lunedì 31 dicembre 2018

Il 2018 finisce, la gratitudine no!

Che il 2018 sia stato un anno "simbolico", è fuor di dubbio, se non altro perché le elezioni politiche, con la loro relativa presentazione dei contrassegni, hanno tenuto banco per tutti i primi mesi dell'anno: dal calo di emblemi (ma con alcune perle davvero imperdibili) e alle successive puntate del #RomanzoViminale (tra bocciature e sostituzioni), fino alle polemiche per la peonia di Civica popolare troppo simile al fiore di Conad (fino alla correzione "in zona Cesarini") e per la presenza del riferimento a "Berlusconi presidente" sul simbolo di Forza Italia (probabilmente inopportuna, ma pur sempre legittima). Il contemporaneo svolgimento delle elezioni politiche e di quelle regionali in Lombardia e Lazio ha aumentato l'attenzione di elettori e media per il tema dei simboli.
L'interesse è poi proseguito con le elezioni di primavera, prima in Friuli Venezia Giulia (regionali e comunali), poi in giro per l'Italia: il sito ha cercato di coprire il maggior numero di comuni superiori possibili (soprattutto i capoluoghi), ma l'esiguità delle "forze scriventi" non ha permesso di raggiungere la copertura totale. Meglio è andata con il turno autunnale che ha riguardato le province autonome di Bolzano e Trento.
Al di là delle vicende strettamente elettorali, ho cercato di approfondire alcuni aspetti politicamente o giuridicamente rilevanti, legati per esempio all'uso di simboli fascisti (a partire dalla vicenda della lista Fasci italiani del lavoro, che ha avuto i suoi esiti giudiziari quest'anno) o alla possibilità di presentare un partito nazionalsocialista (a partire dal caso di Nsab, ricostruito nei minimi dettagli con Pierluigi Pagliughi), nonché alle strade per "riconsegnare agli elettori" un simbolo come quello di Liberi e uguali. Non sono mancate le nuove puntate della querelle sullo scudo crociato e dei tentativi (litigiosi) di far tornare in politica la Democrazia cristiana (andando a congresso o riesumando il vecchio partito omonimo di Rotondi) o della vicenda giudiziaria della Lega che ha risvolti anche sul "diritto dei partiti" e sui simboli
Scartabellando tra le pagine passate della politica, ho poi ricostruito la storia dell'Uopa (per restituire alla Val d'Ossola le radici dell'autonomismo), ho rievocato lo "sdoppiamento" del Psi al Senato in Campania - nel 1987 e nel 1992 - a meri fini elettorali e reso pubblico il documento con cui il Partito radicale nel 1982 acquistò da Marc Bonnet il diritto a usare in Italia il simbolo della rosa nel pugno (che si appresta a tornare sulle schede alle prossime elezioni europee); tra i "simboli fantastici", da segnalare il tour gaudente, dai socialisti agli epigoni nati dopo; l'anno, poi, si è chiuso con l'approfondimento del rapporto tra simboli e ricerche di mercato con l'intervista a Renato Mannheimer
Anche quest'anno, infine, abbiamo effettuato il viaggio nei comuni "sotto i mille", accompagnati da Massimo Bosso, che con la consueta attenzione ha battuto le elezioni nelle località più piccole alla ricerca di curiosità tecniche e particolarità grafiche (anche abominevoli), con un occhio di riguardo alla wonderland molisana.
Se la campagna elettorale politica ha regalato al sito il record assoluto di visite (quasi 84mila solo a gennaio), è assolutamente necessario ringraziare una volta di più, e come si deve, tutti coloro che hanno contribuito alla crescita di I simboli della discordia, con segnalazioni, commenti, giudizi, pareri, informazioni. Oggi il sito compie sei anni e mezzo, ma non sarebbe arrivato qui senza ciascuno di loro. Sono questi, probabilmente, i più costanti e assidui figuri di questo sito: più sicuramente del suo curatore, che spesso è stato preso da altri impegni (legati alla pagnotta) e non ha fornito materiale ai #drogatidipolitica con la costanza necessaria. Eppure, anche quando il sito taceva, sono tornati qui e sono ritornati di nuovo, sperando che qualcuno avesse aggiornato (e fornendo, nel caso, materiale per nuovi articoli). A tutte queste persone posso solo dire grazie, andando ad allungare ulteriormente la lista di coloro che nel corso degli anni si sono spesi per far crescere queste pagine: in ogni caso, ci sarà sempre bisogno di voi e posto per voi. 


