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lunedì 7 settembre 2020

Toscana, il no del Consiglio di Stato: escluso Roberto Salvini

Il simbolo originario
Il numero delle persone candidate alla presidenza della Toscana è ora definitivamente fissato in sette. La terza sezione del Consiglio di Stato questa sera ha respinto il ricorso di Roberto Salvini e di alcuni tra delegati e candidati della lista Patto per la Toscana (sent. n. 5404/2020), confermando la loro esclusione dalle elezioni regionali previste per il 20 e 21 settembre, come già deciso nei giorni scorso dall'Ufficio centrale regionale e dal Tribunale amministrativo regionale della Toscana. 
Nell'atto con cui aveva impugnato la sentenza del Tar Firenze, la difesa di Roberto Salvini e degli altri appellanti aveva certamente ribattuto vari argomenti già svolti in primo grado, mettendone peraltro alcuni in maggior luce e approfondendo di più. Dopo aver premesso che la lista Patto per la Toscana nasceva "dall'unione di varie anime autonomiste, fortemente regionaliste e antagoniste ai partiti tradizionali nazionali, cui hanno aderito vari candidati con una forte esperienza politica e un consolidato radicamento nel territorio" (soprattutto in soggetti politici come Civismo Autonomista, Costituente Libera Toscana, Libera Firenze - Comitato Libertà Toscana, Area sindacale e vari gruppi autonomisti toscani) e che tanto il progetto elettorale quanto il suo leader Roberto Salvini avevano sufficiente notorietà da escludere ogni mossa di "agganciamento" o la possibilità di qualificare la lista come "di disturbo", la difesa ribadiva l'impossibilità di confondere il contrassegno del Patto con quello della Lega "per l'uso dei colori" (verde in luogo del blu, nonché un diverso tono di giallo), per la presenza del nome del candidato assente nell'altro emblema e per scelte nominali e grafiche diverse (inclusi i caratteri utilizzati). L'Ufficio centrale regionale, per gli appellanti, sarebbe incorso in un errore perché "un elettore medio non può confondere la Regione Toscana e antica bandiera del territorio con Alberto da Giussano; i colori verdi con quelli blu; Roberto Salvini (Presidente) con Salvini (Premier); Patto per la Toscana, scritto a semicerchio sul simbolo e assolutamente ben visibile, con Lega".
In un errore analogo, per Roberto Salvini e gli altri, sarebbe caduto il Tar Firenze. Innanzitutto i due fregi elettorali non dovevano essere ritenuti confondibili: si citavano, anche in questo caso, varie sentenze dei giudici amministrativi in materia - a partire da quelle con cui era stata riammessa la Lega Toscana - Più Toscana nel 2015 - che attribuivano maggior peso agli elementi di distinzione delle grafiche (che invece per l'Ucr erano "suvvalenti" rispetto al cognome) ed erano meno pessimiste sulla diligenza dell'elettore medio. In secondo luogo, per gli appellanti, se si ritiene che basti la presenza in entrambi i contrassegni della scritta "Salvini" (pur in presenza del nome in uno dei due) per non poter escludere la confondibilità, "si finisce per trasformare il cognome dei candidati in una sorta di marchio commerciale utilizzabile, nel caso di specie, soltanto da Matteo Salvini e da nessun altro che abbia la malasorte di chiamarsi anch'egli Salvini", rivendicando il suo diritto all'identità personale e al nome. Tanto più che il Salvini in questione - Roberto, in questo caso - non era un soggetto sconosciuto, ma addirittura un consigliere regionale uscente, eletto con oltre 5500 preferenze e con una certa notorietà in Toscana (oltre che effettivamente candidato, a differenza di Matteo Salvini, cosa che peraltro si dovrebbe dire anche di Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, anche se qui il problema non si pone). 
I ricorrenti non mancavano poi di sottolineare - come già avvenuto in primo grado - l'impossibilità di confondere il simbolo del Patto per la Toscana con quello della Lega (e viceversa), sia perché il secondo sarebbe stato ricompreso in una coalizione, a differenza del primo, sia perché le nuove schede introdotte dalla modifica alla legge elettorale danno ancora maggiore rilievo visivo al nome della persona candidata alla presidenza, quindi sarebbe impossibile confondere il Patto per la Toscana a sostegno di Roberto Salvuni e la Lega in appoggio a Susanna Ceccardi.
Il simbolo sostitutivo più distante
L'atto di impugnazione, tuttavia, si soffermava anche sulla mancata ammissione di uno degli emblemi sostitutivi presentati dalla lista dopo il primo provvedimento di esclusione. Gli appellanti ritenevano sbagliato considerare compiuta e non integrabile la legge toscana sul procedimento elettorale (n. 74/2004), che non contemplerebbe alcuna possibilità di sostituire un contrassegno ritenuto confondibile; contestavano poi che la presentazione di tre emblemi alternativi invece che uno solo potesse attribuire "
all'Ufficio centrale regionale un atipico potere di scelta" (essendo i tre emblemi presentati in subordine tra loro) e, naturalmente, negavano che ciascuna delle tre grafiche potesse essere ancora confondibile con il contrassegno della Lega per la persistenza del rilievo dato al cognome "Salvini". Risultato delle censure sollevate dagli appellanti doveva essere la riammissione della lista, con il contrassegno originario o - alla peggio - con uno dei tre presentati in sostituzione, nonché la rimozione della condanna alle spese inflitta in primo grado.
Per i giudici di Palazzo Spada, invece, "la presenza, all'interno del simbolo [contestato], della scritta 'SALVINI' con dimensione e colore analoghi alla scritta 'SALVINI' presente nel simbolo" della Lega era e resta il problema. Si ammette - quasi riconoscendo l'onore delle armi - che è suggestiva l'argomentazione che rifiuta che si possa trattare un cognome come un marchio oggetto di privativa, ma si dice anche che un ragionamento simile "sposta inaccettabilmente l'attenzione dall'effettivo quid disputandum, che non è rappresentato dalla possibilità per il candidato Roberto Salvini di partecipare alle elezioni utilizzando il proprio cognome, ma dalle modalità di riproduzione di quest’ultimo sul contrassegno elettorale". In particolare, per il collegio giudicante, è "del tutto evidente che se il candidato presidente avesse evitato di collocare il termine 'Salvini' nella parte inferiore del contrassegno e se avesse dato eguale risalto al nome 'Roberto', o non avesse impiegato un font confondibile e il colore giallo, la capacità decettiva sarebbe stata elisa o grandemente scemata". I giudici non hanno ritenuto sufficienti nemmeno gli elementi che effettivamente differenziano i due emblemi elettorali, rilevando che il giudizio dell'Ufficio centrale regionale sia incentrato non solo "sulla 'quantità' dei segni grafici somiglianti, ma anche e soprattutto sulla 'confondibilità' e sulla capacità di trarre in errore l'elettore medio alla luce di un giudizio qualitativo e contestualizzato. E nel caso di specie, ad avviso del Collegio, una oggettiva e non minimale capacità decettiva effettivamente sussiste".
Quanto al problema della mancata accettazione di uno dei simboli sostitutivi, va rilevato un passaggio importante, in cui i giudici dicono che "può condividersi la tesi dell’applicabilità dell’art. 10, comma 3, della legge n. 106/1968 in virtù del generale richiamo operato dall'art. 17 della L.R. Toscana n. 74/2004 in funzione integrativa", il che significava - e se ne dovrà tenere conto in futuro - che l'Ufficio centrale regionale avrebbe ben potuto ammettere un simbolo sostitutivo, eventualità non prevista dalla legge regionale, ma dalla disciplina statale cedevole. Questo, all'evidenza, restituisce al procedimento elettorale toscano una garanzia verso i presentatori di liste almeno analoga a quella riscontrabile nelle altre regioni: non era infatti concepibile un procedimento che non conceda almeno una "prova d'appello" a chi presenta un contrassegno, specie se si considera che il giudizio di confondibilità conserva pur sempre un grado di soggettività. Nulla dice il Consiglio di Stato sulla questione dei tre contrassegni sostitutivi presentati, non prendendo posizione sulla tesi dell'Ucr (e del Tar) e su quella opposta degli appellanti; il punto, in compenso, risulta irrilevante perché, per i giudici, "nessuna delle tre opzioni alternative proposte in sede di opposizione è idonea a elidere la potenzialità decettiva del simbolo trattandosi di lievi modifiche della tonalità del giallo della scritta “SALVINI” o del font del nome ROBERTO, del tutto irrilevanti alla stregua dei canoni del giudizio di confondibilità sopra tracciati". Nulla da fare, dunque, per la lista Patto per la Toscana e per la candidatura di Roberto Salvini, che restano fuori dalla competizione elettorale: il problema non sarebbe stato dunque l'esclusiva sul cognome e il diritto a utilizzare il proprio anche in caso di omonimia, ma nel non averlo fatto differenziandosi abbastanza e in modo tangibile. 
Sarebbe stato sufficiente?
Si deve riconoscere che un ragionamento simile, pur non privo di buon senso, obbliga chi ne è oggetto a un compito più oneroso di altri, senza che questi ne abbia colpa: un omonimo di un politico di livello nazionale deve evitare di candidarsi per non essere accusato di "agganciamento parassitario"? E se si candida in un partito diverso da quello dell'omonimo, deve per forza rinunciare al suo cognome nel simbolo o, almeno, al rilievo che lo stesso ha in altri simboli solo a causa dell'omonimia? Un osservatore terzo difficilmente negherebbe che proprio quell'omonimia possa portare qualche vantaggio a chi si candida, ma dovrebbe riconoscere pure che chi è stato eletto ha pienamente diritto a ricandidarsi, anche lontano dal partito precedente (non c'è vincolo di mandato) e di utilizzare il proprio cognome senza sacrificarlo troppo. Difficile dire se, analizzando quanto scritto nella sentenza di oggi, sarebbe stato ammesso senza intoppi un simbolo con il cognome sempre in evidenza, ma con il nome non troppo più piccolo (del resto, essendo più lungo il prenome rispetto al patronimico, ci sarebbe stata anche una buona spiegazione per una dimensione diversa), entrambi colorati di verde su fondo giallo e posti nella parte superiore del simbolo; certamente - se la lista avesse accettato di presentarlo, senza temere di rinunciare a qualche prerogativa - una proposta grafica simile avrebbe reso molto più difficile la sua bocciatura.
Se non altro, questo grado di giudizio ha previsto la compensazione delle spese "in considerazione della natura e peculiarità delle questioni trattate e tenuto conto del tenore delle difese in atti"; resta però l'amarezza della soccombenza, con relativa condanna alle spede in primo grado, quando in realtà i fatti oggetto di causa e gli argomenti sollevati appaiono assai simili a quelli che hanno condotto a una valutazione diversa in seconde cure (peraltro nulla ha detto il collegio sulla richiesta degli appellanti di riformare la decisione di primo grado sul punto).

