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venerdì 12 settembre 2025

Valle d'Aosta, simboli e curiosità sulla scheda


Come si è già notato nei giorni scorsi, in quest'autunno si terranno ben sette elezioni regionali (che dunque interessano un terzo delle Regioni italiane), anche se i seggi si apriranno in ordine sparso. Il viaggio elettorale inizia dalla Valle d'Aosta, in cui i cittadini saranno chiamati a votare nella sola giornata di domenica 28 settembre (in molti comuni anche per le elezioni amministrative), mentre nelle Marche ci si potrà recare ai seggi anche lunedì 29 settembre.
L'ufficio elettorale regionale ha ammesso tutte le 9 liste che sono state presentate (con una contrazione sensibile rispetto a cinque anni fa, quando le formazioni ammesse erano state 12), con altrettanti contrassegni elettorali: questi vengono analizzati in ordine di sorteggio. Sembra opportuno ricordare che in Valle d'Aosta si vota esclusivamente per una lista - potendosi esprimere tre preferenze, in base a una recentissima modifica della legge elettorale, oggetto però di un ricorso presso il tribunale civile di Aosta su interesse di Avs e Rete civica - e non è prevista l'elezione diretta del presidente della giunta regionale (riservata al consiglio); è invece possibile sottoscrivere un programma comune (come hanno fatto le tre liste del centrodestra), anche nella speranza di raggiungere la soglia del 42% dei voti, che farebbe scattare l'assegnazione di un premio di lista o gruppo di liste di 21 seggi sui 35 disponibili (diversamente la distribuzione dei seggi sarebbe proporzionale). Non partecipano, in ogni caso, al riparto dei seggi le liste che non abbiano raggiunto il quoziente elettorale (ottenuto dividendo il numero di voti validi per i 35 seggi in palio).
 
* * *
 

1) Alleanza Verdi e Sinistra

Il sorteggio ha collocato in prima posizione la lista presentata da Alleanza Verdi e Sinistra, alla sua prima partecipazione elettorale alle regionali valdostane (il che è inevitabile, considerando che alle precedenti elezioni il cartello non esisteva ancora: nel 2020, in compenso, Europa Verde era stata parte della lista Progetto civico progressista insieme a Pd e Rete civica). Il contrassegno impiegato è lo stesso inaugurato in vista delle elezioni politiche del 2022 e confermato alle elezioni del 2024, senza alcuna integrazione politica o territoriale (e nemmeno linguistica); gli stessi candidati di Rete civica concorrono alla lista di Avs.
 

2) Union Valdôtaine

Si conserva assolutamente intatto e solitario il simbolo dell'Union Valdôtaine, che non ha mai mancato un'elezione regionale, dalle prime del 1949 a quelle previste quest'anno (al più presentandosi in liste condivise con altre forze politiche). Il leone rampante inserito nello scudo rosso e nero, a sua volta bordato di corda e collocato su fondo azzurro è una presenza costante e del tutto immutata da molti anni (almeno dal 2003, ma probabilmente ancora da prima); i candidati in lista sono in rigoroso ordine alfabetico e ci sono anche il presidente uscente, Renzo Testolin e Luciano Caveri.
 

3) Partito democratico

Torna a correre da solo questa volta il Partito democratico (come nel 2018), dopo essersi presentato alle elezioni anticipate del 2020 con Avs e Rete civica nella medesima lista. Sotto al logo creato da Nicola Storto c'è un piccolo rettangolo nero e rosso, mentre cinque anni fa era un segmento circolare; disposto ad arco, nella parte superiore, si legge invece l'espressione molto leggera "Federalisti Progressisti Valle d'Aosta", come specificazione politica e territoriale della forza politica nazionale. In lista ci sono anche l'ex sindaco di Aosta Fulvio Centoz e l'ex segretaria regionale Sara Timpano.  
 

4) Autonomisti di Centro

Il percorso della lista sorteggiata al quarto posto, Autonomisti di Centro, è iniziato alcuni mesi fa, quando si sono unite le strade di tre formazioni locali, Pour l'autonomie, Stella Alpina e Rassemblement Valdôtain. L'idea era e rimane di proporre un progetto condiviso - pur nelle differenze - basato sulla valorizzazione dell'autonomia speciale e di soluzioni moderate ma efficaci ai problemi della regione. Il simbolo scelto è un cerchio blu scuro, con una circonferenza concentrica bianca che raccoglie i simboli delle tre forze parte dell'alleanza ed è interrotta solo dalla debordante parola "Centro" (con un puntino rosa nella "o"), mentre al centro c'è un trifoglio, elemento ben noto in Valle d'Aosta come simbolo "di unità, montanità e ruralità".

 

5) Fratelli d'Italia

Come si è anticipato, le uniche tre liste ad avere presentato un programma comune - creando una sorta di coalizione - sono quelle del centrodestra. La prima a essere sorteggiata è stata quella di Fratelli d'Italia, che nel 2018 e nel 2020 aveva partecipato alle elezioni presentando liste con Forza Italia; questa volta Fdi (dopo il successo alle elezioni politiche del 2022) corre da sola, destinando alle schede elettorali lo stesso simbolo utilizzato a livello nazionale alle elezioni europee del 2024, con il nome - in bianco - del partito in alto e il riferimento - in giallo - alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni al centro, sempre su fondo blu, mentre nella parte inferiore bianca trova posto la fiamma tricolore.   
 


6) Forza Italia - La Renaissance Valdôtaine

La seconda lista del centrodestra unisce Forza Italia e La Renaissance Valdôtaine. La prima, come si è appena visto, negli ultimi anni aveva presentato sempre liste comuni con Fdi, mentre il secondo soggetto politico, guidato da Giovanni Girardini, è evoluzione di Rinascimento Valle d'Aosta, che nel 2020 aveva sfiorato il 5% ed era stato presente alle elezioni politiche del 2022 nell'unico collegio uninominale della Camera: già allora il simbolo si basava sul volto (bianco) della Venere di Botticelli (emblema pittorico del Rinascimento), collocato su sfondo azzurro e blu, mentre il nuovo nome in lingua francese mirava a "rafforzare le radici valdostane del progetto civico". Il rilievo maggiore, all'interno del cerchio bianco bordato di nero e rosso, è del simbolo di Fi, collocato in alto (con il riferimento "Berlusconi presidente"), mentre il simbolo contiene le parole azzurre "Insieme - Ensemble".  
 

7) Lega

Terza e ultima lista a condividere il programma comune del centrodestra è quella della Lega, che presenta una propria lista autonoma, il cui contrassegno somiglia molto a quello di cinque anni fa. Al centro c'è sempre la statua di Alberto da Giussano (col leone rampante valdostano sullo scudo), il segmento blu contenente il cognome di Matteo Salvini (in arancione, non più in giallo) ha anche questa volta il profilo seghettato per richiamare le montagne valdostane e in basso c'è il riferimento alla regione Valle d'Aosta in lingua francese. Rispetto al 2020, però, sono più accentuati i colori valdostani: il nero e il rosso tingono il contorno del contrassegno e la grossa bandierina leggermente sventolante collocata al centro sullo sfondo (cinque anni fa era molto più piccola e defilata).
 

8) Valle d'Aosta aperta

Al penultimo posto si rivede la lista-cartello Valle d'Aosta aperta, il cui contrassegno era già comparso alle elezioni politiche del 2022, riunendo allora Area democratica - Gauche autonomiste, Adu-Vda (cioè Ambiente diritti uguaglianza - Valle d'Aosta, lista esclusa alle regionali del 2020), Sinistra italiana e MoVimento 5 Stelle. La struttura del contrassegno è rimasta la stessa (contorno rosso, profilo montuoso verde con il sole che sorge sullo sfondo, in alto l'espressione "Écologie et progrès"), così come sono ritornate le miniature dei simbolo di Area democratica, Adu-Vda e M5S; tra le ultime due "pulci" è comparso (al posto di quello di Si, ora parte di Avs) il fregio di Uniti a sinistra, che contiene i simboli - quasi impossibili da leggere sulla scheda elettorale - di Rifondazione comunista e di Risorgimento socialista.
 

9) Valle d'Aosta futura

Conclude manifesti e schede elettorali di queste elezioni regionali il contrassegno di Valle d'Aosta futura, soggetto politico locale nato nel 2020 e che in quelle prime elezioni aveva ottenuto il 2,66% (quota non sufficiente per superare il primo sbarramento, ma comunque non irrilevante). Il simbolo del movimento, volto a "riunire anime libere che intendono portare le loro energie, i loro talenti e competenze a sostegno di un progetto capace di ristabilire in Valle d'Aosta il senso di Comunità in equilibrio e in armonia con la legge universale", schiera nel testo i colori regionali ed è dominato da una sorta di sfera, disegnata secondo le forme cabalistiche del fiore della vita (reinterpretato anche nel Sole delle Alpi).

lunedì 18 agosto 2025

Quale Dc vuole? La 1, la 2 o la 3? (a essere ottimisti)

