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giovedì 11 agosto 2022

Pd - Italia democratica e progressista: piccolo ritocco, lista più ampia

Alla fine il contrassegno elettorale presentato poche ore fa dal Partito democratico (presso la "Casa dei volontari" a Roma) per la propria lista aperta ad altri partiti politici e soggetti civici per il rinnovo del Parlamento il 25 settembre non è molto diverso da quello che in un primo tempo era stato pubblicato all'inizio di agosto, salvo essere ritirato poco dopo, lasciando però tracce qua e là (seguite e utilmente impiegate da questo sito, che era riuscito a recuperare l'immagine originaria). Il logo creato nel 2007 da Nicola Storto è praticamente nello stesso posto, cambia soltanto leggermente il segmento inferiore, che completa il fregio elettorale: il fondo è rimasto di colore rosso - nonostante subito dopo il "ritiro" della prima versione del simbolo fossero circolate voci di lamentele anche sulla tinta usata - anche se la base è stata leggermente incurvata, particolare piuttosto inedito per i simboli dem, anche locali; all'interno, poi, è riportata la dicitura "Italia democratica e progressista", quasi identica alla precedente ("Per un'Italia democratica e progressista"), ma ora resa più visibile essendo più breve.
Non c'è stato dunque alcun cambiamento rilevante del fregio elettorale, in termini di colori o contenuti (nessun riferimento, per esempio, al socialismo europeo, come qualcuno aveva sperato: si capirà poi il perché dell'assenza). Si è invece allargata la compagine che concorrerà a costruire la lista, perno della coalizione di centrosinistra: ciò è stato frutto, innanzitutto, del lavoro svolto in questi mesi attraverso il percorso delle Agorà democratiche (che in concreto si è tradotto in un migliaio di appuntamenti, con oltre 100mila persone raggiunte e circa 900 proposte elaborate, molte delle quali verranno recepite nel programma che il Pd approverà nei prossimi giorni). Nella valorizzazione di quel percorso rientra la candidatura di Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, che correrà  da indipendente (come esponente della comunità Coraggiosa, dopo avere militato nel Pd e in Possibile): nel suo intervento ha sottolineato l'importanza del lavoro fatto nelle Agorà "per cercare di ricucire un rapporto proficuo con la 'sinistra diffusa' e costruire insieme il programma da proporre", in modo che coloro che lo portano avanti si pongano come "i più duri avversari della paura di futuro che sta colpendo larghe fasce della società".
Al di là dei saluti del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ("In questi ultimi due anni e mezzo l'Italia ha avuto paura perché rischiava di morire: in quei momenti drammatici siamo stati il simbolo delle forze della speranza. Governata la parte sanitaria del Covid-19 ma ancora con i suoi effetti drammatici di natura sociale ed economica sul tappeto, penso che il nostro sarà anche stavolta il simbolo della speranza, che parlerà del futuro con meno rischi e più certezze, senza negare le paure ma cercando di trasformarle in voglia di riscatto") e del sindaco di Roma Roberto Gualtieri (che ha parlato del nuovo emblema elettorale come "simbolo dell'inclusione, che caratterizzerà una campagna di combattimento gioioso, pieno di fiducia e partecipazione per avere un'Italia più democratica, più progressista, più europea e più giusta"), è stato interessante seguire gli interventi delle e dei rappresentanti delle forze politiche che daranno il loro contributo alla lista allargata. 
Fin dall'inizio l'interlocutore principale è stato Articolo Uno, con il suo segretario nazionale e ministro della salute uscente Roberto Speranza: in fondo, "Italia democratica e progressista" non è troppo diverso come nome da "Movimento democratico e progressista" che aveva caratterizzato soprattutto i primi tempi del partito. "Di fronte a una destra che può portare a sbattere il Paese - ha detto - mai come oggi i destini dell'Italia dipenderanno dal nostro simbolo e dalla nostra capacità di camminare e convincere le persone. La Costituzione è il programma più forte che abbiamo e mi vengono i brividi sentendo di progetti di riforma che vorrebbero portare nella nostra Carta l'idea di pieni poteri o di una persona sola al comando. Dobbiamo essere innanzitutto la lista degli articoli 1, 3 e 32, della difesa del valore e della dignità del lavoro, della lotta contro le diseguaglianze soprattutto attraverso la scuola e la sanità pubblica".