* * *

Questa sera il Consiglio di Stato ha anche dichiarato inammissibile un altro ricorso, presentato in proprio - al solito senza assistenza legale - da
Loris Palmerini, già incontrato come candidato alla presidenza della regione Veneto per la lista Venetie per l'autogoverno, ma questa volta diretto innanzitutto a far riammettere la lista Indipendenza Noi Veneto e la candidatura a presidente di Ivano Spano. La tesi, seguendo quanto già sostenuto nel contenzioso attivato da Palmerini dopo la ricusazione della propria candidatura, è che avere consentito ad alcune liste e non ad altre - inclusa Indipendenza Noi Veneto, che un consigliere lo aveva eletto ma poi ha rappresentato ed esentato un'altra forza politica - di presentarsi senza necessità di raccogliere le firme violi il principio della "parità di accesso" citato dalla "legge cornice" n. 165/2004 e valido anche nell'ordinamento regionale: l'esenzione concessa a seguito di "reali deviazioni del ruolo da parte dei consiglieri già cessati dalle funzioni" creerebbe un vulnus non rimediabile alla competizione elettorale. 
Il Tar del Veneto aveva già respinto il primo ricorso di Palmerini (come aveva fatto con quello con cui si chiedeva di riammettere Venetie per l'autogoverno), così questi ha pensato di impugnare la decisione. Nel ricorso ha contestato in particolare l'idea che le norme approvate di recente sull'esenzione dalle firme consentano al singolo consigliere che formi una componente nel gruppo misto di sollevare dall'onere della raccolta firme una lista del tutto diversa nel nome e nel simbolo: "In pratica - si legge - il sistema veneto permette a liste nuove mai candidate in precedenza e nate sulla spinta degli ultimi sondaggi, ma prive di radicamento, di candidarsi grazie alla esenzione concessa da uno dei 'baroni' che la legge prevede in abbondanza": coloro che in consiglio rappresentano un gruppo o una componente sarebbero "letteralmente corteggiati da liste, listarelle e singoli candidati, e al consigliere non resta che 'donarsi' al miglior offerente, anche alla concorrenza se viene garantita la candidatura in buona posizione in una lista quotata dai sondaggi". Con buona pace, tra l'altro, del criterio della radicata rappresentanza.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, ha dichiarato l'appello inammissibile, come nell'altro contenzioso iniziato da Palmerini, perché questi non è assistito, come la legge richiede, da un avvocato abilitato al patrocinio davanti a una giurisdizione superiore, né lui lo è: l'inviolabilità del diritto di difesa, per i giudici, "si caratterizza in primo luogo come diritto alla difesa tecnica, che si realizza mediante la presenza di un difensore dotato dei necessari requisiti di preparazione tecnico-giuridica, in grado di interloquire con le controparti e con il giudice". Non c'è nemmeno spazio per entrare nel merito della questione e - probabilmente trattandosi del secondo verdetto di inammissibilità nei confronti di Palmerini nel giro di pochi giorni - si è deciso che le spese del grado di giudizio "seguono la soccombenza".

