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venerdì 19 maggio 2017

Mondovì, troppa gente "in comune" (e con gli stessi colori)

Quando una commisione elettorale chiede a una lista di sostituire un contrassegno, non è assolutamente una cosa grave: non è certo una decisione irreparabile e a volte bastano piccole modifiche per salvare la partecipazione alle elezioni. In altri casi, bisogna ammetterlo, la questione è più delicata, specialmente quando oggetto della contesa è un simbolo di partito o un emblema che gli somiglia molto: chi viene invitato a sostituirlo, non di rado, si sente limitato nei propri diritti, come se gli si impedisse di identificarsi con quel particolare fregio e di presentarsi agli elettori sotto quelle insegne (anche se, a volte, l'unico vero dispiacere riguarda i voti che la perdita del simbolo non riuscirebbe a intercettare).
A volte, peraltro, capita che le somiglianze si abbiano anche con riguardo a simboli dalla portata interamente locale. E' quello che è accaduto nei giorni scorsi a Mondovì, comune superiore della provincia di Cuneo, governato da una giunta di centrodestra, con un sindaco - Stefano Viglione - giunto alla fine del suo secondo mandato. Tra le liste a sostegno della sua candidatura c'era anche Fiducia in comune, lista civica che è stata ripresentata anche questa volta, in appoggio alla candidatura di Donatella Garello. I suoi sostenitori, tuttavia, avevano lamentato la comparsa, all'interno della coalizione che sosteneva l'avversario Paolo Adriano, di un'altra civica denominata Ideali in comune
Il nome piuttosto simile e il fatto che fosse scritto in giallo su fondo blu, simile all'azzurro di Fiducia in comune (e anche in quel caso con i riflessi di luce), aveva scatenato le proteste dei i rappresentanti della lista del centrodestra: "Copiare o presentare simboli che possano confondere l'elettore - avevano scritto in una nota - non è consentito dalla legge. Al fine di tutelare la riconoscibilità del nostro simbolo e con essa la regolarità del voto, abbiamo chiesto alla commissione di pronunciarsi in merito". Per stare sul sicuro, il gruppo ha anche fatto in modo di essere il primo a depositare la lista, per tutelarsi anche attraverso la regola del "chi prima arriva meglio alloggia"; la commissione elettorale, in effetti, ha chiesto alla lista a sostegno di Adriano di modificare l'emblema per eliminare il rischio di confondibilità.
La reazione di Ideali in comune, mediante il suo promotore Ignazio Aimo, è stata soft, ma netta: "Si sostiene che i simboli delle due liste siano facilmente confondibili. E’ vero, non lo neghiamo. Ma da parte nostra non vi era certo la volontà di copiare il lavoro degli altri. A un certo punto pareva che la lista Fiducia in Comune non si sarebbe presentata. Era già nostro intento utilizzare i colori blu e giallo, peraltro tra i più diffusi nelle campagne elettorali. Così abbiamo lavorato su un simbolo che comprendesse quella gradazione cromatica. Chi vuole speculare su quest'aspetto, lo fa solo in malafede". 
Dopo il primo pensiero di "sostituire il giallo e blu con una scritta bianca su sfondo verde", si è alla fine optato per una scritta blu su fondo azzurrino sfumato; se cromaticamente non c'è più alcuna somiglianza, l'espressione "Lista civica" è stata portata in alto come nell'emblema che appoggia Garello, così come è stato aggiunto il riferimento al candidato sindaco. "Nonostante siamo ancora convinti che l’elettorato fosse stato pienamente in grado di distinguere i due simboli - ha detto Aimo dopo la sostituzione dell'emblema - abbiamo preferito apporre delle modifiche cromatiche, così come suggerito dalla Commissione. Restituiamo al mittente le insinuazioni di tutti coloro che hanno voluto speculare su una faccenda di semplice opportunità tecnica. Abbiamo sentito parlare di tutela della regolarità del voto e dell’elettorato come se fossero state accertate delle irregolarità. Se qualcuno pensa di fare propaganda elettorale sulle spalle degli altri si sbaglia di grosso".
Archiviata la polemica cromatica, dunque, a Mondovì la campagna elettorale può proseguire con più calma, verso l'apertura delle urne. Tanto, è pur sempre "in comune" che si dovrà finire.

