Passa il tempo, ma non cessa il flusso di notizie legate alla Democrazia cristiana e, in particolare, ai vari tentativi - spesso confliggenti - di rimetterla in condizioni di operare giuridicamente e politicamente: varie novità erano attese in questo periodo, ma solo ora se ne riesce a dare conto in modo decentemente approfondito.
Il nuovo XIX congresso
Si era già ricordato, nelle scorse settimane, che era previsto per il 24 ottobre un nuovo tentativo di tenere il XIX congresso del partito, diverso da quelli che - giusto per citare gli ultimi - il 14 ottobre 2018 e il 12 settembre 2020 avevano eletto alla segreteria politica rispettivamente Renato Grassi e Franco De Simoni (con Raffaele Cerenza come segretario amministrativo).
Questa volta a convocare l'assise era stato Nino Luciani, in qualità di presidente dell'associazione Dc: si tratta del partito regolato non dallo statuto, ma dalle norme del codice civile, in una fase transitoria che si era aperta con la nota assemblea dei soci del 25-26 febbraio 2017 all'Ergife (disposta dal Tribunale di Roma ex art. 20 c.c. su richiesta di un gruppo di iscritti ritenuti pari ad almeno un decimo e che aveva eletto come presidente Gianni Fontana) e che secondo alcuni di loro non si era mai chiusa a causa dell'invalidità del XIX congresso celebrato nel 2018, non ancora dichiarata da alcun tribunale (se ne deve riparlare tra poco) ma riconosciuta da un'assemblea del 12 ottobre 2019 che ne avrebbe, tra l'altro, revocato gli atti.
Ora, attraverso il sito www.democraziacristianastorica.it, Luciani ha dato notizia che il XIX congresso da lui convocato si è effettivamente tenuto il 24 ottobre e si è concluso con la nomina dei nuovi organi dirigenti del partito. In particolare, lo stesso Nino Luciani sarebbe stato eletto segretario politico della Dc, così come sarebbero stati composti il nuovo consiglio nazionale (con presidente Franco Rosini) e la nuova direzione nazionale (che include anche la vicesegretaria Valentina Valenti e il segretario amministrativo Carlo Leonetti), nonché i nuovi coordinatori regionali e il collegio dei probiviri (tra questi Paolo Lucchese, che - salvo omonimia - dovrebbe essere l'ex parlamentare Ccd e Udc, già coinvolto in passato nel percorso di riattivazione della Dc).
Sempre nel congresso del 24 ottobre, svoltosi su Skype, si è deciso di riaprire le iscrizioni alla Democrazia cristiana per il 2021 per chi ne faceva già parte e anche per chi vorrebbe unirsi ora. Sono poi stati indicati i tratti fondamentali del nuovo manifesto politico della Dc: porre la persona al centro dell'azione del partito, evitare le tentazioni da "partito delle tessere" (agganciando la rappresentanza delle Regioni nel consiglio nazionale alla popolazione regionale, oltre che al numero degli iscritti in ciascuna Regione, e prevedere nello stesso consiglio i soli gruppi della maggioranza che esprime il segretario e della minoranza per raccogliere ogni altro rappresentante), proporre una riforma istituzionale dello Stato italiano (Parlamento monocamerale, sistema elettorale proporzionale puro, previsione dei soli gruppi di maggioranza e opposizione, voto di sfiducia solo dal quarto anno della legislatura), eliminazione dell'ente Provincia all'interno della Repubblica delle autonomie, impegno dello Stato su vari temi (difesa dei diritti umani e sociali, limite alla pressione fiscale, promozione del lavoro e della libera iniziativa economica, armonizzazione statale del mercato sul piano etico, riforma del sistema bancario), attenzione alla politica europea e internazionale, rispetto del Codice etico del cristiano impegnato in politica (curato da Guido Gonella e aggiornato nel 2016) da parte degli iscritti alla Dc.
