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sabato 19 marzo 2022

Democrazia e centralità, àncora e balena per evocare la Dc a Catanzaro

La vicenda della Democrazia cristiana, con tutte le liti possibili e immaginabili sulla titolarità e sull'uso del nome e dello scudo crociato (a livello nazionale e locale), ha prodotto un numero notevole di vicende rilevanti anche sul piano simbolico: queste, infatti, hanno spesso prodotto emblemi "di emergenza", pensati per salvare una partecipazione elettorale dopo che l'organo competente non aveva ammesso il contrassegno originario oppure, in via preventiva, proprio per evitare contestazioni una volta presentati tutti i documenti richiesti dalla legge. La storia che si sta per raccontare, che appartiene alla seconda categoria appena vista, affonda le sue radici fino a diciotto anni fa e merita di non essere consegnata all'oblio.
Correva l'anno del Signore 2004, erano previste le elezioni europee e il turno più nutrito di elezioni amministrative, tra comunali e provinciali. Si votava, tra l'altro, anche per rinnovare l'amministrazione provinciale di Catanzaro, essendo in scadenza la presidenza di Michele Traversa, già consigliere e assessore regionale di Alleanza nazionale, diventato presidente nel 1999 battendo per 3mila voti Enzo Ciconte (quando al primo turno la differenza era stata di 180 voti circa). Il centrodestra si presentò al nuovo appuntamento - celebrato il 12 e il 13 giugno, in via inedita di sabato e domenica - relativamente ampio e compatto, avendo come partiti principali ovviamente Forza Italia e Alleanza nazionale, ma a queste bisognava aggiungere l'Udc, nata due anni prima: la Calabria era pur sempre la terra di Mario Tassone, in quel periodo deputato e vicesegretario vicario del partito, così da quelle parti - e soprattutto a Catanzaro, centro dell'attività politica dello stesso Tassone - lo scudo sopra le due vele andava davvero forte.  
Non tutto il mondo che si richiamava alla vecchia Democrazia cristiana, tuttavia, sarebbe entrato in quella lista: poche settimane prima, per dire, aveva fatto rumore l'abbandono dell'Udc da parte di Giovanni Merante, già assessore provinciale di quella giunta Traversa e in quel momento consigliere comunale di Catanzaro eletto con il Ccd, partito in cui aveva militato - e per il quale era consigliere dal 1997 - dopo una lunga presenza nella Democrazia cristiana (ovviamente fino al 1994). Da alcune settimane, invece, Merante aveva scelto di aderire "di nuovo" alla Democrazia cristiana, o meglio al partito che si riteneva in continuità con la Dc storica e che in quel momento che si riconosceva nella segreteria di Giuseppe Pizza (calabrese anch'egli). 
Proprio la segretaria organizzativa regionale di quel partito, Rosanna Vicedomini, circa tre mesi prima del voto previsto a giugno, aveva annunciato una probabile candidatura alla presidenza della provincia dello stesso Merante, distinto dal centrosinistra e dal centrodestra e sostenuto unicamente dalla Dc. Il 2004, tra l'altro, nella mente dei suoi dirigenti doveva essere l'anno del rilancio per il partito: c'era tutta l'intenzione di presentarsi anche in tante altre elezioni amministrative, ma soprattutto alle elezioni europee (anche grazie al sostegno del Partito democratico cristiano guidato da Clelio Darida e all'esenzione dalla raccolta firme, resa possibile dall'appoggio della "lista civetta" Paese Nuovo). 
Proprio in quell'occasione, tuttavia, c'erano già stati i primi intoppi sul simbolo: il contrassegno della lista Democrazia cristiana - Paese nuovo era stato tra i primi depositati al Viminale il 25 aprile (primo giorno dedicato alla presentazione), ma il mercoledì 28 aprile era arrivata la notizia della bocciatura: lo scudo crociato non andava bene - ritenuto confondibile con il fregio dell'Udc, partito presente in Parlamento e a quelle stesse elezioni - e, in fondo, era stato espresso un giudizio negativo anche sulla presenza del nome "Democrazia cristiana" nel contrassegno, probabilmente perché il nome integrale dell'Udc era "Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro"; la Dc ritenne ingiusta quella decisione (puntando il dito, tra l'altro, contro la partecipazione dell'Udc al governo in carica), ma pur di salvare la partecipazione alle elezioni accettò di modificare il simbolo, togliendo nome e croce dallo scudo, lasciando uno scudo rosso su una bandiera bianca sventolante su un cielo blu a richiamare i colori del vecchio partito.
In più, come se questo non fosse stato sufficiente, qualche giorno prima il Tribunale civile di Roma aveva emesso una delle sue tante ordinanze all'interno della causa iniziata nel 2002 dalla Dc (allora guidata da Angelo Sandri) nei confronti del Cdu - sì, proprio quella che nel 2006 avrebbe portato alla "sentenza Manzo" che avrebbe posto Pizza sotto i riflettori per alcune manciate di mesi e che nel 2010 sarebbe terminata con la sempre citata (e quasi mai capita) sentenza delle sezioni unite della Cassazione della fine del 2010 - per ottenere l'uso pacifico del nome e dello scudo crociato: in sede di reclamo, un collegio del Tribunale di Roma aveva infatti accolto la richiesta del Cdu di inibire alla Dc-Pizza l'uso della denominazione "Democrazia cristiana" e dello scudo crociato; anche per questo, probabilmente, la decisione del Viminale aveva riguardato pure il nome. In ogni caso, quella decisione fu impiegata dall'Udc - alla cui costituzione, com'è noto, aveva partecipato anche il Cdu - per contestare anche solo in via preventiva le liste e le candidature del partito di Pizza che avessero usato il nome e il simbolo della Dc: la presentazione dei documenti per partecipare alle elezioni era fissata per il 14 e il 15 maggio presso le corti d'appello o i tribunali, quindi c'era stato tutto il tempo di prepararsi a reagire a livello locale.
