Visualizzazione post con etichetta stati uniti d'europa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta stati uniti d'europa. Mostra tutti i post

lunedì 6 maggio 2024

Europee, riammesso il simbolo di Stati Uniti d'Europa (Lista Pannella). Ovvero, dell'auspicato ritorno alla prevalenza dei simboli sulle parole

Era oggettivamente piuttosto contenuto il numero dei contrassegni ricusati in vista delle elezioni europee dell'8 e 9 giugno 2024, solo 3 su 42 (cui aggiungere i 6 che, per difetti nei documenti presentati, non avrebbero consentito la presentazione di liste); da poche ore, però, i simboli bocciati sono soltanto 2. Proprio quest'oggi, infatti, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha riammesso il contrassegno Stati Uniti d'Europa, depositato il 21 aprile per conto dell'Associazione Lista Marco Pannella
Com'è noto, la Direzione centrale per i servizi elettorali ne aveva chiesto la sostituzione, visto che l'unica espressione letterale contenuta (coincidente con la denominazione del contrassegno) era identica al nome scelto dalla lista cui concorrono +Europa, Italia viva, Psi, Radicali italiani, Libdem europei e L'Italia c'è, il cui emblema era stato presentato prima e avrebbe rischiato di essere confuso con quello "omonimo", abbinato al simbolo della rosa nel pugno: il Ministero dell'interno aveva mostrato di sapere che il contrassegno contestato era già stato depositato (da Maurizio Turco) e ammesso in occasione delle elezioni europee del 2019, ma - oltre a rilevare l'identità del nome e della parte letterale - aveva ritenuto che la Lista Pannella non avesse "fatto notoriamente uso del contrassegno", non avendo presentato liste da esso contrassegnate nel 2019 e avendo presentato un emblema diverso per le elezioni politiche del 2022 (sempre senza candidature). Il depositante, Diego Sabatinelli, si era opposto all'invito a sostituire il simbolo e si era rivolto all'Ufficio elettorale nazionale presso la Corte di cassazione, ma il collegio aveva confermato l'esclusione, a dispetto della grafica del tutto diversa: la confusione poteva essere data anche dalla componente testuale, specie se questa è l'unica e ha particolare evidenza, dunque doveva applicarsi la regola della precedenza nel deposito in vista di questa tornata elettorale, non rilevando il preciso come titolo preferenziale.
Non condividendo il verdetto dell'Ufficio, Diego Sabatinelli e Maurizio Turco il 30 aprile hanno presentato - come previsto dall'art. 129 del codice del processo amministrativo - ricorso al Tar del Lazio (difesi dagli avvocati Gianpaolo Catanzariti e Fabio Federico), chiedendo l'annullamento dell'invito a sostituire il contrassegno e della decisione dell'Ufficio elettorale nazionale. Costoro avevano riaffermato, nello specifico, innanzitutto la non confondibilità dei due fregi elettorali (visti i tanti elementi di distinzione sul piano visivo e, in particolare, simbolico, da considerare più rilevante di quello testuale), come pure la necessità di dare importanza al preuso (da intendere come "uso pubblico del contrassegno già precedentemente effettuato dall’associazione o dal partito politico") maturato negli anni precedenti più che all'ordine di precedenza relativo alla singola competizione elettorale. 

La decisione

Posto che non hanno partecipato al giudizio né il Ministero dell'interno, né l'Ufficio elettorale nazionale (al pari della Prefettura di Roma, ugualmente indicata come controparte), ma nemmeno la lista Stati Uniti d'Europa, indicata come controinteressata (anche se, non essendone stata chiesta l'esclusione, è da intendersi piuttosto come "interessata"), il Tar ha creduto di non doversi occupare del significato da dare alla nozione di "precedenza" nel deposito, se dunque debba riferirsi al mero ordine di presentazione al Viminale in vista della singola competizione oppure se debbano considerarsi anche gli usi precedenti, includendo tra questi anche i depositi compiuti presso il Viminale in passato. La questione sarebbe stata certamente interessante (soprattutto per la soluzione che avrebbe dato al bilanciamento tra l'attenzione alla singola procedura elettorale e l'opportunità di non trascurare totalmente i preusi per non svalutarli del tutto); non è stata però trattata perché, secondo il collegio, il problema di sciogliere il dubbio sulla "precedenza" in caso di confondibilità non si pone perché, a monte, a mancare sarebbe proprio la confondibilità, dunque non ci sarebbe (stato) motivo per escludere il contrassegno oggetto del ricorso.
Ricordate le disposizioni da considerare con riguardo alla vicenda (i commi 3, 4 e - sia pure in misura minore - 5 dell'art. 14 del d.P.R. n. 361/1957) e l'evoluzione dei loro testi, il collegio del Tar romano ha ripercorso la giurisprudenza amministrativa - di primo e di secondo grado - in materia di confondibilità (relativa, secondo i giudici, a "loghi tra di loro uguali in ogni particolare e, quindi, identici", anche se in effetti si considerano molto più spesso casi di somiglianze, visto che l'identità è una fattispecie distinta, pur se sanzionata dall'ordinamento con la ricusazione al pari della confondibilità per somiglianza) e di decettività (situazione che concerne "quei contrassegni che riproducono simboli, o elementi caratterizzanti di simboli, di contrassegni usati da altri partiti o gruppi politici e, per questo motivo, atti ad indurre in errore l'elettore sull'identità del partito o raggruppamento politico dal quale promana la lista"): la sentenza precisa che il giudizio sulla confondibilità o sulla decettività, comunque, richiede a monte che i simboli in questione siano messi a confronto, "ciascuno considerato nel suo complesso ed in ogni sua parte, ma anche negli elementi che, per una qualsiasi ragione, assumono funzione individuante". Il Tar, tra l'altro, cita come precedente la sentenza emessa nel 2019 a fronte del ricorso della Democrazia cristiana allora guidata da Renato Grassi per essere riammessa alle elezioni europee: allora sostenne che "era necessario scongiurare un utilizzo dei contrassegni di lista tale da trarre in errore l'elettore e da pregiudicarne, in tal modo, la libertà di scelta politica; rischio, questo, reso evidente nei casi in cui [...] i contrassegni recano elementi consistenti di assoluta identità", pertanto occorreva la citata valutazione comparativa dei contrassegni, "sia complessivamente considerati sia con riguardo a singoli elementi, primariamente i simboli e le parti di cui si compongono, che assumano una funzione individuante".
I giudici riconoscono che entrambi i contrassegni contengono la stessa dicitura "Stati Uniti d'Europa" (pur riprodotta con posizioni, dimensioni, composizioni, caratteri e colori differenti), ma ritengono che la comparazione tra i due contrassegni non faccia ritenere il fregio depositato per conto della Lista Pannella come confusorio o decettivo rispetto a quello della lista Stati Uniti d'Europa che si presenterà alle elezioni europee di giugno. Se si adotta uno sguardo complessivo dei due emblemi, in particolare, per il Tar "la funzione individuante della dicitura 'STATI UNITI d’EUROPA' risulta, nell'economia complessiva del contrassegno n. 20, ben inferiore rispetto a quella assolta dalla 'rosa nel pugno', simbolo tradizionalmente appartenente all'iconografia del movimento radicale italiano ed internazionale, e dallo sfondo cromatico giallo sul quale tanto la scritta quanto il simbolo in questione si stagliano", mentre nell'emblema depositato al secondo posto si ritrovano "ulteriori elementi grafici distintivi ben chiaramente evincibili e non confondibili con quelli raffigurati nel contrassegno n. 20", a partire dalla bandiera dell’Unione Europea e dalle miniature dei simboli delle sei formazioni aderenti alla lista, riprodotti su sfondo bianco. Il citato sguardo complessivo sui due contrassegni, dunque, farebbe emergere "la funzione personalizzante assolta, nel caso del contrassegno n. 20, dal simbolo della 'rosa nel pugno' e dallo sfondo giallo sul quale tale elemento è raffigurato e, nel caso del contrassegno n. 2, dalla bandiera dell'Unione Europea" e dai microsimboli delle forze politiche partecipanti alla lista": basterebbe questo, per il collegio, per non ritenere configurabile il rischio di confondibilità per il corpo elettorale legato al nome identico riportato in tutti e due i fregi.
La sentenza cita il principio, riaffermato più volte dalla giurisprudenza, del favor partecipationis ("in materia di competizioni elettorali, rileva il principio della massima partecipazione degli attori dell’agone politico alle operazioni elettorali, dovendo il principio in questione trovare un contemperamento solo con il principio della par condicio tra tutti i partecipanti alle elezioni"): se quel principio spesso è stato impiegato per attenuare un metro di giudizio troppo severo circa gli adempimenti del procedimento elettorale preparatorio (come i ritardi senza colpa nella presentazione delle liste o nell'ottenimento e deposito dei certificati di iscrizione dei sottoscrittori alle liste elettorali), in questo caso i giudici lo hanno impiegato anche per alleviare almeno in parte, di fatto, il rigore dell'esame di ammissibilità dei contrassegni, privilegiando - rispetto alle identità di alcuni elementi contenuti dei fregi - le differenze emergenti dallo sguardo complessivo, magari anche grazie al peso di altri elementi. 
A quest'ultimo proposito, il collegio giudicante mostra di aver considerato (e condiviso) anche la parte delle argomentazioni dei ricorrenti relativa alla comunicazione politica, alle sue prassi e al loro interagire con i procedimenti elettorali. Merita di essere riportato innanzitutto il passaggio del ricorso su questo punto:
l'apprezzamento in merito alla confondibilità ovvero alla decettività dei contrassegni postulano una comparazione degli stessi, sia complessivamente considerati, sia con riguardo a singoli elementi, «primariamente i simboli» e le parti di cui si compongono, «che assumano una funzione individuante» [...]. Da tale orientamento ne deriva che in un contrassegno la parte simbolica è quella che incide e prevale in modo pregnante sulla percezione dell'elettore medio. [...] D'altronde, la diffusione dell’utilizzo dei social network, ha in concreto trasformato la comunicazione facendo prevalere alla messagistica testuale quella rappresentata da simboli ed immagini. Immagine e simboli sono oramai entrati di fatto nella comunicazione quotidiana stante la capacità di stimolare e strutturare il ricordo degli utenti. Infatti, i più diffusi social network quale "Instagram", "Whatsapp" ecc. basano ormai i contenuti dei contatti essenzialmente sulla riproduzione di immagini e simboli e la parte testuale è del tutto marginale. In altri termini è decisamente improbabile che nel caso di specie la denominazione contenuta nei contrassegni, una volta posti a confronto, possa minimamente disorientare un utente medio ormai abituato a una costante stimolazione collegata a contenuti simbolici più che testuali.
Di seguito, invece, si cita la parte di sentenza in cui si è affrontato il tema:
le modalità di comunicazione politica attualmente prevalenti (imperniate su modelli digitali di fruizione quali quelli sviluppati dalle piattaforme di social networking) sembrano prefigurare, quasi come in un vichiano ricorso della Storia, l’avvento di una rinnovata prevalenza degli elementi simbolici a discapito di quelli letterali, in analogia con le ragioni che spinsero il legislatore italiano (e non solo), all’avvento del suffragio universale, ad imporre, a tutti i partiti e movimenti politici concorrenti alle elezioni, di contraddistinguersi mediante simboli grafici, al fine di rendere sé stessi riconoscibili anche da grandi masse di elettori incapaci di leggere e scrivere.
Chi appartiene alla categoria dei #drogatidipolitica non può restare insensibile al riferimento alla ratio che portò a introdurre l'obbligo di utilizzare i simboli e la prognosi in base alla quale potrebbero di nuovo prevalere gli elementi simbolici su quelli letterali: sa bene che nella politica italiana, in effetti, non è così da tempo (visto che i simboli - salvo quelli storici cui certe forze non vogliono rinunciare, al punto da litigarseli talvolta - sono sempre meno, mentre parole e nomi si moltiplicano), ma spera nel profondo che l'auspicio della "rinnovata prevalenza degli elementi simbolici a discapito di quelli letterali" possa avverarsi.
Al di là di questo, per il giudice rileva che le considerazioni fatte portino all'accoglimento del ricorso e alla necessità di annullare il provvedimento di invio a sostituire il contrassegno e pure la decisione dell'Ufficio elettorale nazionale che ha respinto l'opposizione presentata in nome e per conto della Lista Pannella. Effetto diretto della sentenza (oltre alla condanna del Ministero dell'interno al pagamento delle spese processuali, compensate con riguardo alle altre parti evocate) è il prodursi di "ogni conseguenza in ordine al dovere dell’amministrazione dell’interno di ammettere alla competizione elettorale indetta per l’8 ed il 9 maggio 2024 per il rinnovo dei componenti del parlamento europeo [...] anche il contrassegno presentato dall’associazione ricorrente ed avente numero d’ordine 20" (con il rituale ordine all'autorità amministrativa a eseguire la sentenza pronunciata).

