mercoledì 27 novembre 2024

MoVimento 5 Stelle: riflessioni tra statuto in evoluzione, voti da ripetere e dubbi sul simbolo

"L'amore della degenerazione [...] prelud[e] a un capovolgimento. [...] Il capovolgimento, che è fatale, e spesso avviene per una progressione quasi insensibile, produce l’avanguardia, conclusione di un romanticismo che abbia esaurito le sue carte." Non è dato sapere se Beppe Grillo o Giuseppe Conte - e, per estensione, le persone che li seguono - conoscano questa frase del filosofo Elémire Zolla (tanto caro a Filippo Ceccarelli, che lo ha citato spesso); certo è che i concetti di "degenerazione", da una parte, e di "progressione" e "avanguardia", dall'altra sembrano riassumere proprio la visione che il fondatore e (abrogando) garante del MoVimento 5 Stelle e il suo attuale presidente hanno di questo soggetto politico nella condizione attuale.
Se considerazioni teoriche e filosofiche, non interessano a un pubblico particolarmente ampio, magari per l'idea che in fondo abbiano poche ricadute pratiche, potrebbe dirsi lo stesso con riguardo alle dispute giuridiche: discutere di codici, statuti, articoli, commi e via controvertendo, dopo tutto, può sembrare ancora più arido rispetto ai discorsi sulla teoria. In questo caso, però, gli effetti pratici ci sono eccome: il messaggio di posta elettronica certificata con cui Grillo, quale garante ex art. 12 dello statuto del M5S (fondato nel 2017), ha chiesto di ripetere le votazioni sulle modificazioni statutarie effettuate tra il 21 e il 24 novembre scorsi (in base a quanto previsto dall'art. 10, lett. i dello stesso statuto) costituiscono un modo plastico di rappresentare il dissenso sul destino politico e organizzativo di quel soggetto/progetto politico.
Prima ancora che il nuovo voto - previsto tra il 5 e l'8 dicembre prossimi - abbia luogo, peraltro, si sono già fatte strada alcune ipotesi di scenario in caso di nuovo esito favorevole alle modifiche proposte dal gruppo dirigente del M5S e sfavorevoli alla posizione di Beppe Grillo. Inclusa la possibilità che Grillo rivendichi in qualche modo la titolarità del simbolo originario del MoVimento, così da rendere potenzialmente più difficile - ma non necessariamente impossibile - l'uso del fregio politico da parte dell'associazione-partito che ha Giuseppe Conte come presidente e legale rappresentante.
Si tratta di questioni tanto delicate quanto complesse, che meritano di essere analizzate con attenzione, per lo meno nei loro aspetti principali. E la questione del simbolo, certo da non trascurare, dev'essere considerata solo in seconda battuta.
 

Le modifiche allo statuto proposte

Occorre partire, infatti, dalle proposte di modifica dello statuto sottoposte alle iscritte e agli iscritti del MoVimento 5 Stelle nei giorni scorsi e che saranno nuovamente offerte loro a dicembre, vista la richiesta di Beppe Grillo di ripetere le prime votazioni.
In effetti, la consultazione online ha riguardato innanzitutto alcune proposte tematiche, con più domande relative a vari soggetti (Riforma del Sistema sanitario e tutela della persona; Crescita economica inclusiva e lavoro dignitoso; Contrasto all’evasione fiscale ed etica nell’impresa; Politica di pace ed Europa; La centralità della giustizia nella politica del M5S; Transizione ecologica e patrimonio naturale per un'ecologia integrale; Informazione libera e sovvenzioni alla cultura; Riforma della scuola primaria e secondaria; Riforme per un maggior equilibrio territoriale; Università e ricerca scientifica). Si tratta senza dubbio di questioni politicamente rilevanti: la discussione su proposte per decidere la linea di un soggetto politico dovrebbe essere sempre benvenuta. Bisogna ammettere però che l'attenzione dei media (e non solo la loro) si è appuntata soprattutto sui quesiti di natura organizzativa e, in particolare, su quelli riguardanti la "democrazia interna" del MoVimento.
Pure in questa sede, infatti, ci si concentra sui quesiti in grado di modificare lo statuto del M5S, non prima di avere ricordato che, in base all'art. 10, lett. b., punto 6 dello statuto vigente la modifica dello statuto spetta all'assemblea (cui partecipano tutti coloro che sono iscritti da almeno sei mesi, al di fuori di chi è sospeso o escluso dall'associazione), con votazioni indette con un preavviso di almeno 8 giorni; a differenza degli altri quesiti, di natura organizzativa, per le proposte di modifica dello statuto è l'art. 10, lett. e a precisare che il voto è valido in prima istanza purché partecipi almeno la maggioranza assoluta degli aventi diritto (non essendoci alcun quorum costitutivo per la seconda votazione). Sembra opportuno ricordare anche che alcune questioni sottoposte al voto delle persone iscritte, pur cruciali, non sono contenute nello statuto (come quella relativa al limite al numero di mandati elettivi che possono essere svolti, regolata invece dal codice etico); allo stesso modo, altre proposte non meno rilevanti non sono state formulate, almeno per ora, in termini di modifiche statutarie dirette (come per esempio la previsione dell'assenza di iscrizioni ad altri partiti politici nei dieci anni precedenti come requisito per la candidatura a presidente - accolta nel primo voto - o l'incompatibilità tra la carica di presidente e quelle di ministro, Presidente del Consiglio, della Camera o del Senato - invece non accolta).
Ciò detto, alcune proposte riguardano la composizione e i poteri del consiglio nazionale, pensato nello statuto del 2021-2022 come organo volto a coadiuvare il presidente "nella determinazione e nell'attuazione della linea politica del MoVimento" (art. 13, lett. a). Una punta ad aumentare da 4 a 8 "il numero dei componenti del Consiglio nazionale eletti direttamente dagli iscritti in rappresentanza delle Circoscrizioni territoriali" (per cui le iscritte e gli iscritti del Nord, del Centro, del Sud e delle Isole eleggerebbero due persone per circoscrizione, con necessario rispetto della parità di genere). Un'altra proposta mira a sottoporre la designazione e la revoca dei coordinatori territoriali - di spettanza del presidente - all'approvazione del consiglio nazionale, "previa consultazione dei rappresentanti dei Gruppi territoriali": questo per creare un sistema "più rispondente al principio di sussidiarietà". Lo stesso consiglio nazionale otterrebbe un peso maggiore in caso di approvazione della modifica volta a trasferire dal presidente all'organo collegiale l'autorizzazione di "eventuali alleanze politiche locali con partiti o movimenti politici" (il testo dei quesiti precisa che quest'autorizzazione dev'essere concessa anche - e forse soprattutto - se sui territori i candidati del M5S intendono allearsi con "partiti o movimenti politici non coalizzati, non federati o non alleati con il MoVimento 5 Stelle a livello nazionale").
Il punto più delicato e che ha ricevuto più attenzione da parte dei media è senz'altro quello relativo all'eliminazione o trasformazione del ruolo del garante, cui oggi l'art. 12 dello statuto affida il compito di "custode dei Valori fondamentali dell'azione politica del MoVimento 5 Stelle" (esercitando "con imparzialità, indipendenza e autorevolezza" i poteri indicati dallo statuto) e di interprete autentico e "non sindacabile" delle disposizioni statutarie. Iscritte e iscritti possono optare per l'eliminazione di quel ruolo (opzione scelta, secondo i risultati del primo voto diffusi sul sito del M5S, da 34438 votanti) o per la sua conservazione; in caso di eliminazione, si può scegliere se affidare le sue funzioni a "un organo collegiale appositamente eletto" (così hanno preferito 21293 persone), all'esistente comitato di garanzia (eventualità scelta da 20401 votanti) o non riassegnarle più (l'opzione meno scelta, da sole 8068 persone). Pure in caso di mantenimento del ruolo del garante, tuttavia, questo potrebbe essere depotenziato, eliminando il potere d'interpretazione autentica dello statuto, introducendo una durata definita del mandato (4 anni rinnovabili una sola volta consecutivamente) o trasformando la carica in chiave meramente consultiva e onorifica (privando le esternazioni del garante di ogni effetto pratico); va detto che il primo voto, pur favorevole - come si è visto - all'abrogazione del ruolo del garante, ha mostrato una spiccata tendenza a limitarne comunque i poteri in caso di conservazione (tutti e tre i quesiti in tal senso hanno visto prevalere il sì, con un margine minore per lo "svuotamento" del ruolo). Nello stesso senso può leggersi la proposta volta a eliminare la possibilità, per il garante, di chiedere la ripetizione delle votazioni in materia di modifica dello statuto (abrogando l'art. 10, lett. i poi fatto valere da Grillo).
Con riguardo al collegio dei probiviri e al comitato di garanzia - quindi gli organi collegiali di primo e secondo grado in materia di provvedimenti disciplinari per iscritte e iscritti - vengono sottoposte al voto modifiche illustrate come volte a rafforzare per quei collegi "l'indipendenza e l'efficacia dell'azione": se una delle proposte prevede l'aumento del numero dei probiviri da 3 a 5 (con la rosa degli eleggibili che passerebbe da 6 a 10), un'altra toglierebbe al garante - qualora fosse mantenuto - il potere di proporre la lista dei nomi delle persone tra cui scegliere i membri dei due collegi disciplinari, affidando la compilazione della rosa al consiglio nazionale.
Una modifica statutaria riguarderebbe anche la procedura di modifica del simbolo: la possibilità di modificarlo - con riguardo a entrambi i contrassegni descritti dallo statuto e a questo allegati - spetterebbe ancora al consiglio nazionale, ma la proposta potrebbe arrivare indifferentemente dal presidente o dal garante (se mantenuto: non ci sarebbe più, dunque, l'obbligo di concerto tra presidente e garante); di più, l'eventuale modifica dello statuto che accogliesse la modifica dovrebbe essere sottoposta all'assemblea degli iscritti. Il presidente, dunque, vedrebbe rafforzato il suo potere di proposta, ma si preciserebbe la necessità di ottenere l'avallo della base, chiamata a esprimersi sull'eventuale cambio di simbolo tradotto in modifica statutaria.
Come si è detto prima, Beppe Grillo ha chiesto di ripetere la votazione in base all'art. 10, lett. i (entro i 5 giorni previsti dallo statuto): ciò comporta soprattutto la previsione di un quorum strutturale per tutte le votazioni - anche per quelle non relative allo statuto - essendo richiesta la partecipazione al voto di almeno la metà degli aventi diritto: ecco perché non sono mancati appelli al non voto da parte di chi era contrario alla linea proposta da Conte e risultata prevalente nella prima consultazione.

