La politica non è cosa per poveri:
è questa la sgradevolissima impressione che si ha da tempo, ancora prima dei
vari Lusi, Belsito, Fiorito, Maruccio e compagnia spendente. Eppure qualcuno
non sembra pensarla così: gli increduli possono rivolgersi a «Trevisol Giuseppe,
classe 50», come lui stesso si definisce, che è l’ideatore del PdP. Non è la sigla di Paperon de' Paperoni di disneyana memoria, bensì del Partito dei
poveri.
Emigrato dal Veneto in Lombardia,
Trevisol ha lavorato da quando aveva 15 anni, poi ha operato nel campo delle
assicurazioni e della mediazione immobiliare; non nasconde i suoi limiti, ma
sceglie con trasparenza di confessarli dall’inizio («non sono un santo, mi sono
rovinato al casinò e ho avuto qualche problema con la legge per il fallimento
delle mie società, però quando è successo avevo venti anni in meno»). Non
nasconde nemmeno di avercela con gli italiani, perché «continuano a sostenere i
vecchi politici furbacchioni che ci hanno portato in questa situazione: per
finta litigano ma nella sostanza fanno un governo insieme, sostengono le banche
anche se queste i soldi non li prestano più a nessuno o quasi, preferiscono
investire o soldi che ricevono dall'Europa comprando il debito italiano,
guadagnando interessi pagati con le nostre tasse». Trevisol ce l’ha anche con le
banche per i consigli «volutamente sbagliati» dati ai clienti e per le quali
non hanno mai pagato, nonché con la stampa, considerata «parte della casta».
Per l’ex imprenditore si è di
fronte a un fallimento dell’economia e della politica: «I politici oltre a dare
lavoro ad amici e parenti aumentando il debito pubblico non sanno fare, il
lavoro vero lo danno solo gli imprenditori, ma questo stranamente non viene mai
detto sui giornali ed in televisione facendo credere che il lavoro si crea
facendo una legge». Non risparmia i politici dunque, ma nemmeno i dirigenti dei
sindacati, «mangia pane a tradimento, affamano gli operai facendo fare loro
degli scioperi di facciata ma mai andando allo scontro totale per migliorare
gli stipendi».
Trevisol ha in testa un programma
preciso, riducibile in quindici punti. In gran parte si tratta di misure
economiche per aiutare chi è in difficoltà, dalle mense per i poveri a carico
dello stato, ai mercati statali con generi di prima necessità a prezzo politico,
fino allo stipendio e alla pensione garantiti anche alle casalinghe e alle pensioni
minime di 1200 euro mensili: ci sono anche gli sgravi fiscali per persone
separate, divorziate o tenute a pagare gli alimenti e la possibilità di avere
case in affitto al 20% dello stipendio, nonché sostegni mirati a famiglie a basso
reddito e anziani (per gli asili o le case di riposo) e ai disoccupati (con l’obbligo
di frequentare corsi professionali). Altri punti sono inquadrabili come “moralizzazione”
del denaro pubblico, dalla fine delle missioni di pace al tetto di 2500 euro
per gli stipendi dei dirigenti pubblici, alla nazionalizzazione delle banche per
evitare speculazioni; Trevisol propone anche la riabilitazione per i falliti
che non abbiano procurato danni gravi ad altri e una legge contro l'iscrizione
di ipoteca per recuperare un credito.
Tutti questi punti fanno parte
del programma del Partito dei poveri, che l’ex imprenditore ha fondato nel 2009
con l’amico Giancarlo Aragona: ne hanno addirittura depositato il simbolo all’Ufficio
brevetti e marchi, un emblema molto semplice, con la sigla e la denominazione in
font Bodoni bold, bianche su fondo rosso. L’obiettivo della formazione è la tutela
dei poveri, tra i quali «non ci sono solo gli indigenti, ma anche persone o
famiglie che fino a ieri erano la classe media o benestante e che all’improvviso
si trovano senza nessun sostegno».
Sulle schede elettorali,
purtroppo, il Partito dei poveri non ci sarà: «Purtroppo, non essendo in grado
di raccogliere firme per partecipare alle elezioni – dichiara lo stesso Trevisol
nel sito del partito – mi vedo costretto a chiedere a qualche deputato se ha
voglia di mettersi in giuoco con noi». Non sarà facile trovarlo ma, ove ci
fosse, sarebbe davvero una novità…