Gli effetti (sulla vicenda e in futuro)

Ripercorso il contenuto della sentenza, vale la pena proporre qualche riflessione sugli effetti di questa decisione.
Sul piano dell'esame dei contrassegni, in linea teorica quanto deciso dal Tar Lazio potrebbe indurre a configurare i prossimi esami dei simboli con uno sguardo che, al fine di valutare l'eventuale confondibilità o decettività, dia maggiormente peso alla visione complessiva dei fregi elettorali, piuttosto che all'uguaglianza o somiglianza di singoli elementi grafici o testuali. Questo spesso in parte già avviene nelle elezioni locali, soprattutto per motivi contingenti (ci si concentra di meno sul contenuto dei simboli, visto che in poche ore la commissione elettorale deve vagliare i documenti presentati da molte liste, firme incluse, visto che non è prevista alcuna ipotesi di esenzione); potrebbe esserci più spazio per questa riconsiderazione in sede di esame degli emblemi da parte della Direzione centrale per i servizi elettorali, che nel corso del tempo spesso (ma oggettivamente non sempre) ha mostrato di applicare un metro di giudizio un po' più severo, meno disposto ad accettare certe somiglianze (ma spesso confermato in sede di riesame da parte dell'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione). Non si dimentichi, tra l'altro, che la stessa lista Stati Uniti d'Europa, in sede di esame dell'opposizione a sostituire il contrassegno, era intervenuta per dichiarare di non avere nulla in contrario alla riammissione del fregio con la rosa nel pugno, a dispetto del nome uguale.
Molto più delicate sono le considerazioni legate al procedimento previsto per il contenzioso elettorale. Come si è visto, è la stessa sentenza a indicare, nella parte finale della motivazione, che dall'accoglimento del ricorso dovrà derivare "ogni conseguenza in ordine al dovere dell’amministrazione dell’interno di ammettere alla competizione elettorale [...] anche il contrassegno" in un primo tempo escluso. Nell'immediato questo significa, per prima cosa, riammettere il contrassegno, ma non si può non considerare che, di norma, al deposito del fregio segue la presentazione delle candidature (liste, in questo caso); la decisione del Tar, tuttavia, arriva quando i termini per presentare le liste sono ormai scaduti da tempo. Si è già notato, con riguardo a questo caso, che la Lista Pannella con tutta probabilità avrebbe semplicemente voluto riaffermare il suo diritto all'uso del simbolo presentato cinque anni fa, senza l'idea di presentare le liste (e raccogliere le firme a sostegno): il problema, in questo caso, sembra piuttosto limitato. 
Potrebbe però accadere, con riferimento alle sole elezioni europee (che prevedono il deposito preventivo dei contrassegni) che una forza politica fosse seriamente intenzionata a partecipare, avendo magari raccolto le firme, ma fosse invitata a sostituire il contrassegno per la confondibilità di parte del suo contenuto. Una scelta prudente e "concreta" potrebbe suggerire di modificare il contrassegno per evitare di mettere a rischio l'impegno profuso per partecipare a quelle elezioni, ma quella forza politica potrebbe essere convinta di avere diritto a utilizzare il contrassegno così come lo ha presentato, al punto da voler insistere nell'uso. Se dunque si opponesse alla sostituzione e la sua opposizione fosse respinta dall'Ufficio elettorale nazionale, per rientrare in gioco dovrebbe fare ricorso al Tar Lazio e, in caso di sentenza sfavorevole, al Consiglio di Stato; già prima della decisione di primo grado, però, sarebbe scaduto il termine per presentare le liste. Per non compromettere troppo la propria posizione (pur volendo insistere nel non cambiare il simbolo), quella forza politica dovrebbe comunque presentare le liste, sapendo che gli Uffici elettorali circoscrizionali gliele bocceranno senza nemmeno esaminare la completezza e correttezza dei documenti (essendo stato ricusato il contrassegno), che dovrà dunque ricorrere all'Ufficio elettorale nazionale - lo stesso, anche se forse in diversa composizione, che ha già dato torto alla stessa forza politica sull'ammissibilità dell'emblema - e, magari, prepararsi a ricorrere di nuovo ai giudici amministrativi. Tutto ciò, ovviamente, nella speranza che il Tar Lazio o, alla peggio, il Consiglio di Stato, nel frattempo riammettano il contrassegno presentato e, in seguito, rendano possibile la riammissione delle liste (che, comunque, dovrebbero essere esaminate) e senza lasciarsi sfiorare dal timore che quei collegi giudicanti possano decidere di bocciare i ricorsi per evitare che sorgano problemi delicatissimi legati alle conseguenze della riammissione del fregio elettorale. In particolare: se per caso quella forza politica non ha presentato le liste per non farsele ricusare, una volta riammesso l'emblema può essere rimessa in termini per depositarle? Soprattutto, visto che l'eventuale riammissione di simbolo e liste arriverebbe a procedimento elettorale inoltrato, il partito o il movimento dovrebbe entrare semplicemente "in corsa" o avrebbe diritto allo stesso numero di giorni di campagna elettorale degli altri soggetti politici? In quest'ultima ipotesi, come sarebbe possibile rinviare il voto, prevedendo giorni diversi rispetto a quelli stabiliti a livello europeo?
Per il futuro, l'unico strumento per evitare alcuni di questi problemi sarebbe allungare leggermente il procedimento elettorale preparatorio, anticipando la presentazione dei contrassegni in modo che l'eventuale contenzioso davanti al giudice amministrativo possa concludersi prima della presentazione delle liste (un po' come si è pensato di fare con il disegno di legge - discusso nella scorsa legislatura ma non approvato definitivamente, ripresentato nel 2022 al Senato senza che sia iniziata la discussione - volto ad assegnare al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva dei contenziosi anche per il procedimento preparatorio alle elezioni politiche). Diversamente si rischia di restaurare il "diritto al simbolo" senza effetti concreti (volendo escludere l'ipotesi peggiore per cui un collegio di giudici potrebbe preferire negare il "diritto al simbolo" per non creare il problema degli effetti del ripristino di quel diritto). Resta, nel frattempo, la soddisfazione per chi appartiene ai #drogatidipolitica di vedere "riabilitato" un contrassegno contenente un simbolo dalla storia importante, in Europa (legato alla famiglia socialista, vista l'origine francese) e in Italia (legato ai radicali)
 

