mercoledì 23 agosto 2023

Simboli mal disposti sulla scheda: a Campobello di Licata si rivota

Fin dall'inizio questo sito ha fatto dei simboli dei partiti e dei contrassegni elettorali il principale tema di analisi, a volte discutendo espressamente di questo, in altri casi partendo dagli emblemi politico-elettorali per diffondersi a temi vicini e connessi. Di norma ci si concentra sul contenuto dei simboli, anche in ambito elettorale, ma se ci si occupa di elezioni talvolta è importante anche valutare il contesto in cui i contrassegni sono inseriti e, in particolare, la loro posizione e disposizione
La considerazione diventa inevitabile, se si considera il caso che da alcuni giorni - prima sui media locali, poi su quelli nazionali - sta ponendo sotto i riflettori il comune di Campobello di Licata, in provincia di Agrigento. Lì il 12 giugno 2022 si sono svolte le elezioni amministrative: com'è noto, in Sicilia si applicano norme speciali, dettate dal decreto legislativo del presidente della Regione n. 3/1960 e dalla legge regionale n. 35/1997, più volte modificata (uno degli interventi più noti è quello apportato nel 2016, che ha previsto la vittoria al primo turno nei comuni "superiori" per il candidato sindaco che raccolga almeno il 40%). Il 16 agosto è stata pubblicata la sentenza n. 531/2023 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana che ha dichiarato nulle le elezioni comunali dello scorso anno, rendendo dunque necessario ripetere tutte le operazioni elettorali. La decisione dell'organo di giustizia amministrativa di secondo grado per la Sicilia, che ha ribaltato la decisione di primo grado presa dal Tar Palermo lo scorso anno, non è legata a errori nei conteggi o a candidature indebitamente ammesse o escluse, bensì a un errore rilevante nella stampa delle schede, in particolare nella disposizione delle candidature a sindaco e dei relativi contrassegni: si tratta di un fatto singolare - anche se nemmeno così raro - e anche per questo è il caso di analizzare meglio i fatti e le decisioni.

I fatti (per quanto è dato sapere)