Alle volte alcuni comunicati stampa politici sembrano relativamente inoffensivi, portatori di notizie destinate al più a lasciare tracce lievi, appena percettibili. Chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica, tuttavia, non si lascia ingannare e sa che certe notizie nascondono un potenziale esplosivo notevole, qualcosa sia colto dalle persone giuste; se quelle notizie riguardano la Democrazia cristiana, poi, la deflagrazione è più che probabile, per ragioni che chi frequenta con costanza questo sito conosce fin troppo bene.
Si prenda, per esempio, una nota diffusa il 5 agosto dall'ufficio stampa del gruppo di Forza Italia al Senato e divulgata, ad esempio, dall'agenzia Agenparl:
In un incontro tra il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, e il senatore Raffaele De Rosa, rappresentante della Democrazia cristiana, è stato siglato un accordo politico che ha confermato l’appartenenza del senatore De Rosa al Gruppo del Senato di Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE in qualità di senatore indipendente e rappresentante politico della Democrazia cristiana. Nell’occasione, è stato ribadito il rapporto di sinergia e collaborazione tra il gruppo di Forza Italia e la Democrazia cristiana, nella piena valorizzazione delle rispettive identità politiche e dei valori che le contraddistinguono. Il senatore De Rosa continuerà ad esercitare la propria autonomia politica, programmatica e decisionale. Gli atti di voto, così come le valutazioni politiche in Aula e nelle Commissioni del Senato, saranno espressione della linea autonoma della Democrazia cristiana, nel quadro di un confronto leale e costante con il Gruppo di Forza Italia. È stato, infine, confermato l’impegno reciproco a sostegno delle rispettive iniziative, nella consapevolezza del contributo che la cooperazione tra Forza Italia e la Democrazia cristiana può offrire alla promozione dei valori cristiani, della dottrina sociale della Chiesa, dell’economia sociale di mercato e dei principi ispiratori che accomunano le tradizioni politiche di riferimento.
Online si può trovare traccia - in un articolo del Roma - della possibilità che Raffaele De Rosa, eletto senatore nel 2022 nel collegio uninominale di Acerra per il MoVimento 5 Stelle, uscito dal gruppo stellato all'inizio di febbraio del 2024 per passare - il giorno 21 - a quello di Forza Italia, già a fine luglio si preparasse a un nuovo passaggio, questa volta al gruppo misto, con la volontà di rappresentare la Democrazia cristiana. La nota del gruppo senatoriale forzista, in questo senso, suonava come una precisazione, per cui De Rosa, a prescindere dalla sua scelta di aderire a un altro partito, sarebbe rimasto nel gruppo da indipendente.
L'aderente alla citata schiera dei #drogatidipolitica che si fosse imbattuto in quella nota, però, si sarebbe già posto - anche con una certa enfasi - una domanda inevitabile: "Sì, va bene, ma di quale Dc stiamo parlando??" Già, perché nella nota in questione non è presente alcuna indicazione circa il vertice politico della Democrazia Cristiana evocata nell'accordo: questo non stupisce, dal momento che - secondo un copione ben noto - ognuna delle molte, innumerevoli Dc operanti ritiene di essere la Dc, l'unica legittima e originale e chi sigla accordi con uno qualunque di questi soggetti ha interesse a far intendere che a essere coinvolta è proprio la Dc "giusta", l'unica vera.
Indicazioni, insomma, non ce ne sono, dunque tocca andare per esclusione. Dall'elenco si può certamente depennare la Dc che ha come segretario nazionale Totò Cuffaro (www.dcitalia.it), visto il comunicato diffuso dai media il 10 agosto: "Il senatore Raffaele De Rosa non fa parte della Democrazia cristiana e non ha nessun titolo a firmare documenti per conto della Dc, utilizzandone impropriamente il nome. Non riusciamo a capire perché il senatore Maurizio Gasparri firmi accordi con chi sa non far parte a nessun titolo della Dc. Ingenerare confusione non serve certo alla coalizione e di centrodestra di cui la Dc fa parte". Torna in mente, in qualche modo, il periodo precedente le elezioni europee dello scorso anno, in cui proprio Cuffaro lamentò l'esclusione dalle potenziali candidature di Forza Italia (e non andò meglio con altri partiti in seguito), anche se poi alla fine disse che il suo partito - guidato prima di lui da Renato Grassi e Gianni Fontana - avrebbe comunque sostenuto il centrodestra. Non ha cambiato idea, ma veder spuntare un'altra Dc nel rapporto con Forza Italia, mentre erano alla vista altre consultazioni elettorali, non deve avergli certamente fatto piacere.
Depennata la Dc di Cuffaro, comunque, nel giro di ventiquattr'ore si è potuta tranquillamente escludere anche la Democrazia cristiana con Rotondi, quella con la balena bianca nel simbolo (il sito è www.dcconrotondi.it). Permette di escluderlo una breve dichiarazione proprio del suo leader, Gianfranco Rotondi: "Il nome Dc è stato concesso in uso solo al mio partito nel 2004, come tutti i tribunali hanno confermato. Tutti gli altri ne abusano, sono stato costretto ad aggiungere il mio nome per poter distinguere il nostro partito dal proliferare (misterioso e inquietante) di imitazioni strumentali. Guarda caso le Dc si moltiplicano da quando abbiamo deciso di sostenere Giorgia Meloni e Fdi". Va detto, a onor del vero, che la moltiplicazione delle Democrazie cristiane era iniziata ben prima del 2022 e dell'avvicinamento a Fratelli d'Italia della stesso Rotondi (e lui lo sa molto bene, avendo denunciato spesso il proliferare di scudi crociati). Quella breve nota di Rotondi, in ogni caso, sembrava diretta tanto a smentire eventuali legami di De Rosa con il suo partito, quanto a rispondere a Cuffaro, amico e compagno di storia democristiana ma accomunato dal deputato irpino a coloro che abusano del nome della Dc. Il che non contrasta con la proposta che lo stesso Rotondi fece tra gennaio e febbraio di quest'anno, invitando tutti coloro che avessero ritenuto di vantare qualche diritto o pretesa (politica o giuridica) sulla Dc a costruire un soggetto nuovo per poter rappresentare quell'area più concretamente e senza ulteriori contestazioni. 
Finora, in effetti, questo scenario di "ripartenza da zero" non sembra essersi verificato (per cui la causa intentata da Cuffaro davanti al Tribunale civile di Avellino continuerà), anche se qualcosa sul piano elettorale si muove. Si parla con una certa insistenza, infatti, della collaborazione tra Udc, Dc con Rotondi e Dc-Cuffaro per la presentazione di liste comuni alle prossime elezioni regionali, in particolare quelle previste in Calabria in autunno (del resto, c'è pur sempre una soglia del 4% da superare e unire le forze può fare comodo); ciò, tuttavia, non basta a spegnere le dispute giuridico-politiche in casa democristiana.
Il dubbio originario, comunque, non è ancora stato sciolto: se non si tratta della Dc-Cuffaro o della Dc con Rotondi, di quale Democrazia cristiana sarebbe espressione Raffaele De Rosa? Sembra di dover escludere la Dc che si riconosce nella segreteria di Nino Luciani (il quale rivendica, dopo essere stato primo firmatario della richiesta di convocare l'assemblea dei soci del 2016 a norma del codice civile, di avere materialmente convocato quella riunione e di avere continuato l'opera iniziata come presidente da Gianni Fontana): il fatto che il suo sito (www.democraziacristianastorica.it), l'account Fb di Luciani o le newsletter mandate periodicamente via e-mail non contengano accenni alla vicenda di De Rosa suggerisce di guardare altrove. Né questo altrove sembra potersi identificare nelle Dc guidate da Franco De Simoni o da Emilio Cugliari, sempre in mancanza di segni che rivendichino collegamenti con De Rosa. Nulla di simile appare anche dalle parti della Dc che riconosce come segretario Angelo Sandri, che certamente non si lascerebbe sfuggire l'occasione di comunicare di avere ottenuto in qualche modo una rappresentanza parlamentare. 
Sembra invece che la Dc di cui sostiene di essere rappresentante De Rosa possa identificarsi con quella che, dopo avere avuto come segretario Antonio Cirillo, a seguito del XX congresso di febbraio attualmente è guidata dall'ex ministra Elisabetta Trenta. Il partito, infatti, sta cercando da tempo di affacciarsi alla politica rilevante e in varie competizioni elettorali; in più in Campania, la regione di De Rosa, questa Dc sembra particolarmente attiva. La segretaria campana, Giuseppina Crescenzo, giusto l'11 agosto in un comunicato - pubblicato sul sito www.democrazia-cristiana.net - si è espressa sulla possibile partecipazione alle elezioni regionali, precisando che "La presenza della Democrazia cristiana nel Consiglio Regionale può significare il punto di equilibrio nel confronto politico e un punto di forza per la risoluzione dei temi più importanti che interessano il Paese. Il nostro impegno ha come obiettivo quello di far rivivere la Democrazia cristiana e con essa la vera politica, quella autentica che persegue il bene comune, che unisce giustizia, partecipazione, competenza e visione globale, stando vicino alla gente, ai lavoratori e alle imprese per ridare speranza e dignità all'Italia. [...] Siamo il partito al centro degli interessi del Paese e insieme ricostruiremo il nostro futuro". Prima ancora, a metà luglio, sempre Crescenzo aveva voluto smentire "categoricamente le affermazioni dell’On.le Gianfranco Rotondi, il quale si autoproclama presidente della Democrazia cristiana e annuncia un sostegno alla candidatura di Edmondo Cirielli", precisando che egli non rappresentava la Dc nata nel 1943 e che la Dc campana da lei guidata stava lavorando per la preparazione delle liste e confrontandosi con altre forze politiche "al fine di individuare il candidato presidente alla Regione Campania che meglio incarni i valori e gli obiettivi di sviluppo e benessere per la nostra regione".
Insomma, passa il tempo, passano le elezioni e le compagini parlamentari, ma la disfida politica e giuridica su chi rappresenti la Democrazia cristiana e chi possa utilizzarne i segni distintivi (in particolare il nome e lo scudo crociato) non sembra conoscere fine. Al punto tale che verrebbe davvero la tentazione di imitare Mike Bongiorno e di chiosare "Quale Dc vuole? La 1, la 2 o la trèèèèè?": non fosse che il numero 3, per quanto perfetto, non può bastare per esaurire tutte le Democrazie cristiane in circolazione...