mercoledì 2 settembre 2020

Toscana, Roberto Salvini escluso anche per il Tar

Il contrassegno sostitutivo
La terza sezione del Tribunale amministrativo regionale della Toscana ha da poco confermato l'esclusione della candidatura del consigliere regionale uscente Roberto Salvini alla presidenza della regione, nonché la sua unica lista collegata Patto per la Toscana.
Come si ricorderà l'esclusione, decisa una prima volta il 28 agosto, era dovuta al giudizio di confondibilità che l'Ufficio centrale regionale aveva emesso sul contrassegno della lista Patto per la Toscana, a causa del rilievo visivo dato al cognome del candidato, molto simile - anche nel colore e per il minimo corpo del nome "Roberto" - rispetto a quello che il patronimico di Matteo Salvini ha nel contrassegno della Lega: tutti gli altri elementi del contrassegno respinto sono stati considerati "suvvalenti" rispetto al cognome in evidenza, creando così una situazione di possibile "agganciamento" degli elettori che potrebbero votare Roberto Salvini credendo che la lista sia quella legata al più noto Matteo Salvini. 
Il candidato presidente aveva contestato queste tesi, rivendicando (anche sulla scorta della sua esperienza politica e in consiglio regionale) il diritto a candidarsi con il proprio cognome usato alle condizioni concesse a chiunque aspiri alla presidenza e ritenendo inopportuno applicare all'ambito elettorale criteri e parametri (a partire da quello della notorietà) utilizzati di norma nel diritto commerciale e della proprietà industriale; aveva tuttavia dichiarato la sua disponibilità a modificare in parte il contrassegno - arrivando, nell'emblema più distante dall'originale della terna presentata, a ingrandire il nome "Roberto" e ad attenuare il colore giallo - ma l'Ufficio centrale regionale ha confermato il proprio verdetto, generando il ricorso al Tar deciso oggi.
Per il collegio del Tar Firenze - come è scritto nella sentenzan n. 1035/2020 - il simbolo del Patto per la Toscana "risulta effettivamente tale da generare confusione con il contrassegno proprio della lista Lega Salvini Premier": questo per la presenza in entrambi della "scritta 'Salvini' con analoghi dimensione e colore", tale da "indurre gli elettori medi a credere" che il simbolo del Patto sia il simbolo della Lega, quindi di un altro partito. Il poco risalto del prenome rispetto al cognome e "il fatto che quest’ultimo appaia evidenziato con caratteri grandi e colorazione gialla, similmente al simbolo della 'Lega Salvini Premier', sono elementi suscettibili di indurre facilmente l’elettore medio (il quale è portato ad identificare mentalmente il cognome Salvini nel noto Matteo parlamentare) ad abbinare il contrassegno della lista 'Patto per la Toscana' alla lista espressione della Lega", per cui il provvedimento di esclusione è stato ritenuto legittimo. Il fatto che Matteo Salvini non sia candidato alle regionale toscane non avrebbe alcun valore, se non altro perché per la legge elettorale la confondibilità vale anche con partiti che non partecipano alle elezioni, purché siano rappresentati in Parlamento e il loro uso del simbolo sia tradizionale, cioè consolidato (quindi, per i giudici, si deve dedurre - anche se non è scritto a chiare lettere - che a maggior ragione questo vale se il nome che potrebbe subire la confondibilità è incluso nel simbolo che partecipa alle elezioni, anche se la persona cui corrisponde quel patronimico non è candidata).
Qualche riga è dedicata anche alla questione del simbolo sostitutivo, che Roberto Salvini e la sua lista avevano proposto (quello qui raffigurato è la versione n. 3, la più lontana dall'originale): il Tar ha sposato la linea dell'Ufficio centrale regionale, secondo il quale la procedura della legge regionale sul procedimento elettorale è "in sé compiuta" e non consente alcun rimedio a chi presenta contrassegni identici o confondibili, dal momento che non sono previste e regolate "seconde possibilità"; a prescindere da questo, la posizione è stata accolta senza alcuna spiegazione in merito anche a proposito della presentazione multipla di contrassegni (che demanderebbe all'ufficio "un atipico potere di scelta, non previsto nemmeno dall'ordinamento nazionale") e circa la reiterata confondibilità delle tre alternative presentate, caratterizzate "dal maggior risalto attribuito al cognome 'Salvini' e dalle dimensioni della scritta 'Roberto' ragguardevolmente inferiori a quelle di detto cognome".
Il ricorso di Roberto Salvini è stato dunque respinto, ma i giudici hanno addirittura ritenuto di dover addossare ai ricorrenti le spese processuali (che "seguono la soccombenza"): si tratta di un'eventualità piuttosto rara, scegliendo di solito i giudici amministrativi di compensare le spese stesse, per cui sembra quasi che il collegio abbia voluto punire gli autori del ricorso.

martedì 1 settembre 2020

Patto per la Toscana escluso, Roberto Salvini ricorre al Tar

Al momento, delle otto candidature alla carica di presidente della regione Toscana presentate tra il 21 e il 22 agosto, solo sette sono state ammesse. L'Ufficio centrale regionale presso la Corte d'appello di Firenze, infatti, tra venerdì e sabato ha respinto la candidatura di Roberto Salvini, che si era presentato sostenuto dalle liste circoscrizionali del Patto per la Toscana. Da ieri la vicenda è davanti al Tar Toscana, che dovrà decidere nei prossimi giorni sull'eventuale riammissione della candidatura; l'occasione è utile, senza sollevare polemiche, per cercare di capire meglio cosa sia accaduto e riflettere su alcune questioni.

