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venerdì 7 agosto 2020

Campania, alle regionali torna il simbolo dei Verdi federalisti?

La notizia di un nuovo aspirante presidente della regione Campania non poteva passare inosservata, se non altro perché andava ad aggiungersi a un quadro già piuttosto complesso, anche in termini di liste. Eppure, la presentazione della candidatura di Carmine Attanasio non ha fatto notizia tanto per la persona che si è proposta per la guida della regione o per il suo programma, quanto per il nome e per il simbolo della sua lista, i Verdi federalisti
Il progetto della candidatura di Attanasio ha venti punti, cinque dei quali sono stati illustrati due giorni fa ("gli altri saranno presentati subito dopo il deposito della lista"), con l'intento di trasformare la Campania "in una Regione più forte e più grande, con una propria autonomia organizzativa, amministrativa ed economica, utilizzando e valorizzando le grandi risorse naturali, paesaggistiche, culturali e ambientali di un territorio unico al mondo". In particolare, i Verdi federalisti propongono di concorrere alla costruzione di tre macroregioni "nell'ambito di un'Italia unica e indivisibile e di un'Europa delle regioni, con poteri speciali di autogestione economica e amministrativa" (seguendo, per il sud, confini simili a quelli del Regno delle Due Sicilie), di lavorare sul progetto "Campania Solex" (realizzando la più grande centrale fotovoltaica d'Europa sui terreni liberati dalle ecoballe non più utilizzabili per coltivazione o altre attività) e di trasformare il sud nel "Regno Verde" (con la riforestazione di tutti i comuni campani applicando la legge regionale n. 14/1992), oltre che di tutelare il mare attraverso "una nuova portualità turistica" (con banchine dei moli elettrificate per imbarcazioni di nuova generazione, la creazione di un'area marina semiprotetta inaccessibile ai mezzi inquinanti e la sostituzione del porticciolo di Mergellina) e la realizzazione di nuovi stadi in ciascun capoluogo, con investimenti pubblici e privati e dotati di servizi polifunzionali aperti a tutti i cittadini.
Fin qui il programma che è dato conoscere. Impossibile negare, tuttavia, che l'occhio del drogato di politica sia corso immediatamente al simbolo presentato: al di là dell'aggiunta del riferimento alla candidatura di Attanasio, si tratta esattamente dello stesso contrassegno che fu presentato per la prima volta nel 1992 alle elezioni politiche, per distinguere la forza politica ambientalista guidata da Laura Scalabrini. Rispunta, dunque, il girotondo verde di bambini su fondo giallo, che sormonta il nome del partito, con la parola "Verdi" in grande evidenza (anche perché "federalisti", vuota all'interno, si legge assai meno); rispunta questa volta legato a Carmine Attanasio, che nel 2015 da consigliere comunale di Napoli aveva aderito al Pd, dopo essere stato eletto consigliere comunale nel 2011 con l'Italia dei valori, salvo poi tornare nei Verdi pochi mesi dopo (ed essere candidato alle regionali nella lista Davvero-Verdi, quindici anni dopo la precedente candidatura a consigliere regionale sempre per il Sole che ride).
Manco a dirlo, la notizia che alle elezioni avrebbe potuto partecipare questa lista con questo simbolo ha subito scatenato la reazione della Federazione dei Verdi, parte principale del progetto politico-elettorale di Europa Verde che sta andando oltre il voto europeo di un anno fa. Ai media, infatti, è stato prontamente fatto sapere che proprio la Federazione dei Verdi "ha dato mandato ai propri legali di presentare presso il Tribunale di Napoli nelle prossime ore un ricorso urgente per annullare la presenza del simbolo 'Verdi Federalisti', imitazione inaccettabile di quello della stessa Federazione dei Verdi". La nota, firmata dal coordinatore Angelo Bonelli a nome dell'esecutivo nazionale, informava che "già due provvedimenti precedenti dei Tribunali di Napoli e Torino hanno riconosciuto e stabilito che la parola 'Verdi' in qualsiasi competizione elettorale è ad uso esclusivo della Federazione dei verdi, unica riconosciuta dal partito Verde europeo che è il quarto gruppo nel parlamento europeo, e depositaria della parola dei Verdi. Con questa inaccettabile operazione si vuole generare confusione nell'elettorato nel tentativo  di guadagnare la credibilità che i Verdi hanno conquistato in tanti anni di seria militanza e attività sul territorio nazionale. I medesimi provvedimenti dei Tribunali hanno comprovato la esclusione di chi ha utilizzato indebitamente la parola Verdi dalle stesse competizioni". Sarebbe già pronta una cospicua richiesta di risarcimento danni "anche perché chi sta tentando in queste ore l'uso improprio della parola Verdi, ovvero del nostro simbolo, è ben consapevole dei provvedimenti dei Tribunali della Repubblica italiana".