Il dilemma del simbolo

Fissate le date per la ripetizione del voto, dunque con una nuova convocazione dell'assemblea online con votazione aperta per quattro giorni, c'è chi immagina già cosa potrebbe accadere qualora il quorum strutturale sia raggiunto (dunque ove esprimano un voto oltre la metà più uno degli aventi diritto) e il nuovo esito confermi l'eliminazione della figura del garante, dunque in sostanza estrometta Beppe Grillo da ogni decisione relativa al M5S. 
In questo senso, non è passata inosservata una dichiarazione rilasciata dall'ex ministro e deputato Danilo Toninelli all'interno del programma di Radio Cusano Campus Controinformazione, nella puntata del 25 novembre. Toninelli, oltre a esprimere dubbi sulla correttezza del voto (lamentando riduzioni sensibili degli aventi diritto in grado di influire sul quorum e la formulazione di alcuni quesiti - a quanto si può intuire dalle sue parole - in modo gradito a chi li ha posti), ha anticipato la scelta di chiedere il nuovo voto, ma ha pure annunciato che il leone ferito (Grillo) ha ancora "molte, molte altre zampate da dare". E tra le zampate potrebbe essercene una tanto "simbolica" quanto concreta: "Il proprietario del simbolo - ha detto Toninelli - è Beppe Grillo. Punto. Quindi Beppe quasi certamente (non penso che sia talmente stonato, scoraggiato da non farlo) impugnerà, farà un'azione legale, verrà sospeso tutto quanto e di conseguenza Conte sarà costretto finalmente a fare anche, diciamo, come nome, il suo partito [...] e quindi potrà seppellire in maniera dignitosa una storia gloriosa che invece è stata infangata dall'infamia umana".
Sulla gloria e sull'infamia, com'è giusto e quasi scontato, non ci si esprime. Seppellire i morti è, per chi si proclama cattolico, una delle opere di misericordia corporale (parce sepulto, si potrebbe dire in aggiunta), ma - come si è accennato prima - qui a mancare è soprattutto l'accordo sull'accertamento della morte: quella valutazione, peraltro, richiede necessariamente un giudizio di natura politica che, ancora una volta, non può essere dato su queste pagine. Sul punto si tornerà comunque più tardi (per un profilo non irrilevante da queste parti), ma la questione del simbolo è, ovviamente, tutt'altro che secondaria. Così com'è tutt'altro che pacifica e - ti pareva! - non controversa. 
Lo scorso 23 agosto, per dire, il deputato M5S e notaio Alfonso Colucci, ha dichiarato ad Adnkronos: "Sia il nome, sia il simbolo risultano intestati all’Associazione attuale. E Beppe Grillo in forza di specifici obblighi contrattuali - coperti da riservatezza [...] - ha espressamente rinunciato a ogni contestazione relativa all’utilizzo sia del nome e sia del simbolo del M5S, come modificati o modificabili in futuro dall'Associazione medesima". Quelle parole erano una risposta per nulla indiretta a un'intervista rilasciata a Guido Ucciero dall'avvocato Lorenzo Borrè (avvocato di molti attiVisti che hanno contestato decisioni prese dal M5S - anzi, dai vari M5S che si sono succeduti - nel corso degli anni) e pubblicata quel giorno stesso dalla Repubblica: "Il simbolo originario è di Grillo, che è anche l'unico titolare del diritto di utilizzo del nome 'Movimento 5 Stelle': lo dice una sentenza della Corte d’appello di Genova del 2021. Il logo attuale appartiene all’associazione dell'ex premier, ma è una derivazione diretta di quello di Beppe". Colucci ha poi aggiunto che quella sentenza genovese - di cui si è già parlato e si dovrà riparlare - non era stata resa nei confronti del M5S guidato da Conte, ma di quella guidata da Grillo.

Non un MoVimento, ma tre 

Già, perché occorre sempre ricordare che non c'è un solo MoVimento 5 Stelle, ma ben tre. Il primo (per comodità M5S-1) fu di fatto costituito nel 2009, si qualificava come "non-associazione" retta da un "non-statuto", in cui si indicava la natura di "piattaforma" e "veicolo di confronto e di consultazione" avente origine ed epicentro nel blog www.beppegrillo.it, individuato anche come sede del MoVimento. Quel M5S prevedeva l'adesione senza richiedere "formalità maggiori rispetto alla registrazione ad un normale sito Internet", ma poco si conciliava con gli adempimenti tendenzialmente richiesti per partecipare alle elezioni (per cui esistono documenti da presentare, spese da rendicontare e, prima di tutto, occorre dimostrare di "esistere" e di rappresentare correttamente un soggetto collettivo). 
Se in vista delle elezioni locali (soprattutto regionali) erano spesso state costituite associazioni apposite, l'avvicinarsi del voto politico nazionale del 2013 doveva avere consigliato di muoversi con ulteriore prudenza. Fu così che il 14 dicembre 2012, a Genova, davanti al notaio Filippo D'Amore si trovarono Beppe Grillo, il nipote Enrico Grillo e il commercialista Enrico Maria Nadasi, costituendo l'associazione Movimento 5 Stelle (M5S-2): l'atto costitutivo e lo statuto precisavano che la nuova associazione, nel condividere di fatto gli obiettivi del M5S-1, si sarebbe occupata "dello svolgimento degli adempimenti tecnico-burocratici necessari a consentire la presentazione alle elezioni politiche delle liste di candidati scelti in Rete dagli aderenti al Movimento 5 Stelle". Il MoVimento del 2012 (di cui Grillo risulta tuttora presidente), dunque, era nato come "strumento di servizio" per garantire l'operatività elettorale - e non solo - del MoVimento del 2009. Com'è noto, tanto il M5S-1 (nel 2014 e nel 2016) quanto il M5S-2 (nel 2015, col cambio di denominazione da Movimento a MoVimento) hanno con il tempo cambiato le loro regole interne, rimanendo sempre distinti tra loro. Nel frattempo, tuttavia, sono iniziate - vari anni dopo le prime polemiche legate alle espulsioni dal M5S, concretizzatesi con il ritiro dell'uso del simbolo - anche le azioni legali avviate da vari attiVisti (per contestare la loro espulsione, l'annullamento di consultazioni locali che li avevano visti prevalere o la loro esclusione da queste, oppure ancora le modifiche delle norme interne avvenute - secondo chi ha intentato le cause - senza il rispetto delle disposizioni del codice civile applicabili alle associazioni). Non pochi procedimenti si sono conclusi con ordinanze o sentenze favorevoli agli attori/ricorrenti e, decisione dopo decisione, doveva essersi concretizzato il pensiero che la costruzione originaria (e originale) del M5S del 2009, con le sue integrazioni successive, avesse più di qualche falla giuridica e fosse più opportuno ripartire da zero, trasferendo tutti gli iscritti in un soggetto giuridico nuovo.
Così in effetti è avvenuto, alla vigilia della presentazione delle candidature per le elezioni politiche del 2018: il 20 dicembre 2017, nello studio del notaio Valerio Tacchini, Luigi Di Maio e Davide Casaleggio hanno costituito un'ulteriore associazione denominata MoVimento 5 Stelle (M5S-3), che ha agito da allora in avanti sul piano politico, elettorale e burocratico. E sempre la stessa associazione (dopo le dimissioni di Di Maio da capo politico e la guida ad interim da parte di Vito Crimi), tra luglio e agosto del 2021, ha subito una metamorfosi politica e statutaria notevole, con la presidenza di Giuseppe Conte. Pure in questo caso sono state intentate cause, che in un primo tempo avevano visto sospendere le modifiche statutarie e la stessa nomina di Conte, poi - dopo un nuovo voto - non avevano ottenuto la sospensione o l'invalidazione delle nuove norme statutarie, tuttora in vigore. Tutto ciò senza che il M5S-1 (2009) o il M5S-2 (2012) possano considerarsi non più esistenti.

