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domenica 10 luglio 2022

Al Cantiere di Italia al Centro spunta il terzo simbolo del partito di Toti

"Lo dico con affetto a chi in queste ore continua a dire 'Il centro è mio, il centro è nostro': il centro è di tutti": lo ha detto con convinzione ieri Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, al "Cantiere" - così è stato chiamato l'incontro tenutosi all'Auditorium Antonianum - del suo partito politico, Italia al Centro, nato il 16 febbraio come "federazione sovrastrutturata dei partiti IDeA e Cambiamo" (come recita l'atto costitutivo) e poi ufficialmente come partito il 28 aprile avendo Toti come presidente, Gaetano Quagliariello come vicepresidente e Mariarosaria Rossi come tesoriera. Il riferimento, ovviamente, era alle parole di Silvio Berlusconi, che venerdì in un messaggio registrato aveva voluto ricordare "a questi signori [...] che il centro siamo noi, che il centro è Forza Italia, che in Italia è un partito indispensabile perché costituisce la testimonianza e la continuazione della tradizione liberale, cristiana, garantista, europeista e dei principi e dei valori della società occidentale": parole non proprio amichevoli, dettate quasi certamente anche dal fatto che una parte rilevante delle figure di primo piano del nuovo soggetto politico (e certamente tutti e tre i fondatori indicati nell'atto costitutivo) hanno avuto una lunga militanza forzista. 
L'incontro di ieri ha avuto risonanza anche per la partecipazione di figure potenzialmente interessate alla "conservazione" e "rinnovazione" del Centro, cercando convergenze: non sono passate inosservate le parole di Carlo Calenda ("Siate netti e pragmatici: se dite che questo cantiere è aperto a tutti finirete per annacquarvi in un indefinito che non porterà un voto. Questo è il momento del coraggio e di ricordaci che la religione del laico è innanzitutto verità e coerenza. Occorre ricordare ai partiti delle grandi famiglie europee che è tempo del riscatto rispetto ai populismi e ai sovranismi; tutto il resto è un fritto misto che non porta a nulla e che fa gioire gli avversari che possono dire che nel centro c'è di tutto, Calenda, Di Maio, non cito Mastella perché è amico vostro. Il centro è il contrario di tutto questo: il centro liberale è il luogo delle scelte nette e delle persone per bene") che non sono esattamente piaciute al citato Clemente Mastella (che, dopo aver staffilato a più riprese il "pariolino" della "Calenda greca", ha comunque precisato "Bisogna iniziare subito a costruire il centro e correre il rischio, io sono per un centro che possa stare anche da solo, a prescindere dalla legge elettorale, anche perché spesso si fa all'ultimo minuto e non possiamo aspettare, perché avremmo una fragilità intrinseca"); sono intervenuti anche Ettore Rosato (per Italia viva: "Evitiamo di fare dieci costituenti di centro, mettiamo insieme le nostre energie che sono di più dei partiti") e Mariastella Gelmini (per il governo, anche se ha precisato di essere intervenuta "non per cercare collocazioni politiche", ma per il confronto sui temi del suo ministero), oltre che Antonio Noto (che ha tentato di tracciare un identikit del centro e del suo elettorato).
Chi ha organizzato quel Cantiere ne è convinto: "il Centro è stato grande quando è stata grande l'Italia" (e, si deve supporre, viceversa), eppure "c'è il rischio che scompaia dall'atlante della politica italiana", come ha detto nel suo intervento iniziale Gaetano Quagliariello. Proprio lui ha rivendicato la scelta di avere avviato la costruzione di qualcosa di nuovo e autonomo, piuttosto che cercare ospitalità in altri partiti per cercare di ottenere lo stesso risultato. Ciò si è tradotto in "una traversata nel deserto per rimanere fedeli non tanto alle idee, ma a una visione, perché l'area del centro non scomparisse": per fare questo, visto che nel deserto della traversata capita di frequente di sentirsi soli, per Quagliariello è stato opportuno cercare "di fare un pezzo