giovedì 26 giugno 2025

Democrazia sovrana popolare, nuovo simbolo per cambiare immagine

Il cambiamento del simbolo di un partito, perfino in un'epoca di attenzione all'immagine come l'attuale, raramente è soltanto un fatto estetico: c'è, normalmente, il desiderio di comunicare qualcosa di nuovo, di guardare a un elettorato più ampio o che comunque non coincida con quello precedente, così come la volontà di essere riconoscibili attraverso nuovi elementi grafici o testuali. Probabilmente va letta anche alla luce di queste considerazioni la scelta - annunciata due giorni fa - dei vertici di Democrazia sovrana popolare, cioè Marco Rizzo (coordinatore) e Francesco Toscano (presidente), di adottare per il partito un simbolo nuovo, che si discosta in modo significativo dal precedente, pur mantenendo fermo l'elemento del tricolore (reinterpretato però in maniera diversa).
Di seguito si trova il testo del post ufficiale diffuso sulla pagina Facebook di Democrazia sovrana popolare:
 
DSP – Democrazia Sovrana Popolare cambia la sua veste grafica di presentazione: sull'onda di una forte crescita politica all'interno del panorama italiano rinnoviamo la comunicazione, partendo dal simbolo.
Proprio in un momento di assoluto pericolo della terza guerra mondiale, serve dare un segnale di indipendenza, sovranità e neutralità al nostro Paese.

L’immagine della nostra forza politica diventa fondamentale. Democrazia Sovrana Popolare assume il proprio acronimo come punto riconoscibile della nostra proposta.
Il colore blu scuro fa da cornice e racchiude al suo interno gli elementi identitari del partito. Al centro campeggia l'acronimo "DSP" e, sopra, due forme geometriche stilizzate richiamano una bandiera al vento, suggerendo dinamismo, identità nazionale e slancio ideale. I cardini del programma, libertà, sovranità, pace e giustizia sociale ritrovano slancio in questo nuovo simbolo che dà ulteriore impulso all'azione di un partito giovane ma già ben riconoscibile e vera alternativa nel panorama politico italiano.

"In un momento di grande mobilità politica - affermano Marco Rizzo e Francesco Toscano - Dsp, nato da poco ma già ben riconoscibile per gli ideali e i valori che costituiscono l'ossatura del programma, decide di rinnovare il proprio simbolo per dare ulteriore slancio in un momento di forte crescita. Oggi più che mai l'Italia ha bisogno di una diversa agenda politica, di un diverso modo di vedere le cose e di raccontarle. DSP si propone come rottura della narrazione dominante per far emergere i problemi reali di un popolo ormai inascoltato, imprigionato da scelte calate dalle èlite finanziarie dominanti che non lasciano spazio alla sovranità. Per questo il simbolo non è 'chiuso': l'apertura del cerchio simboleggia la libertà, la rottura del pensiero unico e la nascita di uno spazio politico nuovo che DSP già sta rappresentando, nel quale sempre più persone ormai si identificano".

P.S. Chiediamo a tutti gli iscritti e i militanti di usare il nuovo simbolo sostituendo il vecchio. 
 
Che la scelta del nuovo simbolo non sia stata affatto casuale, ma risponda a fini precisi lo conferma direttamente Marco Rizzo, intervistato per l'occasione da I simboli della discordia. "Quando vado in giro per l'Italia capita spesso che qualcuno mi riconosca, mi chieda di fare una foto insieme e magari dica che mi stima e mi vorrebbe votare - spiega - e in quei casi chiedo sempre di dirmi qual è il mio partito. L'ho fatto anche l'altro giorno a Tiburtina, dove ero di passaggio arrivando da Napoli per raggiungere Avezzano: di otto persone che mi hanno riconosciuto alla fermata dell'autobus, nessuna ha saputo dire correttamente 'Democrazia sovrana popolare'. Forse il nome non è facile da ricordare, così abbiamo pensato di puntare sull'acronimo, che può restare impresso più facilmente". 
La scelta di questa trasformazione visiva non è nemmeno stata improvvisata, almeno nell'ambito del gruppo dirigente: "Ci penso - chiarisce Rizzo - almeno da quando ho fatto una chiacchierata con Alessandra Ghisleri, di cui ho molta stima perché è una che capisce davvero: mi ha detto 'Marco, avete un nome troppo lungo...' e così abbiamo colto l'occasione per cambiare. O meglio, il nostro nome resta, come è giusto per rispetto al percorso fatto sin qui, ma a questo d'ora in avanti si affianca la sigla, che potrà diventare il nostro marchio anche perché noi lo spingeremo di più, ogni nostra azione o dichiarazione sarà accompagnata dalla nostra sigla: scriverò sempre 'Marco Rizzo, Dsp', per capirci, e ci sarà una piena corrispondenza tra sigla e simbolo, riscontrabile da tutti". 
Se gli si chiede chi ha realizzato il nuovo emblema, Rizzo risponde: "Ci è stato donato da una persona che non so se vuole comparire... Diciamo che ce lo ha regalato Carmelo! Lui è la sua società ci hanno regalato un simbolo nuovo che mi sembra forte e soprattutto moderno, che già nel carattere usato per comporre l'acronimo è in grado di distinguersi dagli altri marchi politici in circolazione". Oltre al carattere della sigla - simile ma non uguale, al font Shock - che unisce curve e linee spigolose (soprattutto nella "P" con l'asta interrotta a livello della pancia), spicca anche l'aspetto cromatico, con un minor peso del rosso all'interno del tricolore e soprattutto l'introduzione del blu, componendo una palette di colori molto più nazionalpopolare, se si vuole. "Quello - spiega il coordinatore di Dsp - è una sorta di blu cobalto e in me attiva un ricordo preciso: quello della giubba intera da lavoro degli operai, che a Torino chiamavamo 'il toni'. Quindi il nostro blu richiama certamente anche l'Italia e il colore delle maglie della nazionale, ma per me è il blu dei lavoratori".
L'avvento del blu e il minor spazio al rosso, in quella rappresentazione della bandiera (che sostituisce le due tracce di colore verde e rosso, tanto simili a quelle che furono realizzate da Bruno Magno per i Progresissti), non sono comunque passati inosservati e più di qualcuno in Rete ha avuto l'impressione che quella scelta cromatica (insieme alla sparizione della stella rossa) potesse avere tra i suoi scopi rendere Dsp più appetibile anche per un elettorato definibile come "di destra". Di certo i colori non portano - o non fanno perdere - automaticamente voti, ma sulla base dell'uso cromatico consolidato in Italia quel simbolo potrebbe sembrare facilmente "meno di sinistra": "Ma non deve essere di sinistra! - puntualizza subito Rizzo - Ho fatto un'abiura contro questa sinistra che ha tradito tutto, quindi in questo senso io non sono di sinistra; non siamo però neanche di destra, dobbiamo superarle entrambe perché noi siamo sovranisti popolari, siamo un'altra cosa e anche il simbolo, se lo si guarda, comunica tutt'altro, in termini di modernità e di apertura a un progetto". L'idea di simbolo "non chiuso", tra l'altro, rimanda in qualche modo a un precedente grafico, quello del triangolo a forma di A "strappata" di Alternativa, che aveva scelto come primo presidente il deputato Pino Cabras (che ora è responsabile esteri di Dsp: "una coincidenza, o forse più di una coincidenza"). 
 
 
La scelta di cambiare il simbolo non sembra però aver avuto un plauso unanime: ai consensi si sono affiancate perplessità o vere proprie critiche (politiche, oltre che grafiche), anche da parte di potenziali elettori o di sostenitori, in apparenza colti di sorpresa. Si tratta di un segno di allarme? "Le crisi - risponde Rizzo - fanno parte della crescita di un progetto. E che siamo in crescita lo dicono i numeri: a Nuoro abbiamo preso l'1,4% e il nostro candidato ha ottenuto il 2,2%. La mia pagina personale ha oltre 263mila follower, negli ultimi 28 giorni sono aumentati del 38% e le visualizzazioni sono aumentate del 42% nell'ultimo mese e questo lo riscontro da mesi. Ora la sfida più importante è tradurre quella crescita in consenso elettorale, per non cadere nello schema 'tante lodi, pochi voti': cambiare il simbolo per essere più riconoscibili rientra proprio in questa logica". Il tempo e i risultati elettorali diranno se la scelta grafico-politica avrà premiato oppure no.

martedì 24 giugno 2025

Pli, congresso "sdoppiato" e scontri in tribunale. E il simbolo?

