martedì 23 giugno 2020

(Pen)ultime evoluzioni tra i democratici cristiani

Potenziale simbolo delle liste
della Federazione alle regionali
Come si era anticipato nelle scorse settimane, nella seconda metà di giugno le vicende legate all'area democratica cristiana avrebbero potuto compiere passi ulteriori. Il giorno 19, infatti, presso l'ufficio romano di Lorenzo Cesa, segretario dell'Udc, si è svolta una nuova riunione del direttivo della Federazione popolare dei democratici cristiani: all'incontro, oltre a Cesa, hanno partecipato Giuseppe Gargani (che sta curando il cammino della Federazione come presidente), Mario Tassone (per il suo Nuovo Cdu), Antonino Giannone (a capo del comitato scientifico della Fondazione Democrazia cristiana), Alberto Alessi (in rappresentanza della Democrazia cristiana guidata da Renato Grassi), mentre hanno partecipato in videoconferenza Ettore Bonalberti (dello stesso partito e dell'associazione Alef), Filiberto Palumbo (Nuova democrazia cristiana europea) e altre persone aderenti alla Federazione.
Stando a un comunicato emesso da Alberto Alessi e ribattuto sul sito della Dc-Grassi, Gargani ha innanzitutto affrontato alcuni aspetti organizzativi legati alla vita della Federazione: i soci, in particolare, avrebbero ribadito la loro volontà "di procedere in tempi brevi a chiudere la fase preparatoria per passare a quella operativa, attivando e coinvolgendo ancora di più strutture regionali". Ciò dovrebbe agevolare, sempre nell'opinione di Gargani, la costruzione di "un soggetto politico unico ed unitario che rappresenti, pur nelle loro diverse identità recenti e storiche, gli ideali e i valori sturziani, ancora oggi attuali". 
Vista la condivisione di questi obiettivi da parte dei partecipanti alla riunione, i giorni che restano di giugno e il mese di luglio dovrebbero essere dedicati a un maggior impegno nello strutturare la Federazione popolare a livello locale: trattandosi di una federazione, appunto, in questa fase nessun soggetto politico o associativo perderebbe la propria autonomia e identità, ma si cercherebbe soprattutto di coordinare gli sforzi operativi delle varie realtà a livello locale e nazionale. Entro luglio gli organi direttivi della Federazione popolare dovrebbero essere riconvocati, immaginando come passo organizzativo successivo la convocazione di "una grande Assemblea Generale a Roma", dalla quale possa in seguito nascere la costruzione effettiva del nuovo partito di cattolici: in effetti nei mesi scorsi si era deciso di continuare, almeno fino alla fine dell'anno, con l'assetto federativo (come alcuni continuano con energia a chiedere), in ogni caso si vedrà nelle prossime settimane come il direttivo della Federazione vorrà procedere. 

La questione del simbolo (e delle firme)