Nel frattempo, riammessa Pace Terra Dignità nelle Isole

Nello stesso giorno in cui il Tar Lazio ha riammesso il simbolo Stati Uniti d'Europa della Lista Pannella (anche se la decisione potrebbe essere impugnata), sono stati depositati alcuni ricorsi da Partito animalista - Italexit per l'Italia contro i verdetti dell'Ufficio elettorale nazionale che hanno confermato l'esclusione delle liste; ieri altrettanto ha fatto Democrazia sovrana popolare (per la sola circoscrizione Sud), mentre oggi anche Pace Terra Dignità ha presentato un ricorso (di ben 33 pagine) contro la non ammissione della lista nella circoscrizione Nord-Ovest, sperando che il Tar possa ritenere che la mancata indicazione della qualifica dell'autenticatrice in Valle d'Aosta sia una carenza solo formale o comunque rimediabile, per vedere riammessa la lista e poter concorrere in tutte le circoscrizioni.
Già, perché sempre oggi l'Ufficio elettorale nazionale ha accolto il ricorso di Pace Terra Dignità contro l'esclusione della lista nella circoscrizione Isole, dopo che l'ufficio circoscrizionale aveva rilevato come 156 firme non fossero regolarmente autenticate (perché anche qui mancava la qualifica del soggetto autenticatore) e, soprattutto, solo 14621 sottoscrizioni fossero corredate dal relativo certificato di iscrizione alle liste elettorali. Sabato mattina, tuttavia, un delegato della lista si è recato presso la Corte d'appello di Palermo per l'accesso agli atti e depositare entro il termine previsto per legge (appunto le ore 12 di sabato) altri 524 certificati, relativi a firme già ritenute valide e richiesti tempestivamente ma - a quanto si apprende - rilasciati dai rispettivi comuni in tempo non utile per la consegna entro le ore 20 del 1° maggio; contestualmente è stato presentato ricorso all'Ufficio elettorale nazionale proprio per far valere l'integrazione documentale e chiedere di considerare valide anche le firme autenticate senza l'indicazione della qualifica del soggetto autenticatore (anche se, a quanto si apprende, in uno degli atti separati contestati era presente almeno il timbro di un servizio del comune di Sassari).
Il collegio di magistrati di Cassazione, pur respingendo quest'ultima richiesta (confermando dunque che l'indicazione espressa della qualifica di chi autentica le firme, che sia un autenticatore professionale o di natura politico-amministrativa, è assolutamente necessaria per la validità dell'autenticazione e delle rispettive sottoscrizioni), ha rapidamente accolto il motivo di ricorso legato all'integrazione delle firme. Lo ha fatto basandosi sulle controdeduzioni dell'ufficio elettorale dell'Italia Insulare (che ha riconosciuto il deposito degli ulteriori certificati, la loro corrispondenza ad altrettante sottoscrizioni riconosciute valide e il conseguente superamento della soglia minima di 15000 firme; in Corte d'appello, tra l'altro, sono stati depositati anche i file a testimonianza della richiesta tempestiva dei certificati e dell'avvenuto ricevimento da parte degli uffici comunali) e su una decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 32/1999) relativa a un caso affine in materia di elezioni amministrative: 
Il presentatore della lista, qualora non sia in grado di consegnare i certificati elettorali dei sottoscrittori al segretario comunale, può direttamente consegnarli alla Commissione circondariale, che non può ricusare la lista se, dalla documentazione trasmessa dal segretario comunale o direttamente consegnata dal presentatore, le risulti che essa sia stata sottoscritta dal prescritto numero di elettori iscritti nelle liste del Comune; nel caso di mancata produzione (anche parziale) dei certificati da parte del presentatore della lista, la Commissione circondariale deve tenere conto della documentazione posta a sua disposizione e, qualora ritenga di non poter svolgere con la propria struttura gli adempimenti (perchè particolarmente onerosi, in ragione della popolazione del Comune), può disporre l’ammissione di nuovi documenti, ai sensi dell’art. 33, ultimo comma (fissando un adempimento che va rispettato dal presentatore della lista, tenuto a collaborare con gli uffici perchè vi sia il buon andamento dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione); qualora il presentatore della lista neppure abbia tenuto conto della statuizione di integrazione della documentazione, la Commissione elettorale ricusa la lista.
Ora, dunque, Pace Terra Dignità sa di poter essere presente in quattro circoscrizioni su cinque; resta la speranza - di difficile praticabilità - di rientrare in corsa anche nella circoscrizione Nord-Ovest, per non rendere ancora più difficile il percorso verso la soglia del 4%.

