Non di rado i simboli sono croce e delizia della classe dirigente di un partito: quando questo è in crisi di consensi o di popolarità, non è raro sentir dire che il suo emblema "non scalda il cuore" degli elettori (Silvio Berlusconi l'ha detto a ripetizione, riferendosi al Pdl). D'altra parte, quando sono in bilico tra mal di pancia e rischi di scissione, è facile sentire iscritti ed elettori - soprattutto di sinistra - che si lamentano: "già le elezioni sono andate male, se cambiamo un altro simbolo non ci riconoscerà nessuno e invece che una sconfitta avremo una disfatta". Non è improbabile che qualcuno abbia interesse a "misurare" tutto questo, magari commissionando un sondaggio per trarne indicazioni: ma quale ruolo hanno o possono avere sondaggi e ricerche di mercato in materia di simboli? Ne parliamo con Renato Mannheimer, sociologo, già docente di Analisi dell'opinione pubblica e da molto tempo attivo nell'ambito delle ricerche di mercato e dei sondaggi; attualmente è partner dell'istituto di ricerche e marketing Eumetra Mr.
Professor Mannheimer, che ruolo ha secondo lei il simbolo nel rapporto con la pubblica opinione?
Di certo il simbolo ha la sua importanza, perché sintetizza in una rappresentazione grafica tutti i contenuti, i messaggi, un tempo gli ideali che appartengono a una forza politica, che la connotano. Non a caso, come anche lei ha scritto, il mutamento dei simboli dei partiti nel tempo è stato "simbolico", se perdona il bisticcio, del cambiamento che quegli stessi partiti hanno conosciuto, quanto ai loro contenuti. Sono d'accordo, dunque, nel riconoscere il simbolo come elemento fondamentale, evocativo.
Lei pratica da tempo lo strumento del sondaggio, ma spesso si accusano giornalisti e studiosi di altre materie di pretendere di sapere da chi fa sondaggi "quanto sposta" questo o quell'elemento. E' sbagliato domandarselo anche per i simboli?
Guardi, personalmente credo che oggi adottare un simbolo o un altro sposti piuttosto poco, quindi chiederselo ha poco senso: conta piuttosto il messaggio che si vuole far passare con un emblema, il contenuto. Per capirci, se il MoVimento 5 Stelle nel suo simbolo avesse usato quattro o sei stelle invece che cinque, sul piano tecnico non sarebbe cambiato nulla, mentre ha avuto decisamente più importanza l'essere riusciti a "riempire" di contenuti quel nome e quella grafica. Certo, un tempo era almeno in parte diverso: sicuramente la falce e martello o lo scudo crociato rappresentavano qualcosa di non casuale, ma anche in quel caso contavano essenzialmente i contenuti.
Il discorso vale anche quando un simbolo già adottato viene cambiato?
In effetti no: cambiare improvvisamente un simbolo può contribuire a far guadagnare o perdere voti. La scelta di Matteo Salvini di togliere la parola "Nord" alla Lega, per esempio, ha facilitato l'approdo del partito al Sud e la costruzione di una base in quei territori, ma non si è trattato di una semplice eliminazione di una parola: sono stati cambiati e cancellati dei contenuti "nordisti" e di difesa del Settentrione ed è questo, in realtà, che ha permesso di ottenere voti al Sud. Quando, d'altra parte, all'epoca certi partiti avevano rinunciato al segno della falce e martello, la scelta aveva permesso di incamerare voti di persone che non avevano mai fatto parte della base elettorale di quei partiti, così come però aveva prodotto una perdita di elettori a favore di quei partiti che quel simbolo l'avevano conservato o adottato: in entrambi i casi, togliere o mantenere falce e martello erano segno di una scelta di contenuti, che andava ben oltre il solo simbolo.
Lei parlava dell'adozione e del cambio di simboli, un fenomeno piuttosto frequente oggi, con certi emblemi che durano piuttosto poco: quanto tempo occorre perché un simbolo sia percepito dall'opinione pubblica e si consolidi?