Più urgente ancora dell'organizzazione del partito, tuttavia, è la questione legata alle elezioni. Com'è noto, il 20 e 21 settembre - a meno di clamorose novità - è previsto che si tengano in contemporanea le elezioni suppletive, comunali e il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari; nelle intenzioni del governo, in quei giorni dovrebbero tenersi anche le elezioni nelle regioni che avrebbero dovuto rinnovare le loro amministrazioni in primavera (anche se qualcuna di esse, come la Campania, fino a pochi giorni fa sembrava ancora intenzionata a "forzare la mano" per anticipare la data). Poiché la Federazione intende partecipare con liste unitarie a queste regionali, ritenendo che possano essere una buona "vetrina" o comunque un momento di lancio per il progetto futuro, in queste settimane si è molto discusso su quale simbolo potesse essere più idoneo a rivolgersi agli elettori e, allo stesso tempo, potesse rendere più agevole la presentazione di liste (in particolare, come si vedrà, senza dover raccogliere le firme).
Traduzione grafica della
seconda opzione per il simbolo
Posto che il contrassegno elettorale dovrebbe contenere lo scudo crociato (apportato dall'Udc, dunque senza rischi di grane giuridiche), già nelle scorse settimane era emerso un certo interesse per un emblema che, oltre allo scudo in primo piano, contenesse un arco di stelle (per evocare l'Europa senza bisogno di mettere riferimenti al Ppe) e la dicitura "Unione dei Democratici Cristiani", magari con le iniziali marcate in rosso per rendere più evidente l'apporto dell'Udc; nell'incontro del 19 giugno anche Cesa avrebbe approvato questa grafica, suggerendo di inserire sopra lo scudo il riferimento alla singola regione in cui ci si presenta. In quell'occasione è emersa anche una seconda opzione - a quanto pare sostenuta soprattutto da Giuseppe Gargani - che avrebbe sempre lo scudo in evidenza, ma impiegherebbe come nome "Unione democratici cristiani e popolari" (in ossequio alla dicitura "Federazione popolare") e, sotto lo scudo, collocherebbe le sigle del Ppe e dell'Udc (un po' come avvenne con il contrassegno composito di Ncd e Udc alle europee del 2014).
La scelta di una delle due alternative (o, potenzialmente, di altre ancora che dovessero emergere) non è ovviamente una mera formalità, ma rappresenta una questione sostanziale sotto almeno un paio di aspetti. Il primo riguarda il nome da far comparire sulla scheda. Sul sito della Dc-Grassi è comparso un intervento del presidente del consiglio nazionale del partito, Renzo Gubert, il quale ha richiamato la necessità di consultare i soci della federazione quanto alla scelta del simbolo, illustrando loro vantaggi e svantaggi legati alle diverse opzioni disponibili e ha espresso perplessità sulla scelta di chi vuole a ogni costo "evocare accanto alla Democrazia Cristiana, che ha ispirato tutti [...] i partiti federati, anche il 'popolarismo', come se fosse una cosa diversa, non rappresentata dalla Democrazia Cristiana". A detta di Gubert, il popolarismo "evoca una dimensione di filosofia politica che è già parte integrante della Democrazia cristiana, mentre non evoca orientamenti di etica sociale, in particolare attinenti a tutela della vita umana, della famiglia, dell'educazione, tutta la questione antropologica, che invece l'identità democratica cristiana comprende in modo esplicito": per lui, dunque, la denominazione "Unione democratici cristiani e popolari" è "poco razionale" e sarebbe sbagliato utilizzarla "per presunti vantaggi di breve termine in qualche contesto locale o regionale" (Gubert non fa esempi concreti: si può forse pensare ai soggetti che negli ultimi anni hanno utilizzato il termine "popolare" o "popolari" - magari in Campania - e al desiderio di attrarre i loro voti o, comunque, di non lasciare loro il monopolio di quel concetto).
Il secondo aspetto delicato e non ancora definito riguarda la presenza nel contrassegno elettorale di un riferimento esplicito all'UdcSempre Gubert ha detto che, essendosi Cesa espresso a favore del simbolo con la dicitura "Unione dei Democratici Cristiani", non si capiscono le ragioni di chi preme per inserire nell'emblema un riferimento esplicito all'Udc (con la sua sigla o addirittura con la "pulce" in miniatura del suo simbolo), che è parte del progetto politico-elettorale ma è solo uno dei soggetti della federazione: l'idea, qui non esplicitata ma ben chiara in altri frangenti, è evitare agli altri gruppi federati la sensazione di essere "annessi" dall'Udc o, nella migliore delle ipotesi, di non risultare sullo stesso piano in termini di dignità, a dispetto dell'impostazione paritaria delle origini (cui le altre sigle sono molto affezionate). Chi vuole una maggiore visibilità dell'Udc lo fa per far risaltare il partito che mette a disposizione lo scudo crociato (il cui uso, in altre condizioni, sarebbe facilmente contestato), e per non rischiare di compromettere l'esenzione dalla raccolta firme per le elezioni regionali. Il punto va chiarito meglio: se la Federazione popolare volesse partecipare alle elezioni comunali, dovrebbe in ogni caso raccogliere le firme richieste dalla legge (sia pure, quest'anno, ridotte di due terzi rispetto al numero richiesto di norma, in seguito alla conversione in legge del "decreto elezioni"), non essendo più previste - dal 1993 - esenzioni per quella categoria di elezioni; per quanto riguarda, invece, le elezioni regionali, ognuna delle sette regioni al voto presenta una disciplina differente, ma quasi tutte sembrerebbero consentire all'Udc di presentare una propria lista senza bisogno di alcuna sottoscrizione, in virtù della sua presenza nelle aule parlamentari o dei rispettivi consigli regionali. Per qualcuno il concorso del partito di Cesa alla lista è già messo in luce dall'uso dello scudo crociato e delle iniziali U D C evidenziate nella dicitura e ciò basterebbe a ottenere l'esenzione; altri temono che gli uffici elettorali non si accontentino di questo per riconoscere l'esonero dalla raccolta firme, mentre non avrebbero da ridire se a indicare l'apporto dell'Udc fosse la sua sigla ben chiara o, addirittura, la miniatura del suo simbolo.  
La questione delle esenzioni merita uno sguardo più approfondito. In Liguria e in Campania una lista dell'Udc sarebbe esente a motivo della sua presenza in Parlamento (la sigla del partito è espressamente indicata nel gruppo costituito al Senato con Forza Italia); nelle Marche lo stesso risultato sarebbe garantito dalla presenza di un gruppo Udc in consiglio regionale e qualcosa di simile potrebbe aversi in Puglia, vista la presenza del gruppo legato alla lista Popolari (che, oltre al simbolo dell'Udc, portava quelli di Centro democratico e di Realtà Italia: è ovviamente opportuno sentire anche i altri componenti del gruppo, visto che la lista dovrebbe essere presentata dal legale rappresentante di questo, anche se la legge elettorale regionale sembra concedere a ogni consigliere la facoltà di esentare una lista dalla raccolta firme). L'Udc non sarebbe invece esonerata dalla raccolta delle sottoscrizioni in Toscana (per poter raccogliere solo un numero simbolico di firme è necessario un gruppo consiliare, che il partito non ha) e in Valle d'Aosta (non era nemmeno stata presentata una lista con quel simbolo; si potrebbe al massimo inserire la "pulce" di un gruppo politico esente), mentre non lo sarebbe immediatamente in Veneto, a meno che non ottenga l'esenzione da parte di uno dei gruppi consiliari esistenti o da una delle componenti del gruppo misto (gruppi e componenti esistenti da almeno un anno, infatti, per un'interpretazione "di manica larga" della legge elettorale veneta sembrano poter esentare dall'obbligo di raccogliere le firme, oltre che una loro lista, anche un'altra con cui dichiarino di collegarsi e anche se questa lista ha "denominazione e simbologia diversa da quella del gruppo consiliare o della componente politica di collegamento").
Nelle prossime settimane, in ogni caso, ci sarà tempo per capire quale strada simbolica sarà presa e chi vorrà davvero partecipare a quest'operazione politico-elettorale.