Grazie a Martino Abbracciavento, Ignazio Abrignani, Giovanni Acquarulo, Guglielmo Agolino, Tiziana Aicardi, Tiziana Albasi, Mauro Alboresi, Alberto Alessi, Francesca Alibrandi, Alfonso Alfano, Antonio Angeli, Antonio Atte, Luca Bagatin, Laura Banti, Daniele Barale, Paolo Barbi, Mario Bargi, Enzo Barnabà, Giovanni Bellanti, Pierpaolo Bellucci, Pierangelo Berlinguer, Roberto Bernardelli, Enrico Bertelli, Giuseppe Berto, Niccolò Bertorelle, Diego "Zoro" Bianchi, Laura Bignami, Raffaella Bisceglia, Mauro Biuzzi, Fabio Blasigh, Paolo Bonacchi, Enzo Bonaiuto, Andrea Boni, Mauro Bondì, Fabio Bordignon, Michele Borghi, Lorenzo Borré, Renzo Bortolot, Massimo Bosso, Carlo Branzaglia, Andrea Bucci, Giampiero Buonomo, Mario Cabeddu, Giovanni Cadioli, Luca Calcagno, Mauro Caldini, Stefano Camatarri, Elisabetta Campus, Aurelio Candido, Maria Antonietta Cannizzaro, Monica Cappelletti, Luca Capriello, Giovanni Capuano, Jacopo Capurri, Giuseppe Carboni, Francesco Cardinali, Nicola Carnovale, Elena Caroselli, Robert Carrara, Roberto Casciotta, Pierluigi Castagnetti, Marco Castaldo, Filippo Ceccarelli, Luigi Ceccarini, Mirella Cece, Luca Cenatiempo, Raffaele Cerenza, Luciano Cheles, Gioia Cherubini, Giancarlo Chiapello, Luciano Chiappa, Giovanni Chiarini, Emanuele Chieppa, Beppe Chironi, Marco Chiumarulo, Pierpaolo Ciappetta, Giancarlo Ciaramelli, Angelo Ciardulli, Valerio Cignetti, Valentina Cinelli, Mauro Cinquetti, Giuseppe Cirillo, Roman Henry Clarke, Antonia Colasante, Emanuele Colazzo, Emiliano Colomasi, Daniele Vittorio Comero, Francesco Condorelli Caff, Carmelo Conte, Antonio Conti, Pietro Conti, Francesco Corradini, Carlo Correr, Antonio Corvasce, Andrea Covotta, Vito Crimi, Francesco Crocensi, Natale Cuccurese, Emilio Cugliari, Francesco Cundari, Johnathan Curci, Francesco Curridori, Francesco D'Agostino, Nicola D'Amelio, Gabriele D'Amico, Michele D'Andrea, Roberto D'Angeli, Renato D'Emmanuele, Alessandro Da Rold, Paolo Dallasta, Marco "Makkox" Dambrosio, Fabrizio De Feo, Francesco De Leo, Pietro De Leo, Stefano De Luca, Pino De Michele, Carlo De Micheli, Roberto De Santis, Donato De Sena, Franco De Simoni, Mauro Del Bue, David Del Bufalo, Maurizio Dell'Unto, Riccardo DeLussu, Alfio Di Costa, Dario Di Francesco, Roberto Di Giovan Paolo, Alfio Di Marco, Marco Di Nunzio, Alessandro Di Tizio, Antonino Di Trapani, Giovanni Diamanti, Ilvo Diamanti, Raffaele Dobellini, Federico Dolce, Alessandro Duce, Filippo Duretto, Daniele Errera, Filippo Facci, Leonardo Facco, Arturo Famiglietti, Giovanni Favia, Luigi Fasce, Paolo Ferrara, Emilia Ferrò, Antonio Fierro, Antonio Floridia, Antonio Folchetti, Gianni Fontana, Cinzia Forgione, Ciro Formicola, Gabriella Frezet, Iztok Furlanič, Massimo Galdi, Vincenzo Galizia, Vincino Gallo, Elisa Gambardella, Uberto Gandolfi, Luciano Garatti, Francesco Gasbarro, Marcello Gelardini, Alessandro Genovesi, Tommaso Gentili, Alessandro Gigliotti, Marco Giordani, Michele Giovine, Carlo Gustavo Giuliana, Bruno Goi, Roberto Gremmo, Massimo Gusso, Vincenzo Iacovino, Vincenzo Iacovissi, Matteo Iotti, Roberto Jonghi Lavarini, Luca Josi, Tommaso Labate, Piero Lamberti, Orione Lambri, Giacomo Landolfi, Piero Lanera, Calogero Laneri, Lisa Lanzone, Angelo Larussa, Michele Lembo, Pellegrino Leo, Raffaella Leonardi, Ferdinando Leonzio, Raffaele Lisi, Max Loda, Dario Lucano, Nino Luciani, Maurizio Lupi (il Verde Verde), Bruno Luverà, Chiara Macina, Angela Maenza, Cesare Maffi, Mimmo Magistro, Lucio Malan, Alex Magni, Francesco Magni, Francesco Maltoni, Enzo Mancini, Renato Mannheimer, Gian Paolo Mara, Roberto Marchi, Federico Marenco, Gherardo Marenghi, Marco Margrita, Luca Mariani, Marco Marsili, Carlo Marsilli, Dario Martini, Antonio Massoni, Angela Mauro, Federico Mauro, Angelo Orlando Meloni, Marcello Menni, Stefano Mentana, Nicolò Monti, Roberto Morandi, Raffaello Morelli, Matteo Moretto, Francesco Morganti, Mara Morini, Claretta Muci, Paola Murru, Alessandro Murtas, Tomaso Murzi, Antonio Murzio, Cristiana Muscardini, Paolo Naccarato, Donato Natuzzi, Ippolito Negri, Claudio Negrini, Davide Nitrosi, Gianluca Noccetti, Matteo Olivieri, Oradistelle, Fabrizio Orano, Gabriele Paci, Libera Ester Padova, Andrea Paganella, Roberto Pagano, Pierluigi Pagliughi, Enea Paladino, Lanfranco Palazzolo, Paolo Palleschi, Enzo Palumbo, Massimiliano Panarari, Max Panero, Federico Paolone, Fabio Pariani, Ottavio Pasqualucci, Gianluca Passarelli, Oreste Pastorelli, Alan Patarga, Lorenzo Pavoncello, Giacomo Peterlana, Rinaldo Pezzoli, Antonio Piarulli, Daniele Piccinin, Flavia Piccoli Nardelli, Francesco Pilieci, Marco Pini, Stefania Piras, Elisa Pizzi, Marina Placidi, Vladimiro Poggi, Carlandrea Poli, Alfredo Politano, Mauro Polli, Giuseppe Potenza, Cesare Priori, Giulio Prosperetti, Carlo Prosperi, Matteo Pucciarelli, Renzo Rabellino, Andrea Rauch, Michele Redigonda, Maurizio Ribechini, Livio Ricciardelli, Egle Riganti, Francesco Rizzati, Giuseppe Rizzi, Lamberto Roberti, Donato Robilotta, Luca Romagnoli, Giovanni Rossi, Gianfranco Rotondi, Sergio Rovasio, Roberto Ruocco, Giampaolo Sablich, Stefano Salmè, Angelo Sandri, Maurizio Sansone, Aldo Santilli, Ugo Sarao, Anna Sartoris, Alessandro Savorelli, Jan Sawicki, Gian Franco Schietroma, Francesco Sciotto, Renato Segatori, Roberto Serio, Oscar Serra, Gianni Sinni, Claudia Soffritti, Carlo Antonio Solimene, Simone Sormani, Valdo Spini, Ugo Sposetti, Mario Staderini, Gregorio Staglianò, Anna Starita, Luigina Staunovo Polacco, Lorenzo Stella, Leo Stilo, Francesco Storace, Nicola Storto, Ivan Tagliaferri, Tiziano Tanari, Mario Tassone, Roland Tedesco, Mauro Torresi, Luigi Torriani, Alvaro Tortoioli, Roberto Traversa, Ciro Trotta, Lara Trucco, Fabio Tucci, Andrea Turco, Maria Turco, Maurizio Turco, Massimo Turella, Sauro Turroni, Marco Valtriani, Max Vassura, Margherita Vattaneo, Enrico Veronese, Fiodor Verzola, Michele Viganò, Ettore Vitale, Maria Carmen Zito, Mirella Zoppi, Roberto Zuffellato, Federico Zuliani, Piotr Zygulski. 

domenica 30 dicembre 2018

Simboli e sondaggi al tempo dei leader: l'opinione di Renato Mannheimer

Non di rado i simboli sono croce e delizia della classe dirigente di un partito: quando questo è in crisi di consensi o di popolarità, non è raro sentir dire che il suo emblema "non scalda il cuore" degli elettori (Silvio Berlusconi l'ha detto a ripetizione, riferendosi al Pdl). D'altra parte, quando sono in bilico tra mal di pancia e rischi di scissione, è facile sentire iscritti ed elettori - soprattutto di sinistra - che si lamentano: "già le elezioni sono andate male, se cambiamo un altro simbolo non ci riconoscerà nessuno e invece che una sconfitta avremo una disfatta". Non è improbabile che qualcuno abbia interesse a "misurare" tutto questo, magari commissionando un sondaggio per trarne indicazioni: ma quale ruolo hanno o possono avere sondaggi e ricerche di mercato in materia di simboli? Ne parliamo con Renato Mannheimer, sociologo, già docente di Analisi dell'opinione pubblica e da molto tempo attivo nell'ambito delle ricerche di mercato e dei sondaggi; attualmente è partner dell'istituto di ricerche e marketing Eumetra Mr.