In vista delle elezioni amministrative del 12 giugno 2022 relative al comune di Campobello di Licata - al quale si applica la disciplina dettata per i comuni fino a 15mila abitanti dettata dalle norme siciliane - si erano presentati cinque aspiranti sindaci, sostenuti da altrettante liste. L'ordine sui manifesti e sulle schede è stato determinato ovviamente da sorteggio, previsto dalle norme in vigore (art. 7, comma 9 l.r. n. 7/1992): si erano così indicati al primo posto Andrea Mariani (Andrea Mariani sindaco Campobello 2.2), al secondo Antonio Pitruzzella (Antonio Pitruzzella sindaco - PD e M5S), al terzo Angelo La Greca (Angelo La Greca sindaco - Fonte di vita aiutalo a crescere insieme), al quarto Michele Termini (Corri Campobello - Michele Termini sindaco) e al quinto e ultimo Vito Terrana (Alleanza civica - Vito Terrana sindaco).
Quanto alle schede elettorali, le norme generali sono dettate dall'art. 16 del d.lgs.P.Reg. n. 3/1960 ("Le schede sono di tipo unico e di identico colore; sono fornite a cura dell'Assessorato regionale degli enti locali con le caratteristiche essenziali del modello descritto nelle annesse tabelle a e b, vistate dall'Assessore per gli enti locali"), mentre i modelli concreti di scheda sono stabiliti da un apposito decreto assessoriale (n. 86 del 24 marzo 2022 dell'Assessorato alle autonomie locali e della funzione pubblica. 
Il testo dell'allegato I) al decreto così recita: "La scheda è suddivisa in quattro parti uguali: la parti prima e seconda contengono gli spazi per riprodurre, verticalmente ed in misura omogenea, il rettangolo contenente il nominativo del candidato alla carica di sindaco, con accanto il contrassegno della lista. / Sulla destra sono stampate accanto a ciascun contrassegno due righe per l’espressione di due preferenze per due candidati alla carica di consigliere comunale della lista votata. / [...] Le parti terza e quarta vengono utilizzate secondo gli stessi criteri previsti per le parti prima e seconda, in modo da comprendere un numero complessivo di otto contrassegni. / Quando i contrassegni da inserire sono da 9 a 10, gli spazi vengono ridotti in modo che ciascuna parte ne contenga 5, ad iniziare dalle parti prima e seconda”. Il modello di scheda per i comuni inferiori è indicato dalla tabella A (riportata qui a fianco) e, come si può vedere, riporta fino a quattro candidature "impilate" in verticale.
Fac simile diffuso dalla lista Pitruzzella sindaco
Sulla base delle indicazioni del decreto assessoriale n. 86/2022, dunque, i primi quattro candidati sindaci (con relativi contrassegni), quindi da Mariani a Termini, dovevano essere "impilati" in verticale nella parte prima-seconda (quindi nella parte sinistra), mentre il quinto aspirante primo cittadino, Terrana (anche lui con il suo contrassegno di lista) doveva trovarsi subito a destra, nell'area superiore della terza-quarta parte. Proprio così, infatti, sono stati concepiti i fac simile di scheda prodotti e diffusi dai singoli candidati durante le quattro settimane di campagna elettorale.
Fac simile della vera scheda sbagliata (dal manifesto)
Il 12 giugno 2022, invece, a urne ormai aperte, è emerso che la Prefettura di Agrigento aveva fatto stampare le schede secondo un modello organizzato diversamente: come si legge nella sentenza emessa dal Tar l'anno scorso, "tutti e cinque gli spazi (sindaco e lista) erano riportati in successione nel solo lato sinistro. Di tal ché gli elettori, i quali erano convinti di trovare -in base al facsimile riprodotto nei volantini delle varie formazioni distribuiti durante la campagna elettorale - nell’ultimo rigo a sinistra la predisposizione per votare il candidato sindaco Michele Termini e la lista al medesimo collegata 'Corri Campobello', hanno trovato invece il candido sindaco Vito Terrana e la lista 'Alleanza civica'". Il risultato finale ha visto prevalere Antonio Pitruzzella con 1452 voti (25,57%), a una distanza minima da Vito Terrana (1434 voti, 25,26%) e Michele Termini (1414, 24,9%), mentre il distacco era maggiore rispetto ad Andrea Mariani (1115 voti, 19,64%) e Angelo La Greca (263 voti, 4,63%).
Subito dopo la fine dello scrutinio, peraltro, in un filmato Termini - futuro aspirante senatore per Italia viva - aveva preannunciato un ricorso al Tar "sulla distribuzione dei singoli voti, perché ci sono state molte irregolarità", riferendosi a quanto era avvenuto presso i seggi. Il 12 luglio 2022, in effetti, due cittadini elettori (vicini a Termini) hanno presentato ricorso al Tar di Palermo, puntando però il dito non tanto sulle operazioni di scrutinio e attribuzione dei voti, quanto piuttosto sulla stampa delle schede. In particolare, il ricorso era configurato come atto a tutela "dell’interesse pubblico generale al corretto svolgimento del procedimento elettorale", ritenendo che le schede "non conformi allo schema" previsto dalle norme non potessero riportare voti validi ("Sono nulli i voti contenuti in schede [...] che non sono quelle prescritte dall'art. 16", anche se probabilmente il legislatore si riferiva a schede "anomale" anche perché prodotte da stampatori diversi da quelli ufficiali) e che l'errore di stampa avesse "influenzato l'espressione di voto del corpo elettorale determinando uno sfasamento con la sua effettiva volontà". Elettrici ed elettori, insomma, sarebbero stati disorientati e ciò emergerebbe dalle 91 schede votate nelle quali - come verbalizzato in sede di scrutinio dai rappresentanti della lista 4, che doveva trovarsi "in basso a sinistra" mentre si è trovata in altra posizione - erano stati indicati voti di preferenza per candidati al consiglio comunale accanto a una lista diversa dalla loro.