sabato 27 aprile 2024

Europee, la Cassazione respinge le opposizioni sui contrassegni

L'Ufficio elettorale nazionale presso la Corte di cassazione, a quanto si apprende, ha già deciso sulle opposizioni in materia di contrassegni presentate nelle scorse ore contro le decisioni della Direzione centrale per i servizi elettorali del Ministero dell'interno e discusse quest'oggi a ora di pranzo: a quanto si sa, almeno tre delle quattro opposizioni presentate sarebbero state respinte o addirittura dichiarate inammissibili (anche se è molto probabile che anche la quarta non abbia avuto esito positivo).
Per prima il collegio ha affrontato l'opposizione presentata dal Partito animalista - Italexit per l'Italia, volta a ottenere la ricusazione del contrassegno della lista Libertà a causa della presenza della miniatura del Movimento per l'Italexit oppure, in subordine, l'eliminazione del solo elemento contenente l'espressione "Italexit". Le lamentele di Italexit (già anticipate nella memoria depositata presso il Viminale lunedì), tuttavia, non sono state esaminate nel merito: l'opposizione, infatti, è stata dichiarata inammissibile perché non sarebbe stata notificata entro 48 ore dalla decisione del Viminale "ai depositanti delle liste che vi abbiano interesse", in particolare al depositante del contrassegno Libertà. Qui indubbiamente c'era un soggetto controinteressato, visto che l'opponente aveva chiesto la ricusazione o almeno la modifica di un contrassegno altrui: non potendosi leggere diversamente la disposizione in materia di notifica, le doglianze non sono state nemmeno prese in considerazione.
Più complessa è stata la questione posta dalla Lista Marco Pannella, che aveva chiesto di riammettere il suo contrassegno Stati Uniti d'Europa. La lista Pannella aveva contestato l'idea che la tutela per i contrassegni "presentati in precedenza" privilegiasse i primi depositati per la singola elezione, credendo che la disposizione dovesse invece riferirsi al preuso pubblico di un fregio, in ambito elettorale o politico (anche senza presentare liste): il deposito nel 2019 del simbolo con la dicitura "Stati Uniti d'Europa" abbinata alla rosa nel pugno su fondo giallo, ammesso dal Viminale, avrebbe dovuto rendere ammissibile il nuovo contrassegno (quasi identico), a prescindere dal deposito precedente di alcune ore di un contrassegno con lo stesso nome da parte di un diverso soggetto (la lista Stati Uniti d'Europa promossa da +Europa, Italia viva, Psi, Radicali italiani, Libdem europei e L'Italia c'è). Al Viminale che aveva rilevato come nel 2022 la lista Pannella avesse depositato un contrassegno diverso, con la rosa nel pugno ma senza la dicitura contestata, per cui non si sarebbe consolidato un "uso notorio" dell'emblema, il depositante aveva eccepito la diversa natura delle elezioni (e dei messaggi da veicolare negli emblemi), rivendicando invece un uso continuo del concetto, del nome e del simbolo "Stati Uniti d'Europa" da parte della Lista Pannella e del Partito radicale. 
In concreto, poi, era stata contestata anche la confondibilità del contrassegno contestato con quello depositato in precedenza, in considerazione della grafica completamente diversa, apprezzabile dall'elettore comune odierno, avendo riguardo sia a vari elementi del contrassegno sia a una sua visione d'insieme. Da ultimo, si era negato che quello fatto per conto della Lista Pannella fosse un "deposito emulativo", cioè volto unicamente a precludere surrettiziamente l'uso della denominazione al soggetto che aveva depositato per primo: proprio il precedente deposito del 2019 (con ammissione) e l'uso anche successivo del fregio fatto dal Partito radicale avrebbe dovuto far considerare del tutto "genuina" la scelta di presentare il contrassegno in quest'occasione. Per il Viminale, in risposta all'opposizione della lista Pannella, l'uso dell'identica espressione "Stati Uniti d'Europa" in posizione dominante in entrambi i contrassegni avrebbe potuto "confondere anche gli elettori di non scarsa conoscenza della vita e degli orientamenti delle varie forze politiche"; nel ribadire che la tutela dei contrassegni "presentati in precedenza" deve riferirsi, come da decisioni precedenti, alla "priorità del materiale deposito del contrassegno" nella singola competizione elettorale, il Ministero dell'interno non ha ritenuto rilevanti le iniziative pubbliche in cui il simbolo di Stati Uniti d'Europa sarebbe stato usato in questi anni, o (si deve intuire) per lo meno non tanto rilevanti da compensare la mancata presentazione di liste con il contrassegno contestato e da far parlare di uso effettivo dello stesso; non è mancato un riferimento alla norma che non consente il "deposito emulativo" dei contrassegni.  
I membri dell'Ufficio elettorale nazionale si sono posti anche qui il problema della mancata notifica dell'opposizione al depositante dell'altro simbolo contenente la denominazione Stati Uniti d'Europa: non c'era a rigore un controinteressato (la Lista Pannella non ha chiesto la ricusazione o sostituzione di quel contrassegno), ma si poteva comunque parlare di liste "che [...] abbiano interesse" all'esito dell'opposizione. Dalla decisione del collegio, però, si apprende che alla camera di consiglio ha partecipato il depositante di Stati Uniti d'Europa (Nicolò Scibelli): questi effettivamente non aveva ricevuto la notifica dell'opposizione, ma "ha dichiarato di non dolersi [...] della mancata notifica [...], né di avere motivo per contrastare la posizione dell'opponente". L'opposizione è stata così ritenuta ammissibile: se ci si fosse limitati a quest'osservazione, non ci si sarebbe stupiti se l'Ufficio elettorale nazionale avesse deciso di riammettere il contrassegno di cui il Viminale aveva chiesto la sostituzione. 
I giudici, invece, hanno confermato il giudizio di confondibilità, alla luce dei criteri dell'art. 14, comma 4 del d.P.R. n. 361/1957, criteri considerati "equiordinati" e comunque riferiti ai contrassegni "considerati nella loro capacità indicativa d'un determinato gruppo partecipe della competizione elettorale" (e non, dunque, nel loro uso al di fuori di quella procedura). Ritenendo che tanto la componente grafica quanto quella "scritta o denominativa" di un contrassegno "possono porre problemi di confondibilità pur nel contesto di un'innegabile diversità visiva dei contrassegni", per il collegio la scritta perfettamente corrispondente e "che domina per dimensioni entrambi i contrassegni" rappresenta l'unico elemento di confondibilità, ma poiché "funge da uguale elemento denominativo" è sufficiente a creare il rischio di confusione: non basterebbero a evitarlo le differenze grafiche tra i due emblemi, non negate, perché presupporrebbero "una scelta da parte dell'elettore che sia frutto della memorizzazione del logo nel suo insieme visivo, mentre nulla autorizza a escludere che questi ricordi soltanto o principalmente la denominazione del contrassegno. Di qui un'innegabile possibilità di disorientamento nella scelta". Dopo aver concluso che la confondibillità c'è, per l'Ufficio elettorale nazionale la tutela prevista dal testo unico per l'elezione della Camera deve andare a chi ha fisicamente depositato per primo il simbolo al Viminale nella singola competizione, non a chi rivendica il preuso "il cui richiamo implicherebbe un'inammissibile esegesi controletterale della norma" (e per sostenere la correttezza dell'interpretazione proposta si sottolinea che la fattispecie del "deposito emulativo", o "disturbatore" come si legge nella decisione, sarebbe stata introdotta proprio per limitare la portata del preuso). Queste considerazioni per i giudici sono state sufficienti per confermare il verdetto di esclusione, senza valutare gli argomenti in materia di "deposito emulativo" (tema ritenuto comunque "sovrabbondante" rispetto al tema della confondibilità).
