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venerdì 26 marzo 2021

Ancora Italia, un Dante tricolore per Vox Italia (dopo la scissione)

Se poche ore fa si è parlato delle pagine quasi dimenticate del Partito democratico di Romeo Piacenti che, nei primi anni di attività, schierava come proprio simbolo, il profilo di Dante Alighieri. Nell'anno in cui ricorrono i settecento anni dalla morte del poeta, però, era già stato lanciato nelle scorse settimane un altro progetto politico: per qualcuno è una novità, per altri l'evoluzione di qualcosa che già c'era, per altri ancora è frutto di una scissione - o, se si preferisce, di una separazione consensuale - appunto relativa a un progetto già esistente. La novità è rappresentata da Ancora Italia, soggetto politico che si pone come "maturazione" di Vox Italia, di cui ci si è già occupati in passato.
A dare notizia che qualcosa all'interno di quel soggetto politico era stato proprio Diego Fusaro, saggista, studioso di filosofia, già noto come "ideologo" di Vox Italia (anche se lui ha sempre tenuto a impiegare la denominazione "Vox Italiae") pur restando esterno al partito ("l'avevo chiarito fin dall'inizio con i fondatori, quando sono venuti a incontrarmi nel 2019: chi si dice insoddisfatto o deluso per il mio mancato ingresso diretto nell'agone politico, magari anche come candidato, si è erroneamente illuso perché io sono stato coerente"). In un filmato diffuso su YouTube il 23 febbraio Fusaro dava notizia di un'assemblea che si sarebbe (e si è effettivamente) svolta il 27 febbraio a Roma (alla presenza dei dirigenti del partito e con i militanti connessi a distanza): "è il segno che si sta crescendo, che si comincia a maturare, a prendere il mare aperto dopo un anno e mezzo di lavoro con zelo nel porto". 
Il primo simbolo di Vox
In questi mesi si sono aperti vari circoli di Vox Italia in gran parte del paese, raggiungendo - lo ha detto sempre Fusaro - i 3mila iscritti "pur avendo costantemente contro il circo mediatico e il clero giornalistico"; l'assemblea doveva servire appunto a fare ulteriori passi avanti, tra l'altro verso un congresso (magari da svolgere in primavera) che avrebbe dovuto rinnovare l'ufficio di presidenza. Quell'assemblea, però, serviva anche e soprattutto per presentare il nuovo nome e il nuovo simbolo del soggetto che fino a quel momento si è chiamato Vox Italia. 
Pur mantenendo ferma l'identità politica e soprattutto la personalità giuridica - cosa su cui Fusaro ha insistito molto, richiamando la delibera firmata pochi giorni prima dai tre membri (uscenti) dell'ufficio di presidenza (il segretario Giuseppe Sottile, il tesoriere Marco Pipino e il presidente Francesco Toscano, fondatori del partito) - la denominazione, com'è detto, sarebbe diventata Ancora Italia, mentre il simbolo, oltre a riportare il nome in grande evidenza il nuovo nome (e, al di sotto, in un segmento blu, la dicitura "per la Sovranità democratica"), avrebbe incluso "la figura stilizzata di Dante Alighieri con i tre colori della bandiera italiana", come si legge nello statuto che sarà approvato nell'assemblea del 2-3 aprile convocata anche per l'approvazione dei documenti economico-finanziari del partito. Proprio nel #Dantedì di ieri, sulla pagina Facebook di Ancora Italia si è illustrata la scelta del simbolo: "Oggi è la giornata dedicata a Dante Alighieri. Noi di "Ancora Italia" abbiamo scelto di consacrare a lui, con devozione e rispetto, il nostro simbolo. Siamo infatti convinti che solo dalla grande cultura italiana, di cui Dante è somma espressione, si possano creare davvero le condizioni per una rinascenza della Patria. Il sommo poeta ci ha magnificamente ricordato che non siamo stati creati per vivere come bruti, come cioè il neoliberismo vorrebbe che vivessimo: siamo, invece, stati creati per seguire la virtù e la conoscenza, cioè per diventare esseri umani in senso pieno, creando una società all'altezza di questo fondamentale compito".