Non andò diversamente in Calabria e a Catanzaro: "Nei primi giorni di maggio sui quotidiani locali si aprì una polemica proprio legata all'eventualità che la Dc di Pizza alla quale appartenevo potesse usare il nome e il simbolo della Dc, con Tassone che aveva annunciato che l'Udc si sarebbe opposta all'ammissione di quei contrassegni - ricorda oggi Giovanni Merante, intervistato da I simboli della discordia -. Un paio di giorni prima del deposito delle liste, ricordo che venni contattato in modo informale da una persona che lavorava all'interno della Corte d'appello di Catanzaro: volle farmi sapere che, se per presentare le nostre candidature alle elezioni provinciali avessimo utilizzato il nostro simbolo 'ufficiale', com'era stato annunciato, avremmo potuto avere delle difficoltà a vederlo ammesso, proprio per l'ostilità che i vertici locali dell'Udc avevano già manifestato". 
A quel punto le alternative erano solo due: o mantenere il simbolo ufficiale, rischiando di farselo bocciare, o cambiarlo e trovare un'altra soluzione. "Scegliemmo la seconda, per non rischiare - continua Merante -. Questo, tuttavia, comportò per noi la necessità di accamparci in una tipografia di Catanzaro, in cui c'era anche qualcuno che ci diede una mano con la grafica, per poter elaborare un simbolo di emergenza. Pur togliendo lo scudo volevamo tenere qualcosa che somigliasse a una croce: per questo la trasformammo in un'ancora rossa, in un primo tempo avevamo pensato di accoppiarla alla prua di una nave, ma poi desistemmo e lasciammo soltanto l'ancora; dovendo cercare di renderci comunque un minimo riconoscibili per l'elettorato democristiano, aggiungemmo anche la sagoma di una balena bianca, tradizionalmente accostata alla Dc, con l'espressione sorridente e nuotante tra le onde del mare". La lista fu chiamata Democrazia e Centralità: "Mettemmo il nome sulla corona azzurra che racchiudeva il simbolo con ancora, balena e mare, e sul braccio orizzontale della croce trasformato nel ceppo dell'ancora riportammo la forma breve del nome 'DeC', con la 'e' centrale minuscola molto più piccola tra le due lettere maiuscole, per richiamare anche così tanto la storia della Dc, quanto la Dc di Pizza in cui militavo. In quelle stesse ore, in cui rifacemmo il simbolo di corsa, dovemmo anche elaborare uno statuto molto semplice, per dimostrare che esistevamo e assicurarci la possibilità di partecipare senza problemi".
Il simbolo fu ammesso con gli altri documenti, quindi elettrici ed elettori della provincia di Catanzaro trovarono sulle schede la candidatura alla presidenza di Giovanni Merante e i candidati locali a lui abbinati. A seggi chiusi, lui risultò aver ottenuto 2659 voti, pari all'1,3%, mentre i candidati di collegio di Democrazia e Centralità raccolsero qualcosa di meno (2529 voti, l'1,26%). Il risultato non fu memorabile e non scattò alcun seggio (al ballottaggio DeC sostenne il candidato del centrosinistra, Giuseppe Torchio, risultato perdente, ma il seggio non sarebbe arrivato anche in caso di vittoria); a complicare la partita di Merante ci fu la presenza sulle schede non solo dell'Udc (che fece il pieno, risultando con il suo 12,06% il partito più votato del centrosinistra e il secondo più votato in assoluto), ma anche della Rinascita della Democrazia cristiana, il partito guidato a livello nazionale da Carlo Senaldi e a quelle elezioni alleato del vincitore Traversa (grazie al suo 2,41%, tra l'altro, ottenne anche un consigliere, Michele Rosato).
Quell'avventura elettorale, dunque, non andò benissimo, ma Merante (che visse comunque con piacere quella campagna) decise di non demordere. Nel 2006 al comune di Catanzaro fu di nuovo tempo di elezioni e Democrazia e Centralità si presentò nella coalizione di centrosinistra: non toccò minimamente il simbolo - creato in emergenza e non proprio un capolavoro di finezza, pur essendo simpatico - e con quell'emblema raccolse l'1,87%; oltre a concorrere all'elezione del sindaco Rosario Olivo, riuscì a ottenere il tanto sospirato seggio. La stessa lista ricomparve alle elezioni del 2011, ma stavolta nel centrodestra, sostenendo la candidatura a sindaco proprio del vincitore delle provinciali del 2004, Michele Traversa: quella volta la lista arrivò al 3,02% (più della metà della percentuale dell'Udc) e confermò il proprio seggio in consiglio comunale; Traversa però era deputato del Pdl e - dopo che la Corte costituzionale sostanzialmente introdusse l'incompatibilità tra il mandato parlamentare e la carica di sindaco di un comune superiore a 20mila abitanti - scelse di restare a Montecitorio, così si tornò a votare nel 2012, ma senza che la lista DeC tornasse sulle schede. Quanto a Merante, in quel periodo si stava avvicinando proprio al Pdl, dove sarebbe rimasto fino alla riattivazione di Forza Italia, partito cui avrebbe aderito, venendo poi eletto alle comunali del 2017. Dopo poco tempo, tuttavia, si sarebbe registrato il suo passaggio al gruppo misto, fino al ritorno in seno all'Udc due anni fa. La balena bianca di Democrazia e Centralità, invece, riposa dal 2011 e nessuno, per ora, sembra avere l'intenzione di ridestarla.

giovedì 20 dicembre 2018

Rotondi e il patto programmatico tra cattolici (per far tornare una Dc?)