Nell'ovvio rispetto del ragionamento seguito dal collegio di giudici di Cassazione, probabilmente occorrerebbe riflettere sull'opportunità - sulla base delle norme vigenti o anche ipotizzando una loro modifica - di non privare di tutela il preuso di un simbolo o di un contrassegno (anche quando non si sia concretizzato nella presentazione di liste: lo stesso deposito presso il Viminale è un uso di natura pubblica, anche grazie alla pubblicità data a questa fase di presentazione dai media e dallo stesso Ministero dell'interno). Posto che "Stati Uniti d'Europa" è, prima ancora che il nome di una futura lista e di un progetto elettorale non concretizzatosi nel 2019, un ideale cui poter tendere e che certamente non può essere esclusivamente di una parte politica (un po' come il dirsi comunisti, socialisti, liberali etc.), essendo stato proposto e citato da varie figure nel corso del tempo, si avverte qualcosa di "non giusto" nel mero giudizio di confondibilità che porta all'esclusione di un contrassegno e che, pur valendo soltanto per questa competizione elettorale, difficilmente potrebbe non avere strascichi futuri. Com'è noto, la legge tutela espressamente i nomi e i simboli dei partiti presenti in Parlamento, non tanto a vantaggio dei partiti quanto del loro elettorato (reale o potenziale); ci si dovrebbe però chiedere se sia giusto, per il futuro, non tutelare il preuso di un simbolo per il solo fatto che questo non si è trasformato in lista e (dunque) non si è nemmeno affacciato alle aule parlamentari. Anche perché, in mancanza di tutela, qualunque soggetto politico nascente, magari come aggregazione di soggetti esistenti, potrebbe in futuro prendere spunto per il proprio nome da quelli di simboli depositati in passato (anche solo al turno elettorale precedente) non seguiti dalla presentazione di liste e farlo proprio, magari avendo l'accortezza di mettersi in fila in anticipo per assicurarsi un titolo preferenziale in sede di valutazione dei contrassegni e, ancora prima, di pubblicizzare in modo consistente la propria iniziativa per far avvertire un legame tra il nuovo nome scelto e la propria iniziativa politico-elettorale.
Sul discorso della confondibilità, vale la pena sottolineare che le riflessioni dell'Ufficio elettorale nazionale sul rischio di confusione creato anche solo dal nome sembra frutto soprattutto della modifica del 2005 all'art. 14 del d.P.R. n. 361/1957, quando la "legge Calderoli" precisò che gli elementi di confondibilità dovevano rilevare "anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica" (comma 4; il comma precedente da allora sanziona anche la riproduzione di "simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi", ma qui non può parlarsi in pieno di "uso tradizionale"). Non è affatto improbabile che il giudizio di confondibilità formulato dipenda anche e soprattutto dal fatto che il simbolo escluso non contenga altri elementi letterali e che l'elemento in comune sia proprio la potenziale denominazione e non una semplice unità testuale.
Maurizio Turco, a nome della lista Pannella, ha già annunciato il ricorso al Tar del Lazio, rimedio previsto per le elezioni europee in base al codice per il processo amministrativo. Ricorso che farà anche la Democrazia cristiana: Nino Luciani, che aveva depositato il contrassegno con lo scudo crociato in qualità di segretario politico (insieme al segretario amministrativo Carlo Leonetti), ha fatto sapere che la sua opposizione è stata respinta, in particolare per l'uso dello "scudo crociato con croce rossa su sfondo bianco e scritta bianca 'LIBERTAS'" nel simbolo, il che lo renderebbe confondibile con quello dell'Udc, presente in Parlamento; è stata respinta contestualmente la richiesta di imporre la sostituzione del contrassegno dell'Udc. 
L'Ufficio elettorale nazionale, in particolare, dopo aver ricordato i numerosi contenziosi pre-elettorali precedenti (per cui il collegio di giudici di Cassazione si è dovuto occupare di opposizioni in materia in tutte le elezioni politiche ed europee a partire dal 2006), ha ribadito come - al pari di quanto si è ricordato all'inizio - in questa sede non contino le norme civilistiche e, in effetti, nemmeno troppo gli esiti dei contenziosi su chi sia correttamente titolare della Dc, ma "unicamente [...] la normativa, di rilevanza pubblicistica, dettata dall'art. 14" del testo unico per l'elezione della Camera, "al fine di garantire una corretta e consapevole scelta da parte dell'elettore verso una determinata forza politica e di tutelarne 'l'affidamento identitario' che ogni elettore ripone nei segni, simboli ed espressioni che individuano un determinato partito". L'articolo prima citato, in particolare, prevede una tutela ad hoc di cui beneficiano i partiti presenti in Parlamento, il cui simbolo "da essi tradizionalmente usato" viene protetto per evitare il "rischio di possibili errori o confusioni elettorali" a danno di quelle formazioni (anche se l'art. 14, comma 6 tutela innanzitutto i potenziali elettori). 
Per i giudici, l'Udc è presente in Parlamento "già da più di vent'anni" e, dal punto di vista della norma che si considerano, non sarebbero rilevanti "il pre-uso di un simbolo [...] e le questioni circa la legittimità e titolarità di tale pre-uso, pure sollevate dagli opponenti, anche richiamando controversie e giudicati civili" (a partire, c'è da giurarlo, dalla pluricitata sentenza delle sezioni unite civili della Cassazione del 2010); conta piuttosto il fatto che l'Udc sia presente in questa legislatura attraverso un gruppo condiviso al Senato e una componente condivisa alla Camera (anche se, com'è noto, alle elezioni politiche del 2022 - come in quelle del 2018 - i parlamentari dell'Udc sono stati eletti solo nei collegi uninominali, mentre le liste cui il partito ha partecipato assieme ad altre forze politiche non hanno superato le soglie di sbarramento). Ciò basta, per il collegio, a far scattare la tutela privilegiata per le forze politiche presenti in Parlamento, mentre sulla base dell'art. 14 citato non può riconoscersi come "tradizionale" l'uso dello scudo crociato da parte della Dc, perché "dal 1993 quel partito ha definitivamente cessato la propria attività politica, da quella data non ha più avuto alcun rappresentante eletto in Parlamento e, quindi, il gruppo politico non può accreditarsi legittimo continuatore di quel partito, mancando proprio la dimostrazione storico-giuridica della 'continuità'".
Non concorda affatto con i contenuti della decisione Luciani: da una parte, come si è ricordato più volte su questo sito, lui è convinto che la Democrazia cristiana da lui guidata sia in piena continuità con quella che aveva operato fino al 1994, per aver seguito - dopo la ricordata sentenza di Cassazione del 2010 - il percorso indicato dal tribunale di Roma nel 2016, per cui l'uso dello scudo crociato dovrebbe considerarsi "tradizionale"; dall'altra parte, ritiene che l'Udc sia presente in Parlamento solo dal 2006 (dopo le elezioni politiche di quell'anno, a nulla rilevando il periodo 2002-2006, visto che alle politiche del 2001 l'Udc non esisteva ancora) e che in questa legislatura e in quella precedente l'Udc non possa considerarsi presente in Parlamento, visto che nel 2018 e nel 2022 le liste i cui contrassegni contenevano il simbolo del partito non sono arrivate al 3%. Per Luciani, poi, i giudici non avrebbero tenuto conto di pronunce civili che sancirebbero l'impossibilità di separare nome e simbolo di un partito, dovendosi impiegare nel caso criteri di precedenza storia (ovviamente, di nuovo, sulla base dell'asserita continuità tra Dc "storica" e Dc-Luciani). Per tutte queste ragioni, la Dc - che nelle scorse settimane ha intentato un'azione civile, di cui si parlerà a tempo debito - si rivolgerà ai giudici amministrativi, sperando che possa accadere qualcosa di simile a quello che (pur nella differenza delle condizioni, trattandosi allora di elezioni politiche e non vigendo ancora per le europee il citato codice del processo amministrativo) era in un primo tempo avvenuto nel 2008 con la Dc-Pizza, riammessa dal Consiglio di Stato dopo l'esclusione da parte di Viminale e Ufficio elettorale centrale nazionale.
Nulla è cambiato anche per Parlamentare indipendente, il contrassegno presentato da Lamberto Roberti e ritenuto non in grado di consentire la presentazione di liste (un tempo si sarebbe detto "senza effetti"), a seguito della mancata presentazione della dichiarazione di trasparenza. Roberti aveva contestato sia il fatto che la comunicazione della Direzione centrale per i servizi elettorali abbia parlato di "partito" e non di "candidato individuale" ("Quanto affermato è palesemente falso e trattandosi di atto della procedura elettorale, rileva il reato di falso in atto pubblico finalizzato ad un più grave reato quale Attentato alla Costituzione, essendo il sottoscritto unico cittadino italiano portatore del diritto elettorale passivo. Il Diritto elettorale passivo ed attivo è un principio fondamentale inalienabile"), sia la mancata previsione della possibilità di presentare candidature individuali alle elezioni europee (problema già sollevato nel 2019, ma appunto in sede di valutazione delle liste), sia la richiesta dello statuto o della dichiarazione di trasparenza, a suo dire onere non esigibile per una candidatura individuale che, "non essendo vietata", sarebbe "ammessa d’ufficio, anche perché è l’unica rispettosa del principio costituzionale del diritto elettorale passivo del cittadino". L'Ufficio elettorale nazionale, però, ha dichiarato inammissibile l'opposizione di Roberti: questo sia perché il gravame sarebbe stato presentato leggermente oltre il termine di 48 ore previsto dalla legge, sia perché la regola della necessità della dichiarazione di trasparenza non ammetterebbe eccezioni, nemmeno per le candidature individuali.

