In questi giorni si sono rincorse e si rincorrono varie ipotesi simboliche legate alle elezioni europee, quasi sempre soltanto descritte e raramente tradotte in grafica (come nel caso delle liste di Siamo europei). Questo sito ha scelto di occuparsi solo di queste ultime, evitando quasi sempre di scrivere delle altre: in qualche caso - a partire dal simbolo condiviso Pd - Siamo europei - sarà sufficiente attendere qualche giorno per saperne di più e avere una grafica "ufficiale" da mostrare; in qualche altro caso, immaginare con troppo anticipo un emblema sarebbe stato inutile, vista la velocità con cui un progetto può invecchiare (lo dimostra bene il tramonto del tandem Verdi - Italia in Comune, con quest'ultima formazione che stamattina terrà una conferenza stampa con +Europa per presentare le loro liste, che probabilmente faranno invecchiare anche il possibile contrassegno di +Europa mostrato pochi giorni fa).
C'è però una riflessione, sollecitata da un articolo pubblicato oggi dalla Stampa, che merita di essere fatta e riguarda la Lega. A innescarla è un brevissimo passaggio del pezzo di Francesco Rigatelli, che lunedì ha seguito Matteo Salvini a Milano, alla presentazione del libro L'Italia che non c'è più di Mario Giordano. Parlando dei possibili scenari che potrebbero seguire alle elezioni europee (con la speranza che i sovranisti possano "determinare i nuovi equilibri del Parlamento e della Commissione"), il segretario leghista precisa che parteciperà al voto europeo del 26 maggio "col simbolo della Lega, mentre alle politiche si vedrà". Nove paroline, messe lì quasi per inciso, che però sono - come ha notato questa mattina anche Roberto Vicaretti, nella sua rassegna stampa di Rai News 24 - tutt'altro che un particolare trascurabile.
Già, perché "il simbolo della Lega", chiedendo a chiunque abbia un minimo di pratica politica, è solo uno e solo quello: Alberto da Giussano, o meglio la statua del guerriero di Legnano, identificato in quel personaggio immaginario. Insieme alla parola Lega, è l'unico elemento rimasto del partito delle origini, quello di Umberto Bossi e di Giuseppe Leoni, insomma quella Lega lombarda (anzi, Lega autonomista lombarda) fondata ufficialmente dalla notaia Franca Bellorini a Varese quasi 35 anni fa, il 12 aprile 1984. Gli altri inserti testuali o grafici che via via hanno fatto la loro comparsa all'interno del cerchio simbolico sono tutti spariti, in un lungo processo di sottrazione e sostituzione che sembrava essersi compiuto alla fine del 2017. "Autonomista" sul simbolo non c'è mai stato (tranne il riferimento alle Autonomie alle europee 2014); tra il 1989 e il 1992 il riferimento (anche grafico) alla Lombardia è stato soppiantato da quello al Nord, che ha resistito più di tutti, fino appunto alla fine del 2017; nel frattempo, era comparso il Sole delle Alpi, sfrattato dal simbolo assieme al Nord, mentre nella parte bassa del contrassegno si sono avvicendate la Libertà (1999), la Padania (2001), il Movimento per l'autonomia di Lombardo (2006), il cognome di Bossi (2008), quello di Maroni (2013, dopo un breve ritorno della Padania), "Basta €uro" (2014) e il cognome, in apparenza inamovibile, di Salvini (2015).