Non è affatto d'accordo Laura Scalabrini, tuttora titolare del simbolo dei Verdi federalisti, cui Attanasio e altri si sono rivolti per poter utilizzare l'emblema: "Mi hanno contattato questi amici napoletani - ci spiega, appositamente contattata da I simboli della discordia - alcuni dei quali erano stati eletti nei Verdi guidati prima da Pecoraro Scanio e poi da Bonelli; da lì però se ne sono andati disgustati. Sono sempre stata in contatto con loro perché Acerra e le disgrazie ambientali della Campania vanno seguite, soprattutto se nessuno è stato eletto. Mi hanno chiesto se potevano usare il simbolo, visto che sono la rappresentante legale dei Verdi federalisti: il loro essere ambientalisti veri mi ha fatto ricordare quello che passammo noi dal 1990 in poi. C'è un problema dimenticato da chi ci governa, tanto a livello locale quanto a livello nazionale, e bisogna capire che non conta solo chi sta nelle istituzioni. La parola 'Verdi' è di tutti ed è assurdo che altri non possano usarla neppure se le liste della Federazione dei Verdi decidono di non usarla [nel senso che "Europa Verde" non coincide con "Verdi", ndb], come se fosse un marchio commerciale a tutti gli effetti. Occorre capire che l'ambiente non è un'ideologia, men che meno di destra o di sinistra: è uno stile di vita che non è compatibile con il liberismo economico che di fato regna ovunque. Ora il mercato globale spinge tutti ad aumentare il Pil, quindi tutti aumentano i consumi e sfruttano risorse non rinnovabili: la terra non è solo di chi oggi la abita, ma anche di chi non è nato e forse non potrà nascere, quindi non si può essere subalterni alla sinistra che ormai è neoliberista come la destra, perché lo hanno imposto l'Unione europea e il mercato globale". 
Al di là delle considerazioni di natura politica, qui ci si concentra sulla questione del simbolo, che come al solito è molto più complessa di come la si presenta. Già, perché nel 1992 in un primo tempo il Viminale aveva effettivamente chiesto la sostituzione del simbolo dei Verdi federalisti (e anche di quelli dei Verdi verdi, dei Verdi di centro e dei Verdi d'Italia), proprio perché conteneva la parola "Verdi, che riflette analoga qualifica di gruppo presente in parlamento". Scalabrini si oppose alla sostituzione e si rivolse all'Ufficio elettorale centrale nazionale: in una decisione datata 28 febbraio, tuttavia, l'organo composto da giudici della Cassazione dichiarò regolare quel contrassegno e anche gli altri contenenti la parola "Verdi". Da una parte, per il collegio la denominazione "Verdi", "sia per la acquisita riferibilità ad una vasta area politico-culturale trascendente l'ambito di singole organizzazioni partitiche sia, anche, per il fatto di essere stata utilizzata in passato contemporaneamente nelle denominazioni e nei contrassegni di distinti movimenti di ispirazione ambientalistica ed ecologistica postisi in concorrenza tra loro in diverse competizioni elettorali, deve essere ritenuta, allo stato, carente di specifica portata individualizzante intrinseca e di una propria rilevanza ai fini della caratterizzazione dei simboli e dei contrassegni elettorali"; dall'altra parte, si notava che il ministero non aveva censurato altre somiglianze grafiche rispetto al simbolo della Federazione dei Verdi (che invece si era lamentata, e molto, del fatto che il girotondo verde su fondo giallo potesse in qualche modo richiamare il profilo di un sole) e, in ogni caso, non c'era alcuna confondibilità in concreto ""riproducendo i contrassegno in argomento figure diverse e perfettamente distinguibili".