Scartabellando tra le domande di marchio

Se la situazione dal punto di vista dei soggetti giuridici denominati MoVimento 5 Stelle può apparire complicata, non è da meno il panorama "simbolico". E non solo o non tanto per le modifiche che questo ha subito nel corso del tempo (operazioni che non sono certo un'eccezione), quanto piuttosto per una delicata e potenzialmente problematica confusione tra i livelli normativi dei segni d'identificazione (nomi e simboli), dei segni distintivi (marchi) e dei contrassegni elettorali. Una confusione che non permette di rispondere con facilità alla domanda "Ma, insomma, di chi è il simbolo del M5S?".
Già, perché il simbolo del MoVimento 5 Stelle nasce come marchio, per l'esattezza come marchio europeo. Scartabellando nella banca dati dell'Ufficio della proprietà intellettuale dell'Unione europea, infatti, si trova il primo simbolo del M5S (in bianco e nero, con l'indirizzo del sito Beppegrillo.it), depositato per conto dello stesso Beppe Grillo il 30 settembre 2009 e registrato il 26 luglio 2010; risale a un tempo ancora precedente - il 14 novembre 2008, con registrazione effettiva il 21 luglio 2009 - il deposito del fregio che nel 2009 venne messo a disposizione delle Liste civiche a 5 stelle (e che in quell'occasione presentarono diverse varianti grafiche). Entrambi quei marchi, in ogni caso, sono scaduti e non risultano rinnovati. 
Il simbolo del M5S è stato depositato come marchio anche in Italia, esattamente il 20 marzo 2012: il richiedente era di nuovo Beppe Grillo, la mandataria era Margherita Raimondi, dello stesso studio di consulenza tecnica e legale per marchi e brevetti di colui che aveva curato i depositi come marchio europeo, Alfredo Raimondi. Pure qui il deposito era stato effettuato senza rivendicazioni sul colore, ma in questo caso mancava il riferimento al sito/blog di Grillo, essendo presenti soltanto - oltre alla circonferenza esterna - gli elementi che di fatto costituivano e costituiscono la rappresentazione grafica del nome del M5S.
Il database dei marchi europei contiene anche altre due domande di marchio, in realtà riferite allo stesso simbolo, nella duplice versione bianco/nero e (per la prima volta) a colori. Sul piano grafico, l'unica differenza rispetto ai fregi precedenti era la sostituzione del sito Beppegrillo.it con il nuovo indirizzo Movimento5stelle.it. Entrambe risultano depositate il 18 novembre 2015 (vale a dire il giorno dopo rispetto alle votazioni sul sito del M5S con cui si sarebbe dovuto scegliere tra inserire il nuovo indirizzo o lasciare lo spazio vuoto), stavolta non su mandato di Grillo, ma dell'associazione MoVimento 5 Stelle: l'indirizzo indicato sulla banca dati - Via Roccatagliata Ceccardi, 1/14, a Genova - fa capire che si tratta dell'associazione fondata alla fine del 2012 (M5S-2). La procedura di deposito, curata sempre da Alfredo Raimondi, si è conclusa con la registrazione il 21 luglio 2016. Da ciò scaturiscono due riflessioni: innanzitutto, se la registrazione è andata a buon fine a dispetto dell'esistenza del marchio precedente, si deve presumere che in qualche modo Grillo abbia consentito alla registrazione stessa (o, per lo meno, non vi si sia opposto), non potendosi escludere che abbia ceduto il marchio all'associazione da lui stesso presieduta; secondariamente, vista la data di deposito, il marchio sarà valido fino al 18 novembre 2025, dunque la protezione è tuttora efficace.
Non risultano altri marchi rilevanti nel database europeo, mentre ce ne sono altri due in quello italiano. Il primo porta come data di presentazione il 19 gennaio 2018 (vale a dire il giorno in cui il simbolo è stato depositato come contrassegno elettorale per le elezioni politiche) e di deposito il 22 gennaio, mentre la registrazione è avvenuta il 30 novembre dello stesso anno: la tutela del segno distintivo, dunque, scadrà nel 2028. Il sito riportato nel fregio, questa volta, è Ilblogdellestelle.it, nuovo indirizzo impiegato dal MoVimento 5 Stelle fondato nel 2017 (e gestito dalla Casaleggio associati) per diffondere notizie. In effetti a richiedere la registrazione è stato proprio il M5S-3 e come rappresentante è indicato il nome di Andrea Ciannavei, che era stato avvocato del M5S in alcune cause (e presso il cui studio era stata inizialmente fissata la sede del M5S-3 del 2017), anche se era domiciliato presso l'indirizzo dell'allora capo politico Luigi Di Maio. 
L'ultima domanda da considerare risale al 19 luglio 2021 e riguarda il simbolo attualmente impiegato dal M5S-3 (e presente nello statuto al pari di quello appena citato), cioè con il riferimento al 2050 come anno della neutralità climatica: pure in questo caso il soggetto richiedente è proprio l'associazione fondata nel 2017, pur essendosi profondamente trasformata nel frattempo (non a caso, la data di deposito segue di due giorni la diffusione del nuovo statuto). Diversamente da quella precedente, tuttavia, questa domanda è stata rifiutata. Ne aveva dato notizia ex post l'11 novembre un lancio dell'agenzia Adnkronos (firmato, come quasi sempre accade in materia di M5S, da Antonio Atte), spiegando che il 1° agosto 2023 l'Ufficio italiano brevetti e marchi avrebbe respinto la domanda di marchio, fondandosi su un parere richiesto al ministero dell'interno e risultato di segno negativo. 
Quella descritta ora è però una situazione già trattata su queste pagine per altri marchi politici: per l'art. 8, comma 3 del codice della proprietà industriale, "Se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall'avente diritto, o con il consenso di questi [...] i segni usati in campo [...] politico", ma è altrettanto vero che, secondo l'art. 10, comma 2, "Trattandosi di marchio contenente parole, figure o segni con significazione politica [...], l'Ufficio italiano brevetti e marchi, prima della registrazione, invia l'esemplare del marchio [...] alle amministrazioni pubbliche interessate, o competenti, per sentirne l'avviso" e, per il comma 4, in caso di avviso contrario, la domanda va respinta. Quando il ministero dell'interno ha emesso il parere richiesto, questo è stato negativo: lo scopo è "evitare che lo strumento giuridico del marchio di impresa si trasformi in una modalità per eludere le disposizioni speciali di carattere elettorale contenute in vari atti normativi che disciplinano i vari tipi di consultazioni e [...] gli adempimenti preliminari puntuali da perfezionare per mezzo di una documentazione sottoposta a tempi e forme ben precise", vagliata da uffici fissati dalle norme elettorali e con la previsione di speciali forme di ricorso. Il Viminale teme che un marchio identico o molto simile a un contrassegno elettorale possa confondere gli elettori, poiché l'ammissibilità di un marchio si valuta sulla base di criteri diversi rispetto a quelli previsti per le elezioni (quanto alla parte nominale e a quella grafica, al soggetto titolato a usare quel segno o alle persone legittimate a impiegare il fregio per conto del relativo partito). In più per il ministero è molto delicato il tema della propaganda elettorale, per il quale sono previsti limiti precisi: si vuole evitare, per esempio, che nei trenta giorni che precedono il voto qualcuno eluda il divieto di "propaganda elettorale luminosa o figurativa, a carattere fisso in luogo pubblico", giustificandosi dicendo che non espone un contrassegno elettorale, ma un marchio registrato. Per questo, il Viminale ha giudicato non registrabili marchi politici di forma circolare ("la quale, da decenni, è una caratteristica particolare dei contrassegni delle formazioni politiche") e che riproducano "troppo fedelmente i simboli di partiti e altri soggetti politici"; gli stessi segni notori sarebbero registrabili "a condizione che essi non possano essere caratterizzati, tecnicamente, come contrassegni i quali [...] sono contraddistinti dalla caratteristica forma circolare". Riesce difficile capire come mai siano stati registrati come marchio i segni depositati nel 2012 e nel 2018 e non quello presentato nel 2021, ma si prende semplicemente atto della situazione.