Cos'ha portato a quei cambiamenti? "Il nome 'Vox Italia' - ha detto sempre Fusaro - era sicuramente suggestivo e seducente, ma al tempo stesso problematico: in Spagna c'è un altro movimento politico che ha scelto di chiamarsi Vox ed è sideralmente distante dalla visione del mondo che difendiamo, un partito che si iscrive nell'ordine della destra liberista e che poco o nulla ha a che vedere con la nostra concezione saldamente democratica e socialista. Ci è parso dunque di grande importanza mutare il nome: quando si cresce occorre fare chiarezza, fare un salto di qualità, trovando un nome che non ci ponga in ogni volta in condizione di debolezza e ci costringa a spiegare chi siamo e chi non siamo". 
Al di là di questo, è stato lo stesso Fusaro a richiamare due ragioni per il cambio di nome (ma non di rotta): un dissidio all'interno dell'ufficio di presidenza e, soprattutto, differenze di visione maturate nel corso del tempo e del processo di maturazione. Avrebbero dunque preso forma, abbastanza presto in realtà, due diverse prospettive  "ugualmente legittime e degne", legate anche al fatto che il progetto sarebbe cresciuto "troppo in fretta". Ha scomodato Hegel e la sua Fenomenologia dello spirito per spiegare cosa fosse accaduto in Vox: "Un partito si rivela dunque vincitore solo perché si scinde a sua volta in due partiti: così infatti esso mostra di possedere in se stesso il principio che prima combatteva e di avere quindi rimosso l'unilateralità che lo caratterizzava all'inizio". Il primo "partito" è stato definito da Fusaro "elettorale" ed è quello che vorrebbe massimizzare sul piano elettorale gli sforzi nell'immediato, credendo che la situazione di emergenza che si vive non conceda tempo per le lungaggini culturali e organizzative, essendo necessario solo tradurli in piazze mobilitate e partecipazione elettorale "con tutti coloro i quali hanno una visione grossomodo simile a quella di Vox, anche a costo di perdere parte dell'identità pur di portare a casa il risultato della sovranità monetaria". Il secondo partito - quello cui lo stesso Fusaro si sente più vicino - è invece quello "culturale", che ritiene indispensabile un'organizzazione spirituale e culturale: essa richiede un lavoro paziente, un progetto "che senza fretta si sviluppi molecolarmente nel tempo e cresca egemonizzando uno spazio politico e dialogando con le forze politiche "di area", che ritengono imprescindibile la sovranità nazionale per la democrazia e per i diritti sociali".
Il conflitto tra le due correnti ha portato a separare le proprie strade: chi ha scelto la strada dell'impegno innanzitutto culturale, a partire da Fusaro ("Senza una teoria rivoluzionaria difficilmente si può avere un partito rivoluzionario") e dal presidente Francesco Toscano, ha conservato la continuità giuridica del partito (e il codice fiscale) ma ha scelto un nome e un simbolo diversi, meno "problematici" e più consoni al meglio precisato corso, quello del "Pensare altrimenti". Chi invece ha preferito concentrarsi sulla via elettorale e di un "agire altrimenti" ha mantenuto - evidentemente in base a un accordo tra i fondatori, rendendo possibile ciò che non potrebbe mai accadere secondo le norme civilistiche - il nome Vox Italia, gli account dei social network e anche il vecchio simbolo, sia pure leggermente aggiornato (al di sotto è comparsa la dicitura "Costituzione e futuro"), pur avendo formalmente la necessità di costituire un soggetto giuridico nuovo e autonomo. Si tratterebbe, come comunicato da esponenti di quella linea, di "oltre i due terzi dei dirigenti nazionali e regionali e due dei tre soci fondatori", cioè Giuseppe Sottile e Marco Pipino; tra gli altri nomi rilevano - per chi frequenta questo sito - soprattutto quelli di Marco Mori, già leader di Riscossa Italia, Orlando Iannotti, tra i riferimenti dei Forconi, e Sabrina Banzato, già candidata alla presidenza della Regione Marche per Vox. Per la separazione occorrerà attendere l'assemblea del 2-3 aprile di Vox Italia, che muterà il nome in Ancora Italia e approverà il nuovo statuto e i rendiconti; a quel punto potrà costituirsi una nuova associazione, con nuovo statuto ma mantenendo nome, simbolo e programma. 