sabato 20 aprile 2024

Stati Uniti d'Europa, simbolo definitivo "a sei", con Renew Europe

Il tempo di togliere il velo, dopo anticipazioni e smentite, è arrivato: questa mattina alle 11 alla Lanterna di via Tomacelli a Roma è stato presentato il simbolo di Stati Uniti d'Europa, "lista di scopo" che unisce +Europa, Italia viva, Partito socialista italiano, Radicali italiani, Libdem europei e L'Italia c'è; non c'è invece Volt (inizialmente indicata come possibile parte della lista), che ha deciso simbolicamente di partecipare a un'iniziativa simbolica ma di pregio, come la presentazione di una "lista europea transnazionale [...] con candidati scelti dai diversi capitoli nazionali".  
Risulta nella sostanza confermata la struttura originaria del simbolo - stando all'immagine che era stata divulgata il 27 marzo - con la bandiera europea sventolante su fondo giallo (il giallo di +Europa e storicamente legato all'area liberale), con il nome della lista in primo piano, contenuto in un fumetto, scritto con il font di +E riempito con una texture simile a quella di +E concepita da Stefano Gianfreda (ma, rispetto alla prima versione, ci sono solo toni di azzurro e blu); nel segmento bianco biconvesso inferiore, oltre alle miniature dei simboli delle sei forze politiche partecipanti, è stato inserito anche il riferimento al gruppo parlamentare europeo Renew Europe, che dunque ha concesso l'uso del proprio nome, nonostante della lista faccia parte anche il Psi (nel 2019, per esempio, non si trovò traccia del simbolo dell'Alde Party nella lista comune +Europa - Italia in Comune, proprio perché quest'ultima non era parte di Alde; c'era invece il simbolo del Pde Italia). Si tratta di un simbolo quasi identico a quello che era circolato ieri come indiscrezione, salvo che per il riferimento a Renew Europe, in quel caso assente.
"Finora sono stati gli altri a parlare - male - della nostra lista; forse oggi cominciamo a parlarne noi" ha detto nel suo intervento iniziale Emma Bonino: "Gli Stati Uniti d'Europa sembravano una geniale fuga in avanti, di Einaudi, Spinelli e a un certo punto anche di Pannella, vere persone che guardano al di là del Raccordo Anulare. Oggi gli Stati Uniti d'Europa sono una necessità: come disse Konrad Adenauer, gli Stati Uniti d'Europa sono stati un sogno per pochi, sono una realtà per molti, diventeranno una necessità per tutti e credo che siamo arrivati proprio in questa fase. Per noi federalisti le cose erano chiare da tempo, ma oggi è sempre più evidente che il mondo è rapidamente cambiato e l'Unione Europea deve cambiare altrettanto rapidamente se non vuole condannarsi all'irrilevanza politica, globale ma anche sul piano interno. Io credo che per garantire ai cittadini europei e italiani prospettive di libertà e democrazia, un'Europa che abbia una voce sola sulla politica estera e di difesa e sappia competere sulla ricerca, l'industria, eccetera sia una necessità. Un 'vasto programma', direbbe De Gaulle". 
Bonino ha continuato: "Mi è stato detto: 'Volete fare gli Stati Uniti d'Europa mentre la destra sovranista si avvicina alle elezioni europee con il passo del conquistatore?' Sì, è così. Non ci siamo montati la testa: sappiamo di poter essere anche solo un mattoncino di una grande costruzione. Ho pensato di lanciare con +Europa questo slogan che è un programma: a chi ci dice che non ne abbiamo uno, rispondo che declinando 'Stati Uniti d'Europa' esce un superprogramma. La lista Stati Uniti d'Europa, però, non è la lista Bonino-Renzi e altri: per me è la logica conseguenza di una vita politica passata a cercare di difendere i diritti civili e umani in Italia e nel mondo, nel nome dell'Europa e del diritto dei diritti. Ho fatto una proposta politica per le europee: sono grata a chi l'ha sposata con entusiasmo, a partire da Italia viva e dai socialisti. Confesso un dispiacere tra gli altri: pensavo che Carlo Calenda superasse le polemiche italiane da lui procurate - perché o lui è l'artefice di qualcosa o non è... - e invece ha scelto la divisione anziché l'unione delle forze; mi ha attaccato con le fake news e va bene, cioè non me ne frega niente. Noi dobbiamo essere all'altezza del nostro progetto elettorale. Non mi aspetto sconti da nessuno, a partire dai media; mi aspetto che tutti noi da oggi saremo pronti a dare il nostro massimo contributo per gli Stati Uniti d'Europa. C'è un dramma in Ucraina-Russia e in Medio Oriente, c'è un'Europa assente; ma non possiamo invocare l'Europa quando ci piace e chiamarla 'matrigna' quando non ci piace. Abbiamo il compito di aggiustare la barca che indubbiamente fa acqua da qualche parte, ma l'obiettivo è arrivare dove volevano arrivare tutti i federalisti che ho conosciuto". Anche per il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova "Azione ha scelto la divisione anziché l'unità ed è il mio unico rammarico oggi, ai nostri sorrisi di oggi hanno preferito la polemica, mentre è troppo importante il tema cui noi abbiamo dedicato la lista e vogliamo dedicare tutte le nostre energie: Stati Uniti d'Europa evoca un'Europa forte e sovrana, la sovranità nazionale è di cartone".
"Per me - ha detto il leader di Italia viva Matteo Renzi - questo è un 'piccolo momento di felicità', dopo tre settimane in cui abbiamo discusso di tutto, cambiando simbolo e litigando su tante cose, ma nelle esperienze politiche può accadere per varie circostanze casuali e scelte strategiche che arrivi un giorno in cui si fa una cosa per cui si è sempre lavorato, si è sempre creduto e che si è sempre sognata: combattere per gli Stati Uniti d'Europa". Ringraziando Emma Bonino "per il coraggio, la resilienza, la tenacia e la passione", Renzi ha notato che si è arrivati alla lista nonostante "le polemiche e le risse condominiali" e pur arrivando da storie diverse, che ciascuno degli attori rivendica: "Ci unisce l'idea che oggi l'Europa sia in grandissima difficoltà, in crisi profonda, rischiando di non toccare palla su niente. Ci siamo detti: qualcuno dovrà pur provarci, perché senza Europa si sta peggio". Quanto alle polemiche con Calenda, Renzi ha sottolineato: "Non ci interessa parlare di chi non ha scelto di stare con noi: il nostro obiettivo è sfidare culturalmente il sovranismo, fare meglio di chi come Salvini dice 'meno Europa', che non vuol dire 'più Lombardia' o 'più Veneto', ma 'più Cina' o 'più Sud-Est Asiatico', continuando a credere all'irrilevanza europea". E sulle liste: "Ci hanno fatto la morale sulle candidature, ma noi diciamo che chi si candida in Europa va in Europa: non facciamo la parte di chi gioca a prendere i voti, mostrando il proprio ego e alimentando la propria ambizione personale e poi scappa. Nessuno dei cinque capilista è di Italia viva e ne sono orgoglioso: presenteremo i nostri candidati e cercheremo di farli eleggere, ma siamo qui per dire che al progetto degli Stati Uniti d'Europa crediamo come scelta costitutiva della nostra scommessa politica; occorre smettere di litigare, non rispondere alle provocazioni e tornare a volare alto, credendo che questo è il progetto che dà ragione della nostra speranza".
"La politica - ha aggiunto il segretario di +Europa Riccardo Magi - è una cosa strana che a volte ti mette davanti a percorsi tortuosi, pieni di contraddizioni, ti fa anche dubitare in certi momenti che si stia facendo la cosa più giusta, più coerente; poi arriva il momento in cui i dubbi si sciolgono. Abbiamo messo al centro il sogno degli Stati Uniti d'Europa, ma occorre che qualcuno lo faccia diventare un obiettivo politico, mettendo un passo indietro la propria identità di partito per questo. Meno Europa significa meno Ponte, meno infrastrutture, meno investimenti, meno pace, meno ricerca, meno politica industriale, meno sostenibilità. Siamo convinti che gli Stati Uniti d'Europa siano l'unico orizzonte in cui la democrazia rappresentativa e liberale si può salvare. Mi spiace che oggi ci sia una sedia vuota in questa platea, quella che Carlo Calenda ha deciso di non occupare: noi ci abbiamo provato in tutti i modi e siamo tranquilli da questo punto di vista. Non risponderemo più alle polemiche e agli attacchi, delle liste che stiamo componendo non dobbiamo giustificarci con nessuno, abbiamo fatto scelte che hanno un senso politico profondo, scegliendo persone che si impegnano davvero a portare avanti quest'idea degli Stati Uniti d'Europa. Calenda vorrà tenere in ostaggio migliaia di voti dei cittadini che erano stati i primi a chiedergli di lavorare a una soluzione unitaria, noi ci siamo riusciti".
Non fa parte, come detto, della famiglia di Renew Europe - ma del Partito socialista europeo, parte del gruppo Socialisti e Democratici - il Psi, per il quale è intervenuto il segretario Enzo Maraio, futuro capolista al Sud: "Stiamo dando gambe a un progetto che mette insieme anime, culture, storie, tradizioni e posizioni politiche: noi siamo i più diversi, rappresentando un'area che però è orgogliosamente in questo percorso e si sente a casa, forse più che altrove in altri contesti politici. Quando Emma Bonino ci ha lanciato l'invito, noi abbiamo aderito senza alcun dubbio: lo abbiamo fatto anche per una questione di coerenza, noi siamo socialisti in Italia e in Europa, altri lo sono in Europa e meno in Italia, quindi rappresentiamo una parte politica che dialoga e partecipa a questa sfida importante. L'Europa federale e unita è esattamente alternativa all'Europa delle Nazioni, quella della destra sempre più illiberale. Si tratta di una scelta di prospettive, di strategia e visione: non possiamo sbagliare perseguendo una strada che ci porta a interrompere il percorso dell'Europa unita".
"Spesso il termine 'utopia' è il modo di liquidare quello che non si ha voglia o capacità o il coraggio di fare, come diceva Adriano Olivetti - ha voluto ricordare Matteo Hallissey, segretario di Radicali italiani -. Noi con voglia, capacità e coraggio abbiamo scelto di cercare di cambiare totalmente rotta rispetto a quello che faranno gli altri partiti, mettendo al centro le riforme che servono all'Europa ora più che mai, perché questo è l'unico momento possibile. Mentre noi cerchiamo di sforzarci per avere una prospettiva più alta e darci un obiettivo sicuramente utopico e ambizioso, ma che può essere portato avanti anche grazie al nostro contributo, c'è chi come Carlo Calenda ci definisce un'accozzaglia: a parte che, guardando il nostro simbolo, la nostra lista assomiglia a quella di Cateno De Luca meno di quella di Calenda, in questa lista di scopo abbiamo l'unione di diverse tradizioni che proprio nella loro differenza rappresentano la proposta più credibile di diverse storie che si uniscono su un unico obiettivo e missione, mettendo anche da parte le differenze che ci sono e resteranno anche dopo le elezioni. Non ci unisce solo il desiderio di superare il 4% per portare persone competenti al Parlamento europeo, ma un percorso partito dalla proposta di Emma Bonino, passato poi attraverso tavoli programmatici per costruire il progetto al meglio. Cercheranno di riportarci in basso, ai temi italiani e alle lotte fratricide in ambito liberale, ma noi dobbiamo cercare di dare innanzitutto a Renew Europe la forza di essere di nuovo il terzo gruppo al Parlamento, superando i conservatori ed essendo parte della maggioranza, per dare forza e coraggio per riformare i trattati e fare un salto in avanti". 
Un breve intervento è arrivato anche da Gianfranco Librandi, leader di L'Italia c'è (che, come Italia viva, è parte del Partito democratico europeo e i cui canali social erano rimasti sostanzialmente fermi fino alle ultime ore): "Dobbiamo difendere l'Europa dagli attacchi del pericolo sovranista grazie a un nuovo partenariato tra gli stati europei; rafforzare il mercato unico. L'Italia c'è contribuisce a rappresentare i cittadini del Fare, quelli che lavorano e pagano le tasse, volendo meno condoni per qualcuno e meno tasse per tutti. Con gli Stati Uniti d'Europa ci sentiremo più protetti, sicuri, più forti dal punto di vista economico, sociale, della sicurezza militare, dell'energia, della ricerca scientifica, dell'approvvigionamento delle materie prime". Il simbolo di L'Italia c'è, peraltro, è stato integrato in basso con un piccolo elemento tricolore e il riferimento "Al Centro" (stesso carattere usato per quelle parole da Matteo Renzi).
"Ci spiegavano proprio che questa lista non si sarebbe potuta fare - ha aggiunto Andrea Marcucci, a capo di Libdem europei - ma certe volte le idee, i sogni, le volontà collettive sono più forte dei veti e degli egoismi. Ci hanno descritto come litigiosi, un'assemblea che poco aveva in comune, ma non è così. Abbiamo in comune l'amore per l'Europa, il collante più forte nelle elezioni europee; l'amore per la democrazia liberale e dei diritti, per la salvaguardia dei più deboli".
Nella mattinata sono intervenuti anche alcuni dei candidati alle europee: dopo Bonino (che guiderà la lista nel Nord-Ovest) ha parlato il futuro capolista nel Nord-Est Graham Watson, per vent'anni europarlamentare ed ex presidente del partito europeo Alde (cui +Europa, Radicali italiani e Libdem appartengono), "in più sono sposato da 37 anni con una liberale italiana, fiorentina tra l'altro, quindi ho la cittadinanza... L'Europa democratica è in grave pericolo; i nostri nemici tentano di spaccarla. Certi interessi americani temono l'euro forte; certi interessi russi temono la potenza dell'Ue; la stessa Brexit è stata foraggiata da fondi privati statunitensi e pubblici russi. Stanno dietro Trump, hanno vinto le elezioni in Olanda; in Francia, Italia e altri paesi finanziano le forze nazionaliste. Svegliamoci: siamo in guerra, non solo per aiutare a difendere il territorio ucraino, ma anche per difendere la nostra democrazia. Abbiamo conosciuto tanti progressi nel corso degli anni grazie all'Europa: faccio campagna per difendere tutto questo e la democrazia, ma anche per estendere le libertà dei cittadini. Vogliamo anche una vera politica europea di difesa, di immigrazione legale per combattere il traffico di esseri umani. Possiamo farlo nella prossima legislatura europea". Oltre a Watson, sono intervenuti l'europarlamentare uscente Nicola Danti (impegnato nella riforma dei trattati), Giandomenico Caiazza (capolista al Centro) e Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino e capolista nelle Isole ("Ho vissuto anni molto difficili dopo la scomparsa di Marco Pannella, anche di amarezza e mancati tentativi di costruire quello per cui Pannella ha lottato per tutta la vita"),
"Questo è un simbolo bellissimo, con colori gioiosi - ha chiosato Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia viva - ed è soprattutto la sintesi tra esperienze politiche, culture e storie che hanno voluto unirsi perché questo è un momento cruciale per la vita dell'Europa e del nostro Paese. Quelli che continuano a provocarci e a criticarci dicendo che siamo solo una lista di scopo, rispondo che qui dentro c'è uno scopo grande e c'è una bella differenza tra essere una lista di scopo e una lista senza scopo". 
Rispetto alla prima bozza circolata, in cui il nome era "Per gli Stati Uniti d'Europa", ora la lista ha perso le prime due parole: il nome è dunque identico a quello contenuto nel contrassegno che nel 2019 Maurizio Turco aveva depositato per conto della lista Pannella, (mantenendo il nome dell'associazione Stati Uniti d'Europa che avrebbe dovuto presentare liste comuni tra Lista Pannella e Psi, poi non se ne fece nulla) e che nelle prossime ore dovrebbe essere nuovamente presentato al Viminale per dare continuità al primo deposito. I due simboli non hanno altro in comune (tranne, beninteso, la lunga storia radicale di alcuni promotori di Stati Uniti d'Europa e di alcune candidature, a partire da quella di Bonino e Bernardini, ma anche la lunga aderenza radicale di Caiazza); la stessa rosa di cui sono ora titolari i Radicali italiani, disegnata da Aurelio Candido, è diversa dalla rosa nel pugno di Marc Bonnet "prestata" dalla Lista Pannella al simbolo coniato nel 2019. Il nome però è proprio uguale e qualche problema sulla coesistenza dei due fregi dovrà essere posto. Difficile mettere in "pericolo" un progetto cui varie forze politiche lavorano da settimane, ormai mesi, ma altrettanto difficile e pericoloso rischiare di togliere diritti a un simbolo già accolto dal Viminale cinque anni fa. Tra qualche manciata di ore se ne saprà di più. 

