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domenica 2 novembre 2014

Ncd e Udc insieme per l'Emilia-Romagna, ma lo scudo traballa

Lo si era già ricordato alcuni giorni fa: alle elezioni regionali dell'Emilia Romagna il centrodestra non correrà unito. Se Alan Fabbri è il candidato di Forza Italia (che non cancella il riferimento a Berlusconi), Fratelli d'Italia e ovviamente della "sua" Lega Nord (che inserisce il nome di Salvini al posto della Padania), a rappresentare il Nuovo centrodestra e l'Udc sarà Alessandro Rondoni, già candidato sindaco per il centrodestra a Forlì nel 2009 e in seguito capogruppo Pdl in consiglio comunale.
Seguendo l'esempio tracciato alle elezioni europee, i due partiti - in nome della comune vicinanza al Ppe e anche per riuscire a ottenere più facilmente almeno un seggio in Assemblea legislativa - si presenteranno uniti nello stesso contrassegno, nel cartello "Emilia-Romagna popolare" (giusto per ricordare che sono della partita anche i Popolari per l'Italia di Mario Mauro, la cui presenza altrimenti sarebbe poco avvertita), anche se il nome al Nuovo centrodestra non sembra calzare proprio a pennello.
Dall'esperienza delle europee è stata mutuata anche la struttura del simbolo comune, di cui si è cercato di curare appena un po' meglio la grafica; il risultato a dire il vero non sembra dei migliori. Per carità, in alto la sigla Ncd emerge meglio, liberata da denominazioni invadenti - anzi, avrebbe potuto espandersi un po' di più - e il fondo blu scuro, rispetto al precedente europeo (ma anche all'emblema originale) acquista più tridimensionalità grazie a un effetto "metallizzato". 
Si è cercato di intervenire anche sul segmento inferiore del cerchio, quello "appaltato" all'Udc e che a maggio era risultato il più maltrattato graficamente, anche perché risultava "sottomesso" alla parte legata ad Alfano. Il giochetto, però, è riuscito solo a metà: certamente il fondo blu metallizzato fa risaltare meglio le sigle Udc e Ppe e rende se non altro visibili gli altri segni tradizionali della formazione di Cesa (anche se crea uno spiacevole effetto "neon"), in compenso il povero scudo crociato risulta ancora più schiacciato rispetto al contrassegno depositato alle europee e, sul piano grafico, c'è poco da stare allegri.
Lo scudo, però, rischia di essere al centro dell'ennesimo caso che lo vede protagonista. Nei giorni scorsi, l'Ufficio elettorale centrale regionale ha ricevuto un atto di significazione da parte del Comitato nazionale della Democrazia cristiana, che raccoglie parte degli iscritti alla Dc del 1992-1993: esso è nato per ottenere la convocazione dell'assemblea degli iscritti al partito e riattivarlo in pieno, dopo che varie sentenze, riconoscendo che la Dc mai era stata sciolta, ne avrebbero affidato il destino - secondo l'interpretazione degli interessati - agli ultimi associati, i quali sarebbero titolari, tra l'altro, di nome e simbolo storici.
Il comitato, presieduto da Raffaele Lisi, ha dunque informato della situazione i componenti dell'Ufficio elettorale: formalmente non ha contestato l'uso dello scudo da parte dell'Udc ("Il contenzioso è durato fin troppo, oltre quindici anni", spiegano), ma si è limitata a chiedere che le sentenze - in particolare quella della Corte d'appello di Roma del 2009 e quella delle sezioni unite della Cassazione di fine 2010 - siano rispettate dagli organi elettorali oltre che dai partiti (anche se questo, inevitabilmente, dovrebbe comportare la rinuncia allo scudo crociato da parte dell'Udc). 
La novità, però, è che stavolta l'Ufficio elettorale regionale ha convocato d'urgenza il comitato (e probabilmente anche i rappresentanti della lista Emilia-Romagna popolare) per approfondire la questione: non era mai accaduto prima e sarà interessante vedere come andrà a finire. Gli amanti dei colpi di scena non si infervorino troppo: è probabile che nulla cambi, visto che l'Udc è ampiamente protetta dalla normativa elettorale che tutela i partiti presenti in Parlamento con un determinato simbolo (lo scudo appunto) e, in più, la macchina della stampa di schede e manifesti è già stata avviata. Il Comitato iscritti alla Dc, però, già da ora non ha alcuna intenzione di arrendersi: se gli organi non agiranno "per rispettare le sentenze civili in materia, emesse anche da autorità superiori", si annunciano prese di posizione sui media e nuove iniziative di rivendicazione.