Aveva aderito presto al progetto di lista unitaria e allargata anche il Partito socialista italiano, rappresentato dal segretario Enzo Maraio: "I socialisti sono pronti ad accogliere questa sfida, anche nel nome dei valori del socialismo europeo che ci accomunano e stanno cambiando le sorti dei migliori paesi d'Europa: abbiamo voluto dare un segnale forte all'Italia, mettendo insieme energie, valori, ideali, storia, anche se il passato non sempre ci ha visti uniti. L'abbiamo fatto perché dobbiamo affrontare insieme priorità e obiettivi per questo Paese, cui dobbiamo dare risposte concrete, impegnandoci innanzitutto per ridare fiducia e speranza alle giovani generazioni con una visione di sviluppo strategico, che possa sbloccare l'ascensore sociale e valorizzare davvero il merito e le competenze". 
Oltre ad Articolo Uno e al Psi aveva aderito tempestivamente al progetto di lista anche Democrazia solidale (DemoS), forza politica maggiormente legata al cattolicesimo sociale (soprattutto alla Comunità di Sant'Egidio), ma di certo non lontana nei valori dagli altri soggetti politici citati sin qui: "Siamo nati tre anni fa e in varie realtà governiamo con il Pd e il resto del centrosinistra - ha detto il segretario nazionale Paolo Ciani - ma il lavoro comune è cresciuto soprattutto nelle Agorà democratiche intorno alle idee: proprio la mancanza di idee ha fatto allontanare tante persone dalla politica. Per noi di DemoS, provenendo in gran parte dal mondo dell'associazionismo e del volontariato, c'è al centro la Persona, quella vera e concreta che spesso la politica degli altri dimentica o usa strumentalmente".   
Non poteva invece passare inosservata, soprattutto per chi appartiene alla categoria dei #drogatidipolitica, la partecipazione alla lista del Movimento dei repubblicani europei, rappresentati all'evento di lancio del contrassegno dalla storica leader Luciana Sbarbati: "Il simbolo è nuovo e vecchio allo stesso tempo: accorpa una classe dirigente politica che ha fatto sempre delle battaglie sociali, culturali ed economiche per la giustizia sociale di questo Paese. Per noi Repubblicani europei, che siamo da sempre con Enrico Letta e col Partito democratico come prima avevamo aderito all'Ulivo, essere qui non è un privilegio ma, mazzinianamente, un dovere: abbiamo sempre voluto un'Italia laica, giusta, democratica, meritocratica, attenta alle esigenze dei più poveri. Voler mettere la scuola pubblica al primo posto e ridarle dignità, come ha annunciato Letta, per noi è tutto". 
Da registrare anche l'intervento di Eliana Canavesio, co-presidente di Volt Italia: "Abbiamo un cuore italiano di prima e seconda generazione, ma abbiamo uno sguardo europeo e siamo qui a rimboccarci le maniche cercando davvero di combattere per un futuro già migliore oggi e anche per le generazioni che verranno, perché se non ci sentiamo tradite e traditi per un patto intergenerazionale che non è stato rispettato, non vogliamo che accada lo stesso in futuro, come accadrebbe certamente con la flat tax abbandonando la progressività dell'imposizione fiscale. Occorre poi parlare seriamente ora di lotta al cambiamento climatico, dalla mobilità sostenibile agli investimenti importanti nelle energie rinnovabili, di diritti da portare avanti, di lotta alle diseguaglianze, innanzitutto da quelle di genere". 