La confusione tra associazioni, simboli, marchi ed elezioni

Ricapitolando, esistono due marchi scaduti (uno europeo e uno italiano) registrati da Beppe Grillo, uno europeo efficace a nome del M5S-2 (presieduto da Grillo) e uno italiano efficace a nome del M5S-3 (presieduto da Conte). Questo quadro dev'essere necessariamente unito a quello dei tre diversi MoVimenti esistenti, da considerare insieme alle loro regole interne. 
In particolare, il "non statuto" del MoVimento sorto nel 2009 (M5S-1), all'art. 3, prevedeva che il nome del M5S fosse "abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d'uso dello stesso": il marchio registrato era depositato nel 2009 a livello europeo. L'atto costitutivo e lo statuto del M5S fondato nel 2012 ribadivano che titolare esclusivo di quel contrassegno era Grillo, che lo metteva a disposizione - insieme alla pagina web - dell'associazione (M5S-2) pur spettando a lui "titolarità, gestione e tutela del contrassegno"; nel 2015, con la modifica dello statuto di quest'associazione, quel documento contiene la descrizione del marchio europeo del 2015 e precisa che la titolarità esclusiva di quel simbolo spetta al M5S-2 (presieduto da Grillo, che appunto come presidente ha tra i suoi compiti l'adozione di iniziative a tutela dell'associazione, del suo sito e del suo simbolo). Nel 2017, con la fondazione del M5S-3, lo statuto precisa all'art. 1, lett. b che "Alla denominazione del 'MoVimento 5 Stelle' potrà essere abbinato il simbolo, di proprietà dell'omonima associazione 'MoVimento 5 Stelle' con sede in Genova, concesso in uso dalla medesima": l'associazione del 2012 ha dunque "concesso in uso" il proprio simbolo a quella omonima del 2017, che poco dopo la nascita ne ha usato una parte per il suo nuovo emblema (sostituendo l'indirizzo web riportato nella parte inferiore, senza però modificare lo statuto). Nel 2021, dopo la rivoluzione statutaria del MoVimento, nello statuto sono stati indicati come "utilizzabili autonomamente" i due simboli depositati come marchi dal M5S-3 (quello presentato nel 2018, registrato, e quello depositato nel 2021, la cui domanda è stata rigettata), senza più alcun riferimento formale al simbolo concesso dall'associazione del 2012 (M5S-2). 
Già con quello che si è detto fin qui potrebbe sorgere facilmente almeno un principio di emicrania, tra marchi scaduti e rifiutati, marchi validi decisamente simili tra loro (uno per il M5S-2 guidato da Grillo e uno per il M5S-3 guidato da Conte) e statuti in cui la "concessione in uso" del simbolo appare e scompare. Emerge un'indubbia confusione dei piani tra segni d'identificazione di un soggetto collettivo (il simbolo) e segni distintivi (il marchio), due realtà che hanno scopi alla radice molto differenti: in una delle prime ordinanze emesse nell'intricata vicenda relativa ai tentativi di far tornare in campo una Democrazia cristiana (per l'esattezza quella guidata da Flaminio Piccoli, nel 1999) si legge che "Gli scopi che il legislatore si è prefisso al momento di dettare le norme destinate a regolare i rapporti tra gli imprenditori in funzione di un più rigoglioso sviluppo dell'economia nazionale non sono coerenti con la natura giuridica dei partiti politici così come delineata dalla Carta costituzionale". Se non ci si vuole occupare della Dc, si può ripescare una sentenza della Cassazione civile del 1997, sui rapporti tra sigla e marchio, un passaggio della quale merita di essere ripreso (anche se era riferito ad altre disposizioni in vigore in materia di marchi, ma il successivo codice della proprietà industriale non ha cambiato particolarmente le norme): 
la sigla, quando è l'equivalente del nome dell'individuo o della società, gode della stessa tutela del nome, diversa da quella accordata alla ditta ed al marchio in quanto segni commerciali. La contiguità delle tutele in questione dipende dal fatto che tutte riguardano segni di identificazione comunque risalenti ad un soggetto [...]. Nondimeno la distinzione di ambito tra le medesime è evidente. Il nome della persona, fisica e giuridica, equiparandosi a quest'ultima l'associazione non riconosciuta, rientra nella previsione generale dell'art. 7 c.c. che individua nel nome il segno di identificazione del soggetto in quanto tale, indipendentemente dalla natura del soggetto e dunque dalla eventuale posizione del soggetto in un mercato, ma in virtù del solo principium individuationis. Le norme della legge speciale quindi, in coerenza con quella codicistica, ma in vista delle ulteriori e distinte esigenze dell'uso corretto del segno commerciale, vietano che questo possa avere come proprio contenuto il logo che individua un soggetto in quanto tale: il nome, appunto, oppure il suo equivalente. Tale divieto è stato completato con la previsione della irrilevanza, al fine di superarlo, della sua inclusione in un marchio. La legge dunque, dentro il corpus delle norme di diritto industriale, laddove ha delimitato il confine esterno del marchio, e dunque prima di stabilire i criteri di soluzione dei conflitti tra marchi, ha escluso che esso possa avere come proprio contenuto il nome altrui. Pertanto, non è possibile superare questa proibizione allegando proprio una inclusione della sigla nel marchio e la brevettazione del medesimo.
Già queste riflessioni sconsiglierebbero di sovrapporre i piani del simbolo e del marchio, ma ovviamente occorre prendere atto che tale sovrapposizione è avvenuta e avviene ormai da tempo, vista la tendenza - esecrabile, ma esistente - a chiedere la registrazione come marchio dei simboli politici e il fatto incontrovertibile dell'accoglimento di alcune di quelle domande di marchio. Naturalmente, nel caso che ci occupa, è più difficile parlare di un marchio che abbia "come proprio contenuto il nome altrui", visto che nella successione di atti emerge come il nome e il simbolo dell'associazione M5S-2012 siano stati messi a disposizione dell'associazione M5S-2017 che ne ha fruito e ne fruisce, in tutto (nome) o in parte (simbolo): da un certo punto di vista può dirsi che, se confusione c'è, è stata voluta - o per lo meno non evitata o non ritenuta da evitare - dalle parti in campo.