"L'emergenza di questo paese - si legge in un post sulla pagina Facebook di Vox Italia - ci impone di agire pacificamente ma con urgenza ed immediatezza nella costruzione del fronte unico più grande per l'uscita dall'Euro e dall'Unione Europea, che è anche il primo punto del programma di Vox Italia. In una parola l'emergenza di questo paese ci impone azioni coerenti con i nostri obiettivi. Ogni altra forma del dissenso del pensiero che non si traduca in azione, oggi risulta oramai sterile, fine a sé stessa, fuori tempo massimo, se non la forma più raffinata di gate-keeping". Un altro post, di inizio marzo, chiarisce ancora meglio la questione: "Secondo un antico procedimento per separare il grano dalla paglia, dopo la battitura, bisognava attendere che l’aria si muovesse. Allora il contadino lanciava in aria le spighe e il vento separava il grano, facendo volare via la paglia. É quello che é avvenuto in Vox Italia. Abbiamo separato il grano dalla paglia. In un momento così buio abbiamo bisogno di valorosi, di operai, di uomini liberi, generosi e altruisti".
Le due linee emerse, peraltro, si traducono anche nella scelta di guardare a forze politiche diverse: se il soggetto nascente che manterrà il nome Vox Italia, "in nome di ciò che 'accomuna' tutte le componenti della stessa 'galassia', ovvero la sovranità politica, monetaria e costituzionale", ritiene "imprescindibile l'unione di tutte le nascenti forze sovraniste presenti sul campo, a partire da quelle (come ItalExit di Gianluigi Paragone) che abbiano concrete probabilità di uscire dall'irrilevanza e svolgere un ruolo parlamentare effettivo"; si è già detto invece della propensione per le forze propugnatrici di una "sovranità democratica e socialista" della linea "culturale" che si chiamerà Ancora Italia.
Le prossime settimane serviranno a capire come evolverà questa "distinzione" e se ci saranno altri aggiustamenti simbolici; per il momento si registra il ritorno di Dante in politica (dopo il Pd "piacentiano"). Con la certezza che l'Italia che il rinnovato soggetto politico auspica è ben lontana dal laio "Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di provincie, ma bordello!" tratto dal VI canto del Purgatorio della Commedia. E forse, ironia della sorte, nessuna delle due anime che si trovavano in Vox Italia vuole quell'esito; su come evitare di arrivarci, però, la pensano diversamente.

giovedì 25 marzo 2021

Quando Dante divenne il simbolo del Partito democratico (di Piacenti)

Come da copione, il "Dantedì" è riuscito ancora una volta ad attirare l'attenzione - almeno per qualche manciata di ore - sulla figura di Dante Alighieri, tanto più nell'anno in cui si ricordano i sette secoli trascorsi dalla morte del poeta. Eppure, al di là delle rime, delle strofe, di fieri pasti, virtute-e-canoscenza e riveder-le-stelle, a qualche appartenente alla categoria del #drogatidipolitica è riaffiorata inesorabile una domanda. E non riguarda tanto la carriera politica di "Durante di Alighiero degli Alighieri, detto Dante" (come forse oggi lo si dovrebbe indicare sui manifesti e sui documenti delle candidature), quanto una sua apparizione poco nota nella politica italiana del Novecento: ma quella volta in cui Dante si è fatto votare in Emilia-Romagna?. Già, perché per almeno due volte, alle elezioni politiche, gli elettori emiliano-romagnoli sulle schede trovarono il profilo del "Sommo Poeta", con tanto di cappuccio e serto d'alloro.