I fatti

Si era già parlato dello scalpore suscitato nel 2015 dalla sua candidatura nella lista pisana della Lega Nord, tradottasi nell'elezione a consigliere regionale (prevalendo proprio sull'attuale candidata alla presidenza Susanna Ceccardi) e a una legislatura trascorsa nel gruppo leghista fino a ottobre del 2019; si era pure visto che il contrassegno di lista con cui (Roberto) Salvini aveva annunciato di volersi candidare aveva come elemento dominante il suo cognome, scritto in giallo su fondo verde (colore fino a qualche anno fa legato al Carroccio).  
Posto che tutti i documenti erano stati depositati in tempo utile, venerdì 28 agosto l'Ufficio centrale regionale ha ricusato in prima battuta la candidatura di Roberto Salvini e le liste circoscrizionali a questa collegate per una delle ragioni di cui si era parlato di più nei giorni precedenti: il contrassegno di lista era stato ritenuto confondibile con quello che era stato presentato dalla Lega per Salvini premier in Toscana. In particolare, erano
stati evidenziati "profili confusori [...] con riferimento in particolare all'utilizzo del nome 'SALVINI', scritto nel medesimo colore giallo e con il medesimo risalto, quanto al carattere e al corpo, risalto peraltro non attribuito al nome 'Roberto' che si presenta con corpo ancora più ridotto addirittura rispetto all'indicazione 'PRESIDENTE', con colore bianco, al pari di quella 'PREMIER' contenuta nella lista Lega Salvini premier".
Come la legge prevede, il giorno successivo l'Ufficio centrale regionale si è riunito di nuovo per valutare l'opposizione con cui il delegato regionale della lista, Marco Lensi, aveva risposto alle censure dello stesso organo. Questi aveva rivendicato quel contrassegno come non confondibile e pienamente legittimo, ma si era detto disponibile "in via subordinata e senza pregiudizio alcuno" a intervenire sullo stesso, presentando tre alternative grafiche (ottenute con modifiche progressive rispetto all'originale). L'Ufficio centrale regionale, tuttavia, sempre nella giornata di sabato ha confermato la sua prima decisione, ribadendo che il risalto dato al cognome "Salvini" nella lista del Patto per la Toscana provocherebbe confusione rispetto all'identico patronimico contenuto nel contrassegno della Lega; quanto alle varianti degli emblemi presentate, queste - al di là dei rilievi sulla loro presentazione irrituale, su cui si tornerà - non erano ritenute così modificate da eliminare il problema di confondibilità. 
Vedendosi confermare la propria esclusione dalla competizione elettorale, a dispetto delle firme raccolte nelle varie circoscrizioni della regione, Roberto Salvini, Marco Lensi e vari aspiranti candidati hanno presentato ricorso al giudice amministrativo, chiedendo l'annullamento dei due provvedimenti di esclusione della lista Patto per la Toscana - Roberto Salvini presidente emessi dall'Ufficio centrale regionale.

Le norme 

Vale innanzitutto la pena richiamare le norme di base sull'ammissione dei simboli elettorali in Toscana. Posto che - a differenza che in altre realtà regionali - la legge regionale n. 74/2004 (sul procedimento elettorale) prevede che il deposito dei contrassegni sia centralizzato presso l'Ufficio centrale regionale e che spetti allo stesso organo vagliare l'ammissibilità di quegli emblemi, è bene ricordare che - in base all'art. 12, comma 4 di quella legge regionale - non sono ammissibili (per quanto interessa qui) contrassegni "identici o confondibili con quelli presentati in precedenza o con quelli notoriamente usati da altri partiti o gruppi politici", nonché contrassegni che riproducano, senza averne titolo, "simboli o elementi caratterizzanti di simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento o in Consiglio regionale, possono trarre in errore l'elettore". Si tratta di una disciplina quasi identica a quella prevista dalla legge elettorale nazionale (con la sola aggiunta della tutela preferenziale per i soggetti politici presenti in consiglio regionale). 
 

Quali argomenti?

