Visualizzazione post con etichetta lega lombarda. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lega lombarda. Mostra tutti i post

sabato 8 agosto 2020

Fava e Pini: "Rivogliamo il simbolo della Lega Nord per le amministrative"

Chi l'ha detto che la politica nel mese di agosto va in vacanza? Quest'anno, complici anche le elezioni regionali e amministrative previste per il 20 e 21 settembre, no di certo. Ma non si tratta solo di preparare le liste e raccogliere firme: ci sono anche questioni di non poco conto legate all'essenza stessa dei partiti, di quelli che operano e anche di quelli che sopravvivono, in un modo o nell'altro.
Non ha mancato di generare interesse, in questo senso, la chiusura - il 4 agosto - del primo tesseramento valido per tutto il territorio italiano della Lega per Salvini Premier. Molti hanno interpretato quell'evento come la "morte" la "fine" della Lega Nord; in realtà non è esattamente così, visto che - come era stato dichiarato pubblicamente al congresso del 21 dicembre 2019 da Roberto Calderoli - la Lega Nord dovrà per forza continuare a esistere, se non altro per tentare le varie vie di ricorso possibili, in sede europea, nel tentativo di reagire alle sentenze che hanno creato in capo al partito l'obbligo di restituire i noti 49 milioni di euro di finanziamento pubblico e, comunque, per continuare l'opera di restituzione che era stata concordata con i magistrati, con versamenti a cadenza bimestrale.
Se però la Lega Nord continua a esistere, qualcuno tra i soci ordinari militanti (quelli cioè che hanno diritto di voto attivo e passivo all'interno del partito) si è posto una domanda: perché non presentarsi alle elezioni amministrative con il simbolo della Lega Nord? Si sono fatti portatori di quest'istanza, in particolare, due ex parlamentari leghisti, Giovanni Fava per la Lombardia e Gianluca Pini per la Romagna e si sono rivolti direttamente al commissario federale della Lega Nord (anzi, Lega Nord per l'Indipendenza della Padania: il nome ufficiale è ancora questo) Igor Iezzi, deputato dal 2018, che ricopre quella carica nel Carroccio dopo le dimissioni di Matteo Salvini, per l'incompatibilità tra la segreteria di quel movimento e la guida della distinta Lega per Salvini Premier. "Quello della Lega Nord al momento è un caso più unico che raro - dice Fava, appositamente intervistato per I simboli della discordia -. Non ho mai sentito prima di un partito che continua a esistere e, come attività unica o prevalente, concede l'uso del suo simbolo a un altro partito, senza partecipare alle elezioni. Per questo abbiamo cercato di muoverci a modo nostro." 
Gianni Fava - deputato per tre legislature dal 2006 al 2013, poi assessore lombardo all'agricoltura, sfidante di Matteo Salvini alla segreteria della Lega Nord nel 2017 e spesso incaricato di presentare contrassegni e liste del Carroccio - rivendica di essere stato tra coloro che, già da mesi, avevano rinnovato la loro iscrizione alla Lega Nord: "In base allo statuto, modificato al congresso del 21 dicembre 2019, l'iscrizione alla Lega Nord come socio ordinario militante è normata dal regolamento del partito, precisando che spetta al consiglio federale stabilire l’importo delle eventuali quote associative: nell'ultima versione del regolamento, che risale al 2015, si legge all'articolo 4 che i soci ordinari militanti hanno l'obbligo di rinnovare la tessera entro il 31 marzo di ogni anno, pena decadenza. Poiché da almeno due anni il consiglio federale non fissa alcun importo delle quote e, allo stesso tempo, non ci risulta che sia stato modificato il regolamento del partito, io e altri militanti storici come Gianluca Pini abbiamo deciso di iscriverci comunque alla Lega Nord entro il 31 marzo, ritenendo che fosse tuttora valida l'ultima delibera in materia del consiglio federale che aveva stabilito in 50 euro la quota per i soci ordinari militanti. Lo abbiamo fatto perché non volevamo permettere che la Lega Nord sostanzialmente si svuotasse e, venuti meno quasi tutti gli iscritti, fosse fatta morire per consunzione. Conosco almeno una cinquantina di persone che ha deciso di fare così".
Nelle scorse settimane, in effetti, anche Fava ha ricevuto la tessera della Lega Nord per il 2020: "Il fatto è che mi risulta che la tessera sia stata mandata a tutti coloro che erano militanti nel 2019, in automatico e gratuitamente. Questa scelta fa pensare: da una parte, mi viene da dire che così il gruppo vicino a Salvini si è cautelato, perché a un eventuale congresso cui avessero potuto partecipare solo coloro che avevano scelto di rinnovare la tessera nelle forme consuete avrebbe potuto finire in minoranza; dall'altra, mi domando se concedere a tutti gratuitamente la tessera, anche in base allo statuto che ha reso solo eventuale la quota, sia una mossa corretta vista la mole di denaro che il partito si è obbligato a versare allo Stato. Nel frattempo, partita la campagna di tesseramento per la Lega per Salvini Premier, tutti i militanti della Lega Nord sono stati informati che la tessera della Lega Nord, con la firma di un modulo, poteva valere anche per la Lega per Salvini Premier. Ora, nella mia sezione storica della Lega Nord, cioè quella di Pomponesco dove sono stato sindaco, mi risulta che nessuno sia passato alla Lega per Salvini Premier, come buona parte della sezione di Viadana".