L'estate è ormai ufficialmente iniziata (anche se il caldo, in effetti, è già arrivato da un pezzo): storicamente questa è stata la stagione delle feste di partito, anche se i tempi sono inesorabilmente cambiati rispetto al passato. C'è chi, in compenso, invece che festeggiare, si ritrova per celebrare congressi, nonostante il citato caldo imperante: vale per il neonato Partito Liberal democratico (che il 28 e il 29 giugno si riunirà a Bologna a San Lazzaro di Savena) e vale per il Partito liberale italiano. Scorrendo le notizie circolanti in Rete, peraltro, si apprende che il congresso del Pli si dovrebbe tenere il 27/28 giugno, come pure il 4 luglio. Un doppio congresso? Un'illusione ottica di sdoppiamento, un miraggio magari causato dal suddetto caldo estivo? 
Di congresso, in realtà, ce ne sarebbe solo uno mentre l'altro sarebbe convocato illegittimamente, a sentire ciascuna delle due parti in disputa. Una disputa che prosegue almeno dalla fine di luglio del 2022, cioè da quando - in vista delle elezioni politiche anticipate fissate per il 25 settembre - si tenne un consiglio nazionale autoconvocato d'urgenza, nel quale fu votata una delibera per dare pieno ed esclusivo mandato all'allora co-segretario Roberto Sorcinelli di rappresentare il partito per stipulare alleanze innanzitutto col centrodestra, presentare liste e depositare il simbolo; passò pure una mozione di "sfiducia/decadenza" dalle loro cariche dell'allora presidente Stefano De Luca e dell'allora co-segretario Nicola Fortuna (accusati, all'interno della stessa mozione, di gravi violazioni statutarie), in seguito dichiarati decaduti dall'iscrizione al Pli per la loro scelta di non riconoscere validità a quelle deliberazioni e di procedere a convocare direttamente gli organi del partito. De Luca e Fortuna contestarono tanto le accuse tanto quelle decisioni, ritenendole illegittime (con riferimento al consiglio nazionale del 30 luglio 2022, per difetto del quorum di autoconvocazione e del quorum costitutivo, per preavviso troppo ridotto, carenza di ordine del giorno, omessa convocazione di tutti gli aventi diritto, difetto di forma nella stesura del verbale e conferimento di poteri in contrasto con lo statuto); al pari, era stato contestato anche il congresso celebrato il 23 settembre 2022, con la conferma di Sorcinelli alla segreteria politica e di Francesco Pasquali alla presidenza del partito (incarico già svolto ad interim).
Una semplice visitina sul web può dare le dimensioni della querelle. Il 7 giugno, sul sito www.partitoliberaleitaliano.org, è apparso il seguente annuncio:

Cari amici, mentre si stanno svolgendo i Congressi Provinciali per l'elezione dei delegati, secondo quanto previsto dallo Statuto (un delegato ogni tre iscritti), desidero informarvi che il Congresso Nazionale si terrà, come deliberato dagli organi statutari competenti, nei giorni 27 e 28 Giugno 2025 presso Salaria Sport Village (Via S. Gaggio, 5, 00138 Roma RM) 
I lavori avranno inizio il giorno 27 alle ore 17 per l’apertura dei lavori, l’elezione del Consiglio di Presidenza del Congresso e della Commissione Verifica Poteri. Il successivo giorno 28 i lavori congressuali riprenderanno con la Redazione del Segretario, il dibattito politico, la presentazione delle mozioni e si concluderanno con l’elezione dei nuovi Organi Statutari (Garante, Presidente, Segretario Nazionale, Tesoriere, Probi Viri e Consiglio Nazionale). Quest'ultimo si riunirà immediatamente dopo per eleggere la Direzione.

Grazio Trufolo - Segretario Nazionale

Dal 10 giugno, sulla pagina Facebook del partito, oltre all'annuncio del congresso per il 27-28 giugno, sono tuttavia apparse anche altre comunicazioni, dalle quali si evinceva che, a valle di un provvedimento giudiziario, la stessa pagina Fb era tornata nella disponibilità del gruppo legato a Stefano De Luca, tuttora indicato come presidente nazionale, e a Trufolo (indicato come segretario). Sulla stessa pagina, ancora gestita per conto della segreteria Sorcinelli, il 6 maggio, si era indicato il 4 luglio come data per il nuovo congresso (indicato come XXXIII, in continuità con quelli del Pli "storico", anche se in effetti risulta che il partito attuale sia stato rifondato anche giuridicamente nel 1997 come Partito liberale, poi rinominato Pli nel 2004). La notizia era apparsa anche sul sito www.partitoliberale.it, tuttora amministrato dal gruppo dirigente guidato da Sorcinelli e Pasquali e proprio lì, il 16 giugno, in risposta ai post apparsi su Fb, è stato pubblicato il seguente "comunicato ufficiale" (riportato per intero, per mera completezza, come i testi sopra indicati).

In questi giorni i sottoscritti, Segretario e Presidente del PLI, sono oggetto di insulti personali, post diffamatori conditi da false accuse calunniose da parte dell’ex presidente del PLI Stefano De Luca, di un suo seguace e un parente di quest’ultimo. Costoro hanno messo in campo una vera e propria azione coordinata di carattere diffamatorio e calunnioso - di cui risponderanno in sede penale - nei confronti nostri e di tutti i dirigenti e gli iscritti del PLI. Dopo che il De Luca si è impossessato della pagina Facebook del partito, lui e i suoi due seguaci stanno falsamente affermando che vi sarebbero “numerose ordinanze collegiali del tribunale di Roma tutte ovviamente favorevoli ai legittimi rappresentanti del Partito” che nel loro immaginario sarebbero loro stessi.  
Occorre quindi dare conto della complessa e lunga vicenda, giudiziaria e non, che vede contrapposti gli attuali legittimi rappresentanti del PLI, ovvero i sottoscritti, l’ex cosegretario nazionale Claudio Gentile e il presidente del Consiglio nazionale Diego Di Pierro tutti da una parte e, dall’altra, Stefano De Luca, l’anziano ex presidente destituito da ogni carica il 30 luglio 2022 e poi espulso dal Partito il 2 agosto 2022. Diciamo subito che, non avendo impugnato la sua espulsione nel termine perentorio di sei mesi come prescritto dall’art. 24 del codice civile, egli è irrimediabilmente, volente o nolente, un soggetto ESTRANEO al Partito Liberale Italiano. Men che meno, dunque, può affermare di esserne il legale rappresentante. 
La vicenda ha origine nel luglio 2022 quando l’allora Consiglio nazionale del PLI (massima assemblea che elegge le cariche e così le può revocare), riunitosi in auto convocazione come previsto dallo statuto, approvò una mozione di sfiducia politica nei confronti del De Luca, destituendolo dalla carica di Presidente. Ciò in quanto si andava verso l’ennesimo congresso gestito in maniera assai poco trasparente (per essere generosi…) dal De Luca, che pretendeva di sostituirsi alla segreteria nazionale nella formazione dell'elenco degli iscritti. Questo, peraltro, avvenne dopo circa 25 anni di ininterrotta tirannia da parte dello stesso sul partito. Anni in cui il PLI, per soddisfare gli interessi di pochi, ha finito col perdere ogni rappresentatività politica nel Paese. Stufi di questa situazione ormai incancrenita, i consiglieri nazionali del 2022 fecero un atto di straordinario coraggio, destituendo il "tiranno". 
Questi ovviamente non si diede per vinto e cercò di ribaltare la legittima deliberazione del consiglio nazionale infischiandosene delle regole statutarie e creando, di fatto, un’organizzazione parallela. Per questo motivo, il 2 agosto 2022 venne espulso e, a seguire, vennero espulsi quei pochi altri che tentarono di seguirlo in quest’azione contro il Partito. Successivamente, tentò di depositare il simbolo del PLI - attraverso una sua delegata - alle elezioni politiche del 2022. Ma tale tentativo venne clamorosamente bocciato prima dal Ministero dell'Interno e poi, in sede di reclamo, dalla Suprema CORTE DI CASSAZIONE, che statuì IN VIA DEFINITIVA che il De Luca o altri soggetti a lui riferibili non avevano alcun diritto a qualificarsi quali rappresentanti legali del PLI né, tantomeno, ad utilizzarne il nome ed il simbolo. Diritto che spettava, viceversa, esclusivamente ai sottoscritti. Grazie a quella decisione definitiva del massimo organo giudiziario del Paese, abbiamo mantenuto e tuttora manteniamo il pieno diritto di rappresentare il PLI, checché ne dica il De Luca o i suoi sodali. 
Da allora il De Luca ha promosso una miriade di azioni - ordinarie e cautelari, un vero e proprio stalking giudiziario - contro i sottoscritti e il PLI, bramando unicamente la sua rivalsa personale, essendo chiaro e pacifico che tutti gli iscritti del PLI non abbiano alcuna intenzione di essere rappresentati da lui. Di recente, ha chiesto al tribunale che ordinasse ai sottoscritti di consegnargli il sito web del PLI e le pagine social, e tutto ciò che appartiene al PLI, nonché che pronunciasse un’ordinanza inibitoria nei nostri confronti. Le sue domande sono state RESPINTE E RIGETTATE dal tribunale collegiale, peraltro con un'ordinanza firmata (anche quale estensore) direttamente dal presidente della Sezione Imprese del tribunale. 
Non pago di ciò, il De Luca ha riproposto le medesime domande che gli sono state ancora rigettate dal giudice monocratico ed ora si trovano pendenti in sede di reclamo. In questa complessa situazione, è riuscito a farsi attribuire (provvisoriamente) la pagina Facebook del PLI, utilizzandola immediatamente per spargere notizie false e diffamatorie nei confronti nostri e di tutti i legittimi organi del PLI, spargendo altresì la falsa notizia che il congresso nazionale si terrà il 27 e 28 giugno invece che il 4 luglio (come è effettivamente). Per far ciò, peraltro, ha utilizzato il medesimo evento Facebook da noi creato, modificando le date. Chi aveva ricevuto l’invito per il congresso del 4 luglio ora vedrà la data erronea del 27/28 giugno e, cosa ancora più grave, risulterà invitato dai sottoscritti o da altri iscritti legittimi del PLI (in quanto avevamo effettivamente inviato loro l’invito corretto).
Si tratta, in tutta evidenza, di un espediente diretto a trarre in inganno i delegati eletti ai congressi provinciali per spingerli a partecipare al suo evento al fine di trarne l’indebito vantaggio di risultarne legittimato. Sinora abbiamo preferito - per il bene e l’immagine del Partito, unica nostra preoccupazione - evitare di dar risalto pubblico alla vicenda. Ma le recenti vicende ci hanno costretto a dover prendere pubblicamente posizione. Ora ci auguriamo che il tribunale di Roma metta uno stop definitivo alle brame di un soggetto che ormai non rappresenta altri che sé stesso e a cui non importa nulla di ricostruire l’immagine di un partito glorioso che lui stesso ha devastato. 
Il 4 luglio a Roma si terrà il congresso nazionale del PLI. Congresso al quale, peraltro, avevamo consentito anche a lui di partecipare e di confrontarsi democraticamente (previa presentazione di nuova domanda di iscrizione, essendo egli un soggetto oggi estraneo al PLI). Il De Luca NON ha presentato domanda di iscrizione, evidentemente non avendo intenzione di sottoporsi democraticamente al giudizio degli iscritti. Dunque, De Luca era e rimane un soggetto estraneo al PLI. Ma, suo malgrado, il partito appartiene solo e soltanto agli iscritti. Non a lui, certamente. Ma neppure a noi e nessun altro: i rappresentanti di un partito sono e devono essere sempre pro tempore. Se il 4 luglio la nostra mozione prevarrà, saremo ancora - come lo siamo ora - il Segretario Nazionale e il Presidente del PLI. Per ulteriori due anni. Poi si vedrà.