Le reazioni a questo XIX congresso (e non solo)
Non ha ancora fatto programmi a medio termine Luciani, anche se tra i punti del manifesto politico - raccolta d'intenti c'è anche la partecipazione alle elezioni della Dc "da sola con il proprio simbolo", vale a dire con lo scudo crociato. In compenso, non si sono fatte attendere le polemiche di parte di coloro che non ritengono valido il percorso intrapreso da Luciani. Già il 20 ottobre, per dire, era stata inviata a Luciani una diffida da parte di Emilio Cugliari, che a sua volta si qualificava come presidente facente funzione della Democrazia cristiana, all'esito di una burrascosa assemblea degli iscritti tenutasi a Roma in presenza il 2 luglio di quest'anno, durante la quale Luciani sarebbe stato sfiduciato come presidente dell'associazione (Luciani invece nel suo verbale aveva ritenuto nulla la sfiducia e non conclusa quell'assemblea, poi proseguita in altre forme in seguito). Nella sua diffida, Cugliari aveva accusato Luciani di avere ingenerato, con la convocazione del XIX congresso "confusione tra gli iscritti e forti dubbi tra i cittadini e sostenitori" per non avere rispettato la decisione del 2 luglio sulla sfiducia e sulla revoca da ogni incarico nella Dc: Luciani era dunque stato diffidato, perché cessasse di agire in rappresentanza della Democrazia cristiana, ma come si è detto il XIX congresso da lui indetto si è comunque svolto.
Aveva reagito in termini molto severi, a congresso compiuto - ma non ancora annunciato - pure Alberto Alessi, già parlamentare Dc, figlio dell'ideatore dello scudo crociato Giuseppe e da tempo impegnato nel percorso di riattivazione della Dc che ha espresso come segretari prima Gianni Fontana e poi Renato Grassi. "Farsesca e illegale vicenda congressuale" è forse una delle espressioni più moderate - utilizzate in alcune conversazioni ampiamente diffuse via e-mail - con cui Alessi si è riferito all'iter che ha portato Nino Luciani alla segreteria.
Anche il percorso di riattivazione della Democrazia cristiana cui partecipa Alessi, peraltro, non è stato privo di scossoni in questo periodo. Ha fatto un certo rumore l'adesione, alla Dc-Grassi, dell'ex presidente della regione Sicilia Totò Cuffaro, con l'idea di dare maggiore corpo alla ripartenza di quel progetto politico avendo lui come coordinatore regionale: se però tra il 14 e il 15 novembre la notizia era apparsa con un certo rilievo su vari giornali (in particolare Il Riformista e Il Tempo), il 20 novembre sempre Il Tempo ha ospitato la rettifica di Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, per i quali né Cuffaro né Grassi avevano titolo per parlare in nome della Dc, cui ha fatto seguito il 25 novembre sulla stessa testata l'inevitabile controreplica di Alessi in difesa della legittimità dell'operato di Grassi e Cuffaro. Correzioni e controcorrezioni, che mescolano frammenti di verità a ricostruzioni imprecise o inesatte: ce n'è abbastanza per perdersi nei dettagli e accusare un persistente mal di testa.
Dc e congressi in tribunale
In realtà, come sempre accade in questa vicenda, la situazione è molto più complicata di così e periodicamente finisce davanti ai giudici. Presso il Tribunale civile di Roma pendono infatti due procedimenti, entrambi iniziati da Cerenza e De Simoni: uno per invalidare l'assemblea dei soci del febbraio 2017, uno per far dichiarare nullo il congresso del 2018. Il 6 ottobre, in particolare, era prevista una nuova udienza della causa relativa al congresso, con la Dc-Grassi che già prima aveva chiesto di rigettare ovviamente ogni domanda di Cerenza e De Simoni relativa al congresso del 2018.
Quel giorno, peraltro, Grassi aveva chiesto di sospendere quella causa in attesa che arrivasse a decisione quella relativa alla precedente assemblea del 2017. Va detto che sul piano giuridico la richiesta non era priva di significato: se il giudice avesse dichiarato nulla l'assemblea del 2017, tutti gli atti conseguenti - compreso il congresso del 2018 - sarebbero venuti meno, dunque non avrebbe avuto senso continuare i relativi giudizi, mentre ciò si sarebbe potuto fare ragionevolmente se la precedente assemblea non fosse stata invalidata. Grassi, tuttavia, ha sì chiesto la sospensione della causa sul congresso, ma sostenendo che ciò si sarebbe reso opportuno perché, ove il Tribunale avesse confermato "la piena legittimazione dei soci (tra i quali l’odierno convenuto [cioè lo stesso Grassi, ndb]) alla convocazione dell’assemblea del 25/26.2.2017", questi sarebbero stati legittimati a convocare anche le assemblee successive, incluso il congresso del 2018. Non era esattamente la stessa cosa, a ben guardare: un conto è dire (come si sostiene qui) che se viene meno la legittimazione a monte, ovviamente crollano tutti gli atti a valle, altro è ritenere che la riconosciuta legittimazione a monte renda legittimi anche gli atti successivi, senza peraltro tenere conto dei vizi autonomi che questi potrebbero avere.