Proprio sulla base di questa situazione, cioè di militanti della Lega Nord che continuano a non volersi affiliare al nuovo partito, è nato il ragionamento elettorale per cui si diceva: "Quei militanti - continua Fava - non vogliono candidarsi con il simbolo della Lega per Salvini Premier: a Viadana a settembre si vota, vorremmo sostenere una candidata civica locale, Alessia Minotti, e non il nome proposto dal centrodestra, ma la lista non è ancora pronta quando mancano solo due settimane alla presentazione delle candidature. Quei militanti vogliono partecipare alle elezioni, ma vogliono essere messi nella condizione di farlo con il simbolo del loro partito, la Lega Nord: diversamente, perché dovrebbe continuare a esistere? Per concedere con propria delibera ai rappresentanti di un altro partito il proprio simbolo, come sta accadendo ogni volta che questo partito si presenta alle elezioni anche nel comune più sperduto?" 
Su questa base, Fava e Pini si sono rivolti al commissario federale del partito, inviandogli una lettera via e-mail, facendo tra l'altro leva proprio sul "mai domo spirito autonomista" che l'invio delle tessere da socio ordinario militante ha "orgogliosamente risvegliato" in molti aderenti. Quei militanti avrebbero appunto chiesto a Fava - anche come rappresentante dell'area che non aveva vinto il congresso nel 2017 - di farsi portatore della proposta al vertice del partito perché autorizzi in forma scritta quegli stessi militanti all'uso del simbolo della Lega Nord alle elezioni amministrative. "Del resto - chiarisce Fava - lo statuto continua a prevedere la possibilità di partecipare alle elezioni e farlo è un modo per concorrere a raggiungere lo scopo sociale indicato all'art. 1 dello stesso statuto, cioè il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana''. Nella lettera Fava rimarca la centralità di quello scopo sociale nell'attività del partito e "gli obblighi morali prima che legali dei Dirigenti rispetto a tale scopo nonché la responsabilità sociale di chi riveste ruoli dirigenziali nei confronti delle istanze della base rappresentata dai militanti" e sottolinea l'urgenza di una risposta, anche per poter provvedere a sottoporre in tempo utile le liste - composte solo da soci ordinari militanti - allo stesso commissario federale.
Fava ovviamente intende utilizzare il simbolo della Lega Nord con la "pulce" - piuttosto grande, in verità - della Lega lombarda, che fino alla fine del 2017 era stato sempre utilizzato nelle elezioni regionali e amministrative relative alla Lombardia (ovviamente con il riferimento alla Padania in basso, visto che è tuttora nel nome del partito): "Per me la scelta è naturale - spiega - visto che le liste sarebbero presentate in Lombardia, Pini utilizzerebbe quello con il riferimento alla Romagna: si tratta comunque di simboli che, da statuto, sono nella piena disponibilità della Lega Nord".
La lettera di Fava e di Pini è datata 6 agosto e non è dato sapere se arriverà una risposta da Iezzi e di che natura sarà: per ora c'è solo l'"Auguri!" pronunciato da Matteo Salvini al termine di un comizio a chi gli chiedeva un parere su questa richiesta (che ha provocato la pronta reazione di Gianluca Pini su Facebook). "I vertici si stanno prendendo una bella responsabilità nei confronti dei militanti, in qualunque modo si esprimano: se non si potrà correre con il simbolo del proprio partito, una spiegazione dovranno darla". Resta da capire come si muoveranno i militanti richiedenti in caso di risposta negativa da parte del commissario Iezzi o qualora non arrivi alcuna risposta: non è dato sapere, al momento, se lasceranno perdere o se tenteranno comunque di presentare una lista, con un simbolo diverso o addirittura proprio con quello della Lega Nord (anche se la ricusazione in quel caso sarebbe quasi certa). Di sicuro si tratta di una situazione delicata, difficile da derubricare come mero folclore o come questione di una sola parola (quel "Nord" che sostanzialmente differenza il simbolo della Lega Nord da quello della Lega per Salvini Premier, mentre entrambi hanno la statua di Alberto da Giussano): tocca semplicemente attendere e vedere come andrà a finire. 