Roberto Sorcinelli (Segretario Nazionale PLI) - Francesco Pasquali (Presidente Nazionale PLI)

Lo scambio non poteva certo fermarsi qui. Infatti sul sito amministrato in nome e per conto di De Luca e Trufolo è stata pubblicata una "relazione sullo stato dei contenziosi relativi al Pli, redatta dai legali di fiducia, la quale smentisce puntualmente le esternazioni di Sorcinelli e Pasquali apparse sul sito storicamente appartenente al Pli di cui ancora indebitamente fanno uso". Quella relazione (che a questo link si può leggere integralmente), firmata dagli avvocati Nicola De Luca (che aveva già riassunto in video, sulla pagina Fb del Pli, la medesima situazione giudiziaria) e Giuseppe Ardone, ripercorre le tappe successive alla ricusazione da parte del Viminale (confermata dall'Ufficio elettorale centrale nazionale, non esattamente dalla Cassazione, benché l'Uecn sia costituito presso la sede della Suprema Corte) del contrassegno del Pli, depositato il 12 agosto 2022 in nome e per conto di Nicola Fortuna (tappe di cui questo sito si è occupato nel dettaglio allora).
La relazione degli avvocati De Luca e Ardone fa riferimento a una vicenda giuridica e giudiziaria complessa, dipanatasi nel corso di circa due anni e mezzo senza ricevere troppa notorietà, al di là - salvo errore - delle note con cui lo studio legale D'Aiello e De Luca - lo stesso che si era occupato del contenzioso tra Pli e Partito dei liberali europei, con vittoria del primo nel giudizio cautelare (anche in sede di reclamo) - aveva reso note due ordinanze tra quelle emesse (nel 2023 e nel 2024) e del "botta e risposta" sul sito del quotidiano L'Opinione delle Libertà, risalente al 2023 e tuttora leggibile. Vale forse la pena riassumere - in base a quanto risulta a chi scrive, senza pretesa di completezza - la situazione del contenzioso, essendo pronti a integrare il racconto con le ulteriori puntate della vicenda. Proprio la complessità di questa, peraltro, suggerisce di limitarsi a riportare il contenuto delle decisioni, evitando il più possibile di commentarlo vista la delicatezza della situazione (tuttora connotata da un alto tasso di litigiosità); per mero scrupolo, si precisa - anche se dovrebbe essere ovvio - che quanto si scriverà di seguito si basa esclusivamente sul contenuto delle ordinanze, senza attingere a documenti di parte (fatte salve le loro parti eventualmente citate nelle decisioni).

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1) Verso la fine di ottobre del 2022, dunque un mese dopo le elezioni politiche e dopo il congresso di settembre, il Partito liberale italiano rappresentato da Sorcinelli e Pasquali aveva presentato un ricorso ex art. 700 c.p.c. presso il tribunale civile di Roma contro De Luca e Fortuna, chiedendo in via cautelare che fosse ordinato loro "di cessare immediatamente ogni uso del nome, del contrassegno e di ogni altro segno identificativo del Partito Liberale Italiano": ciò sulla base del fatto che né De Luca né Fortuna avrebbero impugnato la delibera circa la loro decadenza dalla qualità di iscritti (e dalle loro cariche) e, nonostante ciò, avrebbero proseguito "nel tentativo di danneggiare il Pli" (si cita dall'ordinanza) ottenendo il blocco del conto corrente del partito e utilizzandone il simbolo per manifestazioni. Per De Luca e Fortuna, invece, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile o comunque infondato, ritenendo che la delibera del consiglio nazionale del 30 luglio 2022 che li aveva "destituiti" fosse "affetta da plurimi connotati di illegittimità" (si legge sempre nell'ordinanza), mentre sarebbero state regolari la direzione nazionale del 1° agosto e il consiglio nazionale del 5 agosto che avrebbe deciso di "revocare ogni deliberazione assunta" il 30 luglio (delibera che sarebbe stata comunque impugnata in altra sede, alla pari degli atti congressuali del settembre 2022), dunque Sorcinelli e Pasquali non sarebbero stati legittimati a rappresentare il partito. 
Il 25-26 febbraio 2023 la giudice Cristina Pigozzo (XVI sez. civ. imprese) aveva accolto il ricorso del Pli rappresentato da Sorcinelli e Pasquali, disponendo che De Luca e Fortuna - non potendosi qualificare come presidente e segretario del partito - dovessero cessare l'uso "illegittimo del nome, del simbolo e di ogni altro segno distintivo del Partito Liberale Italiano. Per il tribunale la delibera del consiglio nazionale del 30 luglio 2022 era "ancora efficace e non sospesa" (pur essendo stata impugnata da un'altra associata, senza che però fosse stata disposta la sospensione), era stata redatta nella forma dell'atto pubblico e il notaio avrebbe accertato la rispondenza alle norme statutarie vigenti dell'(auto)convocazione del consiglio (da parte di 15 membri sui 63 allora previsti), mentre i vizi contestati da De Luca e Fortuna non ne mettevano in discussione l'esistenza giuridica. Quanto alla revoca della delibera da parte del consiglio nazionale del 5 agosto 2022, per la giudice era stata disposta da un organo convocato "dall'asserita Segreteria Nazionale e dal Presidente già dichiarato destituito e, quindi, allo stato, non [poteva] ritenersi promanare dal Pli"; di più, il verbale della direzione nazionale del 1° agosto che aveva poi convocato il consiglio del 5 agosto non sarebbe stato redatto con atto pubblico e il notaio "non avrebbe potuto attestare la legittimità della costituzione dell'organo" (poiché la delibera di decadenza di De Luca dalla presidenza del partito non era stata sospesa). Sarebbe mancata, dunque, la convocazione "prima facie in modo legittimo" del consiglio nazionale del 5 agosto che avrebbe revocato le delibere precedenti. 

2) De Luca e Fortuna, tuttavia, impugnarono l'ordinanza della giudice Pigozzo, proponendo reclamo (Fortuna in seguito ha rinunciato e il giudizio cautelare nei suoi confronti si è estinto). Il collegio della XVI sezione civile del tribunale di Roma - presieduto da Giuseppe Di Salvo (lo stesso giudice che nel 2002 e nel 2004 dovette esprimersi sull'azione iniziata dal Cdu contro Alessandro Duce per bloccare il suo tentativo di "risvegliare" la Democrazia cristiana) e avente come relatrice la giudice Flora Mazzaro - il 16 maggio - 12 giugno 2023 ribaltò la prima decisione, accogliendo il reclamo di Stefano De Luca. La decisione - la prima citata nella relazione De Luca - Ardone - venne motivata dal collegio con la "insussistenza del fumus boni iuris" (cioè della possibilità che il diritto rivendicato, alla base della richiesta di tutela cautelare, esista e sia accertato in sede di merito). Per i giudici era "pacifico tra le parti" (cioè incontestato) che si fossero susseguite due delibere del consiglio nazionale - quella del 30 luglio con cui si era rimosso De Luca dalla presidenza e quella del 5 agosto con cui si era revocata la decisione precedente - "alla presenza o comunque, con la partecipazione, in entrambi i casi, di taluno dei suoi membri", mentre si contestava reciprocamente - e in modo quasi speculare - la legittimità delle stesse per violazioni di legge o dello statuto. 
Per i membri del collegio, lo spazio per ritenere/dichiarare inesistente la delibera di un organo - dopo la riforma del diritto societario disposta col d.lgs. n. 6/2003 e secondo la giurisprudenza della Cassazione civile (v. la sentenza n. 26199/2021), applicabile anche alle associazioni - sarebbe ridotto rispetto al passato ("se [...] una norma sanziona un determinato fatto con una conseguenza giuridica negativa in quanto esso venga ad esistenza con i connotati essenziali della fattispecie da essa descritta, ne consegue che una delibera nulla o annullabile in base alle legge non possa che essere considerata esistente, seppur viziata"): volendo tutelare la "stabilità degli atti sociali" e la "certezza delle situazioni giuridiche conseguenti", di fatto non si sfugge alla regola per cui un atto ritenuto viziato dev'essere impugnato entro un termine più o meno ristretto. Di fatto il ricorso del Pli di Sorcinelli e Pasquali non avrebbe chiesto di "impugnare, ai sensi dell'art. 23 c.c." la delibera del consiglio nazionale 5 agosto 2022 per farla dichiarare nulla o per ottenerne l'annullamento (e, intanto, la sospensione): anche quella delibera, dunque, fino a un'eventuale decisione che l'avesse invalidata doveva essere considerata esistente ed efficace, quindi gli atti del 30 luglio 2022 - inclusa la decadenza dalla presidenza di De Luca - dovevano considerarsi revocati. Si sarebbe potuto parlare di inesistenza se l'atto "incriminato" non fosse stato in alcun modo imputabile al partito, ma per i giudici la partecipazione di almeno un iscritto al consiglio nazionale del 5 agosto (come a quello del 30 luglio) avrebbe escluso alla radice quest'ipotesi. Sarebbe bastato questo a non far ritenere "provata la titolarità dei poteri di rappresentanza" del Pli in capo a Sorcinelli e Pasquali, mentre verosimilmente De Luca avrebbe auto diritto, quale presidente del partito, "a rappresentare l’associazione Pli e a spenderne il nome, il simbolo e altri segni distintivi".