di strada insieme ad altri compagni, in maniera inclusiva, con umiltà e disponibilità, a volte anche troppo. Per questo abbiamo cambiato tante sigle". Lui stesso, pensando a sé, ha ricordato il passaggio da IDeA a Cambiamo! a Coraggio Italia (quando ancora era visto come un progetto comune Toti-Brugnaro) a Italia al Centro: "un po' come i vecchi comunisti, diciamo: Pci, Pds, Ds, poi Pd, ora forse D, poi speriamo si fermino, sennò non rimane più niente...", anche se ha rivendicato di aver "cambiato sigle per non cambiare idee" (frase certamente non nuova) e di averlo fatto "dalla parte giusta della storia".
La versione dell'atto costitutivo
Già che ci si è, bisognerebbe dire che, oltre a tante sigle, sono stati cambiati tanti simboli. E in questo caso lo si può ben dire perché proprio ieri il Cantiere era "tappezzato" di una nuova versione dell'emblema di Italia al Centro, la terza a livello nazionale. Nell'atto costitutivo del 28 aprile scorso, infatti, era stato indicato come simbolo ufficiale un "cerchio suddiviso all'interno in due porzioni. La porzione in alto è di colore blu. In questa porzione compare la scritta in colore bianco e carattere maiuscolo grande 'ITALIA'. Al centro, tra la porzione in alto e quella in basso, compare la scritta in colore bianco e in carattere maiuscolo piccolo 'AL'. La porzione in basso è di colore arancio. In questa porzione compare la scritta di colore bianco e in carattere maiuscolo grande 'CENTRO'. Sullo sfondo di entrambe le porzioni, dall'alto verso il basso, compare un'immagine stilizzata dell'Italia che assume un colore blu chiaro nella porzione in alto e arancio chiaro nella porzione in basso. Il tutto è delimitato da un segno di circonferenza di colore blu". 
Alle ultime elezioni amministrative, nei casi in cui Italia al Centro ha partecipato con il suo simbolo ufficiale all'interno di altri contrassegni (come a Parma e a Palermo), si è solitamente vista una seconda versione del fregio, che ha concentrato il nome tutto nella parte superiore blu (che per l'occasione era stata ampliata, occupando circa il 60% del cerchio), mentre il segmento arancione inferiore conteneva il riferimento a Toti, come era avvenuto già con Cambiamo!. Altrove, invece, erano state usate altre versioni, o relativamente simili al simbolo nazionale, con la posizione della città evidenziata sulla sagoma dell'Italia (a L'Aquila) o della regione (a Catanzaro), oppure molto diversi, com'è accaduto in Liguria a Genova e alla Spezia, a prevalenza decisamente arancione con il riferimento a Toti in enorme evidenza. 
Ieri, invece, è apparsa una nuova versione, ulteriore variazione di quello nazionale con il riferimento a Toti. Innanzitutto il nome è stato riscritto, lasciando da parte il carattere Impact e sostituendolo con il Nexa (o per lo meno molto somigliante: era lo stesso carattere di Scelta civica e del Nuovo centrodestra); il cerchio è di nuovo sostanzialmente diviso a metà, anche se il diametro è leggermente crescente e coperto da un tricolore costituito da tre strisce (quella rossa, in alto, molto più sottile delle altre), interrotte al centro per fare spazio alla preposizione "con"; nella parte inferiore, poi, il riferimento a Toti è ancora più evidente che in passato, riprendendo in sostanza il simbolo della lista Toti delle regionali 2020 e delle liste liguri di Italia al Centro di quest'anno. 
Nel giro di poche settimane, dunque, sono apparse varie versioni e aggiustamenti successivi dello stesso simbolo. E sarà che, come ha detto lo stesso Toti in apertura del suo discorso finale, tutti "i cantieri sono un po' disordinati", ma le cose erano andate quasi nello stesso modo con Cambiamo!, che in pochi giorni aveva fatto circolare ben tre versioni del simbolo, anche se poi non era più cambiato di fatto. Nell'attesa di vedere se anche in questo caso l'emblema si stabilizzerà, si attende di scoprire se Vinciamo Italia - rappresentata nel Cantiere di ieri da Marco Marin - svelerà il suo simbolo e, nel caso, che destino avrà. 