In quegli stessi giorni, peraltro, l'Ufficio elettorale nazionale confermò la regolarità dei tantissimi contrassegni contenenti la parola "Lega", ritenendo che quella parola non si potesse ritenere esclusiva di una forza politica, anche se presente in Parlamento: quest'orientamento, da allora, è rimasto immutato, a dispetto di una presenza continua in Parlamento della Lega Nord prima e della Lega per Salvini premier poi. Per vari anni, in realtà, la Federazione dei Verdi continuò senza successo a contestare la confondibilità con il proprio simbolo degli emblemi (soprattutto) dei Verdi verdi e dei Verdi federalisti. 
Qualcosa cambiò nel 2004, quando queste due formazioni presentarono una lista comune, con contrassegno composito
, tanto alle elezioni amministrative quanto alle europee, sfruttando l'esenzione dalla raccolta firme concessa dalla Lista per l'abolizione dello scorporo: il ministero dell'interno ammise il simbolo, il 1° maggio l'ufficio elettorale nazionale della Cassazione respinse l'opposizione dei Verdi, che però non si accontentarono e ricorsero al Tar (vedendosi dare torto) e al Consiglio di Stato. I giudici di palazzo Spada il 18 maggio - si votava il 12 giugno - accolsero invece il ricorso dei Verdi, notando che "
l’apposizione in primo piano, all'interno del contrassegno delle liste appellate, di segni grafici (p. es. espressione letterale 'verdi' nel carattere e nella forma utilizzati; colore giallo in campo verde, simboli grafici stilizzati) è idonea a produrre confusione nell'elettore medio, richiamando simboli tradizionalmente associati alla formazione politica dell’appellante" e imponendo sostanzialmente l'allargamento a dismisura della "pulce" della lista Abolizione scorporo - a costo di snaturare la grafica del simbolo - sia per evitare la confondibilità sia per valorizzare l'esenzione dalla raccolta firme ottenuta per il tramite di quell'emblema.
Disponendo di quella decisione, nel 2006 i Verdi si opposero all'accoglimento dell'ultima variante del simbolo presentata dai Verdi Verdi di Maurizio Lupi e dai Verdi federalisti di Scalabrini: era sparito il giallo, per eliminare un possibile motivo di confondibilità, la parola "Verdi" era rimasta ma in bianco su una fascia verde scura, per cui non c'era più la somma di motivi messa in luce nell'ordinanza del Consiglio di Stato di due anni prima. 
In compenso, furono i magistrati di Cassazione quella volta a dire che, al di là delle differenze che in effetti c'erano, "i due simboli [...] appaiono identicamente connotati dalla parola 'Verdi' riprodotta, su entrambi, con la medesima collocazione e identico carattere grafico, in un cerchio tagliato, a pari distanza dal centro, da due linee parallele, al cui interno la parola è inserita"; se pure in passato lo stesso ufficio elettorale aveva ritenuto che la parola "Verdi" di per sé non identificasse una forza politica in particolare, l'interpretazione delle disposizioni di riferimento "in termini di diritto vivente" doveva far rilevare che "la riproduzione, nel simbolo, della parola 'Verdi', con la specifica collocazione e composizione grafica di cui sopra, in quanto tradizionalmente riferibile al partito ricorrente, ha assunto carattere identificativo dello stesso [...]. Con la conseguenza che la riproduzione della parola stessa, in un contesto grafico assai similare per quelli che sono i profili di più immediato impatto visivo, effettivamente realizza quella potenzialità di inganno dell'elettore che ne comporta il divieto". 
A dire il vero non si poteva dire che il carattere grafico fosse uguale, sta di fatto che il contrassegno sulle schede dovette cambiare (Ecologisti democratici, con l'orsetto dei Verdi verdi) e, da lì in avanti, il girotondo di bambini dei Verdi federalisti - salvo errore - non si vide più in ambito elettorale (quello dei Verdi verdi durò un po' di più, fino alle elezioni regionali del 2010, quando Maurizio Lupi fu eletto consigliere in Piemonte). Nel frattempo, a dire il vero, dal 2008 anche la Federazione dei Verdi non è più riuscita a eleggere suoi rappresentanti nelle Camere (rientrandovi solo temporaneamente con l'adesione di alcuni eletti in altre formazioni quando abbandonavano i loro gruppi); nel 2009 non venne centrata nemmeno l'elezione alle europee, per cui nel 2014 e nel 2019 l'onere di raccogliere le firme per le liste Verdi europei ed Europa verde fu evitato solo grazie all'affiliazione allo European Green Party, rappresentato al Parlamento europeo; a livello regionale, invece, le liste dei Verdi hanno eletto rappresentanti (l'ultimo dei quali in Emilia-Romagna con Europa Verde). Si vedrà se la lista di Europa Verde - Demos riuscirà a entrare in consiglio regionale ma, prima ancora, se i Verdi federalisti riusciranno ad arrivare sulla scheda.