Il punto su cui si concentrano le difese dei ricorrenti è legato agli argomenti utilizzati dall'Ufficio centrale regionale per motivare la confondibilità dei contrassegni. I suoi componenti hanno richiamato innanzitutto il parametro - che la giurisprudenza in materia elettorale adotta da tempo - della "normale diligenza dell’elettore medio, escludendo l’eventualità del pericolo di confusione tra due simboli, laddove gli elementi di differenziazione presenti risultino prevalenti sugli elementi che accomunano i due contrassegni". La decisione citata a sostegno della tesi - la n. 2487/2015 della V sezione del Consiglio di Stato - non è una sentenza qualunque, ma quella che cinque anni fa ha confermato la riammissione alle elezioni regionali toscane della Lega Toscana - Più Toscana, ritenendo tra l'altro che il suo contrassegno non fosse confondibile con quello della Lega Nord (a dispetto della comunanza del termine generico "Lega") perché il primo era "dominato in pieno campo dalla bandiera granducale ed i margini superiore ed inferiore riportano a caratteri cubitali l’espressione Lega Toscana in alto e Più Toscana in basso", mentre in quello del Carroccio toscano "campeggia in maniera preponderante la figura scultorea di Alberto da Giussano e la bandiera granducale appare da un lato in dimensione minima rispetto al simbolo dei contraddittori"; in quel caso la presenza del cognome "Salvini" nel simbolo di un partito "ormai espressione di tutto il corpo elettorale" era stato ritenuto un elemento di distinzione ulteriore tra i due contrassegni, ma restava il principio per cui gli elementi identificativi centrali erano diversi e non mancavano altri elementi di distinzione.
Premesso quel criterio, per i componenti dell'Ufficio centrale elettorale "tutti gli elementi - più differenti - che compaiono nella metà superiore dei rispettivi simboli hanno certamente carattere suvvalente rispetto al c.d. 'cuore' di ambedue i simboli, vale a dire il patronimico, identico che campeggia a lettere maiuscole nello stesso colore giallo, nella metà inferiore dei simboli medesimi"; in più, l'elettore medio collegherebbe il cognome "Salvini" al presidente della Lega per Salvini premier, in quanto parlamentare, ex ministro e leader nazionale, mentre l'emblema del Patto per la Toscana darebbe "rilevanza pressoché esclusiva, non tanto alla persona di 'Roberto Salvini', quanto, piuttosto, esclusivamente al cognome 'Salvini' creando così - oggettivamente - una confondibilità estremamente probabile tra i due simboli, per agganciamento, avuto riguardo all'elettore di media diligenza". In conclusione, l'organo ha ribadito l'esclusione della candidatura di Roberto Salvini, per come è stata presentata, "in considerazione della maggiore notorietà del simbolo appartenente" alla Lega per Salvini premier. 
In una conferenza stampa tenuta ieri, vari esponenti del Patto per la Toscana - ripercorrendo in parte le argomentazioni del ricorso - hanno per prima cosa escluso che i due contrassegni siano davvero confondibili: questo innanzitutto per il diritto di chi si candida a utilizzare il proprio nome nella campagna elettorale e nell'emblema della propria lista, a maggior ragione se questa persona fa già politica a livello regionale (e con quel nome è stato eletto e ha acquisito notorietà nel territorio chiamato al voto), a prescindere dalle generalità di altri soggetti impegnati in politica, magari noti su scala nazionale ma non candidati sul territorio.  
Al di là di questo, la lista non condivide l'idea che tutti gli elementi che effettivamente distinguono i due contrassegni possano essere considerati "suvvalenti" (quindi valere meno) rispetto al cognome, effettivamente comune a entrambi i fregi, quando varie sentenze dei giudici amministrativi precisano che la confondibilità va valutata con riguardo a tutti gli elementi del contrassegno e al simbolo nel suo complesso: se gli elementi differenzianti hanno "scarsa incisività", come ha detto il Consiglio di Stato nel 2000, si può parlare di confondibilità, altrimenti no; si deve poi tenere conto di come nel 1999 e nel 2011 sempre i giudici di Palazzo Spada abbiano accettato come parametro la "normale diligenza dell'elettore medio", precisando però che l'elettore medio "di oggi [...] per varie ragioni è in possesso di un bagaglio di conoscenze e di una capacità di discernimento e di apprezzamento ben superiore" rispetto all'epoca in cui le disposizioni erano state scritte. Senza contare che i limiti posti dalle norme elettorali dovrebbero essere - lo dice sempre la giurisprudenza - interpretati in modo restrittivo, per non limitare troppo la partecipazione elettorale.
Se - per tradizione e per come sono scritte le disposizioni - un ruolo rilevante nell'immagine complessiva di un contrassegno è sempre stato riconosciuto al simbolo, l'elemento centrale del simbolo della Lega era e resta Alberto da Giussano (o la statua del guerriero di Legnano, a voler essere filologicamente corretti), a maggior ragione se si considera che il fregio è stato espressamente mantenuto dall'iconografia della Lega Nord e da questa espressamente concesso al nuovo partito; elemento centrale del simbolo del Patto per la Toscana invece è il profilo della regione, comprensivo di tutte le isole spesso non riprodotte per intero (sulla scheda di quest'anno capiterà almeno in due casi), mentre stavolta - a differenza di cinque anni fa, ma anche delle scelte fatte in altre regioni - il partito di Matteo Salvini ha scelto di non inserire nel contrassegno riferimenti verbali o grafici alla Toscana. La stessa descrizione dell'emblema del Patto per la Toscana ("Cerchio bordato di giallo e verde, bianco nella metà superiore, verde in quella inferiore. In alto lungo il bordo la scritta 'PATTO PER LA TOSCANA'. Sotto la scritta due elementi grafici, la bandiera biancorossa toscana di memoria ugoniana e dantesca, formata da tre strisce bianche orizzontali in campo rosso, e una miniatura della mappa della Toscana, di colore verde. Nella parte inferiore del cerchio, disposte su tre righe, le parole: 'ROBERTO' di colore bianco, 'SALVINI' di colore giallo; 'PRESIDENTE' di colore bianco") confrontata con quella del fregio della Lega per Salvini premier ("Cerchio racchiudente guerriero con spada e scudo con impresso leone alato con spada e libro chiuso contornato, nella parte superiore, dalla scritta 'LEGA', il tutto in colore blu; nella parte inferiore del cerchio, inserite in settore ancora blu, sono, su due righe sovrapposte, le parole 'SALVINI' di colore giallo e 'PREMIER' di colore bianco”) per i ricorrenti farebbe emergere tutte le differenze tra le due raffigurazioni elettorali, accentuate dalla diversa collocazione sulla scheda (in coalizione la Lega per Salvini premier, in corsa solitaria il Patto per la Toscana) che dunque renderebbe impossibile la confusione.
A ciò si dovrebbe aggiungere il fatto che Matteo Salvini è certamente noto a livello nazionale, ma Roberto Salvini - come si legge nel ricorso - è comunque attivo a livello sindacale dal 1973 e in ambito politico locale e regionale dal 1987: difficilmente si potrebbero spiegare altrimenti tutte le 5512 preferenze ottenute nel 2015 e la notorietà del ricorrente è certamente aumentata proprio in considerazione della sua attività di consigliere regionale. Sarebbe dunque normale, in considerazione di quella popolarità acquisita, trovare il suo nome sulla propria unica lista: lo ha fatto solo Eugenio Giani (solo sulla "lista del presidente"), mentre non lo ha fatto Susanna Ceccardi, ma tre dei suoi emblemi riportano i cognomi di Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e (appunto) Matteo Salvini che pure non sono candidati (e, anzi, la dicitura legata a Salvini è "premier", senza legami con la politica regionale).
Di più, per i ricorrenti, i criteri indicati dall'Ufficio centrale regionale, in particolare l'ultimo della "maggiore notorietà" di un simbolo (ma, si aggiunge qui, anche il concetto di "agganciamento", che rimanda a quello più preciso di "agganciamento parassitario"), possono essere adatti a dirimere controversie in materia civilistica o di segni distintivi commerciali, ma non certo a prendere decisioni in ambito elettorale. Applicandoli, secondo Roberto Salvini e gli altri che hanno presentato il ricorso, si finisca per mettere in discussione il diritto di una persona che fa politica da tempo di partecipare alle elezioni inserendo nel contrassegno elettorale le proprie generalità, come ormai è prassi consolidata almeno nell'ultimo quarto di secolo - che sia opportuna o no è un altro discorso, ma la considerazione dovrebbe riguardare chiunque voglia candidarsi - per il solo fatto che quel candidato ha lo stesso cognome di un politico noto a livello nazionale, che però non si candida in quell'occasione. 
Questo problema era già stato sollevato in questo sito nelle scorse settimane, evidenziando la profonda differenza di questo caso rispetto alle ben note "operazioni Alias" iniziate con la lista "Rosso sindaco" fino ai più recenti tentativi con la "Lista del Grillo". Perché a dispetto dell'omonimia, qui la persona con lo stesso patronimico aveva già una storia politica, aveva già ottenuto voti sufficienti per essere eletta in un organo dello stesso ente alla cui guida si candida. Non sembrerebbe ragionevole considerare l'uso del cognome foriero di confondibilità: di certo è stato messo in posizione di evidenza - questo è innegabile - ma se non è vietato utilizzarlo all'interno dei contrassegni elettorali, non appare logico che tutti gli altri possano farne uso senza parsimonia nella visibilità e che chi vive (non certo per sua colpa) una situazione di omonimia sia costretto a ridurre il "peso" del patronimico (e senza che ovviamente l'omonimo più noto senta almeno l'opportunità di fare altrettanto), come se questi potesse candidarsi ma con la "penalità" indesiderata di essere obbligato a una corsa anonima. 