Professor Mannheimer, che ruolo ha secondo lei il simbolo nel rapporto con la pubblica opinione?
Di certo il simbolo ha la sua importanza, perché sintetizza in una rappresentazione grafica tutti i contenuti, i messaggi, un tempo gli ideali che appartengono a una forza politica, che la connotano. Non a caso, come anche lei ha scritto, il mutamento dei simboli dei partiti nel tempo è stato "simbolico", se perdona il bisticcio, del cambiamento che quegli stessi partiti hanno conosciuto, quanto ai loro contenuti. Sono d'accordo, dunque, nel riconoscere il simbolo come elemento fondamentale, evocativo.
Lei pratica da tempo lo strumento del sondaggio, ma spesso si accusano giornalisti e studiosi di altre materie di pretendere di sapere da chi fa sondaggi "quanto sposta" questo o quell'elemento. E' sbagliato domandarselo anche per i simboli?
Guardi, personalmente credo che oggi adottare un simbolo o un altro sposti piuttosto poco, quindi chiederselo ha poco senso: conta piuttosto il messaggio che si vuole far passare con un emblema, il contenuto. Per capirci, se il MoVimento 5 Stelle nel suo simbolo avesse usato quattro o sei stelle invece che cinque, sul piano tecnico non sarebbe cambiato nulla, mentre ha avuto decisamente più importanza l'essere riusciti a "riempire" di contenuti quel nome e quella grafica. Certo, un tempo era almeno in parte diverso: sicuramente la falce e martello o lo scudo crociato rappresentavano qualcosa di non casuale, ma anche in quel caso contavano essenzialmente i contenuti.
Il discorso vale anche quando un simbolo già adottato viene cambiato?
In effetti no: cambiare improvvisamente un simbolo può contribuire a far guadagnare o perdere voti. La scelta di Matteo Salvini di togliere la parola "Nord" alla Lega, per esempio, ha facilitato l'approdo del partito al Sud e la costruzione di una base in quei territori, ma non si è trattato di una semplice eliminazione di una parola: sono stati cambiati e cancellati dei contenuti "nordisti" e di difesa del Settentrione ed è questo, in realtà, che ha permesso di ottenere voti al Sud. Quando, d'altra parte, all'epoca certi partiti avevano rinunciato al segno della falce e martello, la scelta aveva permesso di incamerare voti di persone che non avevano mai fatto parte della base elettorale di quei partiti, così come però aveva prodotto una perdita di elettori a favore di quei partiti che quel simbolo l'avevano conservato o adottato: in entrambi i casi, togliere o mantenere falce e martello erano segno di una scelta di contenuti, che andava ben oltre il solo simbolo.
Lei parlava dell'adozione e del cambio di simboli, un fenomeno piuttosto frequente oggi, con certi emblemi che durano piuttosto poco: quanto tempo occorre perché un simbolo sia percepito dall'opinione pubblica e si consolidi?
Serve molto tempo, o per lo meno tradizionalmente è stato così. Oggi, in realtà, il trascinamento più che dai simboli è fatto dai leader, per cui è il singolo leader che invita a votare il simbolo o che presenta l'emblema nuovo o ritoccato: tornando all'esempio di Matteo Salvini, credo che se domani mattina presentasse un emblema completamente diverso e chiedesse di votarlo, probabilmente riuscirebbe a trascinare con sé quasi tutti i suoi consensi sul nuovo fregio. Oggi indubbiamente l'attaccamento ai simboli è minore rispetto al passato, proprio perché siamo in una fase di "partiti leader", mentre nella Prima Repubblica dei "partiti partiti" cambiare improvvisamente un simbolo era molto più difficile. Secondo me oggi nessun simbolo appare particolarmente radicato, per cui è possibile arrivare a un cambiamento attraverso sagge operazioni di marketing, come alcuni in effetti hanno fatto.
Cosa intende con "sagge operazioni di marketing"?
Intendo propagandare attraverso i media la scelta di adottare un nuovo simbolo e spiegarne i motivi. 
Credo che per fare questo occorra essere molto forti o avere molte risorse a disposizione, o magari entrambe le cose insieme...
Beh, più che altro bisogna essere forti; le risorse occorrono, ma oggi la comunicazione attraverso i social media è in proporzione meno costosa rispetto agli strumenti di un tempo. Certo, occorre essere bravi e capire - ma qui si entra nel campo della comunicazione politica - le logiche di comunicazione dei social: Salvini di certo le ha capite e Grillo, grazie a Casaleggio, pure, ma non tutti i leader politici in Italia le hanno comprese davvero.
Lei prima metteva l'accento sui "partiti leader": la presenza nel contrassegno elettorale del nome di quel leader può avere un peso nell'opinione pubblica, anche senza volerlo quantificare?
Sicuramente sì: se un elettore vede sulla scheda il nome del suo leader, è più portato a votarlo, dunque certamente la presenza del nome influisce.
E come si può commentare la scelta di chi invece decide di non inserire alcun nome nel simbolo, come ha fatto il Partito democratico anche in un periodo in cui tutte le altre forze politiche piccole e grandi agivano nel verso opposto?
Può certamente trattarsi di una scelta frutto di un dibattito interno, che ha preferito non puntare "visivamente" su una singola persona; non bisogna dimenticare che nel Pd le diatribe e le discussioni interne non sono mai mancate, per cui la gestione della comunicazione politica e dello stesso simbolo sulla scheda è inevitabilmente più complicata rispetto a ciò che avviene altrove, per esempio nella berlusconiana Forza Italia. Certo è che, quando il Pd era guidato da Matteo Renzi, nel simbolo non c'era il suo nome, ma era a lui che andava la maggior parte dei voti dati ai dem; ora che poi manca un leader riconosciuto al suo interno, non stupisce affatto che il partito arretri, per lo meno nei sondaggi.
Guardando al passato, le risulta che le ricerche di mercato abbiano avuto qualche ruolo nella scelta o nel cambio di un simbolo di partito?
Io conosco, per avervi partecipato, la vicenda di Forza Italia: Silvio Berlusconi, abituato com'era con le sue attività alle ricerche di mercato legate al marketing, fece svolgere dei focus group proprio relativi al nome e al simbolo. Questa è una pratica comune per le aziende: penso alle tante ricerche che io curai per il lancio di marchi o di nomi per un'automobile, per una salsa di pomodoro o per certi tipi di pneumatici; ci sono anche specialisti in grado di indicare il colore giusto per quel prodotto o per quel messaggio. Berlusconi ha preso quelle logiche e le ha portate in politica, risultando profondamente innovatore: nella Prima Repubblica, infatti, queste cose non si facevano. La stessa Lega, che ora commissiona tante ricerche sui contenuti, dubito che in passato abbia posto il proprio simbolo come oggetto di indagini di marketing politico.
Parlando della Prima Repubblica, il primo vero cambio di nome e simbolo, assai traumatico, riguardò il passaggio dal Partito comunista italiano al Partito democratico della sinistra: nemmeno lì sono entrate in gioco le ricerche di mercato?
Guardi, io credo di no: sia nel Pci, sia nei partiti di sinistra venuti dopo ricordo molta ostilità verso le ricerche. Io feci dei sondaggi per il Pci, soprattutto per Giorgio Napolitano, ma in generale c'era ostilità: mi pare che il comitato provinciale di Pisa del Pci abbia votato addirittura una mozione contro i sondaggi. Lo stesso Bettino Craxi diceva, a tal proposito: io sono un vecchio socialista, non uso queste cose perché sono delle americanate. Tutto questo, ovviamente, prima dell'avvento di Berlusconi. 
I media, invece, hanno individuato o individuano un cambio di simbolo come una questione che merita di essere oggetto di un sondaggio d'opinione?
Beh, i media possono chiedere e chiedono di tutto; in effetti, però, non mi risulta di particolari richieste di ricerche relative a cambi di simbolo. I media hanno individuato piuttosto come argomento da "misurare" l'importanza della leadership, quindi fanno studiare con una certa frequenza l'appeal potenziale di questo o di quel leader.
Ma lei ritiene che oggi tastare il polso della pubblica opinione sui simboli sarebbe utile oppure pensa che non serva?
Mah, bella domanda: il fatto è che è così tanta oggi l'importanza data ai leader e ai contenuti "facili" che sembra difficile vedere uno spazio per questo. Tuttavia, forse sarebbe utile, per esempio, vedere che impatto può avere un simbolo sulla pubblica opinione: immagino che nella prossima campagna in vista delle elezioni europee i simboli saranno sempre più propagandati sui social media, quindi fossi nei media o nei partiti una valutazione dell'impatto visivo sugli schermi delle varie insegne la farei.
In base ai suoi studi e alle sue conoscenze, saprebbe indicare delle regole di base che chi concepisce o disegna un simbolo dovrebbe tenere in conto per ottenere un buon risultato o non rischiare un buco nell'acqua?
Posto che esistono figure professionali che sono in grado di disegnare un simbolo o comunque un'immagine efficace, tenendo presente l'effetto che si vuole ottenere, credo che un emblema politico-elettorale, soprattutto se nuovo, dovrebbe essere facile da capire e memorabile: creazioni elaborate che richiedano troppa attenzione, troppo pensiero non "bucano", non comunicano nel modo giusto.
Crede che sia questo il motivo per cui oggi nei nuovi emblemi dei partiti sono quasi del tutto spariti i disegni e ci si basa soprattutto sul testo?
Non ne sono certo, ma indubbiamente simboli così risultano più immediati: forse il motivo sarà quello.
Se le cose stanno così, è forse finito il tempo dei simboli e dei contrassegni elettorali, che erano nati essenzialmente per permettere anche agli analfabeti di esprimere il proprio voto? Ha ancora senso la loro esistenza?
Guardi, certamente credo che i simboli abbiano meno senso di un tempo, non solo perché ci sono meno analfabeti, ma anche perché allora i simboli rappresentavano innanzitutto ideologie, tendenze, valori, insomma una serie di contenuti. Ora, sempre più spesso, i simboli dei partiti maggiori rappresentano i loro leader e il loro nome ne rappresenta la parte dominante, dunque il simbolo grafico serve molto meno. Non è però così in tutti i paesi: dieci anni fa andai a fare l'osservatore elettorale in Pakistan e di quell'esperienza conservo tuttora un bellissimo manifesto elettorale, tutto pieno di simboli, che là tra l'altro servono anche perché ci sono molti analfabeti.
In Italia invece che senso avrebbe conservarli?
Beh, innanzitutto al momento simboli e contrassegni elettorali sono obbligatori per legge, quindi devono essere utilizzati. In prospettiva si potrebbe pensare di eliminare quest'obbligo giuridico, ma finora non ci ha seriamente pensato nessuno e non credo che questo rappresenti un problema rilevante per i politici di oggi: se vogliono dare maggior peso al nome del leader, semplicemente lo scrivono nel contrassegno e basta. 
Da ultimo, ha senso auspicare forme di collaborazione tra chi si occupa di ricerche di mercato, politici e creativi, per indagare meglio i simboli e ridare dignità a uno strumento che in Italia ha avuto importanza ma via via ha perso parte del suo valore?
Probabilmente sì: facendo ancora il parallelo col marketing, le raffigurazioni e i messaggi che sono frutto di studi funzionano di più. Certo, nella politica di oggi ci sono meno contenuti da trasmettere: questa si nutre essenzialmente di messaggi molto semplici e semplificati, per cui forse a veicolarli basta il nome del leader. Nonostante questo, credo che varrebbe la pena unire le forze per restituire valore ai simboli: nel passaggio da una politica di contenuti a una politica di slogan, che non riguarda certo solo l'Italia, abbiamo perso molto e il simbolo era proprio legato a quei contenuti. Chissà se con il passaggio ai "partiti leader" ci abbiamo perso: forse sì...