3) Un nuovo ricorso era stato presentato da Roberto Sorcinelli e Francesco Pasquali a nome del Pli contro Stefano De Luca, con nuova richiesta di tutela cautelare dopo l'ordinanza di reclamo appena vista. Il nuovo procedimento era iniziato sia per contestare che il 5 agosto 2022 si fosse mai svolta alcuna riunione del consiglio nazionale, sia soprattutto per far valere - come fatto nuovo - che proprio il consiglio nazionale del Pli, il 23 giugno 2023, dopo l'ordinanza di reclamo dello stesso tribunale di Roma, era stato convocato dal nuovo presidente dell'organo, Diego Di Pierro (intervenuto a favore del Pli) e aveva "esplicitamente disconosciuto l'asserita riunione tenuta dal sig. De Luca e la conseguente delibera del 5 agosto 2022", negando che fosse "in alcun modo riferibile al Partito Liberale Italiano" e revocandola - al pari di ogni atto compiuto da De Luca nel ruolo da lui rivendicato - per ogni evenienza, oltre a prendere atto "della definitività della espulsione irrogata al Sig. De Luca per omessa impugnazione nel termine di cui all’art. 24 c.c.". Non volendo riconoscere a De Luca "qualsivoglia rappresentanza o funzione" e volendo reagire alle azioni (ritenute "di disturbo") dello stesso, Sorcinelli e Pasquali avevano chiesto di nuovo al tribunale di Roma di ordinare a De Luca di smettere di usare il nome e il simbolo del Pli e di "cessare immediatamente qualsivoglia pubblicazione, informativa e/o comunicazione inveritiera, capziosa e tendenziosa con la quale tenti [...] di accreditarsi quale iscritto e/o titolare di cariche o financo 'presidente' del Partito liberale italiano";
Il giudice Maurizio Manzi (della XVI sezione civile del tribunale di Roma) il 12 luglio 2023 aveva accolto il ricorso del Pli, pur sottolineando che - come eccepito da De Luca nella sua difesa - non si poteva chiedere nuova tutela cautelare "a fronte di un quadro fattuale sostanzialmente immutato" (essendo necessario l'emergere di fatti nuovi per rivalutare la situazione) e ritenendo che al tempo della precedente ordinanza la delibera del consiglio del 5 agosto fosse valida ed efficace. Il magistrato aveva infatti rilevato che la delibera del 23 giugno 2023 - con cui lo stesso organo aveva disconosciuto la "revoca" del 5 agosto 2022 - doveva considerarsi un fatto nuovo sopravvenuto, sufficiente non a far dichiarare decaduto ed espulso De Luca, ma almeno a fondare il fumus boni iuris del Pli guidato da Sorcinelli e Pasquali (e a far ritenere che, in un clima molto più litigioso e in potenziale peggioramento, il diritto rivendicato dovesse essere protetto subito in via cautelare per non rischiare di comprometterlo del tutto, a tutela "degli interessi patrimoniali del partito nonché a presidio del tessuto ideologico e di credibilità dello stesso").

4) Insoddisfatto dell'esito dell'ordinanza, Stefano De Luca presentò di nuovo reclamo, ritenendo che il primo giudice avesse commesso errori di valutazione. Il collegio della XVI sezione civile (specializzata in materia d'impresa) del tribunale di Roma, presieduto dalla giudice Mazzaro - che aveva già steso l'ordinanza di maggio-giugno - e avente come estensore Guido Romano (lo stesso che aveva dichiarato il "consiglio nazionale" della Democrazia cristiana del 30 marzo 2012 e che nel 2016 aveva disposto la convocazione dell'assemblea degli iscritti della Dc su richiesta del preteso 10% degli iscritti), il 25 settembre 2023 (con pubblicazione il 15 gennaio 2024) accolse il reclamo (si tratta della seconda ordinanza citata nella nota degli avvocati De Luca e Ardone). Ritenendo corretto applicare anche in quel giudizio cautelare ciò che era già stato indicato nell'ordinanza di reclamo precedente circa l'inesistenza della deliberazione di un organo di un'associazione (sostenendo che vi fosse spazio qualora quella deliberazione non fosse stata in alcun modo imputabile al partito), il collegio osservò che - come evidenziato da De Luca in sede di reclamo - alla riunione del 12 giugno 2023 del consiglio nazionale non avrebbe "partecipato alcun soggetto riconducibile al Partito liberale, in quanto tutti i soggetti che compaiono nel relativo verbale erano stati precedentemente espulsi o comunque non più iscritti all'associazione".
Ciò non sarebbe bastato a far dichiarare inesistente la delibera di revoca delle decisioni del 5 agosto 2022, ma per i giudici era sufficiente a far ritenere, incidentalmente e in sede cautelare, che quella delibera non potesse "essere idonea a regolare i rapporti all’interno dell’associazione" e comunque non fosse un "fatto nuovo" per fondare il potenziale diritto del Pli rappresentato da Sorcinelli e Pasquali a ottenere l'inibitoria nei confronti di De Luca. Questi, tra l'altro, non sarebbe stato convocato alla riunione del 12 giugno 2023 e ciò per i giudici, oltre che motivo di potenziale illegittimità della delibera, era "ancora più grave se si pone mente al fatto che il predetto sarebbe stato espulso proprio attraverso l'adozione di tale deliberazione". Tra le conseguenze di queste riflessioni, per il collegio c'era il fatto che De Luca - sia pure con rilievo probabilmente da riferire al giudizio cautelare - rivestiva "ancora la carica di Presidente del'Associazione" e non gli si poteva "vietare di comportarsi come legale rappresentante del Partito Liberale" (anche se i precedenti non univoci della disputa giuridica relativa al Pli hanno indotto i giudici a compensare le spese). 

5) A luglio del 2023, in compenso, Stefano De Luca aveva agito a sua volta contro il Pli, basandosi sulla prima ordinanza collegiale ricordata (quella che aveva respinto il ricorso del Pli rappresentato da Sorcinelli e Pasquali ritenendo non inesistente e tuttora efficace il deliberato del consiglio nazionale del 5 agosto 2022). Rivendicando su tale base la permanenza nel proprio ruolo di presidente nonché la validità del Congresso del 7-9 ottobre 2022 da lui indetto (e da cui sarebbe uscito confermato presidente), De Luca aveva chiesto innanzitutto la nomina di un curatore speciale per il Pli (nominato effettivamente dal giudice Manzi dopo la seconda ordinanza collegiale appena ripercorsa, nella persona dell'avvocato Luigi Amerigo Bottai), per poi domandare che la delibera del 23 giugno 2023 fosse dichiarata inesistente perché non riferibile al Pli o fosse sospesa per la sua sospetta nullità; aveva chiesto anche di dichiarare che "l'unica persona con ruoli e poteri di rappresentanza del Pli" era lui stesso, non invece Sorcinelli e Pasquali. 
Il 21 aprile 2024, tuttavia, il giudice Manzi ha dichiarato inammissibile la richiesta di dichiarare inesistente o sospendere la delibera del 23 giugno 2023: dopo la seconda ordinanza collegiale (prima richiamata), "avrebbe dovuto attendersi la decisione" di primo grado del tribunale sul punto, senza chiedere altre tutele cautelari; in più, per il giudice non era mutato "il quadro fattuale rispetto a quello" valutato nella stessa ordinanza collegiale pubblicata a gennaio, quindi non c'era motivo di prendere altri provvedimenti cautelari (il giudice peraltro ha considerato "irrituale" anche la richiesta del curatore speciale del Pli di far dichiarare il difetto di poteri di De Luca per la mancata impugnazione della sua esclusione dal partito entro sei mesi, perché questo avrebbe ampliato l'oggetto della decisione del procedimento).