venerdì 12 aprile 2019

35 anni fa nasceva la Lega (autonomista lombarda), spadone alla mano

Si immagini di riavvolgere la storia di 35 anni, tornando indietro allo stesso giorno di oggi, dell'orwelliano 1984: che Italia politica si troverebbe? Quali partiti?
Una risposta indiretta si trova guardando i simboli depositati in vista delle elezioni europee del 17 giugno - presentati al Viminale tra il 29 e il 30 aprile - ed effettivamente utilizzati sulle schede. Gli elettori del 1984 potevano scegliere tra 11 emblemi: Partito comunista italiano, Democrazia cristiana (fu l'anno del famoso sorpasso comunista sui democristiani), Partito socialista italiano, Movimento sociale italiano - Destra nazionale, la bicicletta Pli-Pri ("per la Federazione europea"), Partito socialdemocratico italiano, Partito radicale, Democrazia proletaria, 
Südtiroler Volkspartei, l'alleanza Union Valdôtaine - Partito sardo d'azione e - unico partito a non conquistare seggi - la Liga Veneta  (che nel 1983 aveva ottenuto due parlamentari e in quell'occasione proponeva un rassemblement più ampio, denominato "Unione per l'Europa federalista"). Nelle bacheche del Viminale i contrassegni pervenuti erano poco più del doppio, cioè 27; tra questi però figuravano anche sei emblemi ricusati (comprese tre versioni della Liga Veneta e il vecchio simbolo del Psi precraxiano) e i fregi non accoppiati di Pli, Pri, Psdaz e Uv), dunque i simboli effettivamente non utilizzati erano solo 6
Tra questi, tuttavia, mancava un partito nato ufficialmente in uno studio notarile 35 anni fa esatti (appunto), cioè poco più di due settimane prima del deposito degli emblemi elettorali, anche se aveva iniziato a muovere i primi passi già un paio di anni prima: si trattava della Lega autonomista lombarda. Pochi avrebbero scommesso che, dieci anni esatti più tardi, il soggetto politico che ne costituiva l'evoluzione - ossia la Lega Nord - sarebbe stato parte integrante di un'ormai prossima maggioranza di centrodestra (guidata da Silvio Berlusconi), uscita dalle prime elezioni con sistema elettorale misto a prevalenza maggioritaria; ancora meno persone avrebbero potuto immaginare che, 35 anni dopo, una nuova evoluzione di quel partito si sarebbe trovata a co-guidare (ma da una posizione di maggior forza) un governo con una forza politica - il MoVimento 5 Stelle - che alle elezioni era sua avversaria.
La prima pagina dell'atto costitutivo
Eppure, tutto iniziò quel 12 aprile 1984 a Varese, in via Giuseppe Bernascone 1, giusto a ridosso del centro storico; oggi, per riannodare i fili della storia, occorre spostarsi giusto di 200 metri, in via Luigi Sacco 10, dove ora si è trasferito lo studio della notaia Franca Bellorini. Davanti a lei, 35 anni fa, si presentarono sei persone, cioè Umberto Bossi (allora di professione "editore"), la sua futura moglie Manuela Marrone ("maestra elementare"), Pierangelo Brivio ("commerciante" e marito della sorella di Bossi, Angela), il rappresentante di commercio Marino Moroni, l'odontotecnico Emilio Benito Rodolfo Sogliaghi e l'architetto Giuseppe Leoni, futuro compagno di scorribande parlamentari di Bossi.