sabato 29 dicembre 2018

Istruzioni per le suppletive: se il simbolo non cambia, non serve ridepositarlo

A distanza di alcuni giorni dalle procedure di ammissione dei contrassegni che finiranno sulla scheda delle prime elezioni suppletive di questa legislatura - quelle che interesseranno il collegio camerale di Cagliari 01 - vale la pena tornare rapidamente sulla decisione con cui l'Ufficio elettorale centrale nazionale ha riammesso alla competizione Luca Caschiliil candidato del MoVimento 5 Stelle, dopo che l'ufficio circoscrizionale l'aveva invece escluso perché tra i documenti depositati dai delegati non era presente il contrassegno destinato alla scheda elettorale e tale difetto non era stato ritenuto "integrabile dopo la scadenza del termine", in quanto "parte essenziale della candidatura". E' stato infatti pubblicato il testo della decisione, quindi è possibile riflettere sul suo contenuto con maggiore cognizione di causa.
L'ufficio circoscrizionale, in particolare, si era basato sulle Istruzioni per la presentazione e l’ammissione delle candidature, predisposte dal Ministero dell'interno per le elezioni suppletive: all'interno si legge innanzitutto che "in assenza di ulteriori disposizioni esplicite per il prosieguo del procedimento per le elezioni suppletive, si deve considerare che i richiami dell'articolo 86 del d.P.R. n. 361/1957 e dell'articolo 19 del d.lgs. n. 533/1993 all'articolo 21-ter [del d.lgs. n. 533/1993, cioè il testo unico per l'elezione del Senato, ndbin esame – che al comma 1 cita il collegio uninominale Valle d’Aosta – rendono applicabili a tutte le elezioni suppletive le specifiche disposizioni dettate sia alla Camera che al Senato per il rispettivo collegio uninominale valdostano"; di più, "ai sensi dell'articolo 92, comma 1, numero 3), del d.P.R. n. 361/1957 per la Camera e dell'articolo 20, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 533/1993 per il Senato, il contrassegno di ciascun candidato non va presentato al Ministero dell’interno (a differenza di quanto avviene in occasione delle elezioni politiche generali), ma deve essere depositato insieme alla dichiarazione della candidatura presso il competente Ufficio centrale circoscrizionale per la Camera o presso il competente Ufficio elettorale regionale per il Senato". 
Il tenore delle Istruzioni (il contrassegno "deve essere depositato insieme alla dichiarazione della candidatura") deve aver fatto ritenere all'ufficio circoscrizionale che il deposito del contrassegno contestuale a quello della candidatura fosse "parte essenziale della candidatura" stessa, in mancanza di una fase preliminare di presentazione degli emblemi com'è prevista invece per le elezioni riguardanti il plenum dei seggi. Non era evidentemente questa la posizione del M5S, che nel suo ricorso ha sottolineato come il contrassegno - lo stesso - fosse già stato depositato nella fase che ha preceduto le elezioni del 4 marzo 2018 (in particolare, in data 19 gennaio 2018) e non si dovesse considerare necessario ripetere l'operazione in vista di un'elezione suppletiva, ritenuta "semplice appendice alle elezioni politiche generali"; nello stesso ricorso si leggeva che, non essendo richiesta ai partiti presenti in Parlamento (con quello stesso emblema) alcuna presentazione di firme a sostegno della candidatura, non c'era ragione nemmeno di chiedere di nuovo il deposito del fregio elettorale, che peraltro risultava riportato nella versione "piccola" (di 3 centimetri di diametro) e accuratamente descritto all'interno della dichiarazione di candidatura, così come richiesto anche nel modello riportato nelle Istruzioni.
Per l'Ufficio elettorale centrale nazionale, dopo aver rilevato che le disposizioni per le elezioni suppletive relative al seggio della Valle d'Aosta nulla prevedono sulla presentazione delle candidature e dei contrassegno, è stato sufficiente argomentare che l'apparente vuoto normativo va colmato "non già con l'applicazione delle norme relative all'elezione uninominale del Collegio 'Valle d'Aosta' [...], bensì con la disciplina generale dettata dal d.P.R. n. 361 del 1957 per l'elezione della Camera dei deputati, di cui l'elezione suppletiva costituisce un procedimento accessorio rispetto a quello originariamente già definitosi, nel quale si va a innestare". Se così è, deve considerarsi "già definita" la fase del deposito dei contrassegni "e, quindi, non necessita di ulteriore rinnovazione": per il M5S, che aveva già partecipato alle elezioni del 4 marzo 2018, era "del tutto sufficiente la descrizione particolareggiata [del contrassegno] nella dichiarazione di presentazione della candidatura, che avrebbe consentito all'Ufficio centrale circoscrizionale di verificarne la conformità a quello già a suo tempo depositato e ammesso".
La decisione dell'Ufficio elettorale centrale nazionale, oltre a eliminare un fastidioso problema politico contingente - avrebbe certamente generato molte polemiche un'elezione cui, oltre all'aspirante deputato di CasaPound, avessero partecipato le sole persone candidate del centrodestra e del centrosinistra, escludendo quella del M5S, soggetto politico che fa parte della compagine di governo e ha una rappresentanza parlamentare tutt'altro che esigua - fa chiarezza su un punto, anche al di là di ciò che espressamente si legge nel provvedimento. In particolare, si precisa che il deposito del contrassegno da impiegare alle suppletive è necessario (soltanto e) ogni volta in cui esso non risulta tra quelli che hanno partecipato alle ultime elezioni esattamente in quella forma. Risultava del tutto nuovo, in questo senso, l'emblema dei Progressisti di Sardegna, ma il discorso si applicava anche a quello composito di Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia: nemmeno questo era infatti presente nelle bacheche del Viminale, pur contenendo tre simboli identici a quelli utilizzati il 4 marzo 2018. 
Anche minime modifiche grafiche avrebbero richiesto un nuovo deposito: per fare un esempio, se la Lega avesse voluto presentare una candidatura autonoma e contrassegnarla con un emblema identico a quello utilizzato a marzo tranne che per la parola "Sardegna" al posto di "premier" (o al simbolo rappresentato in Parlamento avesse voluto aggiungere una miniatura dei Quattro Mori), avrebbe dovuto necessariamente presentare la nuova grafica assieme al resto dei documenti. CasaPound Italia, viceversa, avrebbe potuto omettere il nuovo deposito dell'emblema, avendo utilizzato quello già ammesso dal Viminale; deve invece averlo regolarmente presentato, vista l'immediata ammissione del suo candidato.