Accanto al contrassegno elettorale di fatto è stato presentato da Enrico Letta un altro simbolo: il minibus elettrico - il mezzo più grande concepibile con quel tipo di alimentazione - con cui saranno svolte le ultime due settimane di campagna elettorale: "Si tratta di una scelta impegnativa - ha  spiegato - perché abbiamo capito, nel progettare questo periodo, quanto l'Italia sia ancora arretrata sulla mobilità elettrica: fare un giro d'Italia con questo veicolo è praticamente impossibile, ma a noi le sfide impossibili piacciono, così i nostri incontri saranno scanditi dalle colonnine della ricarica, visto che oltre i 150 km non si può andare". "Insieme - ha concluso - si è più forti e convincenti, possiamo arrivare a essere la prima lista del nostro paese alle elezioni politiche. Il simbolo racconta qualcosa di importante, cosa significhi essere Italia democratica e progressista. In queste elezioni, come nella vita, crediamo che nessun destino sia già scritto e lavoreremo per questo: non conta chi sei, chi sei stato, conta chi vuoi diventare e cosa vuoi fare per questo Paese che vogliamo cambiare insieme". Il Pd e le altre forze che si impegneranno nella lista comune hanno reso noto con quale simbolo intendono distinguersi, Impegno civico e l'Alleanza Verdi e Sinistra pure: resta da conoscere il contrassegno di +Europa, che - visto l'elenco fatto ieri - sarà elettoralmente autonoma, ma sempre coalizzata. 

domenica 14 luglio 2019

Sinistra: il nuovismo simbolico-organizzativo che porta alla disfatta (di Roberto Capizzi)

Periodicamente l'ultraframmentazione della sinistra italiana finisce oggetto di articoli, analisi, volumi (come Déjà vu di Francesco Cundari, ripercorso in questo sito), ironie, persino test di conoscenza politica (aveva iniziato L'Espresso). Non ci si ferma mai abbastanza a riflettere, però, su quanto i continui cambi di insegne e di contenitori - non necessariamente di persone - siano dannosi, per il morale dei sostenitori e in generale per la credibilità di ogni singolo, nuovo e (almeno) penultimo progetto. Cedo per questo volentieri la voce a Roberto Capizzi, consultatore seriale di questo sito ma soprattutto portatore di un sogno per nulla celato: che a sinistra un simbolo duri almeno quattro elezioni politiche di fila (non anticipate, non facciamo i furbi). Leggendo le parole di Capizzi, verrebbe da sperare che a sinistra, almeno sul piano simbolico, avessero voglia di aderire all'invito datato ma intatto di Aldo Moro: "Non fate nulla. Nulla. E se proprio non ce la fate a non fare assolutamente niente, fate pochissimo". E quel pochissimo sarebbe comunque troppo.

Dalla fine dei partiti di massa, avvenuta più o meno in contemporanea con la stagione giudiziaria passata alla storia come “tangentopoli”, non passa elezione senza che nuovi simboli, nuovi partiti o nuovi finti partiti (in realtà poco più che comitati elettorali o liste"di scopo", nel senso "con lo scopo di far eleggere qualcuno"), nuovi soggetti "civici" (qualsiasi cosa voglia dire il termine) appaiano sulle schede. 
Nel campo largo del centro-sinistra e in quello della sinistra rimasta al di fuori del primo, questo continuo rinnovamento simbolico, associato spesso (ma non sempre, si pensi alla lista della Sinistra - l'Arcobaleno del 2008) a una moltiplicazione dei soggetti esistenti, ha trovato una propria sublimazione.
Il fenomeno è facile da verificare. Ad ogni elezione - fosse essa comunale, provinciale (quando ancora si poteva votare per le province), regionale, politica o europea - nuovi simboli venivano partoriti dall'accrocchio del momento, che però doveva essere eterno o quantomeno destinato a durare, almeno secondo i dirigenti di turno.
A ogni elezione il risultato negativo conduceva poi a nuove separazioni e alla nascita dalle ceneri delle esperienze unitarie (dalla Federazione della Sinistra a Liberi e Uguali) di nuovi soggetti.
Si è creduto, in altri termini, tra i dirigenti ma anche tra larga parte del settore militante della sinistra (forse nella sua maggioranza) che scorciatoie organizzative potessero fornire quel risultato - in termini di consenso nel cuore del Paese e nelle urne - che invece soltanto la politica può portare.
Paradossalmente, i continui cambi di nomi e simboli dei partiti della sinistra nonché le loro continue frantumazioni (anche se l'unità a prescindere dai contenuti è anch'essa un dramma del quale sarebbe utile liberarsi: è, ad esempio, la malattia che affligge Giuliano Pisapia) hanno contribuito a quei risultati negativi
La confusione, lo smarrimento per non aver trovato il proprio simbolo sulla scheda, la delusione per non avere di nuovo il simbolo che si è votato la volta prima, sono stati anch'essi cause, sia pure minori, del declino della sinistra in Italia.