Quel giorno, dunque, ci si misero in sei a fondare la "Lega autonomista lombarda" (con sede provvisoria a Milano, in via Bardelli 1), che non aveva come scopo il lucro, "bensì il raggiungimento della autonomia amministrativa e culturale della Lombardia": questo stava scritto nell'atto costitutivo (documento di quattro pagine) e nell'art. 4 dello statuto ad esso allegato (altre dieci pagine), precisando che quel fine realizzava "le aspirazioni delle popolazioni locali ad un autogoverno che tenga contro della necessità di uno sviluppo sociale legato alle caratteristiche etniche e storiche del popolo lombardo". Peraltro, stando al successivo art. 5, chiunque - anche non lombardo o, in astratto, non del Nord Italia - poteva far parte della Lega (sì, perché dopo l'art. 1 il partito è sempre stato citato così, anche se il nome integrale era più lungo), purché condividesse "i principi fondamentali della causa autonomista", sottoscrivendone gli obiettivi e seguendone "il programma e l'azione"; ogni richiesta di adesione, tuttavia, doveva essere sottoposta al Consiglio federale - massimo organo politico esecutivo della linea dettata dal Congresso, nonché titolare della gestione amministrativa - dai responsabili delle organizzazioni periferiche, che doveva accompagnarla con il "proprio giudizio di merito". 
Questo mondo associativo era compendiato in un simbolo, descritto all'art. 2 dello statuto come "un cerchio racchiudente il profilo della Regione Lombardia con all'interno la figura di Alberto da Giussano come rappresentato nel monumento di Legnano e la scritta Lega Lombarda": non c'era alcuna grafica allegata allo statuto, ma era chiaro che si trattava del guerriero di legnano con lo spadone sguainato che nel corso degli anni si è stagliato - pur con qualche modifica nel disegno, a partire dalla sparizione del sasso su cui si poggiava il piede della statua - nel simbolo della Lega lombarda, dell'Alleanza Nord, della Lega Nord e, dal 2018, della Lega. Di certo, anche se nello statuto non era scritto, Alberto da Giussano faceva parte del patrimonio immateriale e morale del partito, mentre le risorse finanziarie dovevano derivare, oltre che dalle tessere e dalle offerte o dal finanziamento pubblico, dalla "vendita di pubblicazioni edite dal Movimento autonomista". E non c'era il rischio che il patrimonio del partito - allora davvero esiguo, se non quasi inesistente - potesse finire in mani "straniere": l'art. 24 dello statuto precisava che, in caso di scioglimento del partito - competenza del Congresso - si doveva disporre la destinazione del patrimonio "a beneficio della cultura lombarda". 