martedì 26 marzo 2013

I Verdi-Verdi e la pulce gigante

Lo si è visto prima: il 2004, con il doppio carico del turno più consistente di elezioni amministrative e il rinnovo del Parlamento europeo, era un’occasione troppo ghiotta per gli ambientalisti diversi dai Verdi perché se la lasciassero sfuggire. Le amministrative, tutto sommato, erano alla portata delle formazioni in attività fino a quel momento, ma per le europee ci sarebbe stato bisogno di raccogliere molte, troppe firme: un traguardo praticamente impossibile da raggiungere. A meno che…  
C’era una possibilità, in effetti: sfruttare un comma della legge elettorale vigente, che permetteva a una lista di non procurarsi le sottoscrizioni richieste se avessero ospitato nel loro contrassegno una “pulce”, ossia un simbolo in miniatura di una formazione che aveva eletto almeno un parlamentare. Già, ma quale simbolo? Quale dei partiti avrebbe avuto interesse ad avallare la presentazione di una lista minoritaria? Forza Italia, per esempio, che aveva tutto da guadagnare da un indebolimento dei Verdi. Non avrebbe messo a disposizione il suo simbolo, ovviamente, ma quello della lista «Per l'abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni»: si trattava della “lista civetta” che era stata utilizzata dal partito di Berlusconi nel 2001 per collegare i propri candidati deputati della quota maggioritaria, senza quindi che i loro voti fossero sottratti nella quota proporzionale in base al sistema dello “scorporo”. 
Il simbolo, dunque, sarebbe stato a disposizione dei Verdi-Verdi di Maurizio Lupi e di Roberto De Santis, nonché dei Verdi Federalisti di Laura Scalabrini, invitati a riavvicinarsi sempre da ambienti forzisti. La prima decisione del gruppo riguardò la scelta del simbolo, non senza liti: se Lupi avrebbe voluto mantenere l’elemento grafico dell’orsetto (lasciando la dicitura Verdi Federalisti come elemento testuale), passò la linea di De Santis, che preferì lasciare la parte grafica alla Scalabrini, con il suo girotondo di bambini, per privilegiare invece il nome dei Verdi-Verdi («La denominazione era una scelta chiaramente identificativa della nostra collocazione e del nostro approccio e antitetica ai Verdi rossi» avrebbe raccontato in seguito proprio De Santis).
Naturalmente la Federazione dei Verdi fece debitamente ricorso in tutte le sedi, tanto alle elezioni amministrative (comune per comune), quanto a quelle europee. Protestò con veemenza Paolo Cento in Parlamento, sentendosi dire dal forzista Gregorio Fontana che «i movimenti Verdi Federalisti e Verdi Verdi da molti anni si presentano a consultazioni elettorali […] e rappresentano, com'è noto, l’ambientalismo non schierato a sinistra, non integralista e che, a livello politico nazionale, sostiene la Casa delle libertà. Nessuna truffa, quindi, nessun imbroglio riguardo alla presentazione di questo simbolo per le elezioni europee», mentre i Verdi avrebbero solo voluto estromettere un potenziale concorrente dalle elezioni.

In prima battuta, tra l’altro, a essere escluso dalla consultazione più importante fu proprio il simbolo del sole che ride, perché era stata inserita dicitura «con l’Ulivo» senza che i Verdi facessero parte dell’alleanza: il tempo per i Verdi-Verdi di distribuire alla stampa una nota dal titolo memorabile («Caro Alfonso non fare il Pecoraro») e il contrassegno fu debitamente modificato e accettato, ma l’offensiva presso le corti di tutta l’Italia continuò. In qualche modo la strategia pagò: i Verdi riuscirono a far considerare confondibile quasi ovunque – per colpa dei colori e della parola «Verdi» in particolare evidenza – il contrassegno composito della nuova formazione ambientalista, estromettendola dalle elezioni. Alle europee, invece, andò diversamente, ma la vicenda fu se possibile ancora più complessa.