Dopo questa decisione, evidentemente le Istruzioni ministeriali per le suppletive verranno modificate nella parte che riguarda il deposito dei contrassegni, con l'aggiunta di una precisazione che esonera dall'obbligo di (nuova) presentazione dell'emblema i partiti e gruppi che intendano avvalersi dello stesso fregio già depositato prima delle elezioni politiche generali. Già che ci si è, si potrebbe anche precisare, per mera sicurezza, che non è consentito a un candidato o a una candidata di depositare più contrassegni a proprio sostegno (cosa che evidentemente è possibile per le elezioni generali, essendo consentiti i collegamenti). Al momento questa prescrizione sembra vissuta come "ovvia", dal momento che il centrodestra ha presentato un emblema composito; eppure il problema esiste, poiché nelle Istruzioni oggi si legge che "Nel caso in cui più partiti o gruppi politici intendano presentare un unico candidato, essi possono presentare, a tal fine, un contrassegno composito nel quale sia riprodotto, in tutto o in parte, il loro contrassegno insieme a quello di un altro o di altri partiti o gruppi". La guida scrive "possono" e non "devono", dunque a qualcuno potrebbe venire in mente di depositare più emblemi - come del resto era consentito sotto la vigenza del Mattarellum - rischiando di andare incontro a un'esclusione: meglio cautelarsi prima, per evitare problemi.

venerdì 28 dicembre 2018

Di chi è il Popolo partite Iva?

Giusto pochi giorni fa, il leader del Partito pensiero azione - Ppa, Antonio Piarulli, aveva messo in guardia altri soggetti politici, annunciando reazioni se costoro avessero aggiunto all'interno del loro simbolo un riferimento al Popolo partite Iva, identico o simile a quello con cui il Ppa ha corso alle elezioni di marzo. Viene allora spontaneo domandarsi come quel riferimento sia finito su quel contrassegno, giusto per capire se per caso qualcuno potrebbe salvarsi dal monito del movimento di Piarulli.
Basta uno sguardo abbastanza veloce in Rete per scoprire che quella scritta non era affatto casuale: il Movimento politico Popolo partite Iva, infatti, esiste addirittura dal 2015. Lo presiede Lino Ricchiuti, il vicepresidente è Paolo Sabbioni, mentre il segretario è Giuseppe Cipponeri. Sul loro sito presentano i loro caratteri fondamentali in poche righe, pregne di amarezza e rabbia: 
Siamo persone comuni che amano il proprio Paese e che non ci stanno più ad accettare una Nazione allo sbando in mano ad un manipolo di corrotti che, anziché governare per il benessere e la prosperità del Popolo, pensano esclusivamente ai propri interessi e a quelli dei loro amici. Individui che non hanno esitato a svendere questo Paese e a cederne la sovranità monetaria prima e quella politica poi. Siamo donne e uomini che hanno dato tutta la propria vita per creare aziende, posti di lavoro, ricchezza; siamo quelli che hanno creato il Made in Italy di cui tanto si riempiono la bocca i nostri "politici", ma che quotidianamente distruggono. Siamo persone che hanno deciso di ribellarsi a questo sistema che ci stritola, ci dissangua, ci spreme e poi ci getta via. Lo dobbiamo ai nostri Padri che hanno combattuto per lasciarci la libertà, lo dobbiamo ai nostri coniugi che hanno sofferto con noi ma, soprattutto, lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti che hanno in noi l’ultimo baluardo per un futuro sereno da persone libere, da cittadini che hanno doveri ma soprattutto diritti. Siamo stanchi di essere il BANCOMAT di personaggi arroganti, incompetenti e corrotti. Stanchi di essere schiavi dei poteri occulti che tutto fanno tranne che gli interessi della Nazione.
La storia del Popolo partite Iva sarebbe iniziata, in base a quanto racconta Ricchiuti - pugliese e ovviamente appartenente al novero dei titolari di Partita Iva da oltre vent'anni - dopo alcune disavventure personali con Equitalia (alla fine del 2010 gli avvisò di aver ipotecato la casa per non avere assolto per intero i suoi debiti con il fisco): nel 2011 da quell'esperienza - e dal sostegno insperato di centinaia di persone su Facebook - nacque l'associazione politica Italia libera (presieduta dallo stesso Ricchiuti), poi evolutasi in "Lista civica nazionale". La querelle di Ricchiuti con il fisco è proseguita a lungo, sfociando anche in procedimenti penali (avviati da lui con denunce o subiti per altri mancati pagamenti) e culminando in un emendamento da lui preparato per il "decreto depenalizzazioni" ("trasformare in illecito amministrativo il reato di omesso versamento I.N.P.S. delle ritenute previdenziali, purché non ecceda il limite complessivo di 10.000 euro annui"), poi entrato nella legge delega n. 67/2014 ("ma senza decreto attuativo!", si lamenta, almeno fino al 2015, quando il provvedimento è finalmente arrivato, sia pure ampiamente fuori tempo massimo e dopo un'audizione dello stesso Ricchiuti a Palazzo Chigi). Quell'esperienza per lui è stata importante: "in soli 3 mesi si era riusciti a cambiare una legge che era in vigore dal 1983 e che aveva mietuto una valanga di vittime tra piccoli imprenditori", per cui occorreva fare "buona politica" ed "essere rappresentati seriamente".
Dopo una manifestazione all'inizio del 2014 ("oltre 50.000 cittadini si recano presso le caserme dei carabinieri in tutta Italia per denunciare i governi degli ultimi anni per istigazione al suicidio"), Ricchiuti ricevette la proposta di candidatura alle elezioni europee con la lista del partito Io cambio (che in quell'occasione poté presentarsi in tutt'Italia senza firme grazie all'alleanza con il Maie, rappresentato in Parlamento); archiviata la parentesi elettorale, riprese le sue battaglie "per la chiusura di Equitalia , l'abolizione degli studi di settore , del Durc per le micro imprese, l'azzeramento della banca dati CRIF e soprattutto la proposta di sanatoria fiscale per famiglie e piccole imprese, autonomi e artigiani".
Alla politica, in qualche modo, è tornato poco dopo: l'11 settembre 2014 è stato ascoltato in un'audizione dalla Commissione finanze al Senato e poco dopo, con altre persone, ha scelto di fondare il Movimento politico nazionale del Popolo partite Iva: in aprile, l'anno dopo, ha reso pubblica la disponibilità del gruppo politico a candidarsi a sostegno di vari aspiranti presidenti della Puglia e lui stesso è stato inserito nella lista Puglia nazionale in appoggio ad Adriana Poli Bortone (41 voti nella circoscrizione di Barletta-Andria-Trani, 430 alla lista, dopo una campagna elettorale in cui "sia sui volantini che nelle interviste io non accennavo quasi mai al nome della lista civica Puglia Nazionale, bensì nominavo Popolo Partite Iva"). 
Nell'emblema del movimento politico - di cui il 5 dicembre, in occasione del primo congresso, Ricchiuti è diventato presidente - c'è l'Italia gialla con le regioni già usata da Italia libera, solo un po' rimpicciolita e stretta da un cerchio umano color dell'iride, volto a rappresentare gli "autonomi e lavoratori uniti" indicati all'interno del simbolo; a racchiudere tutto, una corona tricolore un po' curvilinea, piccolo lacerto del tricolore di fondo del movimento originario.  
Dopo varie iniziative (compresa la collaborazione con l'associazione Avvocato in famiglia per la creazione di uno sportello legale gratuito, "Il muro di gomma", per le azioni contro banche, finanziarie ed Equitalia), il movimento ha preso a radicarsi in varie parti d'Italia, mentre Ricchiuti è stato intervistato più volte dai media (soprattutto dal Giornale) e ospitato in trasmissioni televisive (specie Matrix).