In qualche modo sembra confermare ciò anche la citata sentenza n. 1178/2021 emessa dalla corte d'appello di Genova a conclusione del processo di secondo grado sulla titolarità del nome e del simbolo del M5S, dopo che - sorto il M5S-3 alla fine del 2017 - il tribunale di Genova aveva accolto la richiesta di nominare un curatore speciale per il M5S-1 (la "non associazione" del 2009) per ovviare al conflitto dei ruoli di Beppe Grillo nei tre soggetti giuridici e questo curatore speciale aveva deciso di agire a tutela dei propri segni identificativi e dell'operatività della "non associazione" (ottenendo dai giudici, in sede di reclamo e di sentenza di primo grado, la consegna dei dati degli iscritti); per l'esattezza, occorrerebbe leggere insieme la sentenza di primo grado e quella d'appello. In entrambe le decisioni si dice che il M5S-1 (in persona del suo curatore speciale) non aveva dimostrato di avere "l'esclusività dell'utilizzo del nome e del simbolo descritto nel proprio 'non statuto', non essendo mai stato contestato dalle controparti il suo diritto all'uso". Per i giudici di seconde cure era fondamentale la lettura del "non statuto" (almeno della sua prima versione), nella parte in cui si parlava di Grillo come "unico titolare dei diritti d'uso" del contrassegno/marchio (e, di fatto, anche del nome, non potendosi secondo i giudici scindere gli usi dei due segni di identificazione), come sarebbe stato dimostrato anche - secondo la giudice di prime cure - dalle procedure di concessione o ritiro dell'uso del simbolo alle persone candidate o elette con il M5S. Si è detto sopra che il marchio - europeo e italiano - registrato da Grillo è scaduto; è invece ancora efficace il marchio europeo registrato dal MoVimento 5 Stelle del 2012 (evidentemente con il consenso di Grillo, visto che i due simboli erano pressoché identici), marchio concesso in uso prima al M5S-1, poi al M5S-3. Tanto più che nell'ultimo rendiconto - quello del 2023 - presentato a giugno dal M5S-2 alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, nella relazione al rendiconto stesso si legge (alla voce "Evoluzione prevedibile della gestione") che "si prevede la continuità della presente Associazione detentrice dei simboli MoVimento 5 Stelle, e dei domini www.beppegrillo.it e www.movimento5stelle.it".
Vero è che, come si è visto, il M5S-3 nel 2018 ha ottenuto la registrazione di un proprio marchio (con Ilblogdellestelle.it) e dal 2021 impiega un secondo segno (con 2050, la cui registrazione come marchio è stata rifiutata). Vero è anche, tuttavia, che entrambi i fregi sono pressoché identici, nella loro parte identificativa ("Movimento", V di fantasia e le cinque stelle), tanto al simbolo registrato come marchio da Grillo, quanto all'emblema registrato come marchio europeo dal M5S-2 nel 2015: in qualche misura anche la registrazione del marchio del 2018 da parte del M5S-3  dev'essere stata possibile con il consenso dell'associazione M5S-2 e, a monte, anche col consenso di Grillo (in fondo nel 2018 i "suoi" due marchi non erano ancora scaduti). Sarebbe dunque corretto chiedersi cosa accadrebbe se, a differenza di quanto accaduto finora, il MoVimento 5 Stelle fondato nel 2012 e presieduto da Beppe Grillo decidesse di revocare l'uso del proprio simbolo registrato come marchio (non ancora scaduto) al MoVimento 5 Stelle fondato nel 2017 e attualmente presieduto da Giuseppe Conte, che usa una grafica in gran parte sovrapponibile, Il problema non sarebbe di poco conto, anche perché - come ormai accade sempre più spesso - il simbolo non è più rappresentato da un pittogramma o da un'immagine ben identificabile, ma è costituito essenzialmente dalla resa visiva del nome del soggetto politico, quindi ritirare l'uso del simbolo significherebbe teoricamente pregiudicare anche l'uso del nome, vale a dire uno scenario molto problematico (che metterebbe in seria difficoltà un giudice che dovesse decidere su una simile domanda).
Si è potuto sperimentare, del resto, che persone che nel M5S avevano un certo seguito o almeno una notorietà non trascurabile (anche solo a livello locale), dopo la loro fuoriuscita dal MoVimento - per espulsione o per abbandono - candidandosi sotto simboli diversi quasi sempre hanno ottenuto assai meno successo rispetto a chi era rimasto nel M5S: ciò spiega perché, al di là della convinzione di essere dalla parte della ragione (quale titolare di nome e simbolo), il MoVimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte potrebbe non voler rinunciare a un fregio che oggi raccoglie meno voti rispetto a qualche tempo fa, ma ha spesso dimostrato di ottenere consensi tutt'altro che irrilevanti, a volte perfino a prescindere dalle persone candidate. 
Beppe Grillo, del resto, non sembra avere interesse a revocare l'uso del simbolo per impiegarlo a sua volta per rimettere in campo il MoVimento 5 Stelle presieduto da lui. Il 26 ottobre, per dire, in un video ha dichiarato: "da creatore del MoVimento, rivendico il mio diritto all'estinzione del MoVimento. [...] Lo sappiamo tutti, il MoVimento non c'è più: è evaporato, però [...] poi magari quest'evaporazione si trasforma in un ciclone, una tromba d'aria, non so..." Finora in politica era noto il concetto di "biodegradabilità" dei soggetti politico/elettorali e dei loro simboli, perseguito dai radicali, per cui la partecipazione a una consultazione elettorale con una lista e il suo contrassegno era vista soprattutto come strumento di lotta e battaglia sui temi, per poi esaurire il suo compito una volta terminato lo spoglio, spettando agli eventuali eletti continuare quelle battaglie in aula e fuori, insieme ai militanti. Beppe Grillo preferisce il concetto di "compostabilità", spiegandolo nello stesso video: "Non è biodegradabile il MoVimento, è compostabile: contiene ancora l'humus, gli zuccheri, le proteine, ci sono ancora dentro, è molto moderno [...] ci sono ancora idee meravigliose, anche su come ripensare il mondo".
Compostabilità a parte, c'è anche un altro motivo per cui difficilmente Grillo potrebbe voler rivendicare il simbolo del M5S per usarlo legato a proprie liste: un motivo che sta nelle leggi elettorali. Già, perché se il piano dei simboli come segni di identificazione e quello dei marchi sono diversi, un livello ancora diverso è rappresentato dai contrassegni elettorali le cui norme regolatrici, come "legge speciale", finiscono per prevalere. Non si può assolutamente trascurare, infatti, che tutte le leggi elettorali non ammettono "la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore". Non si può certo negare che tra il 2013 e il 2018 alla Camera e al Senato era presente il M5S-2 (fondato nel 2012), ma è comunque innegabile che dal 2018 fino a ora è il M5S-3 (fondato nel 2017) ad avere mandato in Parlamento i suoi esponenti - in parte già eletti con il M5S-2 - e dunque sarebbe l'associazione guidata da Conte a essere tutelata in sede elettorale, anche a danno del M5S-2 guidato da Grillo che decidesse di presentare liste. 
In un quadro simile, in cui ciascuna delle due parti ha qualche elemento a proprio favore (anche se gli elementi non sembrano avere lo stesso peso) senza avere la certezza assoluta di poter ottenere ragione dai giudici, probabilmente la soluzione migliore è cercare un accordo: un accomodamento, quindi, che permetta a chi sente di avere ragioni più forti di sentirsi vincitore senza stravincere e a chi fa il passo indietro più marcato di vivere la rinuncia senza sentirsi umiliato. Forse è questo il modo per scrivere una nuova pagina politica (scegliendo se chiudere la storia o farla solo evolvere) in maniera dignitosa. 