Nel frattempo, peraltro, nel processo si erano registrate altre novità. Già a gennaio era stata suggerita l'eventualità di dichiarare estinta la materia del contendere dall'avvocato di Raffaele Lisi (già verbalizzante del congresso 2018): pur continuando a ritenere che l'assise congressuale fosse nulla, questi aveva notato che un'altra assemblea - del 12 ottobre 2019, guidata da Nino Luciani - aveva nel frattempo revocato gli atti congressuali dell'anno precedente in ragione dei loro vizi, quindi non c'era più interesse a proseguire la causa. Lisi poi era uscito dal processo a febbraio (l'aveva chiesto lui, visto che era stato citato solo come presidente del congresso e verbalizzante, ma non aveva avuto responsabilità per gli eventuali vizi degli atti: le altre parti non si erano opposte e il giudice lo ha effettivamente estromesso), ma in quella stessa occasione era intervenuta anche la Democrazia cristiana di Cerenza e De Simoni (stavolta non come soci che avevano impugnato gli atti del congresso 2018, ma nelle cariche della "loro" Dc riattivata il 12 ottobre 2019, in un evento contemporaneo a quello organizzato da Luciani). Si è così dovuta fissare una nuova udienza, prevista per il 24 marzo e poi rinviata appunto al 6 ottobre, a causa della pandemia.
Proprio il 6 ottobre De Simoni e Cerenza, nella qualità di attori di quella causa, hanno segnalato lo svolgimento del "loro" XIX congresso Dc il 12 settembre 2020 (che li aveva eletti rispettivamente segretario politico e amministrativo del partito), che aveva secondo loro rimediato ai vizi del congresso 2018: sulla base di ciò, dunque, non avevano "più interesse alla coltivazione" di quel giudizio, per cui poteva essere dichiarata la cessazione della materia del contendere. Si tratterebbe, dunque, della stessa soluzione proposta a suo tempo da Lisi e sostenuta soprattutto da Nino Luciani: costoro, tuttavia, l'avevano chiesto sulla base di quanto deciso dall'assemblea dei soci del 12 ottobre 2019, guidata da Luciani, mentre De Simoni e Cerenza non riconoscevano valore a quel passaggio, fondando invece la loro richiesta sul loro percorso, che li ha portati al XIX congresso celebrato esattamente undici mesi dopo.
Riesce difficile mettersi nei panni del giudice Francesco Scerrato (il quale, ahilui, nel 2015 aveva già dovuto dichiarare nullo il congresso Dc del 2012 che aveva eletto segretario Gianni Fontana, tra l'altro in una causa in cui era intervenuto lo stesso Cerenza), chiamato ad affrontare queste novità. Nella sua ultima ordinanza, datata 4 novembre ma depositata solo pochi giorni fa, il giudice ha ritenuto che il venir meno dell'interesse a proseguire la causa da parte di coloro che l'avevano iniziata (senza bisogno di doversi appigliare a questioni fatte valere da altre parti) avrebbe prodotto in sostanza lo stesso effetto richiesto dalla Dc-Grassi (cioè il venir meno di ogni richiesta degli attori in merito alla validità degli atti congressuali): per economia processuale, dunque, ha rigettato la richiesta di sospendere il processo nell'attesa che si definisse quello relativo all'assemblea del 2017 e ha comunque fissato l'udienza per precisare le conclusioni al 18 ottobre 2021.
Resta ovviamente pendente il processo relativo all'assemblea dell'Ergife del 2017 (e no, non è detto che per il 18 ottobre 2021 questa causa sia comunque definita...), che si sta svolgendo davanti a un diverso giudice. Inutile dire che l'eventuale nullità dell'evento di riattivazione del 2017 bloccherebbe definitivamente il percorso della Dc-Grassi, ma metterebbe in dubbio anche parte del percorso intrapreso da Luciani e anche da Cugliari (nessuno dei due, infatti, mette in dubbio la legittimità dell'assemblea all'Ergife).
A che punto è la Federazione popolare?