Il 20 aprile, sulla pagina Fb del movimento, Ricchiuti ha presentato il nuovo simbolo: "il vecchio logo - ha scritto - va nei nostri cuori, oggi pubblichiamo il nuovo mentre la prossima settimana presenteremo la piattaforma che verrà messa a disposizione per tutti i contribuenti in difficoltà con Banche, Finanziarie, Equitalia e con altri servizi quali operazioni di microcredito e CAF, sarà anche occasione di lavoro per molti che vorranno aprire uno sportello nel proprio comune o inserirla in un proprio studio o agenzia". Nel nuovo emblema, tutto diverso rispetto al primo, il nome è su una sorta di medaglia o placca distintiva, con tanto di "coda" tricolore, mentre sono stati inseriti i riferimenti a varie categorie chiamate a fare "fronte comune": i piccoli imprenditori, i liberi professionisti, gli agenti di commercio, i commercianti, gli artigiani e gli ambulanti.
Nel frattempo, però, all'inizio di gennaio il Popolo partite Iva (lo si cita per intero, perché l'abbreviazione Ppi ha una storia ben diversa, da non confondere) aveva concorso al deposito presso il Ministero dell'interno del contrassegno composito con il Ppa, di cui si diceva all'inizio. Il 4 marzo, tuttavia, è apparso sul sito del Popolo partite Iva un testo di Ricchiuti non proprio positivo: "Nella prima settimana di Gennaio abbiamo avuto un dialogo con i vertici di un movimento denominato PPA- Pensiero e Azione dove, se anche in questo caso avremmo dovuto fare il grosso del lavoro, aveva la bontà di non dover raccogliere le firme come ampiamente spiegato nel video di presentazione [punto sul quale peraltro i dubbi non mancano, ndb]". La ricerca di candidati per poter presentare le liste in tutta l'Italia, tuttavia, non ha dato buoni frutti, soprattutto per l'impossibilità di rispettare i requisiti richiesti dalle quote di genere, per cui "Abbiamo dovuto prendere la decisione anche per tutelare tutti i nostri colleghi e colleghe che avevano aderito, producendo tutta la modulistica necessaria ritirare tutti i candidati in quota al nostro movimento". Ringraziando tutti coloro che comunque avevano dato il loro contributo, Ricchiuti si è assunto la responsabilità "di non essere riuscito a far capire che ci sono delle volte in cui è possibile fare comunità sui social, altri invece in cui bisogna sporcarsi le mani, metterci la faccia e buttarsi nell'arena", ha comunque rivendicato i risultati raggiunti fino a quel momento e ha annunciato che le battaglie sarebbero proseguite: "Se si dovesse andare a nuove elezioni nel giro di pochi mesi, cercheremo questa volta di non ripetere gli stessi errori e di farci trovare più preparati. Il Ppi riprende la sua corsa anche se 'feriti', ma siamo partite Iva, siamo abituati a rialzarci; certo, non posso negare che fa male, ma l'alternativa, cioè restare per terra, sarebbe peggio".
I rapporti con la politica, tuttavia, sono proseguiti: il 7 dicembre, infatti, è stato annunciato in una conferenza stampa alla Camera il patto federativo tra il Popolo partite Iva e Fratelli d’Italia, per cui "tutti gli emendamenti da presentare nelle commissioni o in aula che riguardano il mondo delle partite Iva" dovranno essere discussi e concordati tra i due soggetti politici: per Ricchiuti si tratta di "una azione basata sulla sostanza", perché "a noi interessa che i punti programmatici per cui ci siamo sempre battuti possano tramutarsi in proposte di legge ed emendamenti e per fare questo occorrono gli uffici legislativi". Al di là di questa collaborazione, sul piano elettorale Ricchiuti precisa che alle consultazioni europee e regionali "se avremo nostri candidati che se la sentiranno di concorrere, li proporremo a Fdi, lo prevede il patto federativo; in ogni caso questi candidati 'prestati' a Fdi risponderanno sempre e solo al Ppi". Sul piano interno, poi, il presidente ha annunciato che "in vista del congresso che si terrà nei primi 2 mesi del 2019 e avrà anche il compito di riorganizzare territorialmente il movimento Popolo Partite, Iva tutte le nomine regionali e locali sono revocate a far data dal 8 Dicembre 2018".
A questo punto, la coincidenza di date è significativa: proprio l'8 dicembre sul sito del Ppa è apparso il monito di Piarulli, in base al quale, a fronte della presentazione e ammissione del contrassegno composito del Ppa e del Popolo partite Iva, alla segreteria del Ppa "pare palese che nessun altro soggetto possa utilizzare la dizione 'Popolo partite Iva', inserita in un logo o simbolo a fini elettorali" e, sulla base dell'iscrizione del Ppa nel Registro dei partiti, essa si riservava "ogni azione nei riguardi di coloro che, agendo impropriamente, ci arrecassero nocumento". Salvo errore, è possibile che la scelta del Popolo delle partite Iva non sia stata gradita al Ppa e che questo voglia evitare che la stessa dicitura appaia in altri emblemi in futuro, presentati da Ricchiuti, da Fratelli d'Italia o da altri soggetti.
Di certo, quella dicitura non fa parte dell'emblema allegato allo statuto del Ppa in sede di registrazione del partito (facile verificarlo); di più, se si guarda nel sito dedicato alle elezioni trasparenti, al link della "dichiarazione di trasparenza" risulta soltanto la dichiarazione di Proiezione italia (presente in "pulce" nel contrassegno composito), senza nemmeno lo statuto del Ppa pubblicato in Gazzetta ufficiale (non sarà stato depositato o sarà stata una dimenticanza del Viminale?). In sostanza, quello che per Ricchiuti è il nome del suo movimento politico, per Piarulli sembra essere una denominazione incamerata dal Ppa: contenzioso all'orizzonte?