Le decisioni contrastanti dei giudici 

Nella sentenza di primo grado - pubblicata il 5 ottobre dello scorso anno - il Tar Palermo aveva innanzitutto confermato che ogni cittadino elettore poteva impugnare l'esito del voto amministrativo e la proclamazione degli eletti, "a tutela dell'interesse generale alla libera e corretta espressione del voto, proprio dell'intero corpo elettorale": non occorreva dunque - come invece sosteneva il comune di Campobello di Licata - che i ricorrenti agissero a tutela di un proprio interesse personale o prospettassero di avere espresso in modo errato il loro voto proprio a causa della scheda stampata in quel modo. Nonostante questo, il ricorso era stato respinto (con tanto di condanna a pagare le spese processuali del comune).
Per i giudici amministrative di prime cure, da un lato, le norme sulla validità o nullità dei voti riguardavano il destino del singolo voto espresso sulla base del comportamento del rispettivo elettore (dunque alla possibilità di far emergere l'effettiva volontà della persona che vota e all'eventuale presenza di comportamenti volti deliberatamente a far riconoscere il voto o ad alterarne la genuinità, cosa che avviene per esempio usando schede diverse da quelle "ufficiali", perché prodotte da altri soggetti e, in quanto tali, di provenienza "non [...] certificata dal visto assessorile"); non era invece prevista espressamente la nullità di tutti i voti espressi su schede "ufficiali" (oltre che correttamente bollate e vidimate) ma non rispettose dei decreti assessoriali sul piano grafico. In mancanza di una previsione apertis verbis di un'eccezione tanto rilevante al principio di conservazione del voto, per il collegio non era giusto dare spazio a "una così grave e generalizzata ipotesi di nullità, comportante la radicale invalidità non di singole espressioni di voto bensì la caducazione dell’intera elezione" (secondo il principio per cui le norme eccezionali non si possono applicare a casi analoghi non tipizzati).
Dall'altro lato, i giudici avevano richiamato il principio generale in materia elettorale in base al quale "tra le molteplici e possibili irregolarità sono rilevanti solamente quelle sostanziali, ovvero quelle che possano influire sulla sincerità e sulla libertà di voto, atteso che la nullità delle operazioni di voto può essere ravvisata solo quando sia stato impedito il raggiungimento dello scopo al quale l'atto è preordinato" (così si leggeva, per esempio, in Consiglio di Stato, sez. II, sent. n. 984/2022). Per loro, però, non si poteva "sostenere seriamente che l'elettore chiamato ad esprimere il proprio voto indichi la propria scelta inconsapevolmente e meccanicamente - come fosse un automa - solo sulla scorta della posizione del simbolo della lista o del nominativo del candidato sindaco (chiaramente distinguibili dalle altre liste e dagli altri candidati) nella scheda elettorale". Non c'erano nemmeno, per il collegio, indizi sufficienti a sostenere che la diversa "organizzazione" della scheda avesse influito sulla genuina espressione dei voti: i 91 casi di preferenze abbinate in modo sbagliato (su un totale di 5806 votanti) sarebbero stati relativamente pochi e, comunque, non per forza legati senza dubbi all'errore nella progettazione della scheda (ma magari "alla volontà, possibile, di esprimere un voto disgiunto", pur se non contemplato in quel sistema elettorale).
Evidentemente insoddisfatto dall'esito della sentenza di primo grado, il 24 novembre 2022 (poco dopo la notifica della pronuncia) uno dei due ricorrenti ha scelto di impugnare la decisione del Tar presso il Consiglio di giustizia amministrativa. Secondo la sua difesa, infatti, la scelta della Prefettura di Agrigento di apporre il "visto si stampi" su una bozza di scheda difforme dal "modello legale" predisposto dall'assessorato competente (e che, come tale, non avrebbe presentato "le caratteristiche essenziali atte a garantire la regolarità del procedimento elettorale e la corretta e genuina formazione ed espressione della volontà del corpo elettorale") avrebbe compromesso il diritto di voto dell'intero corpo elettorale, a causa di "una inammissibile deviazione delle tassative prescrizioni in materia di composizione e stampa della scheda elettorale".