Quel simbolo fece la sua prima comparsa ufficiale nel 1976, alle elezioni politiche: nella sola circoscrizione Emilia-Romagna al Senato, unicamente nella circoscrizione Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì alla Camera. Si trattava, probabilmente, degli unici territori in cui l'ideatore di quel progetto politico, Romeo Piacenti - nato a Gaggio Montano, in provincia di Bologna, il 30 settembre 1923 - era riuscito a raccogliere le firme necessarie per partecipare alla consultazione elettorale. Alla Camera arrivarono 2797 voti (lo 0,12% nella circoscrizione, lo 0,01% a livello nazionale), mentre al Senato di schede votate per Dante se ne raccolsero 3074 (grazie alla presenza in tutta la regione, così da colmare anche gli eventuali voti dei minori di 25 anni venuti meno: a livello regionale e nazionale le percentuali erano esattamente le stesse, 0,12% e 0,01%). Le persone candidate erano sempre le stesse: Piacenti, Romano Fabbri (nato a Porretta Terme il 28 ottobre 1937), Maria Bastoni, Giuseppe Dolfin, Alfredo Genazzano, Bianca Pasqualini Mariotti e Giuliano Lapillo era la squadra su cui Dante poteva contare per la sua prima avventura elettorale.
Non è dato sapere per quale motivo Piacenti avesse scelto il profilo di Dante (forse per la sua capacità di rappresentare l'Italia e per la tendenza a considerarlo un "moderato", per aver parteggiato per i guelfi bianchi), anche se nel 1983, quando il simbolo venne depositato al Viminale in occasione delle elezioni politiche, la redazione romana della Stampa scrisse che "il simbolo, non si capisce bene, forse è Dante o forse è Petrarca" (tradizionalmente incoronato d'alloro sopra il cappuccio proprio come Alighieri); già, perché nei corridoi del Ministero dell'interno il simbolo "dantesco" sarebbe apparso per lungo tempo. Anzi, a dire il vero per la prima volta era comparso nel 1972, esattamente identico a quello che sarebbe finito sulle schede quattro anni dopo. Profilo di Dante piuttosto severo, il nome molto piccolo al di sotto e, di fianco, le iniziali P e D puntate e rese in modo decisamente geometrico.
Nel 1979 Piacenti ritentò con il suo progetto elettorale, sperando di avere qualche chance in più per spiegarlo e farlo conoscere: per l'occasione fece qualche ritocco al simbolo, lasciando quasi intatto il profilo di Dante (ma schiarendo in modo piuttosto artigianale il collo della tunica), rendendo più visibile il nome della lista (spostandolo in alto e disponendolo ad arco) e portando le lettere della sigla sotto al volto di Dante (stavolta rimpicciolendole e rendendole più regolari, meno "artigianali"). Mise in campo lo stesso sforzo umano del 1976, raccogliendo le firme nelle medesime circoscrizioni e addirittura candidando le stesse persone, senza nessun cambiamento. Nella stessa circoscrizione della Camera in cui si era presentato tre anni prima arrivarono 3108 voti, pari allo 0,19%: un po' meglio del 1976, ma insufficienti per schiodarsi dalla posizione di lista meno votata (e dallo 0,01% a livello nazionale). Anche al Senato i voti aumentarono, diventando 3748, pari allo 0,15%, ma i simboli del Partito democratico rimasero i meno votati nella circoscrizione emiliano-romagnola. 