giovedì 31 luglio 2014

Ritorneremo democristiani: il tentativo di Lisi e Lucchese (con Tassone che aspetta)

È passata una settimana dalla riunione - conferenza stampa del Comitato nazionale degli iscritti alla Democrazia cristiana del 1992/1993 che doveva segnare, in qualche modo, un passo verso il ritorno della Dc. In effetti, il passetto è stato mosso alla Camera o, per lo meno, alla Sala della Mercede, per respirare di nuovo l'aria dei Palazzi che contano.
Alcune decine di persone si sono dunque ritrovate mercoledì scorso rispondendo all'invito del presidente del comitato Raffaele Lisi, nonché del presidente onorario Francesco Paolo Paolo Lucchese (classe 1935), che a Montecitorio c'è stato per cinque legislature, l'ultima delle quali per lui è durata una manciata di giorni, essendo subentrato a un deputato cessato dall'incarico appena prima che si sciogliessero le Camere (in compenso la stampa si era interessata a fondo a lui, che per quei pochi giorni aveva maturato il diritto allo stipendio fino all'insediamento del nuovo Parlamento). Nemmeno uno dei cinque mandati di Lucchese, peraltro, si è svolto sotto le vecchie insegne: quando ha messo piede per la prima volta alla Camera, la frittata era già stata fatta e il simbolo era la vela del Ccd, poi traslocata nel contrassegno dell'Udc.
Eppure, si diceva del passetto verso il ritorno. Nella Sala della Mercede si è consumato l'ennesimo richiamo alle anime sparse dei democristiani, migrate in altri partiti o ritirate in buon ordine, in attesa di tempi migliori. L'idea è di celebrare – stavolta facendo tutto per bene, non come le due volte precedenti – il XIX congresso della Dc, per ridare vita al partito. 
Ad ascoltare l'invito di Lisi c'erano anche alcune persone vicine a Gianni Fontana (che nel 2012 aveva provato a far celebrare l'assise e ne era uscito confermato come segretario, ma i giudici poi avevano bloccato tutto), ex consiglieri nazionali come Renato Grassi, vari esponenti locali che attendono il ritorno a pieno titolo dello scudo crociato (come il novarese Luigi Torriani) e si è visto persino Mario Tassone, che da alcuni mesi ha riattivato il Cdu di cui era presidente del consiglio nazionale e ha ripreso a fare politica con quello (usando lo scudo crociato o, quando proprio non lo si può usare, mutuando il lettering della Cdu tedesca), ma si dice pronto a partecipare al percorso congressuale, quando sarà messo in moto.
Perché l'idea è proprio questa: stare fermi in agosto – ma non troppo, visto che l'auspicio è di far nascere anche una cinquantina di gruppi di iscritti del 1992/1993 in tutta l'Italia, per estendere la partecipazione – e rivedersi al più tardi a inizio settembre, per fare il punto sulla raccolta delle ri-adesioni (e anche di quanto ci potrebbe essere in cassa, cosa non di poco conto). Fatto questo, la tappa successiva sarebbe l'agognato XIX congresso, da tenersi tra ottobre e novembre.
Chi lo dovrebbe convocare? Lo spiega lo stesso Lisi: "Dopo le sentenze che tra il 2009 e il 2010 hanno accertato che la Dc non è mai stata sciolta, se tutte le altre cariche sono decadute da statuto, di fatto l'unica rimasta in piedi è quella del segretario amministrativo". Vale a dire Alessandro Duce, nominato in zona Cesarini nelle ultime riunioni degli organi diccì e successivamente primo tesoriere Ppi (in seguito passato con Buttiglione): non a caso, proprio Duce aveva già provato almeno una volta (tra il 2001 e il 2002) a rimettere in moto la macchina democristiana, convocando il consiglio nazionale e attivando un tesseramento, prima che i giudici bloccassero tutto.
Ammesso che Alessandro Duce ne abbia veramente titolo ("Ma ce l'ha – ripete Lisi, che ne è convinto – perché la Corte d'appello di Roma ha riconosciuto che Rotondi era ancora tesoriere del mai sciolto Cdu pur avendo costituito la Democrazia cristiana per le autonomie, perché non dovrebbe valere anche per Duce?"), come si svolgerebbe il tutto? "Noi del comitato di fatto siamo il braccio, lui dovrebbe essere la mente: quando saremo pronti inviteremo ufficialmente Duce a incontrarsi con noi per fare ripartire la macchina organizzativa del XIX congresso". 
Secondo il presidente del comitato nazionale iscritti 1992-1993, dunque, sarebbe questione di pochi mesi: il tempo di contarsi e rivolgersi nelle dovute forme a Duce, perché convochi l'assise. L'unica certezza è che, in questa fase, solo chi era iscritto alla Dc nell'ultimo tesseramento valido (quello del 1992/1993) può prendere parte a questa riattivazione: non importa che in seguito abbia militato in un altro partito ("Era nell'ordine delle cose che si andasse altrove", nota Lisi), l'importante è che in quel momento fosse tra i soci del partito. Eventuali nuovi democristiani, giovani e scattanti, dovranno avere pazienza: se la macchina si rimetterà in moto, ci sarà posto anche per loro.