Serve molto tempo, o per lo meno tradizionalmente è stato così. Oggi, in realtà, il trascinamento più che dai simboli è fatto dai leader, per cui è il singolo leader che invita a votare il simbolo o che presenta l'emblema nuovo o ritoccato: tornando all'esempio di Matteo Salvini, credo che se domani mattina presentasse un emblema completamente diverso e chiedesse di votarlo, probabilmente riuscirebbe a trascinare con sé quasi tutti i suoi consensi sul nuovo fregio. Oggi indubbiamente l'attaccamento ai simboli è minore rispetto al passato, proprio perché siamo in una fase di "partiti leader", mentre nella Prima Repubblica dei "partiti partiti" cambiare improvvisamente un simbolo era molto più difficile. Secondo me oggi nessun simbolo appare particolarmente radicato, per cui è possibile arrivare a un cambiamento attraverso sagge operazioni di marketing, come alcuni in effetti hanno fatto.
Cosa intende con "sagge operazioni di marketing"?
Intendo propagandare attraverso i media la scelta di adottare un nuovo simbolo e spiegarne i motivi.
Credo che per fare questo occorra essere molto forti o avere molte risorse a disposizione, o magari entrambe le cose insieme...
Beh, più che altro bisogna essere forti; le risorse occorrono, ma oggi la comunicazione attraverso i social media è in proporzione meno costosa rispetto agli strumenti di un tempo. Certo, occorre essere bravi e capire - ma qui si entra nel campo della comunicazione politica - le logiche di comunicazione dei social: Salvini di certo le ha capite e Grillo, grazie a Casaleggio, pure, ma non tutti i leader politici in Italia le hanno comprese davvero.
Lei prima metteva l'accento sui "partiti leader": la presenza nel contrassegno elettorale del nome di quel leader può avere un peso nell'opinione pubblica, anche senza volerlo quantificare?
Sicuramente sì: se un elettore vede sulla scheda il nome del suo leader, è più portato a votarlo, dunque certamente la presenza del nome influisce.
E come si può commentare la scelta di chi invece decide di non inserire alcun nome nel simbolo, come ha fatto il Partito democratico anche in un periodo in cui tutte le altre forze politiche piccole e grandi agivano nel verso opposto?
Può certamente trattarsi di una scelta frutto di un dibattito interno, che ha preferito non puntare "visivamente" su una singola persona; non bisogna dimenticare che nel Pd le diatribe e le discussioni interne non sono mai mancate, per cui la gestione della comunicazione politica e dello stesso simbolo sulla scheda è inevitabilmente più complicata rispetto a ciò che avviene altrove, per esempio nella berlusconiana Forza Italia. Certo è che, quando il Pd era guidato da Matteo Renzi, nel simbolo non c'era il suo nome, ma era a lui che andava la maggior parte dei voti dati ai dem; ora che poi manca un leader riconosciuto al suo interno, non stupisce affatto che il partito arretri, per lo meno nei sondaggi.
Guardando al passato, le risulta che le ricerche di mercato abbiano avuto qualche ruolo nella scelta o nel cambio di un simbolo di partito?
Io conosco, per avervi partecipato, la vicenda di Forza Italia: Silvio Berlusconi, abituato com'era con le sue attività alle ricerche di mercato legate al marketing, fece svolgere dei focus group proprio relativi al nome e al simbolo. Questa è una pratica comune per le aziende: penso alle tante ricerche che io curai per il lancio di marchi o di nomi per un'automobile, per una salsa di pomodoro o per certi tipi di pneumatici; ci sono anche specialisti in grado di indicare il colore giusto per quel prodotto o per quel messaggio. Berlusconi ha preso quelle logiche e le ha portate in politica, risultando profondamente innovatore: nella Prima Repubblica, infatti, queste cose non si facevano. La stessa Lega, che ora commissiona tante ricerche sui contenuti, dubito che in passato abbia posto il proprio simbolo come oggetto di indagini di marketing politico.
Parlando della Prima Repubblica, il primo vero cambio di nome e simbolo, assai traumatico, riguardò il passaggio dal Partito comunista italiano al Partito democratico della sinistra: nemmeno lì sono entrate in gioco le ricerche di mercato?
Guardi, io credo di no: sia nel Pci, sia nei partiti di sinistra venuti dopo ricordo molta ostilità verso le ricerche. Io feci dei sondaggi per il Pci, soprattutto per Giorgio Napolitano, ma in generale c'era ostilità: mi pare che il comitato provinciale di Pisa del Pci abbia votato addirittura una mozione contro i sondaggi. Lo stesso Bettino Craxi diceva, a tal proposito: io sono un vecchio socialista, non uso queste cose perché sono delle americanate. Tutto questo, ovviamente, prima dell'avvento di Berlusconi.