A questo elemento che concerne l'aspetto simbolico va ovviamente aggiunta la politica: la rincorsa al centro, l'abbandono di un'idea alternativa di società, le privatizzazioni da un lato; il settarismo, il dogmatismo, il minoritarismo dall'altro. Tutto questo ha confinato la sinistra a essere certa, e sempre più ridotta, minoranza. 
Quale strategia dunque è necessario percorrere in un'epoca di crescita delle destre - anche di quelle che possono ritenersi apertamente "fasciste", come il risultato della Lega in Italia e di Bolsonaro in Brasile ci dicono - su scala globale?
Premessi i dati politici, ideologici (e sarebbe anche il caso che la parola ideologia riprendesse il proprio posto, scacciando quell'obbrobrioso termine liberale di "programma"), di visione del mondo, radicalmente alternativi alle destre, occorre che sul piano organizzativo si abbia il coraggio di mettere un punto fermo alla frantumazione e alle scorciatoie nuoviste.
Per quanto concerne il frazionismo, il lavoro da compiere è arduo e riguarda ogni militante della sinistra preso singolarmente. Abiurando a un'idea collettiva della politica, allo spirito di partito, alla convinzione di fare qualcosa anche se non convinti perché "è il partito che lo chiede", ogni singolo militante si crede in diritto di poter contestare pubblicamente - ma anche farlo sulle proprie reti sociali, ad esempio, vuol dire farlo pubblicamente - la linea del proprio partito, di scegliere candidati da esso non designati, di muoversi liberamente se eletto in qualche incarico pubblico, ecc. Tale atteggiamento (che è di destra, antropologicamente di destra) porta poi, quando coinvolge qualche dirigente o qualche eletto al parlamento, alla fondazione di nuovi partiti che aggiungono confusione alla confusione. L'unica strada per combattere questo male è anche l'unica strada per battere per sempre le scorciatoie nuoviste: la politica di una volta.
L'umiltà, la disciplina di partito, l'impegno nel partito anche dopo le sconfitte (cosa che non implica ovviamente la stupidità, che hanno i settari, di seguire sempre la medesima via nonostante si perda sempre) sono l'unica strada che può condurre a Partiti con la "P" maiuscola, che durino almeno vent'anni e che siano casa sicura, accogliente, rassicurante e insieme educatrice per generazioni di militanti. 
Chi vi scrive è iscritto dalla propria fondazione ad Articolo Uno: si tratta certamente di un soggetto politico nato da una scissione, anzi forse si dovrebbe più correttamente parlare di due scissioni (quella dal Pd, la più nota, e quella da un pezzo di Sel, mia penultima casa politica), eppure erano scissioni politicamente motivate.
Nel tentativo di far prevalere la politica sulla ragioni di un'unità fine a sé stessa, Articolo Uno ha contribuito alla nascita di Liberi e Uguali, una coalizione politica che sarebbe dovuta diventare partito subito dopo le elezioni, celebrando un congresso nel quale si sarebbe scelto il gruppo europeo al quale aderire e quindi la propria direzione futura.
Per motivi che in futuro qualche tesista di Scienze Politiche forse ci spiegherà (io sinceramente non ho capito perché non si sia celebrato un congresso, anche se ho capito chi non lo ha voluto), quanto promesso il 5 marzo 2018 è finito carta straccia, generando nuovo scoramento e nuovi abbandoni nel sempre più anemico tessuto militante. 
Da allora Possibile ha ripreso la propria attività autonoma, tingendosi di verde a qualche settimana dalla presentazione delle liste; da una scissione di Articolo Uno e dalla sua confluenza con settori di "autoconvocati di LeU" è nata èViva, ennesimo partito autonomo sia pure per l'uomo comune esso sì del tutto indistinguibile programmaticamente dalla già esistente Sinistra Italiana; da una scissione di Sinistra Italiana è nata l'associazione Patria e Costituzione, soggetto che mischia spunti interessanti con suggestioni poco accettabili; vi sono poi Sinistra Italiana, che continua a esistere, e Futura, comitato elettorale di Laura Boldrini che raccoglie parte delle personalità che erano state prossime a Giuliano Pisapia nella breve esperienza di Campo Progressista (tra essi l'eurodeputato fresco di elezione Massimiliano Smeriglio, anch'egli tra i transitati per Articolo Uno).
