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domenica 12 agosto 2018

Italia in Comune, in piazza tra nazione e comunità

Alle elezioni amministrative di quest'anno non lo si è visto sulle schede, ma proprio in quelle settimane un nuovo partito stava muovendo i suoi primi passi proprio a partire dai territori: si tratta di Italia in Comune, quello che fin dall'inizio di dicembre - quando a Roma era iniziata la sua fase costituente - era stato definito "il partito dei sindaci" e che ora intende qualificarsi sempre di più come il "partito degli amministratori". Non solo e non tanto i singoli volti di chi guida i comuni, per intendersi, ma l'unione di coloro che spendono tempo ed energie nell'amministrare le città e ritengono che quello sia il partito che li rappresenta davvero.
Se in questo sito si era parlato del progetto - che nelle prime fasi si chiamava L'Italia in Comune, con l'articolo davanti: non si tratta di un dettaglio, come si vedrà - appunto dopo la prima assemblea romana di presentazione, la vera data di nascita (quella giuridica) del nuovo soggetto politico risale al 15 aprile 2018: in quel giorno, infatti, è stato firmato l'atto costitutivo, con relativo statuto, permettendo così al partito di esistere. Il gruppo dei fondatori ha indicato come presidente Federico Pizzarotti, attuale sindaco di Parma, mentre Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri, sarà coordinatore nazionale (in quello stesso giorno si è proceduto anche a nominare come vicepresidente il sindaco di Latina Damiano Coletta e Rosa Capuozzo, già sindaca di Quarto, come tesoriera). 
Tutte le cariche indicate, in realtà, sono pro tempore: l'atto fondativo, come sempre accade, ha aperto in effetti una fase transitoria, realmente costituente. Tra l'autunno e l'inverno è prevista la prima assemblea nazionale di Italia in Comune, che avrà il compito - tra l'altro - di eleggere per la prima volta le cariche da parte di una platea più ampia rispetto ai fondatori. Nel mezzo si snoderà e già si è avviato il percorso precongressuale: sono già iniziati gli eventi di presentazione del partito nelle varie regioni, per consentire l'avvio del tesseramento agli amministratori e ai cittadini di tutta l'Italia.  
Primo simbolo di L'Italia in Comune
Già ad aprile, peraltro, con la firma dell'atto costitutivo è stato adottato un simbolo nuovo, che non è affatto una semplice rivisitazione del primo. "Diventando ufficialmente partito, era naturale che anche il simbolo evolvesse, per diventare qualcosa di più compiuto", spiega Marcello Frigeri, portavoce di Federico Pizzarotti.
Ogni elemento grafico del nuovo emblema ha un preciso significato: "Il simbolo innanzitutto - nota Frigeri - adotta in pieno i colori della bandiera italiana, in modo più netto e deciso rispetto al primo logo: il tricolore tinge la circonferenza di contorno, ma soprattutto quella specie di nastrino al di sotto del nome. Questo sventola, come una bandiera, dando un senso di movimento e dinamicità; in più, avere declinato il tricolore in una forma così allungata su quel nastrino, anzi, su quella coppia di nastri, sembra quasi richiamare una strada, quella che dobbiamo percorrere. Proprio il tricolore sta a indicare uno dei due poli irrinunciabili di Italia in Comune, cioè la nazione; l'altro è il territorio. Questo è simboleggiato visivamente dal cerchio che racchiude gli altri elementi grafici: per noi è il simbolo della piazza, dell'agorà che raccoglie la comunità che parla di politica e di futuro". 
Il nuovo emblema, dunque, cerca di tenere insieme il generale e il particolare: "Del resto - continua il portavoce di Pizzarotti - anche il nome fa la stessa cosa: il Comune è il livello amministrativo più vicino al cittadino, quello della partecipazione, ma volevamo comunicare anche l'idea che tutto il paese è 'in comune' tra tutti. Questo, nelle nostre intenzioni, è un partito che non nasce a Roma soltanto, ma nasce tanto a Parma, quanto a Roma, quanto a Bitonto. Nel nome, tra l'altro, non c'è più l'articolo iniziale perché vogliamo mettere sullo stesso piano la nazione e la comunità: dire 'L'Italia in Comune' sembrava avvicinare soprattutto la nazione e l'ente locale, dando poco rilievo alle persone e alla comunità, ma per noi c'era bisogno di un passaggio in più".
La nuova grafica è stata ideata da Gianluca Signaroldi, esperto di comunicazione (tra l'altro legato al partito e già responsabile della comunicazione elettorale di Pizzarotti), ma il gruppo dei fondatori tiene a sottolineare che il professionista ha lavorato seguendo le indicazioni ricevute dal coordinamento del partito, quindi di fatto il simbolo è stato scelto proprio dal partito. Tra le ipotesi scartate, ce n'erano alcune con grafie diverse del nome (che magari era scritto tutto in maiuscolo), altre con diverse soluzioni cromatiche o che non prevedevano la stilizzazione della piazza; non si trattava, in ogni caso, di soluzioni troppo distanti da quella che alla fine è stata scelta.
Questo simbolo, come si diceva, non si è visto alle elezioni amministrative di giugno, proprio perché il partito era soltanto agli inizi. L'obiettivo è costruire la struttura del partito per arrivare preparati alle elezioni amministrative del 2019 (si tratta del turno più nutrito, con il maggior numero di realtà locali chiamate al voto) e magari alle regionali dello stesso anno: l'idea, come lo scorso dicembre, è di offrire agli elettori, anche e soprattutto in competizioni sovracomunali, un programma basato sull'esperienza acquisita sui territori e sull'approccio concreto dei sindaci, per mettere al centro le persone e le comunità. Il percorso non sarà semplice, ma il cammino di Italia in Comune, tra una piazza e l'altra, è appena iniziato.