La disponibilità a cambiare simbolo

Resta un ultimo profilo da analizzare. Leggendo il ricorso si dice che, dopo la prima contestazione da parte dell'Ufficio centrale regionale, il delegato aveva negato che il simbolo fosse confondibile, ma aveva comunque presentato tre possibili nuovi emblemi che, a suo dire, potevano rimuovere le criticità rilevate dall'organo: ciò voleva essere un segno di disponibilità nei confronti dei rilievi ricevuti, pur senza rivoluzionare l'emblema (perché evidentemente - si ritiene qui - ciò avrebbe significato ammetterne la confondibilità): In effetti l'Ufficio centrale regionale ha innanzitutto ritenuto che quella presentazione di nuovi emblemi fosse irrituale, non essendo prevista nella legge regionale sul procedimento elettorale la possibilità di sostituire il contrassegno, né potendosi configurare un'integrazione delle norme regionali con quelle statali; al di là di quanto fatto valere nel ricorso, sembra irragionevole non ammettere a livello regionale una "seconda possibilità" concessa in modo indiscutibile per gli altri livelli di elezione.
I componenti dell'ufficio avrebbero poi censurato il deposito di tre emblemi, che avrebbe di fatto messo nelle loro mani la scelta del contrassegno (ma questo si può risolvere facilmente, se solo si considera che pochi giorni fa è avvenuto proprio questo in Veneto per il simbolo della candidatura a presidente di Simonetta Rubinato, per cui l'organo elettorale regionale ha scelto l'emblema più lontano da quello a rischio di confondibilità, proprio perché ritenuto non più confondibile); in ogni caso, avrebbero rilevato che il cognome "Salvini" rimaneva comunque in vista.
Da quanto si apprende, i tre simboli proposti come alternativa erano frutto di "aggiustamenti successivi": il primo interveniva leggermente sul colore giallo per renderlo differente, il secondo aumentava di un poco il corpo del nome "Roberto" (portandolo alla grandezza della parola "Presidente"), mentre il terzo aggiungeva a questa modifica un intervento cromatico sulla parola "Salvini", tinta di un colore paglierino così pallido da sembrare bianco, eliminando dunque due delle criticità messe in luce nel primo provvedimento, ma senza rinunciare all'uso e all'evidenza del cognome cui il gruppo ritiene di avere diritto.
Ora, ciascuno può pensarla come vuole sulle singole soluzioni grafiche adottate; tuttavia, posta l'identità dei cognomi (che certo non può costituire causa di incandidabilità né può costringere una delle due persone a non utilizzare il patronimico), si deve notare che il giallo chiarissimo, quasi bianco non è parente del giallo carico del simbolo leghista; allo stesso modo, il verde del Patto per la Toscana non è parente del blu della Lega, così come la Toscana non può essere affine alla statua del guerriero di Legnano. (Per inciso e per celia, se qualche malizioso volesse spingersi a osare al punto di contestare che il lembo toscano delle province di Massa-Carrara e Lucca somiglia pericolosamente alla spada sguainata di Alberto da Giussano, dovrebbe notare che nel loro esame severo sulla confondibilità, i componenti dell'Ufficio centrale regionale non hanno avuto nulla da eccepire sulla forma della Toscana - quella è - e sulla possibilità che possa essere confusa con la sagoma di una statua). Non è dato sapere come avrebbe deciso l'organo regionale se la parola "Salvini" fosse diventata rossa su segmento giallo, In ogni caso, è innegabile che qualche sforzo è stato fatto da parte di chi ha presentato la candidatura e se l'è vista ricusare: qualcuno potrà ritenerlo insufficiente e volto a non toccare il centro del problema, ma lo si può anche vedere come segno di buona volontà senza rinunciare al nucleo del proprio diritto. Del resto, Matteo Salvini e altri leader nazionali, anche ben prima di loro, non si sono preoccupati di togliere il loro nome dai simboli nati per competizioni cui certo non partecipavano, convinti che elettrici ed elettori avrebbero votato più facilmente per quelle liste, anche senza badare alle candidature locali (o forse nonostante queste).

Riflessioni finali

Comunque decideranno i giudici amministrativi, saranno chiamati ad affrontare tra poche ore una questione assai delicata, che non merita di essere liquidata in poche righe o in una manciata di minuti. Si può anche pensare che non esista il diritto a candidarsi, così come non si è certo obbligati a farlo mettendo il proprio nome nel simbolo; non è però nemmeno ragionevole essere costretti a rinunciarvi o a "occultarlo". 
Esistono, è vero, norme nazionali che, alle elezioni politiche ed europee, vietano "la presentazione di contrassegni effettuata con il solo scopo di precluderne surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso": attraverso questa disposizione, per esempio, si sono colpiti i tentativi di impedire la presentazione della Lista Dini - Rinnovamento italiano nel 1996 o delle liste di Antonio Ingroia e Mario Monti nel 2013. Questa norma in Toscana - come nella disciplina elettorale cedevole - non è prevista e, va riconosciuto, certamente Roberto Salvini non voleva impedire a Matteo Salvini di usare il proprio nome nel simbolo, pur se non candidato (nel ricorso si è rilevata l'anomalia di quell'uso, ma non si è certo chiesto di sanzionarlo), ne ha agito in modo repentino e celato per raggiungere quello scopo. Anzi, Roberto Salvini ha annunciato settimane prima la sua intenzione di partecipare alle elezioni con un determinato contrassegno, esponendosi potenzialmente a reazioni della Lega che avrebbe potuto preparare le contromosse, facendo presente all'Ufficio centrale regionale quella confondibilità sgradita e magari orientandone il giudizio. Oggettivamente non si può nemmeno sostenere che la lista della Lega per Salvini premier sia stata presentata allo scopo di impedire a Roberto Salvini di correre con il suo simbolo nominato: la lista ci sarebbe stata comunque e il format grafico è lo stesso da oltre due anni e mezzo. 
Ma se Matteo Salvini aveva la legittima aspettativa di utilizzare il simbolo di sempre, Roberto Salvini si attendeva di potersi candidare spendendo il suo nome e il suo cognome, usandoli in un modo il più possibile vicino a quello che a chiunque altro o altra si candidi è tranquillamente concesso: se questo dovrebbe valere per chiunque, a maggior ragione vale per chi con quel cognome è stato eletto e da quella posizione intende ripresentarsi ad elettrici ed elettori. 

