Dc sono né più né meno che degli approfittatori o dei traditori), alcuni non sono minimamente disposti a scendere a patti, perché se la Dc deve tornare, può farlo solo con il suo nome e simbolo originali (per non parlare di chi vorrebbe recuperare pure il patrimonio). Altre persone, invece, si accontenterebbero di rivedere in campo un soggetto politico di cattolici dai valori autenticamente democratici cristiani e dal seguito rilevante: l'ideale sarebbe che questo avesse il nome e il simbolo ma potrebbero rinunciare a quest'ultimo, se costituisse un problema insormontabile e facesse, per l'ennesima volta, bloccare l'intero progetto politico.
A queste persone, in effetti, il simbolo elaborato a Ferrara - magari privo dell'aggettivo "nuova" - potrebbe realmente interessare, anche perché lo scudo c'è ma, senza croce, non dovrebbe dare fastidio a nessuno e il "bianco fiore" fa parte del patrimonio politico-culturale dei democristiani, senza che nessuno possa rivendicare l'esclusiva. Certo, ciò che resta giuridicamente della Dc - vale a dire l'associazione Partito popolare italiano, che in realtà si chiama ancora Democrazia cristiana, avendo cambiato male il suo nome - potrà sempre opporsi all'uso della denominazione storica, ammesso naturalmente che ritenga conveniente e opportuno farlo. Se nessuno dovesse protestare, ci si potrebbe ritrovare insieme, nel nome dell'inno democristiano per eccellenza: e se è difficile immaginare l'arrivo della "gloria / della vittoria", vista la situazione non proprio semplice dei cattolici in politica, sarebbe già molto se il "bianco fiore / simbol d'amore" portasse "la pace / che sospira il cor". Visto che di pace, in area democristiana, ce n'è stata - e probabilmente ce ne sarà - assai poca.
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