Per quasi tutti i quotidiani
doveva essere stata una notizia importante, visto che aveva puntualmente
trovato spazio su decine di pagine: il titolo. ripetuto quasi sempre uguale, era
«Lega Nord, via il nome di Bossi dal simbolo». In condizioni normali non ci
sarebbe stato motivo di dare così tanta attenzione a una modifica simile: ventun’anni
fa si sono versati fiumi di inchiostro per il passaggio dalla falce e martello
alla quercia, ma il cambio di una semplice dicitura non avrebbe dovuto suscitare
la stessa attenzione.
Eppure le cose non stanno
esattamente così. Tutti sanno che il nome del fondatore e leader indiscusso (fino all’altro ieri) figurava ben in evidenza sull’emblema
della Lega Nord, in quel segmento circolare che da pochi giorni ospita di nuovo
la parola «Padania»: ci stava dal 2008, anno in cui si votava per rieleggere il
Parlamento e iniziare la XVI legislatura. Di tutto questo, però, non c’era
traccia nello statuto di allora, che continuava a recitare che «Il simbolo […]
è costituito da un cerchio con all’interno il Sole delle Alpi, rappresentato da
sei petali disposti all’interno di un secondo cerchio e la figura di Alberto da
Giussano, così come rappresentato nel monumento di Legnano; sullo scudo è
disegnata la figura del leone alato con spada e libro chiuso, nella parte
inferiore è la parola Padania; il tutto contorna, nella parte superiore, dalla
scritta Lega Nord».
In pratica era la descrizione del
simbolo presentato ancora alle elezioni del 2004 (nel 2006 l’alleanza con il
quasi sconosciuto Mpa di Lombardo aveva complicato tutto, graficamente
parlando), niente di più, niente di meno; lo statuto, anzi, precisava che
questo doveva essere il contrassegno per le elezioni politiche ed europee,
anche se si lasciava lo spazio per inserire varianti nazionali e regionali. Eppure,
in quel 2008, anche la Lega cedette a quel fenomeno di personalizzazione che da
un po’ di anni aveva investito i partiti e i loro emblemi: nel 2006 sulle
schede campeggiavano i nomi di Fini, Mussolini (nipote), Berlusconi, Di Pietro
e Casini, nel 2008 c’erano pure Boselli e Veltroni, poteva il Senatur rimanere fuori? Ovviamente no,
così probabilmente fu il Consiglio federale a consentire che il nome del leader prevalesse sull’ideale della
Padania.
Ora, però, si cambia. Lo statuto,
nella nuova versione, si premura di sottolineare che il simbolo «appartiene al
patrimonio della Lega Nord» (non è un’affermazione di poco conto, viste alcune
voci giornalistiche dei mesi precedenti, di cui bisognerà riparlare), ma della “sparizione”,
ovviamente, nulla dice. L’operazione potrebbe anche sembrare una “restaurazione”;
la chiusura di una parentesi aperta in modo eccezionale, ma che non poteva
durare all’infinito. Alberto da Giussano, intanto, resta imperturbabile, con lo
spadone sguainato verso il cielo: storicamente forse non è nemmeno esistito, ma
dev’essere un dettaglio secondario.