lunedì 21 luglio 2014

E se tra due giorni iniziasse a risvegliarsi la Dc?

Dopodomani per svariate decine - centinaia, per i più ottimisti - di persone potrebbe non essere un mercoledì qualunque: il 23 luglio può trasformarsi nel primo passo verso il ritorno della Democrazia cristiana. Che secondo i giudici non è mai morta (ammesso che qualcuno la volesse davvero sciogliere) e nell'idea di qualcuno aspetta solo che la si scongeli e la si rimetta in campo.
Tutto potrebbe (ri)cominciare tra due giorni, a Roma, nella sala della Mercede (in via della Mercede 55): lì, alle ore 12, è stata convocata una riunione del Comitato nazionale dei soci Dc 1992-1993, che di fatto coincide con la sua presentazione ufficiale. "Ci stiamo affacciando pubblicamente da una sede idonea nazionale per pubblicizzare l’attività del comitato - spiega il suo presidente, il leccese Raffaele Lisi -. Il tema conduttore finale della nostra riunione è 'La Dc nell’attuale situazione politica' e di questo parleremo". 
Perché, a quanto pare, qualcuno sembra avvertire un'insopprimibile voglia di Balena bianca, anche in formato più ridotto. Non che finora non si sia provato a soddisfarla: è persino difficile contare con esattezza i partiti che negli ultimi anni si sono richiamati all'esperienza diccì o addirittura si sono contesi il nome e soprattutto il simbolo, quello scudo crociato che dal 1994 di pace ne ha conosciuta ben poca. A riportare in vita il vecchio marchio hanno provato in tanti, a partire da Flaminio Piccoli (che nel frattempo è passato nel mondo dei più); ora ci prova anche Lisi, che non sembra affatto spaventato dagli insuccessi di chi lo ha preceduto. 
Già, perché alla fine di marzo del 2012 un gruppo aveva seriamente tentato la via "dell'autorisveglio", attraverso un'autoconvocazione del consiglio nazionale del partito, firmata dal "consigliere anziano" Clelio Darida. Alla base di tutto, una sentenza della Cassazione a sezioni unite che alla fine del 2010, confermando una pronuncia vecchia di un anno della Corte d'appello di Roma, aveva posto fine a uno dei tanti contenziosi della diaspora democristiana (iniziato nel 2002): a leggere le carte si scopriva che nel lontano 1994 non solo la Dc non era stata sciolta - intenzione che nessuno aveva - ma la modifica del nome era avvenuta in modo del tutto irregolare, al di fuori di un congresso. Nessun partito dunque poteva proclamarsi erede della Dc, né pretendere di usare in esclusiva lo scudo crociato: non l'Udc, né tanto meno le varie Democrazie cristiane che nel tempo si erano moltiplicate, a partire da quella che si riconosceva nella segreteria di Giuseppe Pizza
Ma se nessuno poteva dichiararsi erede della Dc - hanno pensato in diversi - bastava risvegliarla per farla operare di nuovo: doveva servire proprio a questo l'autoconvocazione di Darida e il percorso successivo, che a novembre del 2012 aveva portato alla celebrazione del XIX congresso del partito (quello precedente si era svolto nel 1989), da cui uscì eletto segretario l'ex ministro Gianni Fontana. Peccato che i giudici, in due tempi diversi, abbiano sospeso gli effetti del congresso e del consiglio nazionale di marzo per irregolarità gravi nella convocazione delle due riunioni. "Io avevo avvertito Fontana per iscritto un po' di tempo prima di questa possibilità - dichiara Lisi - ma non sono stato ascoltato e questo è il risultato". Nonostante questo, Lisi vuole riprendere la marcia verso il ritorno della Dc e, come detto, lo fa a dispetto degli errori di chi ci aveva già provato: "Io so bene come fare", garantisce.