domenica 19 luglio 2020

Toscana, (Roberto) Salvini candidato presidente, col cognome in bella vista

Per un attimo viene da domandarselo, con una certa serietà: siamo in Toscana o in Piemonte? Nessuna confusione geografica, ovviamente, per regioni che non sono nemmeno confinanti tra loro; a settembre, per giunta, in Toscana si vota per le elezioni regionali, mentre gli elettori piemontesi hanno già dato lo scorso anno eleggendo come presidente Alberto Cirio. Eppure la domanda è tutto meno che campata in aria e, se posta a chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica, è di quelle che mettono subito in allarme. 
Giusto tre giorni fa - anche se le prime voci circolano da giugno - è stata annunciata la candidatura a presidente della regione Toscana di Roberto Salvini, consigliere regionale uscente, eletto nel 2015 proprio nelle liste della Lega Nord, nella circoscrizione di Pisa. Basterebbe questo in effetti per creare la notizia, vista l'identità del cognome del consigliere uscente con l'allora segretario federale leghista nonché attuale leader della Lega per Salvini Premier. L'interesse può chiaramente aumentare se si considera che proprio Salvini (inteso Roberto) ottenne l'unico posto da consigliere spettante alla Lega Nord facendo il pieno di preferenze, battendo di 1100 voti l'attuale candidata alla presidenza dell'intero centrodestra, Susanna Ceccardi: certamente il cognome aiutò, ma per ottenere quei voti l'aspirante consigliere regionale dovette pur sempre fare qualche sforzo, visto che elettrici ed elettori in cabina non potevano scrivere il cognome "Salvini" (magari semplicemente ribattendo il patronimico già scritto a caratteri cubitali nel contrassegno elettorale), ma dovevano cercare sulla scheda il riferimento a Roberto Salvini - visto che in Toscana le candidature sono tutte stampate accanto al simbolo - e mettere la croce nel quadratino a fianco (e non era nemmeno il primo della lista). Salvini (Roberto, ovviamente) era rimasto nel gruppo leghista fino al 2019 quando, dopo la sua proposta choc di copiare le strategie turistiche di altri paesi, comprese "le donne in vetrina", per salvare il turismo termale toscano: dal 1° ottobre fa parte del gruppo misto.
Il punto, però, non è nemmeno questo. Sempre in sede di annuncio di candidatura, Roberto Salvini ha annunciato di aver registrato a Pontedera, presso il notaio Anzellotti, l'atto costitutivo e lo statuto del Patto per la Toscana, assieme a Mauro Vaiani, presidente del Comitato Libertà Toscana, e Maurizio Pernice, attivista localista e ambientalista ed ex consigliere comunale di Collesalvetti. Anche qui, il nome in sé non è un problema o qualcosa di particolare; nemmeno ci si sconvolge a leggere che "nel Patto ci sono tanti apporti: liste civiche, gruppi ambientalisti, esponenti del mondo venatorio e agricolo, movimenti autonomisti, gruppi di attivismo sociale e per i valori umani (per una economia umanistica, ancorata al lavoro locale), gruppi di democratici cristiani, socialisti, liberali, alla ricerca di un'alternativa moderata nei toni, ma innovativa nei contenuti, ai due vecchi poli, con il loro personale politico vecchio: centrodestra e centrosinistra, in varie forme, sono al potere da un quarto di secolo, più o meno con le stesse facce, gli stessi carri armati, le stesse ruspe".
Il fatto è che, allegato all'atto costitutivo, c'è pure il simbolo e basta scorrere la pagina del Comitato libertà Toscana in cui il comunicato di presentazione è riportato per fare un salto sulla sedia. Perché, se nel semicerchio superiore bianco sono del tutto innocui il nome della lista e la sagoma verde della regione Toscana (assieme alle righe rosse e bianche che ricordano i colori della Toscana e anche in parte il simbolo del Clt), nel semicerchio inferiore verde (sì, verde, come la Lega Nord di un tempo!) spicca il cognome "Salvini", assieme all'indicazione del nome e della carica di presidente, ovviamente in bianco e in corpo assai più piccolo.
Leggendo e vedendo tutto questo, chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica non può non esclamare: "Riecco il metodo Rabellino!" o, per i più sofisticati, "Operazione Alias - la vendetta!". Già, inutile negarlo: il simbolo presentato non può non ricordare le operazioni che dall'inizio degli anni 2000 hanno reso famoso Renzo Rabellino da Torino, quando nel 2001 concepì il simbolo "(Gianfranco) Rosso sindaco" quando candidato del centrodestra era Roberto Rosso, nel 2006 replicò schierando la lista Franco Buttiglione che non fece piacere al cugino Rocco (candidato del centrodestra) e nel 2008 schierò la sua creatura più famosa, la Lista del Grillo parlante (poi diventata quasi sempre "dei Grilli parlanti" per evitare grane legali) proprio quando si dava per imminente lo sbarco in politica di Beppe Grillo. Rabellino peraltro non si fermò: nel 2010 quando si candidò alla presidenza del Piemonte qualcuno ebbe l'idea di schierare una lista Cota (prima costretta a cambiare il simbolo, poi sospesa); nel 2011 fece presentare come aspirante sindaco a Torino Domenico Coppola mentre il centrodestra schierava Michele Coppola (Domenico divenne consigliere, ma fu stroncato da un'infarto la sera stessa dell'elezione); nel 2013 tentò di far presentare al Viminale il simbolo "Monti presidente" legato a un certo Samuele Monti, consigliere a Frabosa Soprana per il Grillo parlante (emblema puntualmente bocciato, a dispetto dei ricorsi) e sfiorò l'impresa di far eleggere un consigliere regionale in Lazio con la Lega centro per Storace senza uno straccio di campagna elettorale, affidandosi solo al cognome del candidato presidente (con cui la lista era collegata) scritto a caratteri cubitali. L'ultima zampata attribuitagli risale al 2016, quando alle comunali di Roma fece presentare la Lista del Grillo parlante, ma sulla scheda c'era anche la sua Lega centro con Giovanni Salvini e Viva l'Italia con Tiziana Meloni (con i cognomi dei politici giganteschi spariti dopo l'intervento della commissione elettorale, trasformati rispettivamente in "Salviamo" e "Gioia!").