lunedì 4 dicembre 2017

L'Italia in Comune, sindaci in rete per una nuova classe dirigente

In principio, tra il 1998 e il 1999, fu il "partito dei sindaci" dal nome Centocittà: fu forse il primo tentativo - dopo l'avvento dell'elezione diretta dei vertici dei comuni - di tenere insieme le esperienze di vari amministratori (primi cittadini e assessori) sparsi nel Paese per creare un movimento con un piano d'azione comune di respiro nazionale. L'esperienza - guidata da Francesco Rutelli, Enzo Bianco e Massimo Cacciari - confluì poi nei Democratici "prodiani", ma l'idea di fare rete tra i sindaci per contare di più sul piano politico non si è esaurita e periodicamente si è riaffacciata. Hanno lavorato per questo negli ultimi anni e ieri hanno compiuto un passo importante oltre 400 amministratori locali, eletti in tutta l'Italia in liste civiche: il nome scelto per il loro progetto è L'Italia in Comune, con le maiuscole al posto giusto. Perché il Paese è rappresentato dai suoi comuni e i sindaci, per questo, vogliono mettere in comune le loro personali, peculiari esperienze. 
Se nel 2014 si era dato avvio a una rete di scambio di buone pratiche tra amministratori, con il tempo si è acquisita la consapevolezza della necessità di superare un sostanziale isolamento dei sindaci, che i problemi devono continuare a risolverli ma con una collaborazione sempre più difficoltosa da parte dei livelli sovracomunali. Il primo strumento individuato, appunto, fu la condivisione di buone pratiche, per poi rendersi conto che da quello scambio di conoscenze poteva formarsi concretamente una nuova, valida classe dirigente per il paese. 
A spiegare il progetto - lanciato ieri a Roma, presso la sede dell’Opificio Romaeuropa - è Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri: la soluzione per governare non può essere l'autoconservazione delle dinamiche presenti nelle Camere, né la scelta di "mandare in Parlamento le persone di strada. Chi governa il Paese dovrebbe per prima cosa imparare come si amministra, perché la politica per noi deve essere una professione da imparare''. Nessuna paura, dunque, a vestire i panni - odiatissimi negli ultimi anni - dei "professionisti della politica", se questo significa lavorare bene, con cognizione di causa dei problemi e delle ricadute quotidiane sui cittadini delle questioni da affrontare. Solo questa sembra essere la via d'uscita al "senso di abbandono e frustrazione che tanti sindaci condividono", di fronte ai cittadini che chiederebbero soltanto "il rispetto di alcuni diritti fondamentali: dall'assistenza ai disabili alle persone che hanno perso lavoro", anche quando non è nel potere dei sindaci agire su quei piani.
Tra gli oltre 400 aderenti al progetto politico, spicca il nome di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma che nel suo secondo mandato amministrativo ha vestito i panni del candidato civico (e come tale è stato scelto dai cittadini). Proprio lui ha sgombrato il campo da eventuali sospetti che L'Italia in Comune possa ambire a presentarsi come lista alle prossime elezioni politiche: "L'idea di unire dei sindaci per lavorare insieme partendo dall'esperienza amministrativa e andando verso un’esperienza nazionale penso sia necessaria, ma credo anche che le cose vadano costruite con serietà e con una comunione di intenti che non si può trovare in pochi mesi". Un obiettivo più realistico è rappresentato dal turno di elezioni regionali previsto per il 2019, a patto di riuscire a lavorare in una sinergia soddisfacente con altre realtà civiche, allargando la platea delle persone coinvolte fin qui.
Niente lista per ora, dunque, ma un manifesto programmatico - dal titolo La Costituzione sana - Perché crediamo nel futuro - c'è già e un simbolo pure: il nome in carattere bastone, che evidenzia le parole "Italia" (anche grazie a una stellina verde usata come pallino della "i") e "Comune", è sovrapposto a una ruota dentata, segno del lavoro e dell'idea che ciascun comune, ciascun amministratore è un ingranaggio di un meccanismo più ampio che richiede l'impegno di tutti per il funzionamento; delimitano una struttura circolare, che si adatta a essere inscritta in un cerchio, due quarti di circonferenza opposti, uno verde e uno rosso, così da creare la sensazione del tricolore. E se le tinte della bandiera nazionale caratterizzano ormai gran parte dei simboli partitici ed elettorali, a buon diritto queste si trovano anche nell'emblema dell'Italia in Comune: il Paese, in fondo, è rappresentato innanzitutto da chi guida gli 8mila comuni italiani.