La strada scelta questa volta è quella del Comitato formato dagli iscritti al partito nell'ultimo tesseramento valido (quello del 1992-1993): toccherebbe solo a loro, secondo Lisi ed altri (come il suo vice Emilio Cugliari) decidere il destino dello scudo crociato. Ma quanti sono a volerlo di nuovo? "Al momento il nostro comitato, costituito il 20 ottobre 2012, conta 500 adesioni, raccolte giorno per giorno tra i vecchi amici iscritti al partito - spiega il presidente -. Se però conta anche i partecipanti al congresso poi 'congelato' dell'anno scorso, ne deve aggiungere altri 1750". Tutti riuniti sotto il vecchio scudo di stile degasperiano, col bordo superiore arcuato, cui è stata aggiunta la 'indicazione "Dal 1943" ("Per i più giovani", puntualizza Lisi).
L'idea, dunque, è di arrivare entro l'anno a celebrare il congresso, riattivando definitivamente la Dc che, a quel punto, potrebbe rivendicare tutti i suoi beni. Guai però a pensare che lo scopo finale sia quello: "Stiamo operando da artigiani, senza aiuti di nessuno e senza avere alle spalle il fiato di nessuno - rivendica Lisi -. A noi interessa rimettere in piedi il partito, i beni non ci interessano. E' vero che un semplice iscritto può chiedere la rendicontazione a chi di dovere e, alla lunga, questo si potrà fare, ma ora conta rimettere in pista la Dc". Si dovrebbe appunto iniziare dopodomani, con questo gruppo di "iscritti superstiti": tra loro dovrebbe esserci anche Fontana, mentre quasi certamente non ci sarà Giuseppe Pizza ("Lui figura come persona tra i fondatori Pdl, non sappiamo che fine abbia fatto").
Tutto chiaro? Mica tanto. Per cominciare, c'è chi è convinto che un XIX congresso democristiano ci sia già stato (nel 2003), e volendo anche un XX e un XXI. Si tratta del friulano Angelo Sandri, che dal 2004 mantiene la segreteria della "sua" Dc, ha partecipato a varie elezioni locali con il suo simbolo - a volte persino con lo scudo crociato, quando le commissioni competenti non glielo hanno bocciato - ed è a sua volta presidente di un altro comitato di iscritti 1992-1993 (a onor del vero ce ne sono anche altri, coe quelli presieduti da Franco Mortellaro e Raffaele Cerenza). Sandri è sicuro della saldezza dei suoi titoli e non è escluso che, qualora il gruppo di Lisi proceda nel suo cammino, decida di agire legalmente; lui, in compenso, ha ricevuto dal comitato Lisi una diffida stragiudiziale a rispettare le sentenze sullo scudo crociato, al pari dell'Udc, di Pizza, di Rotondi e di altri (compreso Mario Tassone, artefice della "rinascita" del Cdu).
In più ci sarebbe un particolare non da poco. La sentenza di Cassazione del 2010, infatti, dice espressamente che lo "smontaggio" della delibera del cambio di nome da Dc a Ppi del 1994 - contenuto nella sentenza di appello del 2009 - non vale per chi non ha partecipato al giudizio. In particolare non vale proprio per il Ppi (o ciò che ne è rimasto, dopo la sua confluenza nella Margherita), per il quale dunque la decisione del cambio di nome resterebbe valida. Prima di procedere con le attività del comitato, non era il caso di ottenere una sentenza che valesse anche per i Popolari ancora rappresentati da Pierluigi Castagnetti e Luigi Gilli? "Anche loro devono rispettare le sentenze in materia, che dicono che quell'atto di fatto è nullo, con ciò che ne consegue - conclude Lisi -. Noi andiamo avanti, se qualcuno vuole fare causa la faccia pure e si vedrà". Tutto lascia pensare che la storia dello scudo crociato riserverà altre, imprevedibili puntate.