Nel frattempo si era cominciato a votare anche per il consiglio regionale: se nel 1970 e nel 1975 Piacenti non aveva partecipato, nel 1980 era ben deciso a farlo. Anche in quell'anno, ovviamente, c'era il problema delle firme, ma era anche spuntata una soluzione: da tempo, infatti, Roberto Gremmo e Roberto Bernardelli erano riusciti a stabilire buoni rapporti con l'associazione Lista per Trieste (nota come "lista del Melone") guidata da Manlio Cecovini e questa, dopo l'elezione alla camera di Aurelia Gruber Benco nel 1979, era in grado di presentare liste senza raccogliere firme e di estendere il beneficio alle formazioni che avessero presentato candidature insieme a questa. In quel 1980, dunque, i triestini si dichiararono disposti a esentare dalle sottoscrizioni liste autonomiste (come quelle di Gremmo) e pure altri progetti di respiro soprattutto locale. Quello di Piacenti era proprio tra questi: in quelle condizioni, avrebbe provato a presentarsi in tutta l'Emilia-Romagna e anche un po' più in là: persino alle elezioni in Toscana, nella sola circoscrizione di Pistoia, il simbolo finì sulle schede. Si trattava di una versione ancora diversa rispetto all'anno precedente: gli elettori videro una "bicicletta", con la "ruota destra" triestina e quella sinistra con il volto di Dante, circondato dalle espressioni "Democrazia diretta", "Autonomia" ed "Ecologia". Niente "Partito democratico" stavolta, chissà perché; in tutta la regione arrivarono 2396 voti, pari allo 0,08%; a Pistoia, per il suo sbarco, il simbolo ottenne 221 voti (0,12% a livello circoscrizionale, il solito 0,01% a livello regionale).
Il rapporto stretto con il "melone" non terminò con quell'esperienza: nel 1983 Piacenti si ritrovò candidato direttamente per la Lista per Trieste con Fabbri e altri, sotto un simbolo che non corrispondeva proprio all'orizzonte spaziale del fondatore di quel Partito democratico. Erano stati depositati comunque il simbolo del 1979 e quello con il nome più complesso intravisto alle regionali, ma probabilmente allora Piacenti preferì non impegnarsi nella raccolta firme. Quella volta, in compenso, nella solita circoscrizione Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì alla Camera la Lista per Trieste ottenne solo 1200 voti, meno della metà di quanto ottenuto nel 1979 (al Senato i voti furono ancora meno e non andò meglio nella circoscrizione delle Marche), segno che la lista era assai meno riconoscibile da quelle parti rispetto al volto di Dante.
Alle elezioni europee del 1984 Piacenti depositò comunque l'emblema del 1979, pur senza impegnarsi a farlo finire sulle schede. Fu però l'ultima volta, perché dal 1987 il Partito democratico made in Bononia conobbe una prima rivoluzione grafica: l'immagine di Dante Alighieri fu sostituita con un enorme quadrifoglio e, all'occorrenza, alla denominazione ufficiale fu affiancato un riferimento ai "pensionati" (con la minuscola perché non si trattava ancora del futuro Partito pensionati). In ogni caso, Piacenti venne candidato proprio nelle liste della Liga Veneta - Pensionati uniti, stavolta nella circoscrizione Parma-Modena-Piacenza-Reggio Emilia, prendendo 40 voti.
A dire il vero, la svolta era già stata anticipata nel 1985, quando alle regionali Piacenti aveva presentato varie liste del Partito democratico in diverse regioni, stavolta utilizzando l'esenzione dell'Union Valdôtaine - non si sa come, vista la scarsa propensione del partito, dopo la morte di Bruno Salvadori, a collaborare con altri progetti politici - per presentare una sorta di cartello elettorale autoprodotto. Il quadrifoglio era lo stesso che si sarebbe visto in seguito e, oltre a contenere la "pulce" dell'Uv, c'era anche la sigla del "P.D." ultima maniera; le altre due "foglie" erano occupate da due misteriosi simboli della galassia "piacentiana". Né il nome ufficiale delle liste aiuta a capire meglio: Union Valdôtaine-Partito Democratico-Upap-Ecologia (Upap potrebbe essere la sigla di Unione pensionati - Alleanza pensionati, ma non c'è da esserne certi). In Emilia-Romagna, peraltro, peggio del Partito democratico (4815 voti, 0,16%) fece il Partito nazionale pensionati, con meno della metà dei consensi. 