Benché il comune abbia ripetuto le sue tesi sul merito già accolte dal Tar, l'organo di secondo grado ha deciso di accogliere il ricorso: se nessuno ha contestato il fatto che il 6 giugno 2022 (meno di una settimana prima del voto) la Prefettura avesse dato il "visto si stampi" - per poi far distribuire ai seggi di Campobello - a una scheda elettorale "che si è discostata parzialmente – ma, certamente, in modo che non può considerarsi irrilevante – dalle “caratteristiche essenziali” del modello di scheda di votazione fissato" col decreto assessoriale n. 86/2022, il collegio di seconde cure non ha condiviso le conclusioni del Tar né sul piano formale né su quello sostanziale. In primo luogo, per i giudici non si può superare il dato letterale della disposizione (dettata come eccezione rispetto al principio di conservazione della volontà dell'elettore) "sono nulli i voti contenuti in schede [...] che non sono quelle prescritte dall'art. 16” del d.lgs.P.Reg. n. 3/1960: il testo sicuramente si riferisce a una scheda "non ufficiale" (o "materialmente falsa, ossia 'stampata in proprio'"), ma l'espressione non può non comprendere anche l'ipotesi (improbabile e imprevedibile, ma che qui è accaduta) di una scheda fornita dalla Prefettura ma "stampata in modo essenzialmente difforme da come prescritto". I voti espressi su tali schede, quindi, sarebbero da considerare - sia per le parole usate, sia secondo un ragionamento logico, sia in base ai fini di tutela della genuinità del voto - ugualmente nulli, anche se in quel caso non ci sarebbe alcuna responsabilità dell'elettore (che, anzi, sarebbe la vittima).
Per il collegio non occorre fare altre verifiche e da queste considerazioni discende direttamente la necessità di annullare e ripetere il voto: a suo dire "il legislatore non ha considerato possibile, né comunque in alcun modo tollerabile, che siano mandate in stampa schede così frontalmente difformi dal modello approvato"; d'altra parte, "non avrebbe alcun senso prescrivere l’approvazione di un modello da parte dell'Assessore, se poi fosse priva di conseguenze pratiche anche la violazione delle sue 'caratteristiche essenziali'". 
Per i magistrati, poi, il legislatore avrebbe anche potuto non stabilire quanti contrassegni di lista fossero da prestampare su ciascuna parte della scheda, ma visto che lo ha fatto anche quell'elemento si configura come "essenziale", dunque gli uffici della Prefettura dovevano essere diligenti per verificare il rispetto anche di quel requisito indicato dal decreto assessoriale, prima di dare il "Visto si stampi"). I 91 casi di abbinamento scorretto di preferenze a liste in cui quelle persone non erano candidate, se per il Tar e per il comune erano pochi, per il Consiglio di giustizia amministrativa erano indice del disorientamento e della confusione sorti in parte degli elettori e potevano essere ricondotte alla difformità della scheda rispetto al modello - conforme al decreto assessoriale - impiegato sul materiale elettorale diffuso; in più quei casi anomali "assumono un rilievo significativo se si considera il limitato scarto di voti tra il candidato Sindaco eletto e gli altri due candidati che seguono per numero di voti attribuiti" (anche se qui non c'è spazio per eventuali "prove di resistenza", cioè per valutare l'impatto dei casi dubbi sui dati elettorali ufficiali, perché in questo caso si contesta "un aspetto generale dell’operazione elettorale, quale l'irregolarità delle schede utilizzate dagli elettori" e comunque il dato testuale della disposizione sulla nullità del voto su schede difformi non lascerebbe dubbi)