Nostalgia di Balena Bianca, di scudo crociato, di Democrazia cristiana insomma? Nessun problema, c'è Gianfranco Rotondi. Lui sarà pure l'unico parlamentare italiano in questa legislatura a qualificarsi "democristiano", ma a suo dire nel paese di persone interessate a una forza politica dichiaratamente di cattolici ce ne sono parecchie e in Italia non si può parlare di un partito simile senza chiamare in causa la Dc. Anche per questo, ieri pomeriggio Rotondi ha tenuto una conferenza stampa alla Camera, per dare conto di un progetto programmatico, pensato per riunire varie realtà che si richiamano all'esperienza democristiana, nel tentativo di dare vita - guardando molto, molto lontano - a un soggetto unitario di matrice cattolica e che, magari, nella vita politica nazionale e locale possa riutilizzare senza contestazioni le vecchie insegne, nome e simbolo.

Chi c'era

Non è assolutamente la prima volta che si tenta un'operazione di questo tipo, anche perché le realtà "federabili" sembrano in numero sempre maggiore: "Nessuno immagina quanti siano i partiti e le associazioni che fanno riferimento alla Democrazia cristiana: non riusciamo nemmeno noi ad avere un'anagrafe!" ha dichiarato Rotondi in apertura di conferenza stampa, dando conto delle molte richieste di adesione ricevute persino da gruppi sconosciuti "anche a noi che siamo cultori della materia". Non erano certo sconosciuti coloro che hanno condiviso la tribuna della conferenza stampa con Rotondi, cioè Mario Tassone in rappresentanza del Nuovo Cdu e Renato Grassi, eletto segretario dal recente congresso della Democrazia cristiana così come "riattivata" (o così credono coloro che ne fanno parte) dal Tribunale di Roma nel 2016.   
Tra gli spettatori, peraltro, erano presenti e sono intervenuti anche alcuni rappresentanti di altri gruppi politici. C'era per esempio Michele Laganà, fondatore e presidente di Futura, associazione che esiste dal 2004 e che non si qualifica come partito ma come movimento di opinione. A dispetto di questo, il suo presidente ha rivendicato un totale di 8500 aderenti in tutto il paese, la presentazione di "420 liste" in vari comuni (soprattutto Emilia Romagna e Liguria) e la collaborazione da un paio d'anni con il Nuovo Cdu di Mario Tassone: da qui sembra nascere l'interesse per questo nuovo progetto centrista e cattolico, in sintonia con i valori e gli interessi che Futura, a livello locale, intende tutelare con il proprio impegno civico. 
Assai più di recente, cioè meno di un anno fa, è nato il Partito cristiano sociale, che ieri era rappresentato dal suo leader, Pietro Del Re. Il gruppo è solo omonimo di quello che fu fondato nel 1944 da Gerardo Bruni: un libro in qualche modo è rimasto, con una copia della Costituzione tagliata alla bell'e meglio, mentre al posto del badile ci sono le mani disposte a forma di cuore e un tricolore di rose che nasce dal cuore della Costituzione. Il nuovo partito pone al centro del proprio agire valori cristiani e civici e ritiene che "partendo da un processo culturale che apporti un cambiamento etico della nostra società, si possa affermare una politica che guardi in maniera più attenta alle categorie più svantaggiate ma anche a tutte quelle categorie di cittadini bistrattati e umiliati dalle politiche economiche dei governi dell'ultimo decennio". Evidentemente da soli il compito è difficile, dunque è risultato provvidenziale il progetto di unità programmatica neodemocristiana.

Niente partiti o federazioni... per ora

La conferenza di ieri non serviva ad annunciare alcuna reale novità, come ha precisato subito lo stesso Gianfranco Rotondi: "comincia un percorso, siamo democristiani e facciamo le cose per bene, coi nostri tempi che non sono quelli della Rete". Ci è voluta tutta la mezz'ora della conferenza stampa per capire che i giornalisti non erano stati convocati per dare conto, almeno nell'immediato, della costituzione di un nuovo partito (e questo lo si immaginava), ma nemmeno di una federazione di forze politiche. Nessun riferimento, in particolare, all'operazione politico elettorale che, alle prossime elezioni regionali in Abruzzo, dovrebbe riportare il simbolo della Dc sulle schede grazie all'accordo tra la Democrazia cristiana di Rotondi (esistente dal 2004, poi divenuta Democrazia cristiana per le autonomie, ma nel frattempo "legittimata" all'uso del nome storico) e l'Unione di centro di Lorenzo Cesa (che utilizza lo scudo crociato da oltre 15 anni e può continuare a farlo in virtù della sua presenza parlamentare, sebbene Rotondi rivendichi la sua qualità di titolare dello scudo quale ultimo tesoriere del Cdu, da poco posto in liquidazione),
Ma se non si parla di un nuovo partito o di una federazione di partiti, cos'è stato presentato ieri? Un documento programmatico, elaborato da Vitaliano "Nino" Gemelli, già europarlamentare dal 1999 al 2004 eletto con il Cdu. Quel documento, che porta già varie firme, analizza le radici della presenza politica dei cattolici (nata non con don Sturzo, ma con l'enciclica Rerum Novarum e gli altri documenti sociali seguenti, fino alla Charitas in veritate) e propone, tra l'altro, un nuovo modello di sviluppo (basato sull'economia sociale di mercato, per evitare di allargare ulteriormente "la forbice di povertà"), la costruzione di una nazione europea (o della cultura occidentale) e il ritorno a un sistema elettorale proporzionale per poter rappresentare tutte le istanze popolari.
Quel documento, oltre che da Rotondi, è stato condiviso da Tassone e Grassi, che per lo stesso Rotondi sono "alcuni degli amici che hanno dato vita al Partito popolare italiano di Martinazzoli" il 18 gennaio 1994: lo stesso giorno in cui, il mese prossimo, si ricorderà il centenario del Ppi di Sturzo (in un convegno la cui relazione principale sarà tenuta dal direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano). Il 18 gennaio 1994 andò in soffitta il nome della Dc, anche se, come dice Rotondi, "la vita della Dc non si è mai interrotta nella seconda Repubblica, abbiamo avuto vari partiti con percorsi disordinati, separati, contrapposti": in pratica, dopo una "storia gloriosa", un'epoca di diaspora (iniziata nel 1994 e aggravatasi a partire dal 1995). in cui si mise in atto il suggerimento dell'allora presidente Cei Camillo Ruini (con cattolici collocati in tutti i partiti per portarvi i valori e fare fronte comune sulle battaglie valoriali ed etiche). "Quell'esperimento, quell'invito a sparpagliarsi però è fallito - ha notato ieri Rotondi - ha condannato i cattolici all'irrilevanza e ha prodotto integralismo e fanatismo sui temi etici: questi sono importanti, ma i cattolici in politica si devono occupare molto di più dei temi sociali"; su questa base, il documento programmatico vuole dare ai cattolici "un terzo tempo", per recuperare unità e peso politico. 