Quel giorno Emilio Sogliaghi uscì come presidente dell'associazione (e, come tale, legale rappresentante della stessa), mentre Umberto Bossi divenne il primo segretario ed entrambi, assieme agli altri quattro contraenti, risultarono i primi componenti del Consiglio federale del partito. Nemmeno lo stesso Bossi, forse, poteva immaginare che tre anni dopo sarebbe stato eletto al Senato - diventando, per antonomasia, il Senatùr - e dal 1987 sarebbe sempre stato nel Parlamento italiano o europeo, facendo pure due volte il ministro. Nel frattempo, il 4 dicembre 1989, era stata fondata - da un altro notaio, stavolta a Bergamo - la Lega Nord, di cui Bossi divenne segretario e legale rappresentante: in quell'occasione si federarono la Lega lombarda (che portò con sé il simbolo, stavolta abbinato al profilo del Nord Italia), la Liga veneta, nonché Piemont autonomista, la Lega emiliano-romagnola, l'Uniun ligure e l'Alleanza toscana, ma le prime due - che avevano un'esistenza acclarata e consolidata, anche sul piano economico - mantennero per un certo tempo autonomia giuridica ed economica, dipendendo dalla Lega Nord "soltanto per ciò che riguarda la linea politica e strategica definita dagli organi della Federazione". Sembra davvero una vita fa, invece sono solo trent'anni...

mercoledì 28 marzo 2018

Il simbolo del Carroccio? Nacque prima della Lega (lombarda)