In ultimo Articolo Uno ha celebrato di recente il proprio congresso nazionale, confermando la propria permanenza come partito autonomo, ma allo stesso tempo non spegnendo le suggestioni circa nuovi soggetti da fondare, magari nel caso remoto in cui il Pd decidesse, finalmente, di sciogliersi.
Ritengo che lasciare aperte queste suggestioni sia sbagliato: se i primi a non credere nella durevolezza della nostra proposta politica (e simbolica e organizzativa) siamo proprio noi, perché gli altri dovrebbero crederci?
Si abbia il coraggio di compiere un percorso; si vincolino gli eletti di cui disponiamo a un sacro patto di rispetto delle decisioni provenienti dagli organismi interni; si discuta con franchezza con altri pezzi della sinistra sulla possibilità - in fine litis, oramai - di ridar vita a un simil-LeU, si tagli la strada a ogni ciarpame civista o da società civile (non è sempre vero, ma spesso dietro il civismo sta soltanto l'esigenza di non versare la quota al partito e fare ciò che si vuole una volta eletti) e si aprano e si comprino col poco denaro di cui disponiamo sedi e bandiere, il cui simbolo dovrà poi apparire sulle schede almeno un numero di volte sufficiente da farci riconoscere dagli elettori. 
Si mettano, in altri termini, radici materiali nella società e si consenta a chi ospita questa mia riflessione sul suo blog di scrivere in futuro: "nessuna novità grafica per la sinistra di Articolo Uno, presente ormai da anni sulle schede con lo stesso simbolo".

domenica 12 novembre 2017

Max, la proposta (bocciata) di Toscani per la sinistra

Il simbolo elaborato da Toscani
Come si corre nell'immediata sinistra del Pd? Un po' più uniti rispetto alla situazione attuale sarebbe meglio, anche perché altrimenti la soglia del 3% rischierebbe seriamente di apparire irraggiungibile. Certo, ci vorrebbe un simbolo unico e, probabilmente, non è il tempo di biciclette o tricicli grafici, considerando che con Articolo 1 potrebbero schierarsi Sinistra italiana e Possibile. Proprio in questi giorni, però, si apprende che un primo tentativo blasonato di elaborare quell'emblema è naufragato con fragore, sia per l'accoglienza a dir poco imbarazzata dei possibili utenti del logo, sia per il prestigio del creativo che lo aveva concepito (e per la reazione tutt'altro che diplomatica al rifiuto della sua idea).
Il nome in questione è quello di Oliviero Toscani: il suo curriculum non ha bisogno di presentazioni, la sua attitudine alla provocazione (e il suo piglio nelle reazioni) nemmeno. La sua comparsa sulla scena è stata raccontata così due giorni fa da Goffredo De Marchis sulla Repubblica: 
L'abboccamento risale a un paio di mesi fa. Il fotografo si propone per dare un'identità grafica al nuovo soggetto che deve riunire sotto lo stesso tetto Bersani, D'Alema, Pisapia e ora Grasso. "Sono amico di Pisapia da decenni. Ho curato la campagna per Bersani quando diventò presidente dell'Emilia Romagna. Il simbolo ve lo disegno io". Agli inizi di ottobre l'entusiasmo di Toscani si traduce in un marchio. Chiama i dirigenti di Mdp e dice: "Sono pronto". Arrivano in sede il coordinatore Roberto Speranza, i capigruppo Giuseppe Laforgia e Maria Cecilia Guerra, Arturo Scotto. Ci sono anche i comunicatori del movimento bersaniano. Saluti e convenevoli via Internet poi il Maestro svela la sua creatura. Avvicina un cartoncino alla telecamera e a Roma appare il logo che dovrebbe andare sulle bandiere, sui gadget, sui manifesti e in tv per la campagna elettorale. 