mercoledì 31 agosto 2016

Quanto conta l'immagine coordinata? Il caso di Mondovì

Quando ci si candida a qualcosa, avere un progetto chiaro e omogeneo fin dall’inizio è decisamente utile. E se le voci a proprio sostegno sono numerose, diventa del tutto naturale cercare di metterle a sistema, di armonizzarle e renderle coerenti rispetto a un’idea comune. Così, se un candidato a sindaco in un comune con più di 15mila abitanti può contare sull’appoggio di più liste, queste possono avere ciascuna la propria caratterizzazione visiva, ma può essere utile cercare di affidare a un’unica mano l’impianto la coerenza grafica dei vari simboli, perché a colpo d’occhio sia chiaro a tutti che il progetto alla base è unitario.
Per questo, negli ultimi anni, si sono moltiplicate le iniziative di immagine coordinata – o, se si preferisce essere anglofili, di brand identity – che hanno cercato di dare uniformità, almeno in parte, agli elementi di una stessa coalizione, così da comunicare in modo più efficace l’idea del “gioco di squadra”. Tra i comuni in cui ci si è mossi in questa direzione, c’è anche Mondovì, in provincia di Cuneo: l’amministrazione oggi in carica segue alle elezioni del 2012 e proprio a quelle faccio riferimento ora.
Per sfidare il sindaco uscente di centrodestra, Stefano Viglione, si formò in seno al centrosinistra un’associazione-laboratorio politico con il nome Mondovì in Movimento, in breve MoMo: le primarie indicarono come candidato sindaco Paolo Magnino (con due consiliature alle spalle) e poi si lavorò per dare corpo alla coalizione. Sulla scheda finirono ben sette simboli, tutti bordati di arancione e con il segmento circolare inferiore contenente il nome della coalizione (con la parola “Movimento” in corsivo per dare l’idea grafica del moto), il tutto sormontato da una freccia bianca, che nella prima parte ricalcava il profilo del centro storico cittadino, e dal nome del candidato proposto in una font manoscritta.
Nessuno dei simboli impiegati era dichiaratamente di partito, anche se era abbastanza facile riconoscere l’impronta del Pd nella lista Città democratica, così come una generica impronta “di sinistra” in Mondovì bene comune, che si avvaleva tra l’altro di un fondo stile bandiera della pace e di un gruppo di figure che si tenevano per le mani, un po’ come in un girotondo di bambini.
C’era un riferimento alla vicinanza affettiva alla città con Mondovì nel cuore (con la skyline cittadina in un cuore tricolore), così come non potevano mancare emblemi legati a categorie o temi tradizionalmente toccati sotto elezioni: c’era la Comunità solidale e c’era l’Impegno civico, c’erano le Frazioni protagoniste e c’erano gli Under 30. Sempre e comunque “con Magnino”. 
Al primo turno, bisogna dirlo, la coalizione si attestò poco al di sopra del 25% (il candidato sindaco arrivò al 29%), mentre l’uscente Viglione arrivò da solo al 48,23%, avendo nella sua coalizione di otto liste la Lega Nord e due liste chiaramente riconducibili al Pdl e all’Udc: la prima era stata ribattezzata Il Popolo della Granda (intesa come Cuneo – Provincia granda) e l’arcobalenino aveva perso il colore verde, mentre l’Udc aveva mantenuto lo scudo crociato, ma in alto c’era il nome del comune e il nome era stato modificato in Unione al centro.
Sfiorò dunque la rielezione al primo turno Viglione, ma si dovette andare comunque al ballottaggio, il cui esito sembrava segnato dall’inizio. E invece Magnino se la giocò fino in fondo: si apparentò con le quattro liste che avevano sostenuto in prima battuta Mario Bovetti e si presentò ai cittadini con ben undici emblemi al seguito. Si impegnò al punto che il miracolo quasi gli riuscì: al ballottaggio sfiorò il 48%, poco più di 400 voti lo distanziarono da Viglione che poté così ottenere la riconferma, anche senza aver puntato sull’immagine coordinata (anche se i tre simboli “tridimensionali” della coalizione erano certamente frutto della stessa mano).