1982, protosimbolo leghista
Lo si è detto pochi giorni fa: sparita la Padania, il Sole delle Alpi, il nomi di Bossi e di Maroni e, da ultimo, anche il riferimento al Nord, nel simbolo della Lega una sola cosa non è mai sparita, oltre ovviamente a quella parola di quattro lettere: la figura armata che riproduce il monumento al Guerriero di Legnano. Tutti lo identificano come Alberto da Giussano, incuranti del fatto che quella sia stata una figura dichiaratamente inventata. Sarà che certe leggende sono davvero dure a morire, sarà che ci siamo abituati quel nome di fantasia tutto d'un fiato, come se non conoscesse spazi (AlbertodaGiussano): di fatto, quel simbolo è talmente parte dell'immaginario politico leghista (e non solo) da sembrare del tutto inamovibile, al punto tale da essere l'emblema con maggior storia tra quelli entrati in Parlamento, fatta eccezione per la stella alpina della Svp stavolta condivisa con il Patt (cui si sarebbe potuto aggiungere il fregio dei quattro mori del Partito sardo d'azione, il più antico di tutti i simboli della politica italiana, se solo avesse presentato liste proprie invece che accordarsi proprio con la Lega). 
A dispetto dello tsunami che, ancora più che nel 2013, ha travolto lo scacchiere politico italiano, il guerriero leghista è rimasto saldo al suo posto, con il piede sinistro ben piantato a terraGià, solo quel piede, perché ormai dalle elezioni politiche del 1992 siamo abituati a vedere Alberto... cioè il guerriero così, con il piede sinistro giù e il destro più alto, come se il simbolo lo avesse colto in una posa sospesa e insolitamente instabile per un combattente, un fermo immagine in cui alla spada sguainata nella mano destra fa da contrappunto la gamba destra alzata. Eppure chi ha memoria di ciò che è accaduto prima dell'anno di Mani Pulite sa che non è stato sempre così e il guerriero in origine era più stabile.
La prima volta in cui il cuore del simbolo leghista è comparso (da solo) sulle schede elettorali risale al 1987, quando ancora il progetto politico messo in campo era la Lega lombarda: in occasione delle elezioni politiche di quell'anno, il guerriero sguainò la spada per la prima volta, con la lama posta giusto tra le due parole del nome (scritto già con una font della famiglia Optima, probabilmente ExtraBlack). Attorno a sé aveva la sagoma della regione Lombardia (l'unica in cui la lista si presentò, ma tanto bastò a ottenere un seggio da deputato per Giuseppe Leoni e uno da senatore per Bossi), ma soprattutto il piede era appoggiato su una specie di masso, cosa che certamente lo rendeva meno precario.
Quello del 1987, però, non era  un mero contrassegno elettorale. Per averne una prova, si può fare un viaggetto fino a Varese in centro, per poi ripartire avendo tra le mani una copia di quell'atto costitutivo datato 12 aprile 1984 che fece nascere ufficialmente la Lega autonomista lombarda, fondata ovviamente da Umberto Bossi (allora di professione "editore"), ma anche dalla futura moglie Manuela Marrone, dal cognato Pierangelo Brivio, nonché da Marino Moroni, da Emilio Sogliaghi e da Giuseppe Leoni. L'articolo 2 dello statuto allegato all'atto costitutivo contiene la descrizione del primo simbolo: "un cerchio racchiudente il profilo della Regione Lombardia con all'interno la figura di Alberto da Giussano come rappresentato nel monumento di Legnano e la scritta Lega Lombarda". In quell'occasione non fu allegato l'emblema in forma grafica, ma la descrizione non lascia dubbi: a dispetto del nome più lungo del partito, si trattava esattamente dello stesso simbolo che sarebbe apparso tre anni dopo, restando nel cassetto alle europee del 1984 (Bossi e altri si presentarono col simbolo della Liga veneta) ed essendo abbinato al leone di San Marco alle regionali lombarde dell'anno successivo.    
Già due anni prima che la Lega lombarda fosse ufficialmente fondata, però, il guerriero di Legnano - la cui statua è così importante per la città da aver fatto battezzare il luogo in cui si trova Piazza del Monumento - era già leghista, a suo modo. Porta la data del 1° marzo 1982, in effetti, il primo numero (anche se si trattava, in quell'occasione, di un "numero unico") di Lombardia autonomista, pubblicazione che di fatto si poneva come organo della nascente Lega autonomista lombarda: "Lega autonomista lombarda" era proprio il titolo dell'editoriale (quello che iniziava con "Lombardi! Non importa che età avete, che lavoro fate, di che tendenza politica siete: quello che importa è che siete - che siamo - tutti lombardi") di quelle poche pagine cartacee. Nella testata (scritta già in font Optima, stavolta solo Bold, lo stesso che sarebbe stato utilizzato sempre dalla Lega dal 1992 in avanti) e a centro pagina, campeggiava enorme la figura del Guerriero di Legnano, sempre inserita nel profilo della Lombardia, il cui territorio in quel caso era tinto. A ben guardare, c'era un'altra differenza: la statua del guerriero non era stilizzata e semplificata, ma se ne potevano vedere bene tutti i particolari, come se fosse stata tracciata a china; in quella versione, tra l'altro, si vedeva bene che il piede destro poggiava sulla parte inferiore del monumento nel suo complesso, dunque almeno inizialmente il richiamo alla statua legnanese era più esplicito.
Non è dato sapere quanti leghisti della prima o dell'ultim'ora conoscano questa prima apparizione della loro immagine più significativa. Bossi raccontò così la scelta nel libro Vento dal Nord, firmato con Daniele Vimercati: 
Il simbolo fu una mia invenzione, ci pensai a lungo e mi convinsi che bisognava trovare qualcosa di radicalmente nuovo, rispetto ai marchi dei movimenti autonomisti 'classici', basati su leoni veneziani, aquile asburgiche, stemmi di antiche dinastie. [...] Un giorno finalmente arrivò l'idea giusta: il 'mito' più adatto era senza dubbio la lega dei venti Comuni lombardi, ma anche piemontesi, veneti ed emiliani, che si allearono, nel dodicesimo secolo, per cacciare l'imperatore Federico Barbarossa, portabandiera del centralismo medievale. Quale simbolo più adatto, allora, dell'Albertùn, la grande statua di Alberto da Giussano che campeggia nella piazza centrale di Legnano? Corsi a fotografarla; nell'occasione mi tornò utile la passione per la fotografia che avevo coltivato da ragazzo. Purtroppo la statua, vista così, a venti metri di distanza, era un po' tozza e pesante, non si prestava a essere riprodotta su uno stemma di partito. Passai mezza giornata a fare le inquadrature più diverse, finché trovai, quella giusta: ripresa da sotto, con un grandangolo, l'immagine acquistava tutt'altro vigore, si faceva più slanciata. La spada era molto più evidente, la forza plastica del gesto risultava moltiplicata. Quella era la sagoma che mi serviva! Riportai la foto su un foglio, ricalcai il profilo all'interno di un cerchio entro il quale disegnai anche i confini della Lombardia. Il tutto, stilizzato, divenne il simbolo della Lega.

