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domenica 2 febbraio 2014

Lo scudo sfumato dei Popolari di Gargani

Chi si ritiene democristiano, in fondo, lo rimane sempre e cerca di dimostrarlo anche con i simboli delle formazioni che fonda, magari a distanza di vent'anni dalla fine politica della Dc. Il discorso vale certamente per Peppino Gargani, avellinese e deputato diccì per ventidue anni filati, fino al ben noto 1994 che in qualche modo mise un punto alla storia democristiana, per lo meno con quel nome (e a dispetto di errori e scorrettezze nelle procedure interne al partito, di cui i giudici si sarebbero occupati in abbondanza negli anni successivi).
Passato dal Ppi a Forza Italia (almeno come partito di elezione), dal Pdl all'Udc, da un annetto a questa parte Giuseppe Gargani ha dato vita a una sua associazione, i Popolari italiani per l'Europa. Non usa la parola partito, forse per non essere accusato di eccessive pretese o per non ricevere subito l'appellativo disdicevole di "partitino", pronto a essere travolto dall'Italicum in discussione alla Camera. Il retroterra, però, indubbiamente è quello, così come l'orizzonte in cui si muovono i Pipe (o Pie, vai a capirci qualcosa con queste sigle) è quello del Partito popolare europeo, al cui gruppo appartiene - ancora per qualche mese - lo stesso Gargani, dopo che nel 2011 l'Ufficio elettorale presso la Cassazione gli ha restituito un seggio a Strasburgo.
Mentre ci si prepara alle elezioni europee di maggio, proprio Gargani ha cercato di registrare come marchio due emblemi per la propria associazione, vuoi per evitare di farseli sfilare, vuoi per prepararsi a usarli al momento opportuno. La prima versione - depositata a febbraio del 2013 - conteneva la dicitura "Popolari per l'Europa" disposta a semicerchio su fondo azzurro, racchiuso da una circonferenza rossa (all'esterno) e bianca. Nel cerchio interno, anche le dodici stelle blu dell'Europa, coperte per metà dal nome dell'associazione, e la scritta maiuscola bianca "Libertas", collocata in diagonale, in posizione strategica. Già, perché all'occhio attento risultava esattamente sovrapposta al braccio trasversale di uno scudo crociato con bordo scuro: la figura è tracciata in filigrana, ma non per questo risulta invisibile, tutt'altro.

La variante, depositata alla fine di luglio - quando l'associazione aveva ormai iniziato a prendere piede in varie parti d'Italia -  utilizza la denominazione completa (spostando in alto "Popolari italiani" e lasciando in basso, stavolta in blu, la dicitura maiuscola "per l'Europa"). Le dodici stelle europee questa volta sono più chiare e il cerchio è rimpicciolito rispetto alle due parti testuali. "Libertas" non c'è più, ma lo scudo crociato c'è ancora, anche se in "negativo" rispetto all'immagine precedente. Volendo lo si legge meno, ma la presenza si avverte ed è un tentativo palese di marcare il territorio. La visibilità dello scudo, naturalmente, sarebbe tutta affidata all'abilità dello stampatore (dei manifesti, delle brochure o, chissà, delle schede elettorali), visto che le sfumature sono sempre un terno al lotto: carta, inchiostri e altre variabili possono dare risultati diversi dallo sperato.
Finora, però, il primo scoglio quegli emblemi sembrano averlo già incontrato. La domanda di registrazione del primo emblema, infatti, è stata respinta; la seconda è ancora "sospesa", ma sembra destinata a finire nello stesso modo. Alla base ci sarebbe soprattutto un problema di forma, nel senso che gli uffici competenti del Viminale non sono propensi a concedere la registrabilità come marchi di emblemi tondi, potenzialmente destinati ad usi elettorali.
Anche se però il segno venisse registrato, probabilmente lo scudo avrebbe vita breve alla prima occasione in cui venisse presentato a elezioni di livello nazionale (comprese le europee): sarebbe pur sempre difficile superare le pretese dell'Udc, che dal 2002 piazza lo scudo crociato nel proprio simbolo e da allora è presente in Parlamento. La sfumatura, quindi, potrebbe doversi attenuare per forza, fino a sparire del tutto. E stavolta non sarebbe colpa della carta o dell'inchiostro. 

lunedì 16 luglio 2012

La rivoluzione secondo Sgarbi


Puoi aspettartelo da un comunista duro e puro dei tempi andati, da qualcuno dei rimasugli della politica anticapitalista sopravvissuto alle mille scissioni (che si chiami Ferrero, Diliberto o Rizzo), o magari da qualche superstite della falce e martello ancora perfettamente convinto, come Marco Ferrando e il suo Partito comunista dei lavoratori; potresti al limite attribuirlo a un Beppe Grillo particolarmente infervorato, o a qualche soggetto originale piuttosto disperato. Invece ti trovi davanti nientemeno che il «Partito della rivoluzione», scopri che la scritta al di sotto recita «Laboratorio Sgarbi» e ti viene spontaneo esclamare «Eeehhh??», come il Leonardo Manera dei tempi d’oro.
Il simbolo, in realtà, non è proprio nuovo: lo avevano già trovato sulla scheda delle ultime elezioni amministrative gli abitanti di Cefalù, paese in cui Vittorio Sgarbi si era candidato sindaco, dopo quattro anni passati da primo cittadino di Salemi (dimettendosi pochi giorni prima che l’amministrazione comunale fosse sciolta per infiltrazioni mafiose). Eppure, ora che tutta l’Italia è stata messa in condizione di conoscere l’avvento di questo partito, il suo emblema merita di essere studiato come si deve.