I media, invece, hanno individuato o individuano un cambio di simbolo come una questione che merita di essere oggetto di un sondaggio d'opinione?
Beh, i media possono chiedere e chiedono di tutto; in effetti, però, non mi risulta di particolari richieste di ricerche relative a cambi di simbolo. I media hanno individuato piuttosto come argomento da "misurare" l'importanza della leadership, quindi fanno studiare con una certa frequenza l'appeal potenziale di questo o di quel leader.
Ma lei ritiene che oggi tastare il polso della pubblica opinione sui simboli sarebbe utile oppure pensa che non serva?
Mah, bella domanda: il fatto è che è così tanta oggi l'importanza data ai leader e ai contenuti "facili" che sembra difficile vedere uno spazio per questo. Tuttavia, forse sarebbe utile, per esempio, vedere che impatto può avere un simbolo sulla pubblica opinione: immagino che nella prossima campagna in vista delle elezioni europee i simboli saranno sempre più propagandati sui social media, quindi fossi nei media o nei partiti una valutazione dell'impatto visivo sugli schermi delle varie insegne la farei.
In base ai suoi studi e alle sue conoscenze, saprebbe indicare delle regole di base che chi concepisce o disegna un simbolo dovrebbe tenere in conto per ottenere un buon risultato o non rischiare un buco nell'acqua?
Posto che esistono figure professionali che sono in grado di disegnare un simbolo o comunque un'immagine efficace, tenendo presente l'effetto che si vuole ottenere, credo che un emblema politico-elettorale, soprattutto se nuovo, dovrebbe essere facile da capire e memorabile: creazioni elaborate che richiedano troppa attenzione, troppo pensiero non "bucano", non comunicano nel modo giusto.
Crede che sia questo il motivo per cui oggi nei nuovi emblemi dei partiti sono quasi del tutto spariti i disegni e ci si basa soprattutto sul testo?
Non ne sono certo, ma indubbiamente simboli così risultano più immediati: forse il motivo sarà quello.
Se le cose stanno così, è forse finito il tempo dei simboli e dei contrassegni elettorali, che erano nati essenzialmente per permettere anche agli analfabeti di esprimere il proprio voto? Ha ancora senso la loro esistenza?
Guardi, certamente credo che i simboli abbiano meno senso di un tempo, non solo perché ci sono meno analfabeti, ma anche perché allora i simboli rappresentavano innanzitutto ideologie, tendenze, valori, insomma una serie di contenuti. Ora, sempre più spesso, i simboli dei partiti maggiori rappresentano i loro leader e il loro nome ne rappresenta la parte dominante, dunque il simbolo grafico serve molto meno. Non è però così in tutti i paesi: dieci anni fa andai a fare l'osservatore elettorale in Pakistan e di quell'esperienza conservo tuttora un bellissimo manifesto elettorale, tutto pieno di simboli, che là tra l'altro servono anche perché ci sono molti analfabeti.
In Italia invece che senso avrebbe conservarli?
Beh, innanzitutto al momento simboli e contrassegni elettorali sono obbligatori per legge, quindi devono essere utilizzati. In prospettiva si potrebbe pensare di eliminare quest'obbligo giuridico, ma finora non ci ha seriamente pensato nessuno e non credo che questo rappresenti un problema rilevante per i politici di oggi: se vogliono dare maggior peso al nome del leader, semplicemente lo scrivono nel contrassegno e basta.
Da ultimo, ha senso auspicare forme di collaborazione tra chi si occupa di ricerche di mercato, politici e creativi, per indagare meglio i simboli e ridare dignità a uno strumento che in Italia ha avuto importanza ma via via ha perso parte del suo valore?
Probabilmente sì: facendo ancora il parallelo col marketing, le raffigurazioni e i messaggi che sono frutto di studi funzionano di più. Certo, nella politica di oggi ci sono meno contenuti da trasmettere: questa si nutre essenzialmente di messaggi molto semplici e semplificati, per cui forse a veicolarli basta il nome del leader. Nonostante questo, credo che varrebbe la pena unire le forze per restituire valore ai simboli: nel passaggio da una politica di contenuti a una politica di slogan, che non riguarda certo solo l'Italia, abbiamo perso molto e il simbolo era proprio legato a quei contenuti. Chissà se con il passaggio ai "partiti leader" ci abbiamo perso: forse sì...
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