Gli effetti della sentenza di secondo grado

Per le ragioni appena ricordate, la sentenza ha accolto il ricorso, dichiarando nulli tutti i voti espressi, con "conseguente annullamento delle elezioni", condannando alle spese la Prefettura di Agrigento per entrambi i gradi di giudizio (anche considerando che l'ente non si è sostanzialmente difeso), mentre le spese sono state compensate con il Comune di Campobello di Licata.
Cosa accadrà ora? La domanda è tutt'altro che infondata, sotto vari aspetti. Innanzitutto la Prefettura ha avviato un'indagine informale interna ("Stiamo cercando di capire come mai, all’epoca, sia stato fatto quello che il Cga ha considerato un errore - ha dichiarato ai media il prefetto Filippo Romano, insediatosi dopo le elezioni in questione -. Il Tar non lo aveva considerato tale, ma il Cga ha deciso così ed è una sentenza definitiva: è quindi un errore, dobbiamo prenderne atto e correggere per il futuro"); la sentenza, tra l'altro, è stata trasmessa alla Procura regionale della Corte dei conti "per gli eventuali profili di competenza in relazione ai suoi effetti".
Si dovrà poi ripetere il voto dichiarato nullo, anche se non è ancora chiaro quando: posto che si attende la nomina del commissario da parte dell'assessore regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, è già stato emesso il decreto assessoriale per indire per il 22 e il 23 ottobre i comizi elettorali per i comuni di San Giuseppe Jato (Pa), Bolognetta (Pa) e Calatabiano (Ct), sciolti per infiltrazioni mafiose nel 2021. La data del voto, dunque, potrebbe non coincidere con queste (anche se in teoria un nuovo decreto potrebbe indire le elezioni nelle stesse date). 
Resta anche da capire l'estensione esatta della nullità: il sindaco uscito eletto dal voto dichiarato nullo sembra non essere certo della sua ricandidatura ("La decisione non sarà personale, ma verrà concertata con il partito. Considerato che la sentenza è inappellabile, per me il terzo grado di giudizio sarà dato dal responso degli elettori. Ci rimetteremo, spero unanimemente, in campo, rifaremo la battaglia e saranno i cittadini di Campobello a dire se l'amministrazione Pitruzzella merita o meno di proseguire il suo mandato"). Il dispositivo parla di "necessità di integrale rinnovo delle operazioni elettorali", ma occorre sottolineare che lo stesso ricorrente aveva chiesto la "ripetizione e/o rinnovazione delle predette operazioni di voto presso tutte la Sezione elettorali del Comune di Campobello di Licata", il che farebbe pensare invece che non si debba ripartire dalla presentazione delle candidature - il che, tra l'altro, allungherebbe di certo i tempi del ritorno alle urne - ma dall'inizio della campagna elettorale, conservando come validi tutti gli atti collocati prima della stampa delle schede. Nessuna contestazione infatti risulta essere stata mossa all'offerta elettorale (non si sa di liste la cui ammissione o esclusione sia stata messa in dubbio), dunque sarebbe irragionevole - e inutilmente dispendioso - ripetere tutto il procedimento elettorale preparatorio. Il dubbio in ogni caso è legittimo: quando nel 1990 a Pisa il simbolo della lista Per il Litorale fu sostituito per errore da quello del Pci alle elezioni circoscrizionali si rivotò con le stesse liste (benché a livello nazionale il Pci avesse cambiato nome e simbolo) e gli stessi candidati; quando nel 1994 fu confuso in sede di stampa il contrassegno di una lista a Piscinas (Sud Sardegna, allora in provincia di Cagliari), invece, il procedimento fu ripetuto per intero. Si deve dare atto che, in base all'art. 56, comma 2 del d.lgs.P.Reg. n. 3/1960, "Divenuta definitiva la pronuncia giurisdizionale di annullamento, l'elezione avviene nel rispetto della procedura indicata dalla vigente legge elettorale e nei tempi previsti dal vigente ordinamento amministrativo degli enti locali. Nell'ipotesi di consultazione parziale degli elettori restano ferme [...] le liste dei candidati": non essendo in presenza di una consultazione parziale, sembrerebbe di dover ripetere l'intero rito dall'inizio.
Da ultimo, si registrano polemiche legate al fatto che a demolire il voto del 2022 sia un organo sì giurisdizionale, ma nel quale siedono anche due figure "laiche", di nomina politica, il che ha fatto sospettare qualcuno (incluso il non-più-sindaco, stando all'intervista rilasciata oggi al manifesto) che si fosse davanti a una "sentenza politica". Su questo punto non ci si esprime; ci si sofferma piuttosto sulle diverse interpretazioni e ricostruzioni normativo-sociali date dai due collegi di giudici. Il Tar ha seguito una lettura "sostanziale" delle disposizioni, lette anche in chiave di "economia procedimentale": l'offerta elettorale non era stata alterata, il diverso disegno della scheda aveva una portata limitata, non tale da influenzare in modo percettibile l'esito del voto (e comunque non così grave da giustificare la demolizione di un risultato e la ripetizione del voto, con relativo esborso di nuove risorse); in più, ha cercato di adottare una lettura "evolutiva" del cosiddetto "elettore di media diligenza", rifiutando l'immagine - ritenuta degradante - della persona che in cabina elettorale vota solo, soprattutto o innanzitutto in base alla posizione del nome o del simbolo sulla scheda. Il Consiglio di giustizia amministrativa, invece, ha proposto una lettura decisamente attenta alla forma delle disposizioni, cioè del tutto aderente al senso "fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse" (così recita l'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, che precedono il codice civile), argomento che prevale su ogni altro, anche sull'intenzione del legislatore. Considerando una "caratteristica essenziale" della scheda elettorale anche la disposizione di candidature e contrassegni, in concreto il collegio di seconde cure ha fatto capire che non è ancora sparito - e forse non solo in Sicilia - il mondo in cui c'è chi vota "in alto a sinistra", "in basso a destra" o - come stavolta - "in basso a sinistra" (e questo anche se ormai da più di trent'anni l'ordine dei simboli sulla scheda è determinato dal sorteggio e non dall'ordine di deposito delle liste). 
Poco importa, a questo punto, il motivo per cui le cinque candidature sono state "impilate" tutte a sinistra: può essere stato fatto per distrazione, per maggiore eleganza grafica o - perché no - per seguire l'idea (della tipografia, più che della Prefettura) di mettere tutti i concorrenti sullo stesso livello e non dare all'ultimo candidato, vista la sua posizione "isolata" a destra, un rilievo diverso rispetto agli altri. Se una lezione si può trarre da questo caso, per concludere, è che occorre prendere sul serio tutte le disposizioni e le norme in vigore in materia elettorale: si possono non condividere, si possono criticare (e in certi casi è più che comprensibile), ma finché ci sono vanno rispettate. Vale per chi vuole concorrere, ma vale e soprattutto anche per chi deve applicarle perché la "macchina elettorale" funzioni a dovere. 