mercoledì 20 novembre 2024

Il dibattito sulla fiamma nel simbolo di Fratelli d'Italia: riflessioni sparse

Da anni il tema periodicamente ritorna di attualità: Fratelli d'Italia potrebbe abbandonare la fiamma tricolore che era stata del Movimento sociale italiano? Dovrebbe farlo? E, se lo facesse, che effetti potrebbe avere questa scelta? Il partito, com'è noto, nacque senza la fiamma, alla fine del 2012, 
Per dire, nel 2019, nei mesi precedenti le elezioni europee, fece un certo scalpore una dichiarazione dell'allora coordinatore Guido Crosetto (che peraltro non aveva un passato missino, avendo militato nella Democrazia cristiana, in Forza Italia e nel Popolo della libertà): "Nel percorso individuato da Meloni insieme altre realtà presenti nelle liste per le europee, da Fitto a Storace, si è parlato di un futuro che passa anche per il simbolo. Ma alle europee il logo non cambierà". In effetti non sarebbe cambiato (avrebbe solo aggiunto i riferimenti "Conservatori" e "Sovranisti" accanto al simbolo con la fiamma, sotto al nome della leader Giorgia Meloni), in compenso si affrettarono a escludere il venir meno della stessa fiamma tricolore figure di primo piano come Adolfo Urso (oggi ministro come Crosetto) e Ignazio La Russa, attuale presidente del Senato.
Dopo che alla vigilia delle elezioni politiche del 2022 (e anche un po' delle europee di quest'anno) da più parti erano arrivati inviti a Meloni affinché togliesse dal simbolo del suo partito il fregio adottato da Giorgio Almirante, questa volta a evocare il momento in cui, prima o poi, Fdi avrebbe rinunciato a quel soggetto grafico è stato un altro ministro del governo Meloni, Luca Ciriani (che si occupa dei rapporti con il Parlamento). La questione è emersa oggi in un'intervista con Salvatore Merlo per il Foglio:   
Se vogliamo andare avanti, e noi certamente vogliamo guardare avanti cioè al futuro, allora arriverà anche il momento di spegnere la Fiamma. Arriverà il momento in cui la toglieremo dal simbolo. Magari non sarà presto ma arriverà. Ma per scelta nostra, e non certo perché qualcuno ce lo impone. Già adesso si può ben dire che la Fiamma appartiene a una storia passata, quella della mia giovinezza, che certamente non rinnego. Oggi tanti giovani di venti o trent'anni non ne conoscono il significato. 
Il discorso arriva da una persona che ha militato per decenni prima nel Msi (poi Msi-Dn) e in An, poi nel Pdl, fino ad approdare a Fdi circa un anno dopo la sua costituzione. "Finita la fase della violenza politica che aveva appestato l'Italia intera - ha dichiarato Ciriani - nel Msi, ma soprattutto con An, emerse una classe dirigente che seppe interpretare la modernità. Uomini come Pinuccio Tatarella capirono che la politica si fa andando avanti e non guardando all’indietro. Quello del Msi era un mondo che difendeva e conservava se stesso, che viveva delle sue memorie, delle sue nostalgie, del suo reducismo. Mentre Alleanza nazionale, grazie anche a Tatarella, guardava avanti" Da destra e verso destra, in coerenza con le posizioni del passato, ma avanti. Il che, per Ciriani, voleva dire anche (e innanzitutto) "superare definitivamente quella dicotomia politica che ogni volta fa riemergere pulsioni e passioni da guerra civile". 
Nel progetto di partito conservatore che ha in mente Ciriani ("mettere insieme la tradizione della destra [...] con la tradizione liberale e risorgimentale, con quella cattolica") che posto ha la fiamma tricolore? Lo ha spiegato lo stesso ministro: 
Fa parte della nostra storia e della nostra identità, anche se l'abbiamo già superata, è un fatto acquisito. Con assoluta tranquillità. È un elemento simbolico, e come tanti altri elementi simbolici avrà la sua parabola, ma non sarà mai rinnegata. Senza drammi. E senza fanfare. Non è nemmeno un argomento di urgente dibattito. Accadrà e basta, anche perché solo quelli della mia età possono essere affezionati a quel simbolo superato. Ma per ragioni rispettabilissime e romantiche. La Fiamma è stata la mia giovinezza, per quel simbolo ci saremmo buttati sul fuoco ma a un ragazzo di adesso non gliene importa nulla. È giusto così e lo posso capire.
Da un certo punto di vista il discorso di Ciriani non è troppo diverso da quello che a più riprese è stato fatto da chi proponeva di lasciare alle spalle i vecchi partiti della Prima Repubblica e le loro insegne. Per dire, il 3 luglio 2010 Pierluigi Castagnetti scrisse sul quotidiano Europa: "Alle prossime elezioni politiche italiane voteranno per la prima volta i figli dell'Ulivo, i giovani nati quando Prodi decise di scendere in campo. Questi giovani, nati dopo il crollo del muro di Berlino, non sanno neanche che cosa sia stato il socialismo, cosa siano state le varie democrazie cristiane". Certo, c'è almeno una differenza rilevante: Castagnetti nel 2010 militava ormai in un partito - il Pd - che, al di là del rametto d'Ulivo, non aveva nel simbolo nemmeno un petalo della Margherita che aveva contribuito a farlo nascere (con i Ds) e, soprattutto, nemmeno un frammento dello scudo crociato che aveva connotato la Dc ed era ormai da anni conteso tra varie formazioni politiche. Il partito di Ciriani, invece, ha ancora la fiamma tricolore del Msi poi passata ad Alleanza nazionale (e ottenuta da Fdi proprio grazie al soggetto che ad An era ed è più vicino, la Fondazione An) e ora privata della base trapezoidale. 
Ciò non esclude, ovviamente, che in un futuro più o meno prossimo Fratelli d'Italia possa davvero scegliere di rinunciare alla fiamma tricolore nel suo simbolo: dovrebbe farlo con un processo decisionale interno, che deliberi anche la modifica dello statuto, dal momento che la descrizione del simbolo all'art. 4 indica, tra l'altro, che "In basso al centro, sovrapposto in parte centrale al tricolore, è raffigurata su fondo bianco una Fiamma Tricolore (verde, bianco, rosso) su base blu"; nello stesso articolo si legge che "L’Assemblea nazionale dispone eventuali modifiche del simbolo e può delegare a tal fine la Direzione nazionale", ma per le modifiche statutarie è competente il congresso, che però può delegare - espressamente - l'assemblea o la direzione nazionale.
Qualora ciò accadesse, quali potrebbero essere le conseguenze politiche per il partito? Naturalmente ogni militante o simpatizzante fa storia a sé, dunque generalizzare comporta senza dubbio una discreta percentuale di errore. Tuttavia è facile immaginare che i militanti dalla storia più lunga possano avvertire come mutilante quella scelta, fino a sentire come mutilata la loro stessa permanenza in Fdi: lo stesso Ciriani ha detto che per quel simbolo lui e altri militanti si sarebbero "buttati sul fuoco" e non si può certo escludere che per qualcuno non vedere più all'interno del proprio simbolo il fregio delle proprie origini, che aveva accompagnato la prima parte del loro percorso politico, sia una privazione dolorosa. Ci si sente di escludere, tuttavia, che per loro questa possa essere una ragione sufficiente per abbandonare Fratelli d'Italia: senza negare il peso dello "spegnimento" della fiamma, chi tuttora milita nel partito (che non ha alcuna continuità giuridica con il Msi poi diventato An) potrebbe comunque trovare continuità - e buone ragioni per restare - nella linea di Meloni e nei risultati del partito, oggettivamente impensabili fino a qualche anno fa anche per i sostenitori più convinti.
Tra coloro che, invece, si sono avvicinati a Fdi solo in tempi più recenti (aderendo al partito o limitandosi a votarlo), è più probabile che l'eventuale evoluzione simbolica sia avvertita in modo molto meno traumatico e con poche ricadute sul piano concreto. La scelta di rinunciare alla fiamma, anzi, potrebbe essere considerata in senso positivo, diventando motivo di apprezzamento: in quel modo, infatti, in concreto verrebbe meno uno degli argomenti utilizzati più spesso contro Fdi, cioè il collegamento con un passato che spesso viene visto come più o meno direttamente connesso al fascismo, sebbene la fiamma - suggerita in vista delle elezioni del 1947 a Giorgio Almirante da un mutilato di guerra (come racconta Adalberto Baldoni in Destra senza veli, libro uscito nel 2018 per Fergen di Federico Gennaccari) e realizzata graficamente per la prima volta da Emilio Maria Avitabile - fosse stata scelta ufficialmente pensando piuttosto a un legame con i combattenti, pensando anche alla fiamma degli arditi. 
Mettere da parte la fiamma tricolore, d'altra parte, potrebbe aiutare a costruire - facendo evolvere Fratelli d'Italia - un partito conservatore contemporaneo anche sul piano grafico. Non si può dire, del resto, che la fiamma abbia contrassegnato l'intera storia del partito: nel 2012, il 21 dicembre, Ignazio La Russa depositò come marchio una delle prime versioni del simbolo di Fdi, senza fiamma ma con il nodo di corde tricolore che nel 2008 accompagnò la confluenza di Alleanza nazionale nel Popolo della libertà; un mese prima, del resto, lo stesso La Russa aveva depositato con il medesimo scopo il fregio molto simile del Centrodestra nazionale (i circoli promossi da Massimo Corsaro). Sulle schede elettorali del 2013 arrivò una versione molto simile del contrassegno (la terza nell'immagine quassù, un po' più curata nella grafica); la fiamma spuntò solo l'anno dopo. Poco prima della fine del 2013, l'assemblea della Fondazione An concesse a Fratelli d'Italia l'uso anche parziale del simbolo di Alleanza nazionale: il partito di Meloni l'aveva chiesto soprattutto per evitare che altri - a partire dal Movimento per An di Francesco Storace, Adriana Poli, Luca Romagnoli e altri, nonché da Officina Italia - utilizzassero quel simbolo, potendo porsi come successori politici (non anche giuridici) della storia di An e, prima ancora, del Msi. Da allora sono passati più di dieci anni (e ne sono passati comunque nove dal nuovo voto che trasformò la concessione dell'uso del simbolo da temporanea era diventata a tempo indefinito) e, probabilmente, il bisogno di rivendicare legami con un percorso politico - anche solo per non lasciarli in altre mani - probabilmente si è affievolito.
Resta un ultimo, vero punto interrogativo: se dovesse sparire la fiamma dal simbolo di Fratelli d'Italia, spunterebbe un altro emblema? La curiosità, infatti, porta a chiedersi quale fregio potrebbe essere adottato per il nuovo corso del partito guidato da Giorgia Meloni. Il fatto che lei stessa sia presidente del Partito dei conservatori e riformisti europei (Ecr) potrebbe suggerire che, al posto della fiamma, possa arrivare il leone accovacciato del partito europeo, ottenendo così di rendere più visibile il ruolo europeo di Meloni e di proiettare Fdi in una dimensione politico-territoriale più ampia. Non si può escludere, tuttavia, che all'abbandono della fiamma possa seguire una scelta diversa, magari per una grafica "astratta", senza un soggetto ben identificabile o più legata al tricolore: non sarebbe certo una novità nella politica italiana, anche se sarebbe interessante, per una volta, se ci si sforzasse di individuare di nuovo un'immagine in cui militanti e sostenitori possano identificarsi, come si è fatto per tanto tempo ed è sempre più raro che avvenga.

venerdì 15 novembre 2024

Umbria, simboli e curiosità sulla scheda

Le ultime elezioni regionali previste per quest'anno si terranno in Umbria, negli stessi giorni in cui si voterà in Emilia-Romagna (17 e 18 novembre). Diversamente da quanto avvenuto in quest'ultima regione, tuttavia, l'Umbria rinnova la sua amministrazione a scadenza naturale, senza dimissioni causate dall'opzione del Presidente per un'altra carica (come, appunto, in Emilia-Romagna) o da vicende giudiziarie (come in Liguria). La presidente uscente, Donatella Tesei, si ripresenta, sostenuta dal centrodestra, avendo come principale avversaria Stefania Proietti proposta dal centrosinistra. La scheda elettorale, tuttavia, sarà ancora più affollata rispetto al passato: dagli 8 aspiranti presidenti del 2015 e del 2019 si passa ai 9 di quest'anno, mentre le liste - che nel 2015 erano 16 - sono lievitate dalle 19 di cinque anni fa alle 23 attuali.