Piacenti sarebbe ritornato alla sua precedente circoscrizione (più romagnola che emiliana) nel 1992, candidato questa volta - e di nuovo con Fabbri - nella sua lista Movimento europeo automobilisti, dal simbolo decisamente artigianale (così com'era artigianale la variante presentata per il solo Senato, ma non utilizzata, che al posto dell'automobile inseriva addirittura il cavallino rampante passato da Francesco Baracca alla Ferrari); nella circoscrizione arrivarono 2107 voti (0,12%). Nelle bacheche del Viminale finì comunque anche il simbolo del Partito democratico - Pensionati con il quadrifoglio, benché non sia stato usato nemmeno in quell'occasione (avendo corso dunque solo alle regionali del 1985). Nel frattempo, Piacenti aveva lavorato a un progetto di Superlega, a una divisione dell'Italia in tre dipartimenti (già teorizzata nel 1987 e arrivata ben prima del pensiero di Gianfranco Miglio) e a una marea di altre aggregazioni politiche e sociali, che meriterebbero più spazio altrove.
Tempo due anni e Romeo Piacenti cambiò di nuovo orizzonte grafico alla sua creatura: nel 1994 convertì anche il Partito democratico al colore, rimpicciolendo di molto il quadrifoglio (ora verde su fondo giallo) e aggiungendo l'immagine di un asinello scalciante nella parte inferiore del simbolo, guardando ovviamente alla politica statunitense. Con quell'emblema Piacenti si candidò alle elezioni politiche (indimenticabile una sua partecipazione all'appello al voto di Tribuna elettorale sulla Rai - ancora rintracciabile su Radio Radicale - in cui comunicava di "aver impartito ai vicepresidenti nazionali del mio partito, residenti negli Stati Uniti d'America, di attivare quanto necessario per informare personalmente il presidente degli Stati Uniti d'America Bill Clinton e il presidente delle Nazioni Unite sulle discriminazioni elettorali attuata contro il Partito democratico") e, nella circoscrizione Emilia-Romagna alla Camera, ottenne 7675 voti (0,25%), ma al Senato i voti lievitarono a 37533 (1,41%).
Quella, a quanto consta, fu l'ultima partecipazione elettorale diretta di Piacenti, che però non smise di frequentare il Viminale anche solo per il deposito dei simboli. Tanto per dire, la prese male - anzi, malissimo - quando nel 1999 alle europee Romano Prodi e Arturo Parisi misero in piedi il progetto dei Democratici, utilizzando proprio l'asinello (sia pure nel disegno differente di Francesco Cardinali): per l'occasione depositò di nuovo il simbolo, ma rimpicciolendo il quadrifoglio e ingrandendo l'asinello, giusto per mettere in chiaro che lui era arrivato prima (anche se non avrebbe poi presentato alcuna lista, visto che la raccolta delle firme per le elezioni europee era già allora proibitiva; meglio, le avrebbe presentate senza firme, vedendosele bocciare); tentò anche di opporsi all'ammissione del contrassegno prodiano, ma senza successo.
Il simbolo (ormai senza più quadrifoglio) sarebbe comparso nelle bacheche del Viminale ancora nel 2001 e nel 2004, poi non se n'è più avuto notizia; da allora non si sa più nulla dello stesso Piacenti, deceduto ma non è dato sapere quando. A vedere la storia elettorale del suo Partito democratico viene in mente, almeno in parte, quella vecchia battuta di Roberto Benigni, ripetuta da lui anche una manciata di ore fa al Quirinale: "Dante ha fatto il politico per tanto tempo, è stato prima nei guelfi, poi quando i guelfi son diventati bianchi e neri è diventato guelfo bianco, ha cambiato opinione. Poi lo hanno esiliato, ingiustamente condannato, ed è diventato ghibellino [...]. Alla fine non ne poteva più, non si fidava più di nessuno e ha detto 'basta con la politica, faccio parte per me stesso' e ha fatto un partito in cui c'era solo lui, 'Per Dante', Pd. Non vinse mai". Un regalo, in compenso, lo ha fatto a tutti i #drogatidipolitica (che sarebbero felici di possedere l'intera collezione dei suoi simboli, da quelli effimeri a quelli duraturi): fu proprio Piacenti, nel 1994 - esattamente il 25 aprile - mentre era in fila al Viminale, a trasformare Mirella Cece nella presidente del Sacro romano impero cattolico. Ma questa, ovviamente, è un'altra storia.