lunedì 21 agosto 2023

Cuffaro, Cesa, Rotondi e altri: ancora sul simbolo della Dc in tribunale

Lo si è ricordato spesso in questo sito, ma tocca ripetersi ancora: le liti legate alla Democrazia cristiana sembrano non conoscere la parola fine e, per questo, le notizie più recenti non sono mai "ultime", ma almeno "penultime". Se n'è avuta l'ennesima prova il 17 agosto, quando le agenzie hanno fatto sapere che il Tribunale di Roma il giorno prima si era espresso su un ricorso presentato dalla Dc guidata da Salvatore "Totò" Cuffaro nei confronti dell'Udc (Unione dei democratici cristiani e di centro), partito il cui segretario è dal 2005 Lorenzo Cesa e che fin dalla sua nascita nel 2002 schiera in primo piano lo scudo crociato con la scritta "Libertas" storicamente usato dalla Dc (e giusto un po' rivisto): in base a quanto diffuso dai media, il giudice designato avrebbe riaffermato il diritto dell'Udc a usare lo scudo crociato, respingendo le richieste di Cuffaro.
La notizia ha inevitabilmente prodotto commenti e altre reazioni, alcune delle quali meritano la stessa attenzione del fatto alla loro base. Come puntualmente accade quando si parla di Democrazia cristiana, però, è fortissimo il rischio di fare o creare confusione, magari considerando direttamente coinvolto dalla decisione del giudice anche chi da questa non è minimamente citato. Vale dunque la pena cercare di capire bene cos'è stato chiesto, cos'è stato deciso e che effetti possono discenderne.