giovedì 18 aprile 2024

Europee, Turco: "Lista Pannella deposita il simbolo Stati Uniti d'Europa"

In certi casi sono sufficienti poche righe per dare corpo a uno "scenario simbolico" che, in qualche modo, era stato previsto nei giorni scorsi. Ci si riferisce a un brevissimo post diffuso poco dopo le 17 e 30 di ieri sui propri canali social da Maurizio Turco, segretario del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito, nonché presidente dell'associazione  Lista Marco Pannella. Il microcomunicato è stato emesso proprio in quest'ultima qualità e riguarda le elezioni europee previste per l'8 e il 9 giugno, ma soprattutto il primo adempimento pubblico visibile, cioè la presentazione dei contrassegni. "In occasione delle elezioni europee 2024 - ha scritto Turco - la Lista Marco Pannella depositerà il simbolo già depositato nel 2019 contenente la 'rosa nel pugno' e la dicitura 'Stati Uniti d'Europa'".
Quest'annuncio, dunque, è la concretizzazione di quanto era stato ricordato su questo sito lo scorso 27 marzo, all'indomani della divulgazione da parte dei media di un'ipotesi di simbolo per la lista di scopo Per gli Stati Uniti d'Europa, promossa da +Europa, Italia viva (partiti apportatori dell'esenzione dalla raccolta firme) e altri soggetti politici, tra cui Radicali italiani, il Psi e Libdem Europei: l'espressione "Stati Uniti d'Europa" era già finita su un contrassegno elettorale regolarmente depositato presso il Ministero dell'interno cinque anni fa, anche se poi non finì sulle schede elettorali. 
Simbolo del 2019
Stati Uniti d'Europa, infatti, era il progetto di lista per le elezioni europee del 2019 annunciato già all
a fine di novembre del 2018, promosso dalla Lista Pannella e dal Partito socialista italiano (allora guidato da Riccardo Nencini, la cui segreteria era in scadenza): scopo principale dichiarato era "il rilancio del progetto dell'Europa federalista, unica alternativa sia all'Unione Europea intergovernativa che all'Unione Europea dei nazionalismi politici e dei protezionismi economici". In qualche modo il progetto si era posto in continuità ideale con quello della lista La Rosa nel Pugno - Laici socialisti liberali radicali, proposto in occasione delle elezioni politiche del 2006 da Radicali italiani, Lista Pannella, Socialisti democratici italiani e Federazione dei giovani socialisti; proprio come in quell'occasione, fulcro del simbolo era il disegno della rosa nel pugno, apportato in Italia da Marco Pannella (e i cui diritti di uso e riproduzione erano stati acquistati dal Partito radicale, mentre attualmente ne è titolare la Lista Pannella) ma impiegato a lungo da molti partiti socialisti europei, nonché dal Pse. L'idea originaria, spiegata con ampiezza da Maurizio Turco a questo sito, era di presentare la lista fruendo dell'esenzione per via europea - allora concepibile - di cui avrebbe goduto il Psi come membro del Pse; una parte non irrilevante del Psi, tuttavia, si oppose (in vista del congresso straordinario) e uno dei primi atti della segreteria di Enzo Maraio fu stringere un accordo con +Europa (quando i simboli erano già depositati, senza dunque essere presente nel fregio), scegliendo dunque un diverso progetto elettorale. Maurizio Turco aveva comunque depositato il simbolo a nome della Lista Pannella "per permettere al Psi di mantenere la promessa fatta a noi e che, al congresso socialista, era alla base della tesi della mozione che ha vinto con grande scarto". Così, com'è noto, non avvenne.
Rispetto a quello del 2019, il contrassegno ha subito qualche ritocco: lo sfondo giallo è leggermente più scuro, il rilievo della denominazione rossa è leggermente maggiore (per una spaziatura più ampia dei caratteri), ma soprattutto è stato ingrandito il fregio della rosa nel pugno (che tra l'altro ha recuperato, come in passato, i vari colori dei petali della rosa e delle parti delle foglie); in ogni caso, non si può dubitare del fatto che si tratti dello stesso simbolo (come contenuto e come concetto) depositato cinque anni fa, sul quale sono inevitabilmente maturati dei diritti in capo al soggetto depositante. Il proposito, espresso da Maurizio Turco, di depositare il simbolo Stati Uniti d'Europa presso il Viminale pone una questione circa la possibile "convivenza" nelle bacheche di quel contrassegno con quello della lista Per gli Stati Uniti d'Europa, ufficialmente non ancora reso noto mentre si scrive (ma dovrebbe essere prevista la presentazione sabato). La questione non è di poco conto e merita di essere approfondita in breve.
Per prima cosa, di certo nessun soggetto politico può invocare l'uso esclusivo del concetto di "Stati Uniti d'Europa", visto che è stato coniato molto tempo prima (l'uso più noto, in ambito politico italiano, è stato quello di Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, ma ci sono impieghi anche decisamente precedenti): non è un'ipotesi molto diversa dall'uso del termine "socialista", "comunista" o "liberale" non "brevettabile" da alcuno. Certo, è difficile negare che potenzialmente la coesistenza di "Stati Uniti d'Europa" e "Per gli Stati Uniti d'Europa" potrebbe porre qualche problema di confondibilità, se ci si limitasse al confronto dei nomi. Vero è anche che la lista Per gli Stati Uniti d'Europa sarà sicuramente sulle schede, non dovendo raccogliere le firme, mentre è probabile che il deposito di Stati Uniti d'Europa non sia seguito dalla presentazione di liste. 
Qualcuno potrebbe ritenere che il simbolo di cui Turco ha annunciato il deposito debba essere ricusato per confondibilità con quello che presenterà +Europa, magari ricorrendo alla fattispecie del "deposito emulativo", cioè fatto - come dice la legge - "con il solo scopo di preculderne surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso", in particolare alla "lista di scopo" annunciata da tempo (a partire dall'appello di Emma Bonino); occorre però tenere conto di dettagli tutto meno che trascurabili. Quello principale - che, proprio per questo, in effetti dettaglio non è - è che il deposito del 2019 è stato fatto a livello nazionale, con tanto di ammissione da parte della Direzione centrale dei servizi elettorali: si concreta dunque un preuso nazionale (fatto anche in sedi diverse dal Viminale), preuso che ha indubbiamente un valore e basterebbe da solo a distinguere quest'ipotesi da altre del passato, in cui l'impiego di un nome in chiave locale o anche regionale non è stato ritenuto sufficiente a tutelare il preuso anche in sede di deposito al Ministero dell'interno (si pensi, in particolare, al caso di Fratelli d'Italia registrato nel 2013); a maggior ragione sono diversi i casi in cui alcuni soggetti hanno schierato simboli nuovi simili per cercare di ostacolare l'uso altrui di emblemi altrettanto nuovi ma più pubblicizzati dai media (il caso più famoso è quello della Lista Dini del 1996, prima applicazione del "deposito emulativo", ma lo stesso è valso per la lista del "Comitato Monti presidente" nel 2013). Si deve anche aggiungere che il simbolo Stati Uniti d'Europa è ricomparso in vari post del Partito radicale, a partire certamente dal 14 febbraio di quest'anno, ma anche negli anni precedenti l'uso si è registrato, per cui non si può parlare di "uso desueto", "decadenza dall'uso" e ipotesi simili.
Detto ciò, la strada più coerente sarebbe almeno consentire la convivenza dei due contrassegni, anche perché - al di là del nome molto simile, vista l'uguaglianza del riferimento ideale - sono molto diverse le grafiche e questo potrebbe essere un elemento rilevante ai fini della decisione. Se poi la Direzione centrale dei servizi elettorali dovesse considerare prevalente il deposito fatto in passato presso il Viminale in precedenti occasioni elettorali, le decisioni potrebbero essere diverse. Nei prossimi giorni se ne saprà di più.

lunedì 1 aprile 2024

Se la lista di scopo, per +Europa, è anche questione di "diritto dei partiti"

Come si è ricordato nei giorni scorsi, il progetto della lista Stati Uniti d'Europa, pensata come "lista di scopo" per le elezioni europee che si terranno l'8 e il 9 giugno, sembra avere fatto passi avanti, anche se non tutti i nodi sono ancora stati sciolti: lo stesso simbolo mostrato mercoledì può essere considerato provvisorio, non solo perché la compagine potrebbe potenzialmente allargarsi (quanto a soggetti partecipanti e a rappresentazione grafica), ma perché in alcuni casi alla presenza nel contrassegno divulgato non corrisponde ancora un'adesione ufficiale.
Si è già visto giovedì, per esempio, che l'assemblea di Volt non ha ancora deciso ufficialmente la partecipazione alla lista, anche se il simbolo viola e bianco era già stato inserito nel fregio elettorale presentato ai media. Ma se l'attenzione dei più è stata catturata dalle polemiche sollevate da Carlo Calenda che ha deciso di non partecipare al cartello elettorale - sia per la presenza di Italia viva, sia per alcuni altri compagni di strada apportati da Matteo Renzi e ritenuti sgradevoli - occorre non trascurare la situazione che sta riguardando +Europa, che - grazie innanzitutto a Emma Bonino -  riveste il ruolo di principale partito promotore di questo progetto elettorale, volto a sostenere la comune idea degli Stati Uniti d'Europa (con meno ostacoli all'ingresso, in virtù della riottenuta esenzione dalla raccolta firme in virtù dell'elezione di alcuni parlamentari nei collegi uninominali) e a unire le forze di buona parte dei soggetti politici che fanno riferimento all'area liberaldemocratica (che a livello europeo si riconosce nell'Alde Party o nel Partito democratico europeo, dunque nel gruppo parlamentare Renew Europe) e riformista, in modo da rendere meno arduo l'obiettivo di raggiungere il 4% dei voti e superare la soglia di sbarramento.

