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lunedì 17 agosto 2015

Ricordando Cossiga: i "Quattro Gatti" mai finiti sulle schede

Non è sfuggito quasi a nessuno dei media che contano, com'era prevedibile, che oggi è caduto il quinto anniversario della scomparsa di Francesco Cossiga, l'uomo che dal 1990 più di chiunque altro ha rivoluzionato la politica italiana, o almeno ha fatto di tutto per provarci. 
Dimenticate (se mai vi è rimasta in mente o l'avete vissuta) la prima lunga, lunghissima fase di politica cossighiana, quella in cui - per dirla con le parole di Filippo Ceccarelli, che ne ha tracciato più ritratti di tremenda efficacia - "giovane allievo di Antonio Segni, ondeggiò tra Taviani e Moro prima di manifestarsi provvisorio doroteo di complemento": passò in un rapido e petroso cursus honorum dagli scranni di Montecitorio a una poltrona da sottosegretario, dal Viminale a Palazzo Chigi, dallo scranno più alto di Palazzo Madama fino ad arrivare al Quirinale. E, già che ci siete, toglietevi dalla testa anche il primo lustro da Presidente della Repubblica, relativamente ordinario, come ci si poteva aspettare da un ex docente di diritto costituzionale regionale. 
Ci perdonerà - si spera - l'uomo Cossiga se quello che qui interessa di più è ciò che è accaduto dal 1990 in poi, la sua seconda vita iniziata nei panni dell'esternatore seriale, del Picconatore (non se ne ricordano altri, ma la maiuscola è tutta sua). Soprattutto, però, si può dire che dal 1990 in poi Cossiga si è continuamente messo in scena, o meglio, ha messo in scena un personaggio che portava il suo nome, ma ha assunto mille volti e maschere, a seconda che prevalesse in lui - come disse lui stesso - l'omino bianco o quello nero, la sua parte pessimista e razionale oppure quella fantastica, creativa e, soprattutto, dissacrante. 
Se ne ricordano a decine, di queste recite messe in scena sempre al solo scopo di "onorare la Nazione ed amare la Patria", come scritto nella lettera inviata postuma al Presidente del Senato. Recite in equilibrio gioiosamente instabile tra il folle conscio e lo sciamanico. Quasi che - citando ancora Ceccarelli, stavolta dal Teatrone della politica (Longanesi, 2003), di cui Cossiga è stato un protagonista indiscusso - il futuro Dj K si fosse assegnato "un ruolo di intermediario tra questo mondo e un altro misterioso; tra le forze che regolano la vita degli uomini e i simboli che da sempre ne accendono la fantasia". Una figura, dunque, che era una sorta di incrocio tra il fool dei testi di Shakespeare (che può dire la verità a costo di sembrare scombinato), il mago, anzi il majarzu sardo e l'uomo-medicina, che agisce con i fatti e con le parole ma deve sempre essere interpretato: spesso quando voleva aiutare qualcuno - lo ha raccontato anche il fidato collaboratore Paolo Naccarato - agiva contro la volontà di questi, cercando di portarlo sulle posizioni che più coincidevano con gli interessi del paese (se l'altro non lo capiva, pazienza).