Immagine a sn tratta da Contro Roma (1992) di Roberto Gremmo
I racconti dei protagonisti hanno sempre fascino e, come le leggende consolidate, sono difficili da smentire, quindi ne prendiamo atto. Certo è che il racconto sarebbe meno completo se non si ricordasse che proprio l'idea del guerriero di Legnano (o, se non proprio lui, qualcuno di molto simile) all'interno della sagoma della Lombardia era già stata usata nel 1959 nel periodico La Regione Lombarda, organo del Movimento autonomista padano fondato da Guido Calderoli, nonno dell'ex vicepresidente del Senato: lo aveva ricordato nel 1992, nel suo Contro Roma, Roberto Gremmo, figura imprescindibile per lo studio dei movimenti autonomisti, che aveva riprodotto per l'occasione quella pagina nel libro. Sempre lì, Gremmo aveva svelato come lo stesso Bossi gli avesse chiesto lumi sulla possibilità di riprodurre senza grane l'immagine del guerriero della marca di biciclette Legnano (che caso...): lui riteneva lo si potesse fare, magari avendo cura di riferire la raffigurazione al monumento legnanese, cosa che sarebbe stata garantita proprio dalla riproduzione della pietra sotto al piede destro. 
Quel masso, privo del resto della base del monumento, sarebbe rimasto al suo posto per un decennio (anche nella versione del 1989 dell'Alleanza Nord): quando sparì - in corrispondenza con il passaggio alla Lega Nord - la statua di Alberto da Giussano (essì, lasciatecelo chiamare così, sennò ogni volta ci vogliono due ore a spiegare tutto) non cadde, anzi, tra il 1994 e il 1996 sembrò più stabile e salda di prima. In molti la videro vacillare tra il 1999 e il 2006 (con il punto più basso nel 2001, quando il centrodestra vinse le elezioni ma il Carroccio per un nonnulla rimase sotto la soglia del 4%); i suoi sostenitori gioirono nel 2009 per una decisa fiammata, si preoccuparono per un calo netto nel 2013, ma seppero aspettare la risalita, iniziata già l'anno dopo. Nemmeno loro, forse, immaginavano che nel 2018, ben oltre trent'anni dopo il suo esordio, il Guerriero di Legnano avrebbe ribaltato gli equilibri del centrodestra (in tutta Italia, non solo al Nord) a favore proprio e di Matteo Salvini. Che, alla fine, togliere la pietra abbia portato bene?