Tutto questo, insomma, è passato, Alberto da Giussano no. Sembrava, come si è scritto un anno fa, assolutamente vietato mandarlo in pensione: lo aveva dimostrato, in qualche modo, anche la vicenda di Noi con Salvini (simbolo ben concepito e pensato per il Sud, ma che di fatto non aveva sfondato), come pure quella della Lega dei popoli, mai davvero venuta ad esistenza. Il guerriero di Legnano, invece, era sempre lì, con il suo scudo e la sua spada sguainata, pronto alla pugna e non (più) solo per il Nord: gli ultimi appuntamenti elettorali hanno dimostrato che, grazie soprattutto all'opera salviniana (che di fatto nel contrassegno elettorale delle ultime politiche, ufficialmente presentato dalla Lega Nord, ha inserito due partiti in uno, cioè la Lega-non-più-Nord e la Lega per Salvini Premier), Alberto da Giussano sembra riuscito nell'operazione non facile e per nulla scontata di incarnare un partito nazionale e sovranista da Bolzano in giù, senza troppe distinzioni.
Non si può ovviamente sminuire nemmeno di un grammo il peso del Fenomeno Salvini, citando così il titolo del libro curato da Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco, uscito da pochi giorni per i tipi di Castelvecchi (e che comprende, tra l'altro, vari riferimenti simbolici e un'interessante intervista a Luca Morisi, spin doctor dello stesso Matteo Salvini e, di fatto, regista della comunicazione leghista). Eppure qualche merito andrà pure riconosciuto ad Alberto da Giussano, l'emblema con maggior storia tra quelli presenti in questo Parlamento (fatta eccezione, ovviamente, per la stella alpina della Svp e per ciò che resta della fiamma tricolore alla base di Fratelli d'Italia). Dire che ora si va alle europee col simbolo della Lega, "mentre alle politiche si vedrà" (e si vedrà anche quando saranno...), non è affatto cosa da poco. La frase, ovviamente, è sibillina il giusto: potrebbe significare che l'emblema leghista non correrà da solo, ma in un contrassegno composito da condividere - ad esempio - con Fratelli d'Italia, così come si potrebbe mettere mano al nome senza toccare la grafica. Ma potrebbe anche essere che davvero qualcuno stia pensando di cambiare tutto - tranne ovviamente il nome (oltre che i muscoli) del Capitano - anche a prescindere dalla vicenda giudiziaria e patrimoniale che ha occupato le cronache nei mesi scorsi. Se fosse così, anche Alberto da Giussano potrebbe prepararsi a fare le valigie, andando in pensione dopo oltre 35 anni (e qui "quota 100" non c'entra nulla). Non c'è ancora alcun elemento per dirlo, ma la pulce nell'orecchio è stata messa: aspettiamo le prossime mosse, certi che lo staff salviniano saprà sorprenderci ancora, in un modo o nell'altro.
C'è però una riflessione, sollecitata da un articolo pubblicato oggi dalla Stampa, che merita di essere fatta e riguarda la Lega. A innescarla è un brevissimo passaggio del pezzo di Francesco Rigatelli, che lunedì ha seguito Matteo Salvini a Milano, alla presentazione del libro L'Italia che non c'è più di Mario Giordano. Parlando dei possibili scenari che potrebbero seguire alle elezioni europee (con la speranza che i sovranisti possano "determinare i nuovi equilibri del Parlamento e della Commissione"), il segretario leghista precisa che parteciperà al voto europeo del 26 maggio "col simbolo della Lega, mentre alle politiche si vedrà". Nove paroline, messe lì quasi per inciso, che però sono - come ha notato questa mattina anche Roberto Vicaretti, nella sua rassegna stampa di Rai News 24 - tutt'altro che un particolare trascurabile.