La situazione e gli scontri

Nelle settimane precedenti si era fatta sempre più concreta la ricostruzione che raccontava di una spaccatura all'interno di +Europa, tra coloro che erano propensi ad allearsi con Italia viva e coloro che invece vedevano come interlocutore privilegiato il partito di Calenda, escludendo quello di Renzi: la prima linea era ed è incarnata innanzitutto dal segretario di +E, Riccardo Magi, mentre la seconda è portata avanti soprattutto dal presidente del partito, Federico Pizzarotti. Questa situazione ha certamente concorso ad allungare i tempi di gestazione della lista, ma in assenza di altri elementi poteva essere considerata un semplice dissidio interno, condito da malumori, situazione tutt'altro che rara in politica.
La presentazione pubblica del potenziale contrassegno elettorale di lista mercoledì scorso, però, ha fatto da detonatore: la mattina stessa del 27 marzo, infatti, Pizzarotti si è espresso pubblicamente attraverso il social X.: "L’eventuale adesione della Nuova Dc di Salvatore Cuffaro a una lista con +Europa sarebbe semplicemente lunare, assurda e inconciliabile con qualsiasi scopo uno voglia dare alla lista. Trovo anche incomprensibile che Emma Bonino liquidi la questione dicendo che la presenza di Cuffaro è un problema di Renzi: se si vuol fare una lista di scopo per gli Stati Uniti d’Europa, tutti i candidati e i movimenti politici che ne fanno parte dovrebbero essere coerenti con gli obiettivi. Leggo che Italia Viva si è affrettata a smentire le candidature di Cuffaro e Francesca Donato. Il problema di allearsi con la Nuova DC rimarrebbe comunque intatto. Quale può mai essere lo scopo comune di Più Europa e Cuffaro? Sono mesi che propongo una lista comune tra Azione e Più Europa, capeggiata magari da Carlo Cottarelli, e dovremmo invece allearci Cuffaro e Donato?"
Il giorno dopo, giovedì, è circolata la notizia della candidatura in lista di Marco Zambuto, genero di Totò Cuffaro: Pizzarotti così ha rincarato la dose rivolgendosi direttamente a Emma Bonino,"Se la notizia riportata da Repubblica fosse confermata, e cioè che la Nuova DC candiderebbe Zambuto nella lista Stati Uniti d’Europa per conto di IV, non sarebbe un problema di Renzi, ma di +Europa! Come puoi accettare di compromettere +E e la tua storia personale in un'alleanza politica ed elettorale con un signore condannato in via definitiva a 7 anni per favoreggiamento dei mafiosi? Ti sembra una cosa in linea con Renew Europe?" Stavolta però l'intervento pubblico di Pizzarotti è andato oltre una mera questione politica (che comunque esiste), sollevandone una giuridica: "Come più volte anticipato in Direzione, da Presidente di +Europa non posso prestarmi a questa farsa lesiva degli interessi del partito e dei suoi elettori. Alle condizioni attuali non posso cofirmare, come da statuto, la proposta di partecipazione elettorale. Fermiamoci, azzeriamo tutto e ripartiamo tenendo alti i nostri principi di onestà, serietà e distanza assoluta da qualsiasi potere criminale".
Tanto è bastato perché qualcuno si interrogasse sull'effettiva portata di quelle parole, anche se non sembra preoccuparsene più di tanto Emma Bonino, che le ha liquidate così intervenendo a Un giorno da pecora nella puntata di giovedì 28 marzo: "Bisogna spiegare a Pizzarotti, che ancora non lo ha capito, che una lista di scopo è una lista di scopo. Ognuno dei partecipanti ha le sue libertà fino alle elezioni; il giorno dopo ognuno tornerà a fare quello che ritiene. Ovviamente se Pizzarotti è così innamorato di Calenda ci vada. [...] Una proposta politica non è un carcere, ognuno si assume la responsabilità di quello che fa". Sollecitata da Giorgio Lauro, che la interrogava circa la possibilità di presentare comunque le liste anche se non le avesse cofirmate Pizzarotti come presidente di +Europa, Bonino ha risposto: "Dipende dallo statuto, che in questo momento non ho sotto mano"; all'ulteriore sollecitazione di Lauro ("Quindi è un casino perché dipende tutto da Pizzarotti?") ha replicato "Sì, fa un po' ridere, ma fa lo stesso".
La disputa politico-giuridica, peraltro, è proseguita, con Pizzarotti che ha risposto prima a Bonino, il 28 marzo ("A te farà ridere che dipenda da me la presentazione della lista, va bene, ma non fa ridere che dipenda dalle regole che il partito si è dato. Ho scelto +Europa fin dal 2019 (candidandomi alle Europee in una lista che sapevamo non avrebbe raggiunto il 4%), proprio perché è un partito che ha scelto di funzionare secondo le regole e non secondo il volere di un capo. Dunque, con molta serenità, fermiamoci e decidiamo insieme con chi +E dovrebbe allearsi o no. Io dico che la Nuova DC di Totò Cuffaro e della No-Euro Francesca Donato non ha nulla a che fare con noi"), poi a Renzi, il 30 marzo, in un botta e risposta tra giornali e social ("L'idea che un progetto chiamato Stati Uniti d'Europa possa saltare per il veto di tal Pizzarotti da Parma mi sembra lunare. Facciamo questa scelta per togliere il diritto di veto a Orban, non per darlo a un ex grillino iscritto al MoVimento 5 Stelle quando Grillo chiedeva di uscire dall'euro"; "Sono diventato sindaco M5S nello stesso anno in cui tu facevi il rottamatore del Pd. Eravamo entrambi 'anti-sistema' e nel sistema siamo entrati per provare a cambiarlo e migliorarlo. Io continuo a farlo: proviamo a rispettarci evitando il bullismo mediatico. Come Più Europa parteciperà alle Europee lo decideranno gli organi secondo le regole che abbiamo, non le tue interviste").

Lo statuto

Oggi, 1° aprile, Federico Pizzarotti non si è sottratto al rito del "pesce d'aprile", proponendo un annuncio sui generis ("Visto che secondo qualcuno 'si è grillini per sempre', ho deciso di invitare anche Giuseppe Conte al tavolo per la lista Stati Uniti d'Europa. Conte ha accettato entusiasta, ponendo come unica condizione la candidatura di Rocco Casalino capolista al Sud. [...] Un nuovo fronte per un"Europa più forte"); mentre si cerca di sorridere, però, vale la pena cercare di capire meglio cosa preveda lo statuto di +Europa in materia di partecipazione alle elezioni.
L'articolo 11, che regola la Direzione (organo di organizzazione e di indirizzo politico), al comma 5 stabilisce che essa "delibera, su proposta congiunta del Segretario e del Presidente di +Europa, sulla partecipazione alle elezioni e sulle relative liste e candidature con la maggioranza dei 2/3 dei presenti"; lo stesso organo "autorizza l’utilizzo del simbolo, nella composizione descritta all'art. 2 o con delle varianti, come simbolo elettorale di aggregazione di partiti e movimenti politici, in forma associativa e non, cui partecipi anche +Europa o da questa promossi, se del caso subordinando l’autorizzazione alla formulazione di specifici punti del programma elettorale". A una prima lettura, si vede che il testo dello statuto prevede dalla metà di luglio del 2021 che sia la partecipazione alle elezioni sia la proposta delle candidature sia fatta in modo congiunto dal segretario e dal presidente, mentre fino a quel momento a proporle era stato solo il presidente: quell'assetto certamente non era estraneo al clima che aveva preceduto il secondo congresso del partito (durante il quale la norma fu approvata) e che aveva portato al ritorno di Benedetto Della Vedova alla segreteria e all'arrivo di Riccardo Magi alla presidenza. In base a quelle regole scritte, non sembra esserci rimedio qualora una delle due cariche non concorra alla proposta della partecipazione e delle candidature, di fatto dando luogo a una presentazione incompleta, dunque non completamente formata. 
Vale altrettanto la pena precisare che quelle che si vorrebbero distinguere con il contrassegno di Stati Uniti d'Europa dovrebbero essere liste di un soggetto giuridico diverso da +Europa: è prassi comune, infatti, che anche alle "liste di scopo" o, più in generale, alle liste elettorali si dia la forma dell'associazione non riconosciuta, costituita con atto notarile dai rappresentanti dei diversi soggetti politici che concorrono alla fondazione (quando le liste di scopo, invece, sono emissione essenzialmente di un soggetto, può accadere che siano presentate direttamente da questo, anche quando hanno denominazione e simbolo diversi, come la lista Amnistia Giustizia Libertà, formalmente presentata nel 2013 dall'Associazione politica nazionale "Lista Marco Pannella"). Questo per dire che la Direzione non dovrebbe deliberare sulle intere liste da presentare, ma solo sulle candidature che +Europa inserirebbe nelle liste di Stati Uniti d'Europa, non anche sui candidati proposti dagli altri partiti (e magari non graditi a qualcuno). 
Detto questo, l'art. 11 prevede due regimi diversi per partecipazione elettorale e candidature, da una parte, e simbolo, dall'altra. Con riguardo a quest'ultimo, sarebbe certamente necessaria l'autorizzazione della Direzione per inserire il simbolo di +Europa nel contrassegno composito della lista Stati Uniti d'Europa, se questa - come si diceva - risultasse presentata da un soggetto giuridico a sé; quell'autorizzazione, tra l'altro, "coprirebbe" anche la resa grafica del nome della lista, chiaramente frutto della stessa mano - quella di Stefano Gianfreda, direttore creativo del partito - che ha concepito il logo originario di +E. In mancanza di altre indicazioni, non è prevista la presentazione congiunta - da parte di segretario e presidente - delle richieste di autorizzazione all'impiego del simbolo e per l'approvazione basta la maggioranza semplice: una minoranza consistente, dunque, non ha possibilità di opporsi efficacemente all'uso del proprio fregio a fini elettorali. Diverso è il discorso con riguardo alla partecipazione elettorale e alle candidature: occorrendo il quorum dei due terzi dei presenti, la minoranza può far pesare i propri voti in quell'organo; a monte, se il presidente non presenta le proposte di candidatura insieme al segretario (che resta il legale rappresentante) e, prima ancora non co-propone la partecipazione elettorale (sia pure nella forma della lista di scopo), in teoria la Direzione non può deliberare (e, se lo facesse, la decisione potrebbe essere impugnata con probabilità di successo). La stessa deliberazione sul simbolo, peraltro, dovrebbe essere logicamente successiva alla delibera sulla partecipazione di +Europa alla lista (e, già prima, alla proposta congiunta di concorso alle elezioni), diversamente non avrebbe senso autorizzare l'uso del fregio.
Il gesto di un eventuale rifiuto del presidente di co-presentare le proposte di partecipazione alle elezioni e di candidature  manderebbe un messaggio netto: "non sono d'accordo con alcune candidature altrui, quindi a monte piuttosto che partecipare a questa lista con nostri candidati preferisco che ufficialmente non se ne presenti nessuno, anzi, che non partecipiamo proprio". Ufficialmente, perché - a ben guardare - lo statuto è piuttosto vago nelle parti dedicate ai procedimenti sanzionatori e non prevede tra i comportamenti antistatutari la candidatura in liste che non abbiano avuto il placet del partito.
Nel frattempo, nei prossimi giorni dovrebbe riunirsi l'Assemblea - organo che, da statuto, "articola e, ove necessario, integra il progetto e gli obiettivi stabiliti dal Congresso alla luce della attualità politica, stabilisce le priorità politiche, definisce gli strumenti e le iniziative più efficaci" - e in quell'occasione potrebbe essere presentata e votata una mozione in materia di partecipazione alle elezioni europee da sottoporre alla Direzione perché la attui. La Direzione stessa, però, resta padrona di agire come meglio crede (anche per la maggioranza qualificata richiesta dallo statuto).
Il contenuto della decisione ovviamente influirà sul contrassegno da presentare. Per ora ci si limita a notare - una volta di più - che conoscere le regole interne che un partito si dà è fondamentale per non avere sorprese; oltre che conoscerle, però, è necessario prenderle sul serio, a maggior ragione se queste regole sono state cambiate durante la vita del soggetto politico. Al di là di ogni valutazione sulla condivisibilità o meno di certe posizioni sul piano politico, se una disposizione statutaria richiede che si seguano determinati passaggi per ottenere un risultato, questo può ottenersi solo così, non in altre forme (tanto più che quelle regole sono frutto del lavoro iniziale di alcuni soci e le modifiche vanno comunque approvate da organi interni). Il "diritto dei partiti", insomma, non dovrebbe fare ridere, ma merita serietà e attenzione.