L'orizzonte delle elezioni europee

Non parlare affatto di appuntamenti elettorali, in ogni caso, era impossibile, anche perché le battaglie devono poi essere fatte nelle sedi istituzionali. In questo, Gianfranco Rotondi ha riconosciuto, com'è ovvio, che gli interlocutori privilegiati dei sottoscrittori del documento di programma stanno nell'alveo del Partito popolare europeo: un partito che, al momento, vede affiliate come forze politiche italiane Forza Italia, l'Udc, formazioni territorialmente circoscritte (Svp, Patt) e due partiti che nel corso del tempo hanno perso rilevanza e visibilità, cioè i Popolari per l'Italia e Alternativa popolare.
Proprio da qui è partita una considerazione di Rotondi su come presentarsi alle prossime elezioni, a partire dalle europee: "decideremo serenamente come presentarci, se con una nostra identità oppure con un composé più largo che tenga conto delle regole elettorali". In caso di elezioni politiche anticipate, però, l'idea dell'ex ministro è netta: "avremo poco da decidere, perché tra un Pd in dissoluzione e un centrodestra schiacciato molto a destra, può darsi che ai democratici cristiani sia chiesto proprio quello che contestammo a Martinazzoli, cioè la corsa solitaria. Allora forse fu una defezione, ora potrebbe essere un dovere civico o morale". Fa una certa impressione sentire nelle parole di Rotondi il germe di uno schieramento potenzialmente diverso rispetto a quello di Silvio Berlusconi (unico vero punto di riferimento rotondiano degli ultimi vent'anni), ma l'eventualità - se Forza Italia insistesse in un accordo con la Lega - potrebbe non essere troppo lontana.  
L'idea, peraltro, è stata espressa anche da Renato Grassi, che ha sottolineato come si sia riunito un pezzo della diaspora democristiana. "non per mettere insieme alcuni pezzi di Dc, anche se è un nostro auspicio per il quale lavoriamo con pazienza, ma per guardare a un orizzonte più ampio, cioè l'esistenza di un soggetto politico che abbia una rappresentanza ampia dell'elettorato cattolico"; del resto, la Chiesa a più riprese ha formulato "un invito ampio e largo a fare rete e a portare in politica la cultura del bene comune", oltre che ad arginare l'espansione del sovranismo e della xenofobia in Europa. Il patto programmatico tra alcuni di coloro che si riconoscono nell'eredità democristiana serve proprio a questo ed è naturale che si guardi innanzitutto al Ppe, "anche se all'interno - ha precisato Grassi - riconosciamo contraddizioni e diversità", e alle forze politiche italiane che a quel soggetto europeo fanno riferimento. Ovviamente le elezioni europee rappresentano anche per Grassi un banco di prova: l'idea è di costruire, sempre a partire dai programmi, una proposta elettorale di cui essere "attori protagonisti in posizione paritetica". Grassi però sa che potrebbero essere proposte essenzialmente "liste identitarie riferite a uno o più partiti, magari con un riferimento solo grafico al Ppe": in quel caso, lui stesso invoca "una scelta diversificata e responsabile", il che vorrebbe dire non correre con Forza Italia, ma in una lista cattolica comune (con il serio problema dello scudo crociato, perché l'Udc sarà dentro Forza Italia, ma non accetterà mai che altre liste adottino un simbolo simile al suo). 
Altre considerazioni rilevanti sono arrivate da Mario Tassone, convinto che nello scenario politico odierno serva "di nuovo un partito dei cattolici in politica", pur sapendo che nel tempo se ne sono avvicendati e affiancati molti, compreso il suo Nuovo Cdu. In questo senso, Tassone ha ripetuto una sua convinzione già espressa altrove: "Ci sono molte sigle, molti emblemi che recuperano lo scudo crociato: questo non può esserci più. O c'è un'unità ritrovandoci tutti insieme, oppure le rendite di chi specula sullo scudo crociato non le accettiamo più ed è bene che lo scudo sia consegnato alla storia e a una fondazione, per salvare quello che è stato l'impegno dei cattolici in politica". Parole che sembrano un invito nemmeno troppo velato al suo partito precedente, l'Udc, a mettere definitivamente a disposizione lo scudo o a riporlo nell'armadio della storia, altrettanto definitivamente. Il tutto ovviamente non per ricostruire la Dc del passato, ma una versione aggiornata, che permetta di dare rappresentanza e soprattutto voce in capitolo ai cattolici, come secondo Tassone non hanno ormai da troppo tempo.