giovedì 27 dicembre 2018

Il Fronte Verde ha 12 anni, un nuovo simbolo e un futuro da partito

Nelle bacheche del Ministero dell'interno è comparso per la prima volta nel 2008, anche se il simbolo - una freccia verde piegata a forma di V - era piuttosto diverso da quello attuale. Il Fronte Verde, tuttavia, era già operativo da un anno e mezzo, essendo nato il 21 dicembre 2006: dodici anni dopo esatti, in via degli Scipioni a Roma si è riunito l'ufficio politico del movimento ecologista indipendente che ha scelto di adottare un nuovo emblema, leggermente diverso rispetto a quello attualmente in uso, ma in piena coerenza grafica e comunicativa con questo; la scelta è arrivata in coerenza con la decisione di fare un passo avanti sul piano politico, trasformandosi in partito e cercando di unire altre forze. 
In vista di quella riunione si erano prospettate varie possibili soluzioni, innanzitutto sul piano del nome: il 99% degli aventi diritto, tuttavia, ha espresso la volontà di mantenere la denominazione adottata dall'inizio dell'attività, preferendola a Movimento Verde ed Alternativa Verde. Dal punto di vista grafico, invece, si è concordata una variazione minima rispetto all'emblema attuale: si è mantenuto il nome verde su fondo bianco (e non a colori invertiti, come pure era stato proposto per far risaltare ulteriormente la connotazione ambientalista del movimento) e si è scelto di sostituire quella sorta di "onda" tricolore con una fascia sempre a doppia curva, ma a due tonalità di verde, dal momento che il soggetto politico ha iniziato ad aprirsi anche a livello internazionale (per cui non aveva senso marcare ulteriormente il carattere nazionale del Fronte Verde). 
Simbolo per le politiche 2018
Presenza costante di tutte le varianti sottoposte al voto degli aventi diritto è l'arciere, presente dal 2014 (anche se nel 2013, guardando la versione depositata al Viminale, l'immagine era diversa e ricordava più Green Arrow che Robin Hood): il disegno allora fu curato da Gianni Giansanti, mentre l'attuale restyling - che ha ribaltato "a specchio" la figura, con l'arco teso nuovamente verso sinistra e leggermente più in alto - è stato opera di Carlo Pompei, nuovo responsabile stampa e propaganda del Fronte Verde. Il risultato netto delle votazioni, in ogni caso, dimostra la compattezza e il comune sentire del gruppo dirigente attuale del movimento. Il cambio di simbolo, tuttavia, non è fine a se stesso, ma si inserisce in un disegno più ampio sul piano politico, anticipato a settembre dall'appello per una confederazione ecologista lanciato dal presidente nazionale del Fronte Vincenzo Galizia.
"Abbiamo deciso - spiega lo stesso Galizia - che entro il 2019 ci trasformeremo ufficialmente in partito politico per poter affrontare al meglio le battaglie ecologiste, sociali e politiche in difesa della Terra e dei cittadini con la volontà di entrare nelle istituzioni. Nel frattempo, il Fronte Verde proverà a presentarsi alle prossime elezioni Europee e amministrative": lo ha già fatto in passato, in particolare partecipando alle ultime due tornate elettorali a Fiumicino, ma intende estendere l'esperimento. "Ci stiamo sempre più radicando sul territorio sia in Italia che all'estero - continua il presidente - e abbiamo deciso di aprire le nostre liste ai cittadini delusi e traditi da tutti i partiti attuali, compreso il MoVimento 5 Stelle, che vorranno candidarsi in prima persona con noi per cambiare davvero l'Italia e l'Europa". 
Il progetto politico si occupa anche e soprattutto della dimensione europea: "Siamo contro quest'Europa di banchieri e burocrati: noi proponiamo, al posto di questa Unione, la nascita della Confederazione Europea per poter realizzare l'Europa verde, sociale e democratica che desideriamo, perché sia in grado di affrontare tutte le sfide epocali di questo secolo. Una nuova Europa dei popoli, profondamente impegnata sui temi della giustizia sociale e della solidarietà, favorevole a un'economia verde e circolare, che ponga come urgenza l’uscita dalla dipendenza dei combustibili fossili per puntare ancora di più su fonti rinnovabili e sull'efficienza, combatta in maniera concreta i cambiamenti climatici e si liberi definitivamente della plastica". Per riuscire in tutto questo, partecipando alle elezioni europee, ovviamente il Fronte Verde dovrà raccogliere le firme e non sarà semplice; in questo duro compito, peraltro, il nascente partito sarà in buona compagnia.

lunedì 24 dicembre 2018

Ben arrivato Mouv': l'elenco dei partiti si allunga

Nuovi partiti crescono. Nel senso che si allunga la lista dei soggetti politici che la Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici ha iscritto nel Registro dei partiti stessi, dopo averne esaminato lo statuto e averlo ritenuto conforme alle previsioni di legge (in particolare, a quanto prevede il d.l. n. 149/2013, convertito dalla legge n. 13/2014). Se alla fine di ottobre si è avuto l'inserimento nel registro di +Europa (che dunque sembra completare la sua trasformazione da cartello elettorale a soggetto politico a ogni effetto), il 7 dicembre è stato deliberato l'inserimento di Mouv', partito "identitario, pluralista e federalista" della Valle d'Aosta, nato all'inizio del 2017 come associazione e "pensatoio", poi evolutosi in una realtà più complessa e radicata.
Nello statuto di Mouv' (che altro non è che la contrazione di "Mouvement", anche se in campagna elettorale è diventato anche l'acronimo dei cardini programmatici della lista, Modernità Onestà Unità Vita; l'apostrofo, in più, volendo può rimandare anche al nome della Valle d'Aosta, in italiano come in francese, dal momento che le altre regioni non hanno quel segno di punteggiatura) è contenuta la spiegazione dei tre caratteri appena citati: "Identitario poiché l'identità della Valle d'Aosta è al centro delle politiche di Mouv' il quale ritiene che l'autonomia valdostana sia solo un punto di partenza e non di traguardo, promuovendo azioni finalizzate al raggiungimento di una più completa capacità di autogoverno. Pluralista perché promotore di progresso nel rispetto della tradizione; Mouv' progetta, raccoglie, adotta e propone le migliori strategie che ritiene utili per il raggiungimento del benessere collettivo. Federalista: Mouv' è a favore di un'Europa federale formata da nazioni (ossia da territori che condividono caratteristiche comuni come le lingue, il luogo geografico, la storia, le tradizioni, la cultura, l’etnia e il clima e non da Stati detti nazionali)".
L'autonomia regionale (legata allo statuto speciale) così come la si conosce oggi, dunque, non basta: Mouv' si prefigge lo scopo di "consolidare e rendere piena l'autonomia della Valle d'Aosta, sostenere una riforma federalista sia della Repubblica italiana, sia dell’Unione europea, contemperando le aspirazioni della popolazione locale ai principi dell'autodeterminazione sanciti dalle Nazioni unite".
In seguito all'assemblea dello scorso 7 ottobre, come si evince dal nuovo sito, il presidente del partito è Mauro Caniggia NicolottiAlle ultime elezioni regionali di maggio, Mouv' ha conosciuto un ottimo (e per alcuni inatteso) esordio elettorale, ottenendo ben tre consiglieri (Roberto Cognetta, Stefano Ferrero ed Elso Gerandin). Sulle schede, ovviamente, era presente il simbolo del movimento, che lo statuto descrive come "una spirale logaritmica di colore rosso porpora in campo bianco, sovrastante la denominazione MOUV'; il tutto inscritto in una circonferenza". La scelta di quel segno geometrico non è affatto casuale: "rappresenta dinamismo, vita, espansione", spiega Caniggia Nicolotti. Un emblema di buon auspicio, tra il matematico e l'esoterico, che certamente si è reso riconoscibile agli occhi dei valdostani.