martedì 27 settembre 2016

I segreti dello spadone da Giussano

Immagine tratta da Contro Roma
Matteo Salvini l'ha dichiarato più volte: qualunque forma prenda il progetto della Lega nelle altre regioni d'Italia, al Nord niente smuoverà dal simbolo la sagoma di Alberto da Giussano. O meglio, la sagoma della statua dedicata al Guerriero di Legnano, inaugurata nel 1900 e tuttora presente in piazza Monumento: da moltissimo tempo è noto che quell'immagine non rappresenta la figura leggendaria di Alberto da Giussano - mai vissuto, dunque, a differenza ad esempio del condottiero Guido da Landriano - eppure nell'immaginario collettivo l'errata attribuzione è difficile da rettificare, per cui sarebbe difficile mettere in testa ai militanti leghisti e a tutti i drogati di politica in circolazione che quello del simbolo non è Alberto da Giussano. 
Al di là di questo, com'è finito quel disegno sul contrassegno della Lega lombarda prima e della Lega Nord poi? Certamente l'immagine della statua del guerriero era molto d'impatto, con il suo spadone puntato in avanti verso l'alto, eppure l'idea di trasformare quella statua in un segno politico - ma non di un partito - era già venuta a qualcun altro e nemmeno poco tempo prima. Ne è convinto Roberto Gremmo, capostipite assoluto degli autonomisti in Piemonte. Nel suo libro Contro Roma del 1992 - il sottotitolo era Storia, idee e programmi delle Leghe autonomiste del Nord - scriveva così: 
L'idea del guerriero dentro alla Lombardia il Bossi l'aveva semplicemente scopiazzata pari pari dal primo numero di marzo del 1959 del giornale del Movimento autonomista padano che il dottor Guido Calderoli aveva fondato per rivendicare [...] l'istituzione della Regione Lombardia. Calderoli pubblicava un giornalino (la "Regione Lombarda") che riproduceva proprio l'emblema.
A ripescare la prima pagina di quella pubblicazione, che Gremmo (infaticabile cercatore di documenti) riprodusse nel suo libro, si coglie davvero una sensibile somiglianza, se non della grafica "in concreto", per lo meno dell'idea - cioè del simbolo vero e proprio - che ritornava a distanza di poco meno di trent'anni. Ironia della sorte, a ritornare era anche il cognome Calderoli, che uno dei volti più noti della Lega Nord condivide con il fondatore del Movimento autonomista padano, anche perché il secondo era nonno del primo.
Anche il pensiero di trasformare la statua legnanese in marchio, però, non era esattamente nuovo, e certamente all'interno della Lega questo si sapeva. Sempre Gremmo, infatti, ricorda nel libro:
Un giorno Bossi mi aveva telefonato e, con il suo solito modo di parlare guardingo, mi aveva chiesto se, secondo me, il guerriero delle biciclette Legnano era coperto da qualche tutela legale o no. Gli dissi che, a mio parere, visto che riproduceva il monumento eretto nella piazza della cittadina lombarda, non poteva vantare alcun "copyright" e perciò poteva essere ripreso liberamente. 
Sarebbe stato lo stesso Gremmo, tra l'altro, a suggerire un accorgimento per evitare ogni seccatura o accusa di contraffazione. "Forse, aggiunsi, in caso di riproduzione, sarebbe stato meglio far capire - raccontava ancora lui - che si trattava non del guerriero delle bici ma di quello del monumento vero e proprio. Bossi mi diede ascolto. Ecco perché il guerriero del simbolo ha il piede destro appoggiato su un pezzettino di pietra, per dare l'idea del monumento legnanese". Indubbiamente il monumento era lo stesso, ben riconoscibile da chi andava in bicicletta, ma la forza che l'uso successivo avrebbe dato al segno politico avrebbe reso decisamente più famoso il guerriero leghista di quello ciclista.
Il libro di Gremmo, infine, non dice il nome del grafico che si occupò del disegno del simbolo della Lega lombarda (ricorda solo "che aveva lo studio a Milano in via Settala"), presentato a Umberto Bossi da Roberto Bernardelli (già cofondatore del Partito pensionati e impegnato in formazioni autonomiste); sottolinea, in compenso, che questi non avrebbe mai ricevuto da Bossi la cifra promessa per ricompensarlo di quel lavoro. Un ricordo - se confermato - decisamente amaro, per un simbolo che di strada ne ha fatta parecchia.