Le critiche

Tutto bene, tutto bello? Insomma. Alla vigilia della conferenza stampa, è circolata una nota da parte dell'Associazione iscritti alla Democrazia cristiana del 1993, guidata da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, decisamente critica nei confronti di quell'evento, che era apparso agli occhi di molti come un nuovo patto federativo: "la stessa cosa aveva già fatto a luglio con altre 10 associazioni Dc che oggi però non ha nemmeno invitato a questo nuovo tentativo di federazione". I relatori di ieri hanno spiegato che non si trattava di un'altra federazione, ma in effetti è strano aver visto come unico elemento di continuità - oltre a Rotondi, ovviamente - rispetto al disegno federativo qui già trattato la Dc già di Gianni Fontana e ora di Renato Grassi. 
La nota era piuttosto severa nei confronti di Rotondi: "Non è la prima volta che se ne va per conto suo ignorando gli accordi presi con le altre associazioni. Il suo rapporto privilegiato con Cesa lo ha sempre tenuto (per nostra fortuna) gelosamente per sé. Siamo curiosi di sapere cosa pensa Rotondi dell'incontro di Lorenzo Cesa, Angelo Sandri, Renato Grassi e Gianpiero Samorì tenuto sabato scorso all'Harry's bar. La pseudofederazione annunciata sarà costituita da persone che rappresentano pseudopartiti i cui rappresentanti hanno chiuso la Democrazia Cristiana e sono stati sconfitti dalla storia, come dimostra l’attuale situazione politica italiana. Dal 5 luglio siamo riusciti a incontrare Rotondi solo tre volte per sentire qualche minuto di 'supercazzola'. Non siamo mai riusciti a parlare né di politica, né di alleanze, né di formalizzazione della Federazione che si era impegnato a sottoscrivere dal notaio". 
Si annunciano dunque altri seri rischi di accuse incrociate e (purtroppo) strascichi legali tra chi si ritiene erede politico e/o giuridico della Dc, che potrebbero riguardare anche la campagna elettorale per le elezioni regionali in Abruzzo previste per i prossimi mesi. Lo scudo crociato, a quanto pare, sembra non conoscere pace, mentre tutti ritengono di poterlo impugnare.

mercoledì 27 aprile 2016

Una Federazione popolare molto democristiana

Se ne parla poco in queste settimane, prese come sono le cronache dalle liste che spuntano via via tra Milano, Roma e Napoli (con divagazioni altrove), ma alle prossime elezioni amministrative potrebbe spuntare anche il simbolo dell'ennesimo repackaging dell'area riconducibile alla vecchia Democrazia cristiana. Alla fine di marzo, infatti, è stata fondata in uno studio notarile di Roma Federazione popolare, un soggetto politico che si propone di riunire varie realtà politiche ispirate "ai principi della religione cattolica e cristiana e ai valori riformisti e liberali".
L'emblema, abbastanza anonimo, contiene il nome (con "Popolare" in maggiore evidenza) sopra a una fascia tricolore leggermente piegata su se stessa e, sullo sfondo, le dodici stelle della bandiera europea in parte nascoste dalla scritta. Come si vede, non c'è lo scudo crociato - inutile, del resto, rischiare di infilarsi nell'ennesimo contenzioso legale con l'Udc e con altri eredi veri o presunti della Balena Bianca - ma sono pienamente democristiani coloro che hanno voluto la nascita di quest'aggregazione. Vale innanzitutto per Mario Tassone, leader del Nuovo Cdu e per Giancarlo Travagin, già segretario amministrativo della Dc guidata nei primi anni 2000 da Angelo Sandri e da anni a capo del suo movimento Alleanza Democratica (con il gruppo che fu di Willer Bordon e Ferdinando Adornato, ovviamente, nessuna attinenza). 
Vale però anche, in qualche modo, per i Popolari per l'Italia e per Mario Mauro, eletto negli anni con Forza Italia, il Pdl e Scelta civica, ma riconducibile senza troppi problemi a quell'area politica (come vale del resto per vari esponenti di Pi, a partire da Potito Salatto). Vale sicuramente, infine, per Giuseppe Gargani, già campione di Balena Bianca, passato attraverso varie formazioni (compresi i suoi Popolari italiani per l'Europa) e attualmente presidente di un "Comitato popolare per il NO al Referendum sulle modifiche alla Costituzione", nel quale si riconoscono più movimenti e associazioni e che vede come aderenti anche gli stessi Mauro e Tassone.
L'idea è, come si diceva, di presentare liste alle prossime amministrative, a partire da Napoli, sostenendo Enzo Rivellini (e forse anche a Novara, città in cui - lista autonoma o no - è già stato annunciato l'appoggio a Daniele Andretta; su Milano si sta ancora ragionando); al gruppo avrebbero aderito anche altri eletti in parlamento e assemblee e comunque si tenterà di radicare la formazione sul territorio nei prossimi mesi, oltre che di sostenere il "No" al referendum confermativo sulla riforma costituzionale assieme ad altri comitati che sono sorti in questi mesi. 
"Per chiara decisione dei soci costituenti - si legge in un comunicato - la Federazione Popolare è aperta agli altri movimenti e partiti che vorranno aderire, entro la metà del mese di luglio 2016, garantendo a tutti la pari dignità e una gestione condivisa dei percorsi politici da intraprendere". Toccherà in primo luogo agli elettori, peraltro, stabilire il successo di questa nuova aggregazione.

venerdì 12 giugno 2015

Solidarietà popolare: coordinare i cattolici. Verso un partito?