6) Stefano De Luca ha scelto di opporre reclamo contro l'ordinanza appena commentata, richiedendo ancora una volta l'intervento di un collegio di giudici: come presidente è stato indicato di nuovo Di Salvo (presidente di sezione), Flora Mazzaro era di nuovo membro della triade, mentre l'estensore era Paolo Goggi (autore a sua volta - nel 2022 - di un paio di pronunce in materia di Democrazia cristiana e scudo crociato). Questo nuovo collegio di seconde cure ha accolto il reclamo di De Luca, in un'ordinanza del 24 luglio 2024 (pubblicata il successivo 5 agosto, stessa data del consiglio nazionale difeso da De Luca), terzo provvedimento indicato nella nota degli avvocati De Luca e Ardone.
L'ordinanza collegiale ha richiamato il provvedimento con cui - ai fini di quel procedimento e della valutazione della concessione di misure cautelari - il 15 gennaio 2024 si era ritenuta probabilmente inesistente o invalida la deliberazione del 23 giugno 2023; ha però ricordato che quella stessa pronuncia era legata a un procedimento precedente (avviato da Sorcinelli e Pasquali in nome del Pli) e che i principi giuridici richiamati in quel contesto dovevano "essere applicati anche nel caso di specie al fine di valutare, questa volta in via diretta e non meramente incidentale, l’esistenza e la validità della delibera in oggetto". Se dunque la precedente ordinanza collegiale aveva espresso dubbi sull'esistenza della riunione/delibera del consiglio nazionale  del 23 giugno 2023 solo per ritenere non fondata la richiesta del Pli di adottare provvedimenti cautelari nei confronti di De Luca, in questo caso i giudici hanno ritenuto - sulla base della stessa previsione di inesistenza o invalidità - che la richiesta di tutela cautelare di De Luca dovesse essere "accolta integralmente", "con conseguente accertamento della inesistenza della deliberazione del Consiglio Nazionale del Partito Liberale Italiano del 23.06.2023".
 
7) In quello stesso procedimento originato dal reclamo e proprio sulla base dell'ordinanza collegiale appena ripercorsa, in pendenza del giudizio di merito De Luca aveva chiesto allo stesso tribunale di ordinare a Sorcinelli e Pasquali di astenersi dal qualificarsi come rappresentanti del Pli, "cessando qualunque comportamento pubblico o privato possa ingenerare nei terzi, e in particolare negli aderenti al Pli, il convincimento che i medesimi sono i legittimi rappresentanti del Pli" [nel frattempo, tra l'altro, si erano celebrate varie elezioni, comprese quelle regionali sarde, in cui il partito aveva presentato proprio liste, anche con altre forze politiche, ndb], di fornire tutte le informazioni sulla tesoreria (e di provvedere al rendiconto della gestione) e di trasferire allo stesso De Luca le credenziali dei canali social e del sito del partito, ritenute necessarie per poter diffondere pubblicamente le proprie posizioni politiche a nome del Pli; lo stesso ordine veniva richiesto nei confronti delle società fornitrici dei relativi servizi internet.
Il collegio, presieduto sempre da Di Salvo e di nuovo con Goggi relatore, l'11 dicembre 2024 ha rigettato le richieste di De Luca. La decisione sembra fondarsi su una questione molto tecnica, cioà sulla possibilità di applicare il procedimento d'attuazione di un provvedimento cautelare (regolata dall'art. 669-duodecies del codice di procedura civile, per cui "[...] l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito") anche ai provvedimenti d'urgenza che hanno sospeso la deliberazione di un organo associativo e, in particolare, al caso concreto. Per i giudici quel procedimento in astratto sarebbe stato applicabile, ma occorreva considerare che la sospensione della delibera del consiglio nazionale (23 giugno 2023) ritenuta probabilmente inesistente aveva già prodotto "una situazione giuridica nuova, sostanzialmente analoga a quella precedente" (perché quella delibera, pur esistente e ancora valida, è stata privata temporaneamente dei suoi effetti) e che in sede cautelare il giudice poteva solo determinare le "modalità di attuazione sulla base del dictum cautelare, senza alcun potere integrativo": in concreto, gli ordini richiesti da De Luca con il suo ricorso non sono stati ritenuti "direttamente desumibili dal provvedimento cautelare di sospensione, che di fatto verrebbe ad essere integrato e non meramente attuato" (per cui il ricorrente, se quegli ordini fossero stati disposti, avrebbe potuto ottenere qualcosa di "non previsto dal provvedimento cautelare di sospensione e non ottenibile neanche all’esito del giudizio di merito", volto solo a far dichiarare inesistente o invalida la delibera del 23 giugno 2023). Di più, per il collegio il tribunale nemmeno alla fine di quel giudizio di merito avrebbe potuto obbligare Sorcinelli e Pasquali "all'esecuzione di un facere infungibile" (nel senso che occorrerebbe comunque la collaborazione dei soggetti per ottenere quel risultato) non previsto dal provvedimento cautelare di cui si chiedeva l'attuazione.
 
8) Da ultimo, Stefano De Luca nel mese di gennaio si è rivolto di nuovo al tribunale civile di Roma, con un nuovo ricorso ex art. 700 c.p.c. contro Sorcinelli e Pasquali, riformulando in sostanza buona parte delle domande - astensione dal vantare le qualità di segretario e presidente del Pli, trasferimento delle informazioni di tesoreria e rendiconto, con sanzioni in caso di inadempimento - già presentate in sede di attuazione del provvedimento cautelare dell'agosto 2024 (e respinte con l'ordinanza richiamata subito sopra); il ricorso era però anche rivolto alle società Meta e Aruba, perché il tribunale potesse ordinare loro di "resettare le credenziali di tutti i canali di comunicazione" web del partito, fornendone di nuove a De Luca, "data l'acclarata indisponibilità di Sorcinelli e Pasquali" (così si legge nell'ordinanza) a trasferire al ricorrente l'accesso. Sorcinelli e Pasquali avevano chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile (per l'intervenuta "destituzione" dalla carica di presidente ed espulsione di De Luca) o comunque infondato (anche per il fatto che la questione era già stata affrontata in altre sedi).
Sulle domande si è espresso di nuovo il giudice Maurizio Manzi, con un'ordinanza composita (). Da un lato egli ha respinto le richieste di inibitoria nei confronti di Sorcinelli e Pasquali, ribadendo quanto già deciso dall'ordinanza di dicembre 2024 (la delibera del 23 giugno 2023, sospesa provvisoriamente, già non produceva più effetti e non si poteva invocare "l'adozione di un pronunciamento cautelare parallelo di natura anticipatoria - a mezzo della richiesta di specificare chi sia l’unico legale rappresentante dell’organizzazione di partito - nelle more dell'adozione delle pronuncia di merito". Il provider Aruba aveva già provato di non avere più rapporti con il Pli (non essendo più né il registrar del dominio del sito www.partitoliberale.it, né il fornitore del servizio di hosting del sito stesso), dunque anche nei suoi confronti il ricorso è stato respinto. Quanto alla società Meta Platforms (fornitrice, tra l'altro, delle piattaforme social Facebook e Instagram), aveva chiesto di essere estromessa dal procedimento, dichiarandosi disponibile a ottemperare "alla ordinanza che fosse stata emessa": su tale base, il giudice le ha ordinato "di apportare le modificazioni richieste (ponendo in essere le condotte volte a tener conto dei mutati assetti nella direzione del partito) nell'arco temporale intercorrente fra la proposizione della istanza cautelare sino alla adozione della pronuncia di merito in prime cure (salva la valutazione, per l’arco temporale successivo, delle statuizioni adottande in sede di giudizio di cognizione ordinaria di primo grado)". Sulla base di quest'ordine può spiegarsi il "passaggio di mano" - dal 10 giugno - dell'amministrazione della pagina Facebook del Pli (mentre chi si riconosce nella presidenza di De Luca ha costituito un diverso sito - www.partitoliberaleitaliano.org - non potendo accedere a quello sotto il dominio storico www.partitoliberale.it, attivo almeno dal 2001, tuttora amministrato da chi si riconosce nella leadership di Sorcinelli e Pasquali); risulta peraltro che l'ordinanza sia oggetto di reclamo, del quale ancora non si conosce l'esito.
 
Ricostruito - si spera nel modo meno incompleto possibile - il quadro delle ordinanze emesse finora, ci si limita a poche osservazioni (senza entrare in commenti). Da un lato, si è di fronte a otto decisioni - se non è sfuggito qualcosa - tutte di natura cautelare e, come tali, provvisorie e transitorie: le sentenze di primo grado dei rispettivi giudizi di merito, ove si arrivasse alla loro emissione, potranno quindi decidere in modo diverso a seguito di una cognizione piena e non "a prima vista". Dall'altro lato, è altrettanto vero che quelle stesse ordinanze (in particolare le tre collegiali di reclamo, indicate ai punti nn. 2, 4 e 6, nonché le decisioni più recenti ai punti nn. 7 e 8) esistono, producono effetti e, fino al loro eventuale superamento, occorre tenerne conto.
Va inserita in questo contesto la "doppia convocazione" del XXXIII congresso del Pli, che assai probabilmente genererà nuovi contenziosi. Questi, come quelli già avviati (e tuttora pendenti con riguardo al merito), finiranno per riguardare anche l'uso del nome e del simbolo del partito: non tanto la titolarità di quei segni di identificazione, quanto la legittimazione a utilizzarli. L'art. 25 dello statuto precisa che "[i]l Presidente e il Segretario Nazionale hanno disgiuntamente la rappresentanza legale del Partito nei confronti dei terzi ed in giudizio, e sono i custodi ed i responsabili del logo e del simbolo del Partito" e gli stessi "esercitano la facoltà di concedere le deleghe per l’utilizzo del logo e del simbolo, su richiesta degli organi territoriali del Partito per uso elettorale e/o propagandistico ed in ogni altra occasione". Chi dunque si ritiene legittimamente segretario o presidente rivendica per sé l'uso legittimo del simbolo, negando che altri soggetti possano essere titolati. Si resta dunque in attesa degli sviluppi della questione politica e - soprattutto - giuridica, per poterne dare conto e aiutare la comprensione.