lunedì 4 gennaio 2016

Niente Forza Italia sulle schede? Ecco come potrà succedere

E se al prossimo turno di elezioni amministrative, nei comunelli sparsi per il Paese come nelle grandi città (Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli su tutte), sparisse completamente il simbolo di Forza Italia? Se ne parla da un paio di giorni e per qualcuno lo scenario è tutto meno che improbabile: sarebbe stato anzi lo stesso Silvio Berlusconi a formulare la proposta.
Ne ha scritto per primo Carmelo Lopapa, parlando su Repubblica dell'ipotesi "illustrata ai più fidati, di presentarsi alle amministrative con liste civiche, magari piazzando i consiglieri forzisti uscenti nelle liste personali dei candidati sindaci": ciò per evitare una batosta certificata dai dati elettorali (con inevitabile passaggio della guida del centrodestra alla Lega Nord), visti i sondaggi che ora danno Fi poco sopra o addirittura sotto il 10%.
Una cosa va precisata subito: che i simboli di partito disertino le schede elettorali è un fatto tutt'altro che nuovo. Già dall'inizio degli anni '90 - se non prima - alcune forze politiche preferivano utilizzare emblemi più neutri o legati comunque al territorio, magari dando una connotazione civica. Con il tempo, specialmente nei comuni più piccoli, mentre le sigle più combattive hanno continuato con orgoglio a metterci la faccia, utilizzando il proprio emblema per farsi riconoscere dagli elettori, la tendenza dei partiti maggiori a giocare a nascondino è aumentata: quando non si presentano proprio, questi contribuiscono alla presentazione di liste civiche senza dare il proprio fregio o lasciandolo solo intuire, nella convinzione che la scelta possa pagare di più nell'urna.
Nulla di drammatico, dunque, se nei comuni minori - la più parte in Italia - Fi non dovesse presentarsi. Nelle città medie e grandi, invece, la sparizione del simbolo forzista sarebbe praticamente inedita (tranne che, ovviamente, nei periodi contrassegnati dagli altri emblemi berlusconiani, dalla Casa delle libertà al Pdl): anche per questo, non stupiscono le reazioni di alcuni pezzi da novanta del partito, come Renato Brunetta e Maurizio Gasparri, che ritengono impossibile l'assenza della loro bandierina dalle schede.  
L'eventuale "congelamento" o "ritiro" del simbolo di Forza Italia avverrebbe in via indiretta, leggendo a contrario quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 44, comma 3 e 46, comma 8 dello statuto del partito (anzi, "Movimento politico", come recita il documento), da poco vagliato dall'apposita Commissione di garanzia. In base a essi, la presentazione delle candidature e dei contrassegni in sede locale (elezioni amministrative incluse) avvenga "per mezzo di procuratori speciali nominati dall'Amministratore nazionale", "il solo autorizzato, in sede nazionale e locale, al deposito delle candidature e all'utilizzo del contrassegno elettorale"; oggi la carica di amministratore nazionale è ricoperta da Mariarosaria Rossi come commissario straordinario, ora che lo statuto permette di commissariare anche quella carica (lei però è in carica dal 20 maggio 2014 e il testo dello statuto in vigore fino allo scorso 4 agosto, a quanto mi risulta, prevedeva solo il commissariamento degli organi periferici elettivi, oltre che gli organi nazionali delle organizzazioni interne a Fi)
Dal momento che quello del procuratore speciale, come suggerisce l'espressione stessa, non è un incarico duraturo (e non coincide, ad esempio, con quello dei coordinatori regionali o locali), ma è svolto da soggetti "all'occorrenza nominati", sarà sufficiente che l'amministratore nazionale non nomini alcun procuratore speciale per la singola competizione elettorale (a Milano come a Salerno, a Platì come a Roma) e la bandierina di Forza Italia non potrà essere utilizzata da nessuno. Non da soci di Forza Italia o da affiliati ai club forzisti, non da dirigenti dello stesso partito: senza la procura speciale, le commissioni elettorali dovranno semplicemente ricusare il simbolo e, in caso di mancata sostituzione (o "sanatoria" con successiva ratifica da parte dell'amministratore nazionale), le liste saranno escluse dal voto.
Dunque "Addio Fi", come scrive Lopapa? Non è detto. C'è ancora un po' di tempo per decidere cosa fare: di certo, entrambi gli scenari possibili saranno decisamente interessanti. Se Fi deciderà di correre comunque, l'attenzione sarà puntata sui numeri che usciranno dalle urne. Se sceglierà di saltare un turno (o, al limite, di eclissarsi del tutto), si spulcerà lista per lista nel tentativo - non facilissimo - di capire quanto ha pesato la scelta di correre senza insegne, nel bene e nel male. Il lavoro per sondaggisti, dietrologi e retroscenisti è assicurato, in ogni caso. 

mercoledì 22 aprile 2015

Forza Italia, partita la guerra sul simbolo?