A settembre, quando le prime notizie circolarono, si era parlato di "Confederazione dei Popolari Italiani". Ora che una struttura più compiuta c'è, il nome è leggermente diverso, Solidarietà popolare, ma il concetto è quello: concorrere a ricostituire una piattaforma culturale e sociale composta da credenti e da uomini di buona volontà che si rifanno all'insondabile patrimonio della cultura cristiana e all'etica costituzionale. 
Lo statuto è datato 28 marzo, giorno in cui si è svolta l'assemblea fondativa (teatro dell'evento, tanto per cambiare, un convento, quello di S. Sisto delle Suore Domenicane missionarie a Roma), e al momento, stando al sito - la federazione raggruppa almeno undici associazioni di area cattolica. Almeno, perché nelle prime notizie battute dalle agenzie all'epoca della fondazione i soggetti che avevano costituito la federazione stessa risultavano essere una ventina. Sul piano grafico, in realtà, il risultato è per lo meno discutibile: l'emblema, che affida l'azzurro al fondo e il tricolore alla parola "popolare" ripetuta tre volte sovrapposte in ordine sparso, non rende affatto bene; forse però si tratta di un primo tentativo, magari si potrà fare meglio. 
Nel soggetto collettivo è ben saldo il ruolo di Giovanni Fontana: dopo l'esperienza poco fortunata (soprattutto sul piano giuridico) della tentata riattivazione della Dc aveva fondato l'Associazione Democrazia cristiana e proprio da presidente di quel gruppo è stato tra coloro che hanno costituito la federazione. Proprio durante l'assemblea fondativa di marzo, Fontana è stato indicato come presidente di Solidarietà popolare: "Non si tratta della ennesima sigla di partito - aveva detto in quell'occasione Fontana - oggi iniziamo un percorso per far crescere dal basso un patto federativo di persone, di associazioni, e un domani forse anche di soggetti politici, che operi con capacità di inclusione". 
Tra i soggetti che dall'inizio erano parti del preaccordo alla base della confederazione (ufficialmente Fontana aveva dato la sua adesione, assieme tra l'altro a Luigi Baruffi dellla Federazione dei partiti democristiani, che però non risulta in alcun elenco di aderenti a Solidarietà popolare), si ritrova Rinascita popolare di Publio Fiori. L'evoluzione della Rifondazione democristiana avviata da Fiori nel 2006 non cessa di partecipare a iniziative che cerchino di riorganizzare e tenere insieme il mondo cattolico del sociale e della politica; anzi, la folla di persone disegnate nella parte inferiore del contrassegno di Sp ricorda molto quelle del contrassegno composito di Rifondazione Dc e Rp di qualche anno fa.
Tra i nomi che invece erano presenti nell'elenco iniziale, riportato dalle agenzie, più di qualcuno non è ripetuto nel sito. Si tratta a volte di sigle sconosciuti del tutto o in parte ai più (Centro Popolare Lombardo,  Accademia Gioacchino Belli, Associazione Armonia d'impresa, Bioacademy online, Fondazione Sorella natura, Presenza popolare, Ass. Difesa ammalati psichici, Associazione per il primato dei sindaci e dei cittadini, Associazione ricerca e cambiamento, Federazione Movimento Base, Azione civica umbra), ma tra queste c'è pure il Nuovo Cdu di Mario Tassone (che, per la cronaca, ha da poco modificato la forma della colomba nel suo simbolo). Non è dato sapere il motivo dell'assenza, visto che comunque ad alcune iniziative della federazione proprio Tassone risulta presente; una dimenticanza, un errore o cos'altro? 
Altri nomi c'erano a marzo e ci sono ancora: Associazione Prospettiva Avvenire, Associazione Culturale Art’s Planet, Associazione Nuovitalia, Comitato Italiano Popolo Sovrano, Identità Cristiana, Popolari Liberi e Forti, mentre si sono aggiunti Comitato per la civiltà dell'Amore e Rigenerare la Democrazia. Tra le new entry, però, bisogna considerare anche il Partito politici cristiani, "Siamo nati - spiega la presidente Carla Marri - soprattutto per dare una "casa" credibile e onesta ai cattolici sparsi nei vari partiti di sinistra e togliere loro l'appellativo anacronistico di 'cattocomunisti'". Graficamente il centro è una piccola croce rossa da cui promana la luce a raggiera su fondo blu; al di sotto, una frase evocativa, "In Te si raduneranno tutte le genti". "La frase - continua Marri - sta a significare la nostra apertura a tutte le persone di buona volontà che riconoscano nei valori cristiani le indispensabili fondamenta su cui ricostruire il tessuto del Paese". Per il momento, la strada per quelle nuove fondamenta sembra passare attraverso Solidarietà popolare: il tempo dirà di più sui risultati.