L'associazione di idee è inevitabile, ma naturalmente da qui a dire che Rabellino - ormai inattivo da anni, assieme al suo gruppo e per la disperazione dei maniaci compulsivi di elezioni -. ha qualche responsabilità in questa vicenda ce ne corre. Certamente è possibile che chi ha pensato a quest'operazione sia a conoscenza dei precedenti, come pure delle seccature che la Lega Nord lamentò nel 2015 per la presenza di una Lega Toscana - Più Toscana, presentata da un altro consigliere regionale ex leghista e alleata di Forza Italia: inizialmente le liste erano state escluse, ma il Tar e il Consiglio di Stato le avevano riammesse, precisando che "il termine 'Lega', sia pure assurto nell’ultimo ventennio come automatica definizione della Lega Nord, non può essere ritenuto gravato dal diritto di esclusiva da parte di questo importante partito nazionale" e che "la presenza di fuoriusciti [...] è negli anni correnti un fenomeno purtroppo usuale di tutta la politica italiana e ove il loro “spostamento” da un partito ad un altro venisse ad assurgere ad esclusione di liste, porterebbe ad una semiparalisi di tutte le competizioni amministrative e politiche che si tengono in Italia". Certamente Salvini e il candidato alla presidenza Claudio Borghi non furono contenti, ma si misero il cuore in pace nel vedere che la lista aveva raccolto solo lo 0,6%.
Richiamati questi precedenti, occorre mettere in luce le particolarità di questo caso, che lo rendono particolarmente spinoso per la Lega e la sua candidata. Innanzitutto qui non solo effettivamente c'è un Salvini candidato alla presidenza della regione (e questo, per molti, basterebbe a consentirgli di inserire il proprio cognome nel simbolo, anche se - casualmente! - questo ricorda assai più facilmente il patronimico di persone ben più famose): il Salvini in questione (cioè Roberto), infatti, è anche consigliere regionale uscente, dunque la sua candidatura è assai più plausibile e non sarebbe così semplice sostenere che la sua indicazione sul simbolo è del tutto temeraria e sorretta solo da fini confusori. Qualcuno potrebbe forse negare a un consigliere uscente - come Eugenio Giani, per dire - la facoltà di candidarsi alla presidenza e di identificare la sua lista con il proprio cognome nel contrassegno? In più, il fatto che "Salvini" sia scritto in giallo sì (come per l'ex Carroccio), ma su fondo verde potrebbe apparire come un elemento distintivo dei due contrassegni: se proprio fosse ravvisata confondibilità tra loro, sarebbe sufficiente scrivere il "Salvini" toscano in bianco, come ai vecchi tempi. 
Già questo potrebbe essere sufficiente per incutere alla Lega non certo paura, ma almeno qualche preoccupazione: l'accostamento del vecchio colore leghista a Salvini, tra l'altro, potrebbe calamitare il voto di qualche leghista vecchia maniera, così come potrebbe chiarire ad elettrici ed elettori che, se vogliono votare il Salvini sovranista, devono cercare quello con Alberto da Giussano e il fondo blu. Quelle preoccupazioni per (Matteo) Salvini e Ceccardi, peraltro, sarebbero assai meno forti se il promotore della lista non fosse consigliere regionale uscente: a ciascun membro del gruppo misto, infatti, la legge elettorale toscana consente di essere presentata con il sostegno di sole dieci firme di elettrici/elettori di ogni circoscrizione, invece che 525 o 700 (a seconda della popolazione). Anzi, vista la riduzione a un terzo delle firme richieste a causa dell'emergenza Coronavirus, quella lista potrebbe limitarsi a presentare 3 firme per circoscrizione, invece che 175 o 233 (cifre che sarebbero comunque alla portata). In parole povere, ciò significa che il simbolo della lista Patto per la Toscana, probabilmente col cognome "Salvini", sarà presente in ogni circoscrizione, a meno ovviamente di vizi nella presentazione.
Il fac-simile delle regionali del 2015 di Firenze 1
Certo non sarà difficile al Salvini sovranista e all'aspirante presidente Ceccardi invitare i militanti a fare attenzione, a non correre e a non guardare solo il cognome. Sarà pure interessante vedere la disposizione dei simboli sulla scheda e, tra l'altro, proprio Ceccardi potrebbe aver ricevuto un aiuto insospettabile (e non voluto) dalla maggioranza uscente: il modello di scheda, infatti, non è più quello del 2015, (simile a quello delle elezioni amministrative per i comuni superiori adottato nel 2014) con ciascuna candidatura alla presidenza inserita in un rettangolo basso e largo, uguale per ogni aspirante, e sotto i simboli con le liste, in fila per due. 
Il fac-simile della nuova scheda (dal BURT)
Di fatto la nuova scheda somiglia molto a quella in uso prima del 2015 (e vista all'inizio dell'anno anche in Emilia-Romagna), anche se accanto ai contrassegni resta l'intera lista e non le righe per le preferenze. Ogni aspirante presidente ha alla sua sinistra la sua coppia simbolo-lista o, in caso, di coalizione, tutte le coppie simbolo-lista "impilate" una sull'altra; ne consegue che, più ampia è la coalizione, più grande e vuoto è il rettangolo che contiene la rispettiva candidatura a presidente. Questo ha certamente degli svantaggi, a partire dal fatto che le schede affollate devono essere allargate e chi vota è portato a dare il voto solo a chi si candida come presidente, senza mettere anche una croce su un simbolo, oppure a praticare il voto "disgiunto" (e proprio per questi motivi si era provveduto al cambio di scheda). Quando invece all'inizio di luglio si è adottata la scheda nuova, subito qualcuno ha pensato che tutto sommato potesse far comodo far convogliare molti voti sul candidato alla presidenza sostenuto da un'ampia coalizione, anche solo per giustificare il calo dei voti dei singoli partiti (a partire dal Pd); anche per questo, era stato adito il Consiglio di garanzia regionale, che però ha ritenuto infondate le censure dei gruppi consiliari di Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega. Ora, però, la nuova scheda potrebbe tornare utile a Susanna Ceccardi: basterebbe dire che il Salvini giusto è quello con più spazio sulla destra...