* * *  

Giuseppe Paolone

1) Forza del popolo

Il sorteggio ha collocato in prima posizione la candidatura di Giuseppe Paolone ("Pino"), consulente aziendale ed esperto in bioedilizia. Si presenta sostenuto da una sola lista, Forza del popolo, che debutta dunque anche alle regionali umbre, dopo aver partecipato a quelle liguri poche settimane fa. Il simbolo depositato è esattamente lo stesso visto in Liguria, con il logo ufficiale blu, rosso e bianco del partito guidato da Lillo Massimiliano Musso (e di cui Paolone è vicepresidente) racchiuso da una sottile circonferenza tricolore. 
 

Marco Rizzo

2) Alternativa riformista

Secondo candidato alla guida della regione Umbria è Marco Rizzo, che si presenta sostenuto da due liste. La prima di queste, Alternativa riformista, lista che si era già presentata alle regionali umbre del 2015 e alle elezioni perugine del 2019 e del 2024: si tratta della formazione legata ad Amato John De Paulis (che ne è capolista) e, come in passato, ha in primo piano una foglia stilizzata (e stranamente tendente al blu) di cannabis sativa. Di evidenza pari a quest'ultima è il cognome del candidato presidente, inserito nel segmento circolare rosso collocato nella parte inferiore del cerchio.
 

3) Democrazia sovrana popolare

Vista la candidatura di Marco Rizzo alla presidenza della regione, non poteva mancare una lista della forza politica di cui lui stesso è coordinatore nazionale, vale a dire Democrazia sovrana popolare (si è già visto che il presidente, Francesco Toscano, si era candidato poche settimane fa in Liguria). Come contrassegno è stato impiegato anche qui il simbolo ufficiale, con le tracce di gesso (una verde e una rossa, di chiara ascendenza "progressista") accompagnate al nome, caratterizzato dalla stella rossa sopra la "i" e da uno stile handwriting per la parola "sovrana".
 

Martina Leonardi

4) Insieme per un'Umbria resistente

Terza candidatura sorteggiata è quella di Martina Leonardi, giovane educatrice professionale, profondamente impegnata nel contesto cooperativo umbro. Leonardi è stata scelta come candidata da Insieme per un'Umbria resistente, la lista messa in piedi da Potere al Popolo!, Partito comunista italiano e dal gruppo Futura Umanità. Il simbolo è pressoché identico a quello visto - pur con altri nomi - in Liguria e in Emilia-Romagna, incluso il nastrino con la bandiera palestinese: semplicemente, al posto di Rifondazione comunista, c'è il simbolo col pugno chiuso su fondo rosso di Futura Umanità. 
 

Elia Francesco Fiorini

5) Alternativa per l'Umbria - Azione civica

Si colloca al quarto posto sulla scheda la candidatura di Elia Francesco Fiorini, eletto proprio quest'anno consigliere di opposizione nel comune perugino di Magione, diventando capogruppo di Azione civica. E proprio il simbolo di Azione civica appare in miniatura nel contrassegno dell'unica lista a sostegno di Fiorini, Alternativa per l'Umbria (con il nome disposto su due righe, diviso da una fascetta tricolore, con la sagoma dell'Umbria sul fondo e il tutto inserito in un cerchio coi bordi scuri sfumati, per dare l'impressione della tridimensionalità). La lista, come il nome suggerisce, si pone in alternativa alle forze politiche maggiori e punta soprattutto sul contrasto al degrado urbano e sulla gestione della sanità pubblica.
 

Giuseppe Tritto

6) Umani insieme liberi

Dopo Fiorini il sorteggio ha indicato Giuseppe Tritto, medico specialista in uroandrologia ricostruttiva e medicina della riproduzione. La sua unica lista, Umani insieme liberi, si pone come "coalizione civica" di ben sette sigle e il suo contrassegno - pienissimo, dalla grafica rivedibile e probabilmente non facile da descrivere sui moduli, come accadde del resto con Libertà di Cateno De Luca - è certamente il più affollato di questa competizione: all'interno del cerchio delimitato da un tratto blu similmanuale, sotto al nome della lista (scritto in arancione su fondo blu, praticamente attaccato al confine del semicerchio in cui è inserito, quando lasciare un po' di respiro non sarebbe stato male) trovano posto le "pulci" di Insieme liberi, Comitato Umani (il Partito che saremo), Scelta libera, Partito valore umanoAgenda 2029, La Genesi e I Guardiani del Cielo. Cosa si può dire di più? 
 

Donatella Tesei

7) Unione di centro

La presidente uscente della regione, Donatella Tesei, si presenta alla ricerca della riconferma appoggiata da sette liste, riconducibili in gran parte ai partiti di centrodestra. La prima a essere sorteggiata è quella dell'Unione di centro, che in quest'occasione è solo uno dei soggetti politici che presidiano l'area moderata e centrista della coalizione di centrodestra (dunque dovrà vedersela con i partiti omologhi per conquistare i voti di quella parte politica). Il contrassegno impiegato questa volta riproduce in tutto e per tutto il simbolo ufficiale del partito, con lo scudo crociato collocato in primo piano su fondo azzurro con le vele di De e Ccd in filigrana e, nella parte superiore, il segmento circolare rosso con la scritta "Italia".
 

8) Alternativa popolare

La seconda formazione estratta della coalizione che sostiene Tesei nel tentativo di conferma è Alternativa popolare. Non si è affatto stupiti nel trovare questa lista alle elezioni regionali umbre: non si può certo dimenticare che il segretario nazionale del partito, Stefano Bandecchi, è sindaco di Terni, quindi è normale attendersi il suo tentativo di fare pesare il suo elettorato nel conteggio finale dei voti. Non stupisce nemmeno che il simbolo contenga, oltre che il nome e il cuore simil-Ppe (presenti già ai tempi di Angelino Alfano), il riferimenti diretto ai Popolari europei (aggiunto ai tempi delle ultime europee) e proprio a Bandecchi, ancora più recente. Colpisce di più, semmai, che il sindaco di Terni non abbia nemmeno provato a candidarsi in Umbria (dove avrebbe avuto più possibilità di essere eletto), avendolo invece fatto in Liguria (regione in cui l'obiettivo era oggettivamente meno a portata di mano).
 

9) Lega

È di natura chiaramente politica anche la terza lista della coalizione di Tesei: per l'esattezza si tratta del suo stesso partito, cioè la Lega. Rispetto a cinque anni fa (quando sfiorò l'incredibile quota del 37%), il simbolo ha conosciuto una variazione significativa: questa non riguarda ovviamente il nome della lista o la presenza di Alberto da Giussano come elemento centrale; è facile però notare che il riferimento a Matteo Salvini (e alla regione Umbria) è stato sostituito dalla dicitura "Tesei presidente". Si prende atto di come sia sempre più frequente la rinuncia del riferimento al segretario federale leghista, specie quando la candidatura sostenuta è legata alla Lega, per cui nel segmento blu si può trovare più facilmente il nome dell'aspirante presidente (o sindaco).
 

10) Noi moderati - Civici per l'Umbria

La quarta lista a sostegno della presidente uscente è composita, unendo in un solo contrassegno Noi moderati, il partito guidato da Maurizio Lupi (che per l'occasione nella grafica si restringe un po', in modo da lasciare spazio al partner elettorale), e i Civici per l'Umbria, che per i caratteri utilizzati sul fondo bianco - e sotto all'elemento tricolore - ricordano molto il gruppo di Umbria civica che aveva partecipato alle elezioni cinque anni fa. La lista rappresenta tra l'altro la natura del partito di Lupi, federato con varie realtà territoriali di rilievo (il capolista è Michele Toniaccini, sindaco di Deruta ed ex presidente regionale Anci).
 

11) Tesei presidente

Nella campagna elettorale del 2019 la coalizione di Donatella Tesei comprendeva anche una lista personale dell'aspirante figura di guida: la lista Tesei presidente per l'Umbria era così riuscita a raccogliere un numero di voti sufficienti per ottenere un seggio. Già allora il cognome della candidata era ben visibile, per colori (giallo su fondo viola) e dimensioni del testo (che pure era sottile); questa volta, però, il carattere usato per scrivere il nome Tesei presidente - lo stesso usato per il cognome nel contrassegno della Lega - è decisamente più imponente e rende il cognome della candidata impossibile da non vedere, anche per il contrasto tra il bianco del testo e il fucsia del fondo.  
 