venerdì 1 agosto 2014

Cdu, nuovo simbolo ad ali spiegate

Lo aveva dichiarato proprio al sottoscritto, quando era stato intervistato per Termometro Politico: "Se lo scudo crociato dovesse bloccarci l’attività e l’impegno, lo scudo se ne va. Non sono semplicemente disponibile a impegnarmi in controversie giudiziarie, punto e basta". Proprio per evitare nuove scaramucce in tribunale o prima delle elezioni, Mario Tassone e gli altri dirigenti del risvegliato Cdu hanno deciso di rinunciare (non senza dispiacere) allo scudo crociato. 
Tassone, che del partito era stato il presidente del Consiglio nazionale fino alla sospensione dell'attività politica con la confluenza nell'Udc, aveva espresso con chiarezza il suo proposito fin dal 1° luglio, quando sulla sua pagina Facebook aveva invitato iscritti e simpatizzanti a votare sul sito del partito (www.cdu-italia.it, terribilmente simile a quello del suo partito di provenienza, www.udc-italia.it) per individuare il nuovo simbolo: "Tale scelta si rende necessaria per evitare, ad ogni tornata lettorale, contenziosi con altre formazioni poltiche che si ritengono i "legittimi proprietari" dello scudo crociato e per non rischiare la ricusazione dello stesso, come è avvenuto per le elezioni europee". 
Quella ricusazione, per prevedibile che fosse - ne avevamo già parlato qui - non era andata giù allo stesso Tassone, a Francesco Pilieci (che lo aveva depositato, anche se lo scudo era stato improbabilmente stiracchiato e dotato di un'ombra tricolore non troppo efficace, sperando forse che i nuovi dettagli bastassero a evitare la bocciatura) e alla direzione nazionale dei Cristiani democratici uniti appena ricostituita. Non a caso, per Tassone la bocciatura era fondata su "motivazioni inaccettabili, che si riferiscono a una possibilità di confondere questo simbolo con quello dell'Udc", mentre il contrassegno depositato era "graficamente diverso, pur richiamando quello originale dello scudo crociato": non era mancata l'occasione di infilzare gli ex compagni dell'Udc, "colpevoli" di avere tradito lo spirito autonomo delle origini del partito, "senza confusione e senza nessuna umiliante soggezione verso un altro leader", cioè Alfano. 
Alla fine, tuttavia, il boccone amaro era stato ingollato senza fare ricorsi (del resto non ci sarebbero stati i numeri per presentare la lista, per cui le elezioni europee erano state giusto l'occasione per ricordare al mondo la propria esistenza): il simbolo sostitutivo aveva fatto sparire lo scudo crociato deformato, giocava esclusivamente sulla sigla, identica al partito dei democratici cristiani tedeschi, di cui era stato ripreso anche il lettering. Il colore del fondo era blu (insolito per la Germania, non certo per il nostro paese) con il già visto semicerchio stellato, era rimasta una striscetta tricolore, ma la sigla CDU in rosso continuava a spiccare.
27 giugno, Consiglio nazionale Cdu
(dal profilo Twitter di Maurizio Eufemi)
L'emblema, ovviamente, restò sulle bacheche del Viminale senza finire sulle schede, ma quell'idea grafica doveva essere piaciuta a più di qualcuno: nella rosa dei contrassegni sottoposti al voto di iscritti e simpatizzanti, tutti avevano la stessa presenza della sigla, scritta giusto con una font più panciuta per farla risaltare meglio. A ben guardare, era l'unica vera costante, pur abbandonando il colore rosso: quasi sempre l'acronimo risultava bianco o (per esigenze di "fondo") blu, ma a cambiare era il contesto grafico. A volte c'era una croce rossa, su tutto il cerchio o solo sulla parte inferiore (un po' come la croce di san Giorgio della Lombardia), a volte la sigla era nel mezzo di un tricolore; in qualche caso ricompariva anche lo scudo crociato, in versione tradizionale o stilizzata e timidamente 3D.
Alla fine, tuttavia, lo scudo è stato messo da parte e il nuovo simbolo, frutto della consultazione, è stato presentato il 29 luglio in occasione del nuovo Consiglio nazionale del Cdu. Niente croce, con o senza scudo: a dominare è la sigla panciuta bianca, che risalta sul fondo blu color carta da zucchero; appena sopra, tra l'altro, si legge che questo è il "nuovo Cdu", anche se giuridicamente l'associazione è la stessa (probabilmente si sono volute evitare contestazioni di qualunque tipo). Il filetto tricolore, con un piccolo gomito, si è spostato verso l'alto, appena sotto il disegno di una colomba ad ali spiegate: "È un simbolo – spiega Maurizio Eufemi, già senatore per due legislature – di moderazione, di politica non gridata di confronto sereno, pacato". Se poi quel partito spiegherà le ali con la colomba, è presto per dirlo: certamente, in questo modo non rischia di aprirsi un nuovo capitolo di scontri in carta bollata tra antichi e nuovi compagni di scudo (crociato, ovviamente).

giovedì 31 luglio 2014

Ritorneremo democristiani: il tentativo di Lisi e Lucchese (con Tassone che aspetta)