Già, perché "il simbolo della Lega", chiedendo a chiunque abbia un minimo di pratica politica, è solo uno e solo quello: Alberto da Giussano, o meglio la statua del guerriero di Legnano, identificato in quel personaggio immaginario. Insieme alla parola Lega, è l'unico elemento rimasto del partito delle origini, quello di Umberto Bossi e di Giuseppe Leoni, insomma quella Lega lombarda (anzi, Lega autonomista lombarda) fondata ufficialmente dalla notaia Franca Bellorini a Varese quasi 35 anni fa, il 12 aprile 1984. Gli altri inserti testuali o grafici che via via hanno fatto la loro comparsa all'interno del cerchio simbolico sono tutti spariti, in un lungo processo di sottrazione e sostituzione che sembrava essersi compiuto alla fine del 2017. "Autonomista" sul simbolo non c'è mai stato (tranne il riferimento alle Autonomie alle europee 2014); tra il 1989 e il 1992 il riferimento (anche grafico) alla Lombardia è stato soppiantato da quello al Nord, che ha resistito più di tutti, fino appunto alla fine del 2017; nel frattempo, era comparso il Sole delle Alpi, sfrattato dal simbolo assieme al Nord, mentre nella parte bassa del contrassegno si sono avvicendate la Libertà (1999), la Padania (2001), il Movimento per l'autonomia di Lombardo (2006), il cognome di Bossi (2008), quello di Maroni (2013, dopo un breve ritorno della Padania), "Basta €uro" (2014) e il cognome, in apparenza inamovibile, di Salvini (2015).
Tutto questo, insomma, è passato, Alberto da Giussano no. Sembrava, come si è scritto un anno fa, assolutamente vietato mandarlo in pensione: lo aveva dimostrato, in qualche modo, anche la vicenda di Noi con Salvini (simbolo ben concepito e pensato per il Sud, ma che di fatto non aveva sfondato), come pure quella della Lega dei popoli, mai davvero venuta ad esistenza. Il guerriero di Legnano, invece, era sempre lì, con il suo scudo e la sua spada sguainata, pronto alla pugna e non (più) solo per il Nord: gli ultimi appuntamenti elettorali hanno dimostrato che, grazie soprattutto all'opera salviniana (che di fatto nel contrassegno elettorale delle ultime politiche, ufficialmente presentato dalla Lega Nord, ha inserito due partiti in uno, cioè la Lega-non-più-Nord e la Lega per Salvini Premier), Alberto da Giussano sembra riuscito nell'operazione non facile e per nulla scontata di incarnare un partito nazionale e sovranista da Bolzano in giù, senza troppe distinzioni.
Non si può ovviamente sminuire nemmeno di un grammo il peso del Fenomeno Salvini, citando così il titolo del libro curato da Giovanni Diamanti e Lorenzo Pregliasco, uscito da pochi giorni per i tipi di Castelvecchi (e che comprende, tra l'altro, vari riferimenti simbolici e un'interessante intervista a Luca Morisi, spin doctor dello stesso Matteo Salvini e, di fatto, regista della comunicazione leghista). Eppure qualche merito andrà pure riconosciuto ad Alberto da Giussano, l'emblema con maggior storia tra quelli presenti in questo Parlamento (fatta eccezione, ovviamente, per la stella alpina della Svp e per ciò che resta della fiamma tricolore alla base di Fratelli d'Italia). Dire che ora si va alle europee col simbolo della Lega, "mentre alle politiche si vedrà" (e si vedrà anche quando saranno...), non è affatto cosa da poco. La frase, ovviamente, è sibillina il giusto: potrebbe significare che l'emblema leghista non correrà da solo, ma in un contrassegno composito da condividere - ad esempio - con Fratelli d'Italia, così come si potrebbe mettere mano al nome senza toccare la grafica. Ma potrebbe anche essere che davvero qualcuno stia pensando di cambiare tutto - tranne ovviamente il nome (oltre che i muscoli) del Capitano - anche a prescindere dalla vicenda giudiziaria e patrimoniale che ha occupato le cronache nei mesi scorsi. Se fosse così, anche Alberto da Giussano potrebbe prepararsi a fare le valigie, andando in pensione dopo oltre 35 anni (e qui "quota 100" non c'entra nulla). Non c'è ancora alcun elemento per dirlo, ma la pulce nell'orecchio è stata messa: aspettiamo le prossime mosse, certi che lo staff salviniano saprà sorprenderci ancora, in un modo o nell'altro.
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