12) Forza Italia

Si torna ai partiti del centrodestra con la lista di Forza Italia, che nel 2019 aveva ottenuto il 5,5%: molto meno di Lega e Fratelli d'Italia, sì, ma era riuscita comunque a ottenere un seggio e da lì avrebbe cercato di operare per riconquistare terreno. Il simbolo di quest'anno parte da quello coniato nel 2022 per le elezioni politiche, con il riferimento al Partito popolare europeo disposto ad arco nella parte superiore, la bandierina tricolore di Cesare Priori al centro e subito sotto il cognome di Silvio Berlusconi (senza la parola "presidente"); stavolta non è stato inserito il riferimento alla candidata, presente cinque anni fa.
 

13) Fratelli d'Italia

La coalizione a sostegno di Tesei si completa con la lista di Fratelli d'Italia, risultata seconda nella compagine del centrodestra nel 2019 (con il 10,4%). Rispetto a cinque anni fa, Fdi sulle schede elettorali fa arrivare l'ultima versione del suo contrassegno elettorale (vista anche alle più recenti europee), con il nome del partito in alto e il nome della presidente del Consiglio Giorgia Meloni subito sotto, all'interno dell'area blu, mentre nella parte inferiore conserva il posto - e s'ingrandisce - la fiamma; è sparito, invece, il riferimento alla candidata, rimasto solo sul contrassegno della "lista della presidente" e su quello della Lega. 
 

Stefania Proietti

14) Umbria domani

Si presenta sostenuta da sette liste anche la candidata del centrosinistra nella forma del "campo largo, molto largo", Stefania Proietti. La prima formazione indicata dal sorteggio è Umbria domani, nome che ricorda la lista Assisi domani, rilevante per le due vittorie di Proietti come sindaca di quel comune nel 2016 e nel 2021. Pure la grafica è identica a quella della vecchia "lista della sindaca", con un sole stilizzato che spunta dalla terra e il nome scritto nello spazio del cielo; spicca certamente il cognome della candidata nella parte del contrassegno tinta di verde.
 

15) Civici umbri

Se Umbria domani può qualificarsi come "lista della presidente", ma di fatto presenta vari candidati civici, ha di fatto una natura analoga la lista Civici umbri, nata dopo che un'altra parte di civici, guidata da Andrea Fora, ha guardato al centrodestra )Fora è candidato in Forza Italia). Rispetto alla lista precedente, qui il nome di Proietti non appare all'interno del contrassegno. Contrassegno che appare piuttosto fine e ben realizzato: a dispetto del nome scritto con un corpo piuttosto grande, colpiscono le scelte cromatiche, con un verde chiaro che tinge la parola "Civici" e un semicerchio inferiore dello stesso verde che sfuma verso l'azzurro, con un rametto delicato che emerge in filigrana. 
 

16) Umbria per la sanità pubblica - Pace

Terza formazione a sostegno di Proietti è Umbria per la sanità pubblica, lista creata da "una rete di associazioni, operatori sanitari e cittadini che intende estendere l’impegno per la tutela della Salute e della Sanità Pubblica a tutta la regione", ritenendo prioritaria "anche la cultura della pace, che affonda le radici nella spiritualità francescana e nel pensiero di Aldo Capitini". Il simbolo mette al centro del cerchio il concetto di "sanità pubblica", tingendolo di rosso (come il segmento superiore), mentre il segmento inferiore è tinto dei colori dell'arcobaleno e contiene la parola "Pace"
 

17) Partito democratico

Non poteva mancare, nella coalizione che sostiene Proietti, la lista del Partito democratico, parte essenziale nelle due vittorie della candidata come sindaca di Assisi. Si segnala che il Pd continua a utilizzare nelle competizioni regionali umbre il proprio simbolo ufficiale, senza aggiungere alcuna connotazione territoriale o il nome della persona candidata alla presidenza della giunta regionale: si tratta di una scelta che in qualche modo va controcorrente rispetto alle tendenze riscontrate nei territori e, proprio per questo, merita di essere messa in luce.
 

18) Umbria FuTUra

Si qualifica come nettamente politica anche la lista Umbria FuTUra, molto simile nell'impostazione - non solo grafica - a Emilia-Romagna FuTUra vista nell'altra regione chiamata contemporaneamente al voto. Il contrassegno, infatti, contiene le miniature dei simboli del Partito repubblicano italiano, di Azione, di Più Umbria riformista (sigla che unisce +Europa, come si può intendere dalle stelle europee presenti nella "pulce" , e un gruppo civico legato a Massimo Monni) e del Partito socialista italiano. Vista la composizione più variegata, però, la parte superiore oltre alla parola "Riformisti" contiene pure il termine "civici". Si tratta dell'unica altra lista della coalizione - oltre a quella "della presidente" - a contenere il riferimento alla candidata. 
 

19) MoVimento 5 Stelle

Di questo campo "largo, molto largo" fa parte anche il MoVimento 5 Stelle. Non si tratta di una sorpresa, ma di una conferma: già nel 2019 il M5S era stato uno degli elementi della coalizione a sostegno di Vincenzo Bianconi (che pure era stato sconfitto), così come è stato tra le forze che hanno sostenuto Proietti nella sua seconda candidatura come sindaca di Assisi nel 2021. Il simbolo impiegato in quest'occasione ovviamente è quello ufficiale ora impiegato dal MoVimento: non più quello con l'indirizzo Ilblogdellestelle.it, ma con il riferimento al 2050 come anno della neutralità climatica. 
 

20) Alleanza Verdi e Sinistra

Ultimo dei sette simboli presentati a sostegno di Proietti è quello di Alleanza Verdi e Sinistra, che in qualche modo supera la divisione delle liste riscontrata nel 2019, per cui avevano corso separate Europa Verde Umbria e Sinistra civica verde (senza riuscire a ottenere alcun seggio). Il contrassegno destinato alle schede è identico a quello visto alle elezioni politiche del 2022 e a quelle europee di quest'anno, senza alcuna variazione o aggiunta: si tratta in effetti dell'unico caso per Avs, in questo turno elettorale regionale autunnale. Capolista è Rosario (Gianfranco) Mascia, tra le figure di maggior impegno nell'area verde (passato per le esperienze dei girotondi e del "popolo viola"). 
 

Moreno Pasquinelli

21) Fronte del dissenso

Ottavo candidato alla guida della regione Umbria è Moreno Pasquinelli, ristoratore, già fondatore di Gruppo Operaio Rivoluzionario e di Campo Antimperialista, tra i promotori della manifestazione "Liberiamo l'Italia" per l'uscita dall'Ue e dall'euro (2019) e in prima linea contro le misure adottate durante la pandemia. Lo sostiene la lista Fronte del dissenso, indicata come "confederazione che raggruppa un centinaio di associazioni civiche e gruppi politici" sul territorio nazionale e come "comunione che si basa sui valori imperituri della giustizia sociale, della libertà, della benevolenza, della dignità inviolabile della persona". Il simbolo rappresenta una donna coronata di torri, una sorta di Italia turrita ma vista di profilo e con i capelli al vento, decisamente anticonvenzionali, al di sopra del segmento rosso e verde che contiene il nome della lista.
 

Fabrizio Pignalberi

22) Quinto Polo per l'Italia

Chiude la rassegna dei candidati Fabrizio Pignalberi, nome già noto a chi frequenta questo sito, viste le sue varie candidature - tentate o riuscite - soprattutto in Lazio e in particolare in Ciociaria. Questa volta Pignalberi è andato in escursione in Umbria ed è riuscito a candidarsi, sostenuto da due liste. La prima, Quinto polo per l'Italia, si vale di un simbolo già mostrato da tempo da Pignalberi in vista di possibili partecipazioni elettorali, con un archetto tricolore accostato alla sagoma tridimensionale - e altrettanto tricolore - dell'Italia; stavolta nel cerchio non ci sono però simboli in miniatura. 
 

23) Più Italia sovrana

Seconda lista a sostegno di Pignalberi - e ultima di queste elezioni regionali umbre - è Più Italia sovrana, che pare rappresentare l'evoluzione di Più Italia, movimento per il quale si era parlato dello stesso Pignalberi su questo sito vari anni fa. Il contrassegno contiene, oltre al nome della lista (in cui si intravede perfino il segno di marchio registrato, anche se in effetti è il simbolo di Più Italia a essere stato depositato, risultando tuttora sotto esame), anche il motto "Il Popolo al primo posto", sempre nella parte azzurra; nel semicerchio inferiore bianco spicca una statua della giustizia con tre nastrini (uno verde, uno bianco e uno rosso) che ricreano il tricolore nazionale.