È passata una settimana dalla riunione - conferenza stampa del Comitato nazionale degli iscritti alla Democrazia cristiana del 1992/1993 che doveva segnare, in qualche modo, un passo verso il ritorno della Dc. In effetti, il passetto è stato mosso alla Camera o, per lo meno, alla Sala della Mercede, per respirare di nuovo l'aria dei Palazzi che contano.
Alcune decine di persone si sono dunque ritrovate mercoledì scorso rispondendo all'invito del presidente del comitato Raffaele Lisi, nonché del presidente onorario Francesco Paolo Paolo Lucchese (classe 1935), che a Montecitorio c'è stato per cinque legislature, l'ultima delle quali per lui è durata una manciata di giorni, essendo subentrato a un deputato cessato dall'incarico appena prima che si sciogliessero le Camere (in compenso la stampa si era interessata a fondo a lui, che per quei pochi giorni aveva maturato il diritto allo stipendio fino all'insediamento del nuovo Parlamento). Nemmeno uno dei cinque mandati di Lucchese, peraltro, si è svolto sotto le vecchie insegne: quando ha messo piede per la prima volta alla Camera, la frittata era già stata fatta e il simbolo era la vela del Ccd, poi traslocata nel contrassegno dell'Udc.
Eppure, si diceva del passetto verso il ritorno. Nella Sala della Mercede si è consumato l'ennesimo richiamo alle anime sparse dei democristiani, migrate in altri partiti o ritirate in buon ordine, in attesa di tempi migliori. L'idea è di celebrare – stavolta facendo tutto per bene, non come le due volte precedenti – il XIX congresso della Dc, per ridare vita al partito. 
Ad ascoltare l'invito di Lisi c'erano anche alcune persone vicine a Gianni Fontana (che nel 2012 aveva provato a far celebrare l'assise e ne era uscito confermato come segretario, ma i giudici poi avevano bloccato tutto), ex consiglieri nazionali come Renato Grassi, vari esponenti locali che attendono il ritorno a pieno titolo dello scudo crociato (come il novarese Luigi Torriani) e si è visto persino Mario Tassone, che da alcuni mesi ha riattivato il Cdu di cui era presidente del consiglio nazionale e ha ripreso a fare politica con quello (usando lo scudo crociato o, quando proprio non lo si può usare, mutuando il lettering della Cdu tedesca), ma si dice pronto a partecipare al percorso congressuale, quando sarà messo in moto.
Perché l'idea è proprio questa: stare fermi in agosto – ma non troppo, visto che l'auspicio è di far nascere anche una cinquantina di gruppi di iscritti del 1992/1993 in tutta l'Italia, per estendere la partecipazione – e rivedersi al più tardi a inizio settembre, per fare il punto sulla raccolta delle ri-adesioni (e anche di quanto ci potrebbe essere in cassa, cosa non di poco conto). Fatto questo, la tappa successiva sarebbe l'agognato XIX congresso, da tenersi tra ottobre e novembre.
Chi lo dovrebbe convocare? Lo spiega lo stesso Lisi: "Dopo le sentenze che tra il 2009 e il 2010 hanno accertato che la Dc non è mai stata sciolta, se tutte le altre cariche sono decadute da statuto, di fatto l'unica rimasta in piedi è quella del segretario amministrativo". Vale a dire Alessandro Duce, nominato in zona Cesarini nelle ultime riunioni degli organi diccì e successivamente primo tesoriere Ppi (in seguito passato con Buttiglione): non a caso, proprio Duce aveva già provato almeno una volta (tra il 2001 e il 2002) a rimettere in moto la macchina democristiana, convocando il consiglio nazionale e attivando un tesseramento, prima che i giudici bloccassero tutto.
Ammesso che Alessandro Duce ne abbia veramente titolo ("Ma ce l'ha – ripete Lisi, che ne è convinto – perché la Corte d'appello di Roma ha riconosciuto che Rotondi era ancora tesoriere del mai sciolto Cdu pur avendo costituito la Democrazia cristiana per le autonomie, perché non dovrebbe valere anche per Duce?"), come si svolgerebbe il tutto? "Noi del comitato di fatto siamo il braccio, lui dovrebbe essere la mente: quando saremo pronti inviteremo ufficialmente Duce a incontrarsi con noi per fare ripartire la macchina organizzativa del XIX congresso". 
Secondo il presidente del comitato nazionale iscritti 1992-1993, dunque, sarebbe questione di pochi mesi: il tempo di contarsi e rivolgersi nelle dovute forme a Duce, perché convochi l'assise. L'unica certezza è che, in questa fase, solo chi era iscritto alla Dc nell'ultimo tesseramento valido (quello del 1992/1993) può prendere parte a questa riattivazione: non importa che in seguito abbia militato in un altro partito ("Era nell'ordine delle cose che si andasse altrove", nota Lisi), l'importante è che in quel momento fosse tra i soci del partito. Eventuali nuovi democristiani, giovani e scattanti, dovranno avere pazienza: se la macchina si rimetterà in moto, ci sarà posto anche per loro.

martedì 5 novembre 2013

Se Tassone vuole risvegliare il Cdu

A volte ritornano. Qui non si parla tanto dei politici (che, in realtà, ritornano quasi sempre), ma dei partiti. Operano per poco o molto tempo, poi confluiscono in nuovi soggetti e nessuno ne sa più nulla. Sembrano morti, invece sono solo messi “in ghiaccio”, pronti per essere scongelati se serve. Il caso più noto è quello di Forza Italia, ora forse si parla di Alleanza nazionale, ma l’11 maggio a Roma hanno iniziato a svegliarsi dal letargo anche i Cristiani democratici uniti, su impulso di uno dei loro dirigenti, Mario Tassone. E il Cdu vuole riprendere il cammino.
Il partito che fu creato da Rocco Buttiglione dopo la crisi all’interno del Partito popolare italiano nel 1995 avrà dunque una nuova vita? Ce lo facciamo spiegare direttamente da Tassone: a sentire lui, la sua battaglia è di ideali, che ora nell’Udc rischiano di perdersi (anche se ciò gli è costato, a quanto si apprende in rete, una richiesta di espulsione dal partito, che lui ha subito contestato). Una battaglia che però potrebbe portare con sé lo scudo crociato, anche se “il simbolo è importante, ma non indispensabile”.

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Tassone, ormai ha deciso di rispolverare il Cdu: come le è venuto in mente?

Mi è venuto in mente subito dopo che l’Udc ha scelto praticamente di “diluirsi” in Scelta civica, facendo di Monti il riferimento principale del nuovo centro. Pensavo che, cosi facendo, si sarebbe dispersa un’esperienza rappresentata dall’Udc, che si era costituita nel 2002 anche grazie all’apporto del Cdu, che aveva conferito tra l’altro il simbolo.

A studiare i partiti italiani si impara una cosa: scioglierne uno è quasi impossibile, perché ci sono sempre debiti da pagare, crediti da riscuotere, cause ancora in piedi…

Beh, noi nel 2002 dicemmo chiaramente che, anche con la costituzione dell’Udc, il Cdu sarebbe rimasto come associazione. Ora stiamo facendo vivere proprio quella, attraverso un confronto politico e culturale.