La via di Luciani verso un nuovo XIX congresso

Nel frattempo, ha continuato la sua attività in una direzione completamente diversa - e non ritenendo validi i provvedimenti di espulsione emessi dalla Dc-Grassi nei suoi confronti - Nino Luciani: egli si qualifica presidente pro tempore della Democrazia cristiana dopo che, in un'assemblea dei soci del 12 ottobre 2019 da lui materialmente convocata, si era in sostanza deciso di "revocare" gli atti del XIX congresso del 2018, ritenuti viziati. Già il 14 marzo si era aperta un'altra assemblea dei soci Dc, convocata da Luciani, per definire il percorso verso la ripetizione del congresso. Quella riunione si è chiusa, dopo altre sedute intermedie, il 18 giugno, alla presenza - diretta o per delega, comunque in videoconferenza - di una dozzina di soci.
In quella sede si è deciso soprattutto di provvedere a una ricognizione dei soci effettivi. Se si prendesse per buono l'elenco consegnato nel 2016 al Tribunale di Roma per ottenere la riconvocazione dei soci Dc (1742 persone) si dovrebbero spendere molti soldi per la spedizione degli avvisi personali di convocazione e per una sala adeguata per l'assise; se però si considera che nel 2017 molti avvisi erano stati restituiti al mittente e pochissime persone hanno effettivamente partecipato all'assemblea del febbraio 2017 e agli eventi successivi, per Luciani è opportuno compiere una nuova verifica delle adesioni, come in sostanza aveva richiesto Gianni Fontana in vista del precedente tentativo (demolito per sentenza) di celebrare il XIX congresso, nel 2012. La ricognizione, dunque, si farebbe chiedendo a ogni socio che voglia confermare la propria affiliazione di dichiararlo espressamente entro 30 giorni dalla delibera (allegando alla dichiarazione un proprio documento d'identità) e di versare 50 euro a titolo di quota sociale.
Una nuova assemblea è prevista (in seconda convocazione) il 2 luglio 2020 alle ore 11 e 30, questa volta in presenza, a Roma (Via Giolitti, 335): lì, oltre a valutare questioni pratiche, in particolare relative all'identificazione dei soci, sarà deciso l'ordine del giorno del XIX congresso che si vorrebbe ricelebrare e, verosimilmente, anche la data di questo. Altri aggiornamenti seguiranno non appena sarà possibile.

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