Alla fine, in qualche modo, l'attacco sembra partito. Anche se magari non si tratta ancora dei colpi di artiglieria più pesanti. Mentre infatti in Puglia Forza Italia non accetta l'invito di Giorgia Meloni e Francesco Schittulli a tenere le primarie tra lui e Adriana Poli Bortone (netto il coordinatore forzista pugliese Luigi Vitali: "Una farsa cui Forza Italia non partecipa, sarebbero primarie ridicole: non ci sono regole scritte e si dovrebbero tenere fra quattro giorni in una regione con oltre 4 milioni di abitanti. È materialmente impossibile. [...] Le primarie sono una cosa seria e vanno fatte con criterio, con regole discusse e condivise, con tempi che permettono ai candidati di incontrare gli elettori ai quali illustrare perché votare per l'uno o per l'altro") e Silvio Berlusconi, stando ai rumors, starebbe pensando di candidare almeno in Campania e Liguria essenzialmente vittime della "malagiustizia", il primo atto di guerra contro l'amministrazione del movimento azzurro si è compiuto.
Ieri infatti l'AdnKronos ha dato notizia di un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile, depositato al tribunale di Roma dall'avvocato Arturo Umberto Meo a nome di Vincenzo D'Anna, senatore di Gal eletto con Forza Italia, lo stesso che era artefice dell'operazione "Campania civica" al fianco di De Luca. Le doglianze riguarderebbero in particolare i "poteri e la legittimità della carica attualmente ricoperta dalla senatrice Rossi". La strategia è chiara: mettere in crisi la qualifica di amministratore straordinario di Mariarosaria Rossi avrebbe l'immediata conseguenza di privare di valore le procure speciali al deposito di simbolo e liste di Fi alle elezioni, a partire dall'appuntamento con le regionali. 
E' lo stesso D'Anna a spiegare che lo scopo principale del ricorso è "definire una volta per tutte che in Forza Italia non si può fare a meno, né degli organismi previsti dallo statuto, né della democrazia decisionale. Non è concepibile, in presenza del finanziamento pubblico, ovvero dei soldi dei contribuenti, che il partito sia considerato come una proprietà privata. Berlusconi ha tantissimi meriti, che nessuno disconosce, ma non credo che sia consentito ricondurre a lui una gestione da monarca assoluto, un concetto del tutto estraneo a un partito che si richiama al liberalismo e alle libertà".
Può far sorridere la citazione finale di D'Anna, tratta dall'Anabasi di Senofonte, per cui "la democrazia consente ai pidocchi di divorare i leoni", ma non deve distogliere l'attenzione dai punti principali della vicenda. Il senatore sottolinea "una testa, un voto. Questa è l'essenza della democrazia'': riesce difficile immaginare - salvo errore, naturalmente - che il principio sia sempre e comunque stato rispettato, in Forza Italia come in molti altri partiti. E non è affatto escluso che chi pensava di ricorrere o lo ha appena fatto lo sapesse a fondo. E se il deputato Francesco Paolo Sisto sottolinea che "Una Forza Italia divisa è una Forza Italia sbagliata" e si dichiara del tutto non disposto "a condurre battaglie per togliere il simbolo di Forza Italia a Berlusconi", perché "sarebbe come togliere la maglia dell’Inter all’Inter o l’Inno di Mameli all’Italia", ci vorrà altro perché chi intende combattere deponga le armi. Si potrebbe profilare una guerra totale in punto di statuto, un po' come quella deflagrata nel Partito popolare italiano giusto vent'anni fa, anche allora alla vigilia delle regionali (come ha ricordato oggi sul Tempo Antonio Angeli, che mi ha intervistato sul tema). Ma chissà, forse il tempo del ripensamento non è ancora scaduto...

mercoledì 15 aprile 2015

"Forza Italia? E' congelata": chi ha ragione?

Sta diventando sempre più appassionante, anche sul piano giuridico, la disputa intorno alla "legittimità" di Forza Italia e alla titolarità dell'uso del simbolo. Ancora una volta, uno spunto importante viene da un articolo del Tempo, che nel numero in edicola contiene un'intervista a Gianluigi Pellegrino, l'avvocato cui si sono rivolti coloro che aderiscono alle posizioni di Raffaele Fitto – lo stesso legale parla di un incarico conferito da "oltre un migliaio di firme di eletti e iscritti" – per "tutelare in ogni sede e con tutti i mezzi il rispetto delle regole democratiche nel partito".
Il pezzo inizia senza alcuna mediazione e va subito al nocciolo della tesi: "Silvio Berlusconi non ha convocato il congresso che aveva avuto mandato di convocare e questo impedisce che il simbolo possa essere utilizzabile, dal momento che, come impongono l'art. 49 della Costituzione e lo Statuto di Forza Italia, devono essere rispettati i passaggi democratici nel funzionamento del partito". L'emblema, dunque, sarebbe da considerarsi "congelato": "Sulla scheda elettorale al momento ci potrà essere Forza Silvio, ma non Forza Italia".
Ora, Pellegrino è esperto di questioni elettorali e di democrazia interna ai partiti: era nel collegio difensivo legato a Mercedes Bresso che, al Consiglio di Stato, a febbraio dell'anno scorso ha visto confermata la ripetizione delle elezioni in Piemonte; in più ha seguito varie cause legate a scontri interni ad alcune formazioni politiche. Vale però la pena di "non accontentarci" e di guardare più a fondo le censure da lui sollevate.