venerdì 13 giugno 2025

Più Uno, se il progetto di Ruffini richiama subito l'Ulivo

L'effetto del passato che si riaffaccia, o almeno l'impressione che sia così, in francese ha il suono morbido - pure se contratto - del déjà vu. Meno morbida e meno poetica, ma sempre più diffusa è la sensazione di "già visto" in campo politico. Sarà che spesso riappare chi - anche solo per poco tempo - ha fatto parte delle cronache, dei commenti e persino dei "retroscena", sarà che le proposte di programma su vari temi raramente sono originali (ammesso che ciò sia possibile e, soprattutto, ragionevole) e che persino i nomi e le grafiche con cui ci si dovrebbe distinguere finiscono spesso per somigliarsi; sta di fatto che molte persone credono sovente di trovarsi di fronte all'ennesimo politico o partito fotocopia. Quel giudizio, ovviamente, può essere  tanto ingeneroso quanto devastante, potendo minare dall'inizio la strada di un progetto politico. 
In certi casi però la memoria dei #drogatidipolitica si attiva immediatamente ed è difficile lasciare da parte il pensiero che quell'attivazione sia stata espressamente voluta da chi ne ha creato le condizioni. Difficile pensare a qualcosa di diverso, in particolare, guardando la grafica, diffusa solo qualche manciata di ore fa, per il progetto politico legato al nome di Ernesto Maria Ruffini, sino alla fine dello scorso anno direttore dell'Agenzia delle entrate, dimessosi  senza risparmiare polemiche verso chi dipingeva la scelta di combattere l’evasione come "una scelta di parte e addirittura qualcosa di cui vergognarsi". Già prima delle dimissioni si era iniziato a parlare di Ruffini come persona potenzialmente in grado di "riorganizzare un centro, dare forza a un centro del centrosinistra, diventare l'atteso 'federatore' del campo largo" (così aveva scritto Marco Iasevoli su Avvenire). Dopo le smentite, è arrivato un atto concreto: il 1° marzo è stata costituita l'associazione Più Uno, con sede a Roma in viale Carso, avente tra i suoi scopi, come si legge all'art. 3 dello statuto, "attivare, convogliare e catalizzare lo straordinario potenziale civico esistente nel nostro paese e mettere in rete esperienze di impegno civile, impegno che è necessario per dare una prospettiva condivisa alle sorti del nostro sistema democratico", nonché "favorire l'impegno sociale e far riscoprire i legami e le responsabilità verso la comunità, quali fondamento di libertà e orizzonti in grado di superare i confini e destini dei singoli", sostenere "la costruzione di una società improntata al bene comune e al benessere collettivo, impegnandosi fin da subito a creare spazi di confronto e proporre nuove idee" per migliorare la qualità del dibattito politico, riavvicinare i cittadini al confronto civile e alla partecipazione. Tutto ciò vedendo nell'integrazione europea "l'unico percorso perseguibile di pace e benessere del popolo europeo, [...] in cui l'Italia deve tornare ad essere protagonista ai capofila ispirandosi ai principi fondamentali alla base della nostra costituzione" e volendo valorizzare "lo straordinario lavoro di organizzazioni no-profit che ogni giorno sostengono le crepe sociali e le fragilità umane nelle periferie delle città e affrontano anche le problematiche che attraversano i centri della città".
Fin qui e nei molti altri propositi non è difficile ritrovare le caratteristiche di un progetto politico (nel senso più ampio e, volendo, più nobile del termine) di matrice cristiana e democratica: ciò non stupirebbe nemmeno troppo, anche considerando che il padre di Ruffini, Attilio, era stato a lungo deputato della Democrazia cristiana e che uno dei fratelli, Paolo, come giornalista ha avuto una lunga esperienza alla guida - oltre che di Rai3 - di Tv2000 e del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Poi però lo sguardo cade sulla grafica che è stata scelta per il nome dell'associazione: appena si vedono quelle sei lettere in carattere bastoni blu e con l'accento rosso, è quasi impossibile non ripensare subito all'Ulivo concepito visivamente per Romano Prodi da Andrea Rauch nel 1995 (la genesi è stata raccontata a questo sito dallo stesso autore con dovizia di particolari). 
Ancora di più, riesce quasi impossibile credere che quel rimando non sia stato scientemente voluto. Innanzitutto la costituzione dell'associazione Più Uno va di pari passo con la pubblicazione del libro omonimo, edito da Feltrinelli, dal contenuto chiaramente politico. Il carattere impiegato in copertina (New Century Schoolbook), tuttavia, è coerente con quelli impiegati dall'editore per tanti altri suoi volumi; è invece ben diverso dal Futura Black usato ora per comporre il logotipo dell'associazione e anche i colori che tingono il testo somigliano davvero moltissimo al blu e al Rosso senti da Rauch nel 1995. A onor del vero, il sito più.uno riporta una grafica simile a quella della copertina, con i cerchi colorati che si sovrappongono (a qualche drogatodipolitica incallito potrebbe tornare in mente anche il varo grafico di Italia unica di Corrado Passera, ma l'esito un poco felice ne sconsiglierebbe il richiamo).
La sensazione che il rimando alla stagione rivista sia tutt'altro che casuale aumenta considerando le parole pronunciate da Ruffini alla sua ultima partecipazione a DiMartedì, il 10 giugno, intervistato da Giovanni Floris: "Son cresciuto con i comitati per l'Ulivo: sono stati una stagione straordinaria, senza nulla togliere ai partiti". Lo stesso strumento immaginato "per riportare le persone a partecipare, a sentirsi coinvolte, ad essere in qualche modo partecipi di un sogno futuro", vale a dire i Comitati "Più Uno", che Ruffini vorrebbe far nascere in ciascuna delle province italiane per essere promotori "di partecipazione politica, di discussione e di voto consapevole", non possono che ricordare i Comitati per l'Italia che vogliamo alla base dell'esperienza prodiana citati dallo stesso ex direttore dell'Agenzia delle entrate.
Chi conosce e ricorda bene le vicende della politica italiana successiva nel 1994, del resto, sa bene che le parentele grafiche con l'Ulivo non costituiscono certo una novità. Nel 1999, infatti, pochi mesi dopo la caduta per un voto del suo (primo) governo, Romano Prodi si convinse a costituire un proprio partito in tempo per partecipare con una lista alle elezioni europee, un po' per andare alla conta (a dispetto dei piani altrui) e un po' per preparare il futuro. Alla fine si decise - probabilmente su indicazione di Arturo Parisi - di utilizzare l'asinello come simbolo per il nuovo partito-lista e di usare il nome "i Democratici", senza alcun riferimento esplicito all'Ulivo (da ricostruire con il tempo); nonostante questo, all'agenzia Advcreativi di Ancona che fu incaricata di dare forma al simbolo fu abbastanza chiaro fin dall'inizio - come ha dichiarato a questo sito il suo fondatore, Francesco Cardinali - "che il lettering del simbolo doveva restare lo stesso dell'Ulivo".
L'Ulivo fu comunque recuperato nel 2001 per contrassegnare la coalizione guidata da Francesco Rutelli (che non ebbe però la stessa fortuna del 1996) e nel 2004 con una leggera variante - Uniti nell'Ulivo, con il ridisegno del simbolo affidato a Bruno Magno - per distinguere alle europee la lista unitaria di Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani europei. Nel 2005, però, nell'ultimo anno della legislatura, si iniziarono a scaldare i motori per le regionali dello stesso anno e guardando soprattutto alle politiche dell'anno successivo: si iniziò quindi a preparare una coalizione larga, anzi larghissima, che potesse contenere tanto Fausto Bertinotti quanto Clemente Mastella. La leadership di Prodi sarebbe stata confermata in autunno con le primarie della coalizione, ma già il 10 febbraio fu presentato pubblicamente il simbolo dell'Unione, con l'emiciclo parlamentare tinto dei colori dell'arcobaleno e il nome scritto con lo stesso carattere dell'Ulivo, ma stavolta colorato di verde (ma sempre con un apostrofo rosso, tutto obliquo stavolta).
E se alla scelta del nome pare abbia lavorato Annamaria Testa a Milano, a dare forma al simbolo era stata ancora una volta la Advcreativi di Cardinali, che sull'Unità dell'11 febbraio 2005 (il giorno dopo la presentazione del nuovo emblema) aveva concorso a spiegare la genesi della grafica. Grafica arcobaleno che paradossalmente finì sulle schede delle elezioni regionali del 2005, ma non su quelle delle elezioni politiche del 2006 (tranne che in Alto Adige e nella circoscrizione Estero), visto che la nuova legge elettorale consigliava di colpire in coalizioni multiliste.
Dopo quell'evento elettorale - e il naufragio del secondo governo Prodi - rimase solo il rametto dell'Ulivo, inserito obtorto collo nel simbolo del Partito democratico da Nicola Storto (e mantenuto fino a oggi contro la volontà di colui che lo disegnò, cioè Rauch). Ora che il Pd non è più quello di Matteo Renzi ma continua a essere oggetto di critiche, soprattutto da parte dei moderati, sembra pronto a partire qualcuno che spera di intercettare - come federatore o ricostruttore - varie sensibilità dell'area progressista, magari rievocando lo spirito del 1995-96 anche grazie ai colori. Chissà se Più Uno diventerà partito e se i colori dell'Ulivo conviveranno con quel che resta del rametto in due simboli diversi...