sabato 6 giugno 2020

Movimento politico dei lavoratori, il simbolo geometrico che visse una volta

Quanti sono stati i simboli che hanno "ballato una sola elezione" (doveroso omaggio ai libri di Alberto Tonti Ballarono una sola estate)? Difficile fare un conto, perché sarebbe tutt'altro che breve, con riferimento tanto all'oggi quanto al passato; eppure, se si considera che un numero rilevante di simboli alle schede non è mai arrivato (perché i partiti sono nati e morti prima delle elezioni, perché non hanno mai partecipato direttamente, perché hanno cambiato simbolo nel frattempo o per qualsiasi altra ragione), finirci una volta è già un successo, anche il risultato è stato così così.
In questa categoria si può far rientrare anche il Movimento politico dei lavoratori, fondato il 29 ottobre 1971, il cui leader riconosciuto era stato Livio Labor, già presidente delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Soltanto alle elezioni politiche del 1972 le schede ospitarono il simbolo del Mpl, una delle prime formazioni - tra quelli su scala nazionale - a non contenere elementi figurativi e a basarsi soltanto su elementi letterali e geometrici: una corona circolare contenente una punta di freccia ad angolo retto, rivolta verso sinistra e la sigla del partito, il tutto tinto di nero (ma su manifesti e pubblicazioni di solito era arancione, anche se non mancò la versione in blu). Oggettivamente il raccolto elettorale fu piuttosto scarso: alla Camera (al Senato la lista non si presentava) arrivarono in tutto 120.251 voti, pari allo 0,36%. Era davvero poco, se si considera che nemmeno il Partito socialista italiano di unità proletaria di Tullio Vecchietti, pur sfiorando il 2% a livello nazionale, riuscì a ottenere deputati perché in nessuna circoscrizione aveva ottenuto un risultato utile: non a caso, anche il Psiup si dissolse dopo quella scadenza elettorale, dopo la buona prestazione al voto politico del 1968. 
Non aveva invece alle spalle altre partecipazioni il Mpl, anche se il percorso era stato preparato con una certa attenzione. I primi passi erano stati compiuti nel 1969: già a febbraio Labor disse che avrebbe lasciato la guida delle Acli - che presiedeva dal 1961 - per iniziare una nuova stagione di impegno personale sperimentando "un'azione culturale e politica" per rispondere a nuove istanze che si stavano facendo strada. Per il presidente uscente Acli ciò non si sarebbe potuto fare nella Dc, ma ci sarebbe voluto un soggetto nuovo: sarebbe nato l'8 marzo 1969 con il nome di Associazione di cultura politica (Acpol), avendo come cofondatore Riccardo Lombardi. Sempre Labor - come si può ancora leggere nell'articolo dedicato al Mpl da Angelo Macchi nel 1971 su Aggiornamenti sociali - definì l'associazione come una sorta di "parcheggio per verificare [insieme con altre forze] la possibilità concreta di potenziare in Italia il movimento politico popolare", allo scopo di creare non un partito ma un movimento "laico, aperto, fondato sulla realtà della società civile e sulle forze reali del cambiamento che essa esprime": l'idea era di coinvolgere "una sinistra partitica, una sinistra sindacale e una sinistra sociale" (cioè, come scriveva Macchi, i socialisti lombardiani, il Psiup, la sinistra Dc di "Forze nuove", i lavoratori di Acli e Cisl - e anche la Uil - nonché vari gruppi del dissenso e della contestazione).
L'associazione operò fino al 5 luglio 1970, giorno in cui proprio Livio Labor decise lo scioglimento dell'Acpol perché questa non avrebbe impegnato nessuno sul piano politico nella ristrutturazione della sinistra (evidentemente chiedendo a chi partecipava alle attività dell'associazione di abbandonare gli eventuali gruppi d'appartenenza). Per il suo fondatore, era tempo di iniziare la fase costituente dell'MPL, per costruire una vera "alternativa socialista" (anche con il sostegno delle Acli, che nel frattempo avevano deciso di non essere più legate a doppio filo alla Dc ed erano comunque guidate da persone molto vicine a Labor). 
Il Mpl arrivò quindi all'appuntamento elettorale dopo un cammino di quasi due anni (anche se il movimento nacque pochi mesi prima del voto): nelle liste, oltre a Labor, c'erano Gennaro Acquaviva, Luigi Covatta, Luciano Benadusi, Giovanni Russo Spena, Gian Giacomo Migone, Nicola Cacace e persino Savino Pezzotta. Nessuno di loro, come detto, fu eletto e il voto politico del 1972 fu una sorta di "rompete le righe": la maggioranza degli aderenti al progetto politico - a partire da Labor, Acquaviva, Benadusi, Covatta e persino Marco Biagi - approdò nel Partito socialista italiano, preparando il profondo rinnovamento che sarebbe arrivato con la lunga segreteria di Bettino Craxi (compresa la pagina del nuovo Concordato con la Santa Sede, nella quale ebbe una parte fondamentale proprio Gennaro Acquaviva). Fecero una scelta diversa Russo Spena, Migone, Domenico Jervolino, Vittorio Bellavite e altri esponenti: vollero proseguire la loro esperienza attraverso la  decise lo stesso giorno di proseguire la propria attività politica come gruppo di Alternativa socialista che, nel giro di tre mesi, con il Nuovo Partito socialista italiano di unità proletaria fece nascere il Pdup (dal 1974 Pdup per il comunismo dopo l'arrivo del gruppo del manifesto). Entrambi i gruppi, insomma, finirono per adottare simboli con la falce e martello al loro interno: nessuna traccia di quell'emblema geometrico messo in campo una sola volta. Eppure qualcuno non l'ha dimenticato, pur non avendo vissuto quegli anni in prima persona.

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