Al di là di quanto accade nelle aule di tribunale, occorre anche dare conto dello "stato di salute" di un altro progetto che si muove nell'area democristiana: quello della Federazione popolare dei democratici cristiani, presieduta da Giuseppe Gargani. Si è già visto come il progetto, che avrebbe dovuto portare molte sigle di ispirazione diccì a partecipare alle elezioni di settembre sotto le insegne dell'Unione democratici cristiani, poi alle regionali si sia tradotto di fatto nel semplice sostegno alle liste presentate dall'Udc, magari insieme ad altri soggetti, praticamente senza alcuna visibilità per la Federazione. Ciò aveva creato non pochi malumori tra chi aveva creduto nel progetto, soprattutto da parte della Dc-Grassi (si legga quanto scritto dal presidente del consiglio nazionale Renzo Gubert). All'inizio di novembre proprio il segretario Renato Grassi aveva scritto che la prima verifica della validità della Federazione alle regionali e amministrative era stata "disastrosa, nella assenza di una presenza politica identitaria della Federazione e nella applicazione di una sorta di 'patto leonino' imposto dall'Udc con motivazioni di puro interesse partitico": ben deciso a rifiutare la semplice confluenza nel partito guidato da Lorenzo Cesa (anche per non rinunciare, di fatto, ai passi compiuti fin qui dalla Dc), Grassi ha però riconosciuto che l'ennesimo nuovo soggetto politico centrista potrebbe caratterizzarsi "per l'irrilevanza politica ed elettorale" se non partecipassero Gianfranco Rotondi e lo stesso Cesa, di fatto gli esponenti con maggiore visibilità tra coloro che si richiamano a quella tradizione politica. Secondo Grassi non servono "rigide norme statutarie, che alla fine non vincolano nessuno", ma "scelte condivise e gestite da una struttura di coordinamento di carattere nazionale che operi per la progressiva aggregazione delle rappresentanze territoriali sui temi politico-programmatici e le scelte elettorali conseguenti". Un lavoro progressivo che, evidentemente, fino ad allora non c'era stato.
Nuovi incontri telematici hanno portato poi all'approvazione di un documento comune della Federazione popolare dei democratici cristiani, condiviso quasi da tutte le componenti: come ricetta contro l'individualismo in politica e dopo gli esiti delle ultime elezioni regionali (che avrebbero accentuato l'isolamento dei partiti ed "esaltato un nuovo sovranismo e un più pericoloso populismo in capo ai 'governatori'"), si è confermata l'idea che un soggetto politico che voglia definirsi "di centro" debba ispirarsi "al 'popolarismo', unica cultura attuale, moderna, rispetto alle altre ideologie che hanno dominato nel '900 ma che si sono estinte o sono state contestate tragicamente", così da essere alternativo alla destra e alla sinistra, facendosi portatore "di un'idea e di un progetto per il paese". L'idea, dunque, è di "dar vita ad un soggetto politico nuovo di ispirazione 'popolare' collegato strettamente al Ppe", cosa cui si potrà procedere una volta che i partiti e le associazioni partecipanti alla Federazione avranno fatto ratificare la decisione ai loro organi, così da fare passi concreti verso la partecipazione con una lista unica alla prossima campagna elettorale.
Anche questa volta, tuttavia, sembra che il maggior impulso debba arrivare dall'Udc (che, piaccia o no, pur nelle sue dimensioni ridotte rispetto al passato rappresenta tuttora il soggetto più consistente di quell'area e, per giunta, detiene l'uso elettorale dello scudo crociato): proprio il documento comune, infatti, "prende atto della convocazione del consiglio nazionale da parte dell'Udc per il 10 dicembre, finalizzato a dare avvio alla una nuova fase costituente" e si dice ancora che subito dopo, o comunque entro la metà di dicembre, si terrà una riunione "per definire gli adempimenti necessari a costituire il soggetto politico nuovo con un comitato rappresentativo di tutte le componenti, per rendere concreta e rapida la nuova fase".
Di tempo a disposizione non dovrebbe essercene pochissimo - se non altro perché, ove le Camere non fossero sciolte entro la fine di giugno del 2021, di elezioni si parlerebbe necessariamente dopo la scadenza del mandato presidenziale di Sergio Mattarella, dunque nel 2022. Per Ettore Bonalberti, oltre al progetto politico organizzativo, occorre "una Camaldoli 2021, un incontro sul programma in preparazione di un'Assemblea costituente del soggetto politico nuovo di centro democratico, popolare, riformista, inserito a pieno titolo nel Ppe". Si vedrà se questa volta si arriverà a un risultato politico davvero condiviso nell'area di centro, se salterà tutto per l'insistenza di qualche componente o se si verificherà una prevalenza dell'Udc. Comunque vada, difficile che non sorgano altre dispute sulla Democrazia cristiana...