Più che un simbolo, sullo schermo presente nella sede di Articolo 1 in via Zanardelli un mesetto fa è apparso un logo composto da una sola parola: MAX. Un emblema che oggi Helga Marsala su Artribune descrive così
un simbolo grafico secco, sintetico, squillante, massiccio, dal taglio assai pubblicitario o televisivo, lontano dai classici simboli romantici di partito (falce e martello, garofano, ulivo, asinello…) ma anche da un certo minimalismo imperante o dal gusto progressista made in USA in stile Obama. Toscani spalma le tre lettere cubitali su un cerchio convesso, arrotondandole, e le trasforma in un brand sfacciato, senza fronzoli. Sta tutto nel nome. Max come “massimo”: dare il massimo, fare il massimo, scommettere su un’idea e spingerla… Al massimo, per l’appunto. Questo il concept. E poi, ha spiegato con convinzione, “suona bene”. Il colore? Manco a dirlo, un rosso lacca che più rosso non si può. Perché la tradizione, per un progetto di questo tenore, resta un riferimento essenziale: le radici solide su cui ricostruire un mondo, tra nostalgia e progressismo, rigore purista e sperimentazione. 
Tutto bene? Insomma. Perché i vertici di Mdp hanno immediatamente pensato quello cui, a quanto pare, non era venuto in mente a Toscani: Max, Massimo rimanda inevitabilmente a Massimo D'Alema, tra i registi della scissione rispetto al Pd, detestato apertamente da chi è rimasto nella casa dem e probabilmente non troppo amato nemmeno da alcuni di Articolo 1, che lo vedono come una presenza ingombrante e - in prospettiva - divisiva. Alle perplessità manifestate dai potenziali utilizzatori del simbolo, Toscani ha ribattuto confermando la propria idea, come De Marchis ha debitamente annotato:
A suo modo, è un'idea geniale. Si dà un'etichetta nuova a una storia che da anni oscilla, nella terminologia e nella simbologia, tra democratici, progressisti e sinistra con esiti sempre meno incoraggianti. Si mette la minigonna a una tradizione che segna il passo in tutto il mondo, si colora la polvere dell'ideologia. E si ribalta il vecchio in nuovo, nuovissimo. Un tocco di dadaismo. "Non vi sembra moderno?", insiste Toscani. Eliminato il sospetto di una presa in giro del fotografo che ha creato per due decenni la pubblicità di Benetton, che ha scritto "chi mi ama mi segua" sul sedere di una modella fasciata dagli short dei Jesus Jeans, autore di mille campagne sociali incisive, scioccanti e per questo denunciate o censurate, i dirigenti di Mdp ascoltano il guru. Toscani spiega e rispiega. Fa notare che l'incrocio tra la A e la X crea anche l'effetto di una falce e martello stilizzati. Lista Max suona bene? Maxisti è un bel nome per gli elettori di sinistra? Segue dibattito.
Il primo logo diffuso dai media
Tutto questo, però, non è bastato, così l'offerta sarebbe stata cortesemente declinata. E Toscani, ovviamente, l'ha presa malissimo e non le ha mandate a dire: "Sono dei coglioni così, tutta gente che non è capace a fare un cazzo" (intervistato da Radio Capital e rilanciato dalla Repubblica); "D'Alema porta sfortuna. Max è un soprannome sbagliato per un tipo come lui, tutt'altro che maximo. Io avevo un cane e un cavallo. Sa come si chiamavano? Entrambi Max. Non ho mica pensato a loro. Perché Max non è un nome, è un concetto" (sulle pagine di Vanity Fair). Come se non bastasse, Oliviero Toscani ha prontamente disconosciuto la versione del simbolo fatta circolare dai media (a partire dalla Repubblica) che sarebbe stata alterata: "Quello non è il mio simbolo. Gliel'ho fatto vedere e loro lo hanno disegnato a caso, ad occhio, la cosa più pirla che potessero fare". In effetti, la prima immagine mostrata era molto più simile a una sfera su cui era impresso il nome, complicando probabilmente il messaggio comunicativo (era serissimo il rischio dell'effetto "pallone gonfiato") e alterando anche il colore, assai meno rosso e meno squillante rispetto all'originale. Di rimetterci le mani, ovviamente, nemmeno a parlarne, anzi: secondo Toscani "a loro piace in realtà, non piace solamente perché ha Max e a loro ricorda Max D'Alema, tutto lì". Una cosa da nulla, insomma.