Dopo che l’ufficio elettorale presso la Cassazione aveva riconosciuto che «la parola “verdi”, […] appartenendo ad una vasta area politico-culturale a livello sia nazionale che europeo, non è in sé fattore individualizzante decisivo» e che i due emblemi non erano a ben guardare confondibili, in una manciata di giorni il Consiglio di Stato praticamente ribaltò il verdetto: non solo i giudici di palazzo Spada ritennero che i due contrassegni si potessero in effetti confondere, ma aggiunsero che ciò si sarebbe potuto evitare ingrandendo a dovere il simbolo della “lista antiscorporo”, anche perché proprio grazie a questo è stata evitata la raccolta delle firme.

La decisione, piuttosto inconsueta per il contenzioso noto fino a quel momento, avrebbe comunque permesso alla lista ambientalista di partecipare alle elezioni, ma solo ingigantendo la “pulce”. La soluzione, a dirla tutta, non soddisfò comunque i Verdi, che presentarono un’interrogazione urgente, lamentando di non aver avuto la possibilità di ricorrere contro l’ammissibilità di un emblema ritenuto ancora troppo confondibile. Soprattutto, però, a masticare molto amaro fu la lista “ammessa su condizione”, un po’ perché il potenziale dell’operazione politico-elettorale era stato inevitabilmente ridotto, un po’ per alcuni fatti accaduti in quegli stessi giorni: il racconto è di nuovo di Roberto De Santis, nel suo libro Da una “grigia” a una “verde” politica: «Era chiaro che eravamo stati abbandonati al nostro destino, anche perché i Verdi del sole che ride misero in atto una serie di manifestazioni attaccando pesantemente il premier Berlusconi e a bordo di gommoni circondarono la sua villa in Sardegna, oggetto di recenti e profonde ristrutturazioni. La villa era stata trasformata in un bunker di tutta sicurezza e i Verdi del sole che ride minacciarono azioni e denunce per opere realizzate in totale violazioni di leggi ambientali. Per Forza Italia poteva essere un’arma a doppio taglio e dal Ministero degli Interni, dove sedeva un esponente dello stesso partito, ci arrivò questa insolita richiesta [di modificare il simbolo, ndb]».
Alle elezioni la lista, senza mezzi e senza manifesti, sfiorò lo 0,5%; la Fiamma tricolore, con lo 0,8% ottenne un parlamentare, Verdi-Verdi e Verdi federalisti niente, con varie recriminazioni in fase di scrutinio («Si scoprì che in molte sezioni, dove il voto era attribuito ai Verdi Verdi, veniva diversamente assegnato ai “cugini” del sole che ride – racconta ancora De Santis – furono circa diecimila le schede contestate che, se attribuite correttamente, avrebbero probabilmente coronato il nostro progetto»). I Verdi, ovviamente, respinsero categoricamente ogni accusa di broglio o indebito vantaggio, ma si sentivano comunque tranquilli: con quell’ordinanza nel carniere, da lì in avanti sarebbe stato più facile evitare altre grane “simboliche”. Manco a dirlo, ci avevano preso.

martedì 19 febbraio 2013

Verdi, ma quali?

Il fatto è che a qualcuno l'idea che degli ex demoproletari fossero diventati tutt'a un tratto verdi non è andata proprio giù. Per loro i Verdi Arcobaleno erano stati né più né meno che una lista farlocca, di quelle create per spillare voti ai Verdi quelli veri, che stavano fuori da ogni schieramenti; la fusione di quella lista con la Federazione delle Liste Verdi non era stata per loro un rafforzamento, ma una sorta di colonizzazione, che aveva distrutto il movimento ambientalista autentico e messo il partito nelle mani di marxisti che avevano riproposto le loro idee, pur ammantandole di un contesto "verde". "Una certa sinistra - scrive Roberto De Santis nel suo libro Da una "grigia" ad una "verde" politica - colse nel movimento ambientalista un’opportunità per rimodulare i vecchi temi di sinistra in un nuovo contenitore sostenendo la tesi che entrambi i movimenti avevano come comune denominatore un nemico comune, ovvero il progresso, dunque il consumismo, che aveva determinato la crisi della nostra civiltà".