domenica 23 dicembre 2018

Ppa, verso le europee a fianco del Popolo partite Iva

Mancano poco più di cinque mesi alle elezioni europee, ma è ancora difficile prevedere quante e quali liste saranno presenti sulla scheda elettorale: il sistema proporzionale sulla carta potrebbe favorire una presenza ampia, ma a ostacolarla di molto e a suggerire aggregazioni e federazioni provvederà la necessità di superare lo sbarramento del 4% e, a monte, l'onere di raccogliere le firme a sostegno delle liste (almeno 30mila in ogni circoscrizione, dovendo essere raccolte per almeno il 10% in ciascuna regione), per lo meno per quei partiti che non risultano esenti in base alla legge elettorale.
La curiosità dei #drogatidipolitica non si limita, ovviamente alle liste maggiori e scontate (M5S, Lega, Fratelli d'Italia, Pd e Forza Italia, con federazioni di vario genere), a quelle già annunciate e non esattamente certe, per le ragioni viste prima (+Europa, Stati Uniti d'Europa) e a quelle probabili anche se non ancora precisate (Svp e ciò che accadrà a sinistra dopo Leu). L'interesse maggiore, probabilmente, è dato dalle formazioni "altre", che non si ha il coraggio di chiamare "minori" perché i loro leader e demiurghi si offenderebbero e perché ai nostri occhi appaiono inesauribili, pronte a rinascere o a evolvere nelle forme più varie possibili. Tra queste ultime va sicuramente annoverato il Ppa - Partito pensiero azione, creatura politica di Antonio Piarulli nata a Torino nel 2004 (ma sorta due anni prima come associazione) e più volte affacciatasi in Parlamento, in corso di legislatura, accanto a partiti che le hanno concesso visibilità (e, incidentalmente, sono così riusciti a costituirsi o a rimanere componenti del gruppo misto alla Camera).
Nel 2014 il simbolo del Ppa non finì nelle bacheche del Ministero dell'interno che contenevano i contrassegni depositati in vista delle elezioni europee; a dire il vero, non è mai stato presente alle consultazioni per il rinnovo del Parlamento europeo, mentre dal 2008 Piarulli si è sempre fatto trovare al Viminale per i depositi che precedevano le elezioni politiche. E se all'inizio la grafica era decisamente spartana e letterale (e a ben guardare si vedevano anche le strisciate d'inchiostro della stampante), con il tempo il simbolo del partito è stato "rinfrescato" e arricchito, per essere più leggibile (anche con il nome intero) e il più possibile al passo con i tempi.
Nel 2013, per dire, la grafica era stata resa decisamente più accattivante, eliminando i punti dalla sigla (ormai caduti in disuso), permettendo di comprendere cosa significasse l'acronimo e dando un tocco dinamico e tridimensionale all'intero contrassegno (grazie al testo in rilievo e a un gioco di luci che rendeva il centro azzurro simile a una semisfera); in più all'interno del cerchio erano state aggiunte le diciture "Partito della gente per la gente" e "Piazza pulita", perfettamente in linea con la richiesta di cambiamento che già allora sembrava in grado di fare breccia nell'elettorato (anche se a beneficiarne in termini di voti e seggi furono, come è noto, altre forze politiche).
Alle elezioni politiche di quest'anno su alcune schede elettorali è finita una nuova versione dell'emblema: confermata la scelta del blu di fondo (tornato scuro come alle origini), il centro del contrassegno è stato arricchito di altri messaggi, a partire dal riferimento al "Popolo partite Iva" che in passato era stato determinante per il consenso di alcuni partiti. C'era anche la "pulce" di Proiezione Italia, altro partito sorto a Torino nel 2017 e guidato da Gabriele Malotti, con l'intento di lavorare su singoli progetti a beneficio del paese (con il sostegno di singoli parlamentari "illuminati"): con quello stesso spirito si era inserito il riferimento alla riprogettazione del paese "valorizzando le nostre ricchezze". 
Da alcune settimane, il simbolo è mutato di nuovo, risultando una semplificazione del logo utilizzato alle ultime politiche (oggettivamente molto, troppo pieno). E' rimasto il riferimento alle partite Iva (al punto tale che il Ppa si riserva di agire in giudizio contro chi tentasse di inserire diciture simili nel proprio emblema); in alto c'è un arco bianco che può contenere qualunque scritta in vista delle europee (a proposito, chissà cosa significava "Mplibertà" utilizzato a marzo...) e nella parte inferiore c'è un nastrino tricolore, dall'andamento sinuoso, che completa i riferimenti nazionali e catch-all all'interno del contrassegno.
Servirà anche questo, probabilmente, per dare visibilità a un movimento nato "per contrastare il falso Bipolarismo e favorire il vero pluralismo, che sia democraticamente rappresentativo", difendere "i principi di matrice cristiana e la dignità di tutti i cittadini" e propagare la convinzione che la politica abbia "un suo proprio nesso se praticata con Spirito di Servizio" e con "l'eleganza sociale di fare un mondo migliore". "Non guerre, ma moderazione, dialogo e concertazione, sono il costrutto della democrazia rappresentativa".
Il partito dal 2017 è iscritto nel Registro dei Partiti costituito a norma del decreto-legge n. 149/2013 (convertito con legge n. 13/2014), dunque rivendica una maggiore stabilità rispetto ad altre forze politiche (e, anche sulla base di questo, aveva chiesto di poter partecipare alle elezioni di marzo senza l'onere di raccogliere le firme). "La sfida di questo progetto - si legge alla fine del programma - è il cambiamento della politica. Le donne e gli uomini liberi che lo condividono e sono disponibili a mettersi insieme, partecipando e assumendo i rischi di questa sfida, possono essere attori protagonisti di una nuova stagione politica del Paese". Una sfida non facile, soprattutto per chi è fuori dal Parlamento; ci vuole ben altro, però, per fermare il progetto di Antonio Piarulli, che a partecipare alle europee con proprie liste sta facendo più di un pensiero.