Fosse vero o meno, qualcuno lo pensava sul serio: così, quando quella volpe sarcastica di Andreotti aveva scodellato quella frase "I Verdi? Sono come i cocomeri, verdi fuori e rossi dentro" (che poi si rifaceva al paragone spregiativo che Mussolini aveva stabilito tra gli operai della Fiat e i fichi, appunto neri fuori e rossi dentro), si erano affrettati a dargli ragione. Qualcuno non si era accontentato di assentire e aveva cercato di costruire qualcosa di alternativo, anche solo per dispetto.
Così, nel 1992, la Federazione dei Verdi consegna il suo contrassegno del sole che ride, riprodotto finalmente a colori, anzi ne consegna diverse varianti (compresa quella dei Verdi Arcobaleno e con la colomba al posto del sole, perché non si sa mai che qualcuno copi); i presentatori degli emblemi, in compenso, scoprono che in bacheca sono finiti anche altri emblemi che mettono in allarme i big del partito. Uno, ad esempio, è stato depositato da Maurizio Lupi, un piemontese - niente a che vedere con il suo omonimo che in seguito sarebbe stato tra gli esponenti più noti del Pdl - che, in uno sforzo di fantasia, ha chiamato la sua creatura politica "Federazione nazionale dei Verdi-Verdi", come a dire che erano ancora più verdi, loro. La parola "Verdi", non a caso, era l'unica presente sul contrassegno (la prima volta scritta molto grande, la seconda più in piccolo, subito sotto) e risaltava, scritta in giallo, sul fondo verde chiaro; al di sopra della parola, come elemento figurativo, un orsetto sorridente colto nell'atto di salutare.
Dal Lazio, invece, spunta un altro contrassegno, destinato anch'esso a venire depositato prima di vari appuntamenti elettorali: è quello dell'ex consigliere regionale Laura Scalabrini (che, per quanto è dato sapere, aveva militato proprio nella Federazione dei Verdi). E' suo il simbolo dei Verdi Federalisti che tiene in bella evidenza la parola "Verdi" nella metà inferiore del cerchio, mentre quella superiore è caratterizzata, su fondo giallo, da un mezzo girotondo di sagome verdi di bambini che si danno la mano: una figura che, in una riproduzione piccola come quella sulle schede, potrebbe confondersi con il sole giallo su fondo verde. Allo stesso modo, ci sono altri contrassegni che emergono, a partire da quello dei Verdi di Centro già utilizzato nel 1987 (un timone sopra alla scritta "Verdi") o dal logo tricolore (caratterizzato da una grossa V e dal profilo dell'Italia) dei Verdi d'Italia.
Manco a dirlo, i Verdi sole che ride non ci stanno: per un ambientalista fresco fresco come Francesco Rutelli, quei simboli sono "forme di sciacallaggio e truffa di gruppetti a danno dei Verdi" e non possono restare impunite. A tempo debito ricorre contro quei contrassegni, ma per l'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Cassazione "Verdi" è un termine talmente generico che non si può impedire a un altro soggetto di utilizzarlo, se si riconosce nelle idee legate al pensiero verde. Nel frattempo, Rutelli e compagni hanno cercato un moto interessante per cercare di difendersi: quando il termine per la presentazione degli emblemi non è ancora scaduto, si presentano al Viminale con tre simboli dichiaratamente falsi. Uno tarocca quello del Psi, un'altro quello della Dc, un terzo scrive due volte la parola "Lega". Li presentano apposta, certi che saranno ricusati, ma con lo scopo di mettere i bastoni tra le ruote a quei disturbatori spuntati nel frattempo. Il tentativo, in ogni caso, non va a buon fine: sulla scheda i Verdi Verdi e i Verdi Federalisti ci arrivano comunque, passando attraverso l'esame del Viminale e quello - già ricordato - dell'Ufficio elettorale presso la Cassazione. Con quegli emblemi, la Federazione dei Verdi dovrà convivere a lungo, oltre dieci anni: di storie da raccontare non ne mancano di certo.