Per un attimo viene da domandarselo, con una certa serietà: siamo in Toscana o in Piemonte? Nessuna confusione geografica, ovviamente, per regioni che non sono nemmeno confinanti tra loro; a settembre, per giunta, in Toscana si vota per le elezioni regionali, mentre gli elettori piemontesi hanno già dato lo scorso anno eleggendo come presidente Alberto Cirio. Eppure la domanda è tutto meno che campata in aria e, se posta a chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica, è di quelle che mettono subito in allarme.
Giusto tre giorni fa - anche se le prime voci circolano da giugno - è stata annunciata la candidatura a presidente della regione Toscana di Roberto Salvini, consigliere regionale uscente, eletto nel 2015 proprio nelle liste della Lega Nord, nella circoscrizione di Pisa. Basterebbe questo in effetti per creare la notizia, vista l'identità del cognome del consigliere uscente con l'allora segretario federale leghista nonché attuale leader della Lega per Salvini Premier. L'interesse può chiaramente aumentare se si considera che proprio Salvini (inteso Roberto) ottenne l'unico posto da consigliere spettante alla Lega Nord facendo il pieno di preferenze, battendo di 1100 voti l'attuale candidata alla presidenza dell'intero centrodestra, Susanna Ceccardi: certamente il cognome aiutò, ma per ottenere quei voti l'aspirante consigliere regionale dovette pur sempre fare qualche sforzo, visto che elettrici ed elettori in cabina non potevano scrivere il cognome "Salvini" (magari semplicemente ribattendo il patronimico già scritto a caratteri cubitali nel contrassegno elettorale), ma dovevano cercare sulla scheda il riferimento a Roberto Salvini - visto che in Toscana le candidature sono tutte stampate accanto al simbolo - e mettere la croce nel quadratino a fianco (e non era nemmeno il primo della lista). Salvini (Roberto, ovviamente) era rimasto nel gruppo leghista fino al 2019 quando, dopo la sua proposta choc di copiare le strategie turistiche di altri paesi, comprese "le donne in vetrina", per salvare il turismo termale toscano: dal 1° ottobre fa parte del gruppo misto.
Il punto, però, non è nemmeno questo. Sempre in sede di annuncio di candidatura, Roberto Salvini ha annunciato di aver registrato a Pontedera, presso il notaio Anzellotti, l'atto costitutivo e lo statuto del Patto per la Toscana, assieme a Mauro Vaiani, presidente del Comitato Libertà Toscana, e Maurizio Pernice, attivista localista e ambientalista ed ex consigliere comunale di Collesalvetti. Anche qui, il nome in sé non è un problema o qualcosa di particolare; nemmeno ci si sconvolge a leggere che "nel Patto ci sono tanti apporti: liste civiche, gruppi ambientalisti, esponenti del mondo venatorio e agricolo, movimenti autonomisti, gruppi di attivismo sociale e per i valori umani (per una economia umanistica, ancorata al lavoro locale), gruppi di democratici cristiani, socialisti, liberali, alla ricerca di un'alternativa moderata nei toni, ma innovativa nei contenuti, ai due vecchi poli, con il loro personale politico vecchio: centrodestra e centrosinistra, in varie forme, sono al potere da un quarto di secolo, più o meno con le stesse facce, gli stessi carri armati, le stesse ruspe".
Il fatto è che, allegato all'atto costitutivo, c'è pure il simbolo e basta scorrere la pagina del Comitato libertà Toscana in cui il comunicato di presentazione è riportato per fare un salto sulla sedia. Perché, se nel semicerchio superiore bianco sono del tutto innocui il nome della lista e la sagoma verde della regione Toscana (assieme alle righe rosse e bianche che ricordano i colori della Toscana e anche in parte il simbolo del Clt), nel semicerchio inferiore verde (sì, verde, come la Lega Nord di un tempo!) spicca il cognome "Salvini", assieme all'indicazione del nome e della carica di presidente, ovviamente in bianco e in corpo assai più piccolo.
Leggendo e vedendo tutto questo, chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica non può non esclamare: "Riecco il metodo Rabellino!" o, per i più sofisticati, "Operazione Alias - la vendetta!". Già, inutile negarlo: il simbolo presentato non può non ricordare le operazioni che dall'inizio degli anni 2000 hanno reso famoso Renzo Rabellino da Torino, quando nel 2001 concepì il simbolo "(Gianfranco) Rosso sindaco" quando candidato del centrodestra era Roberto Rosso, nel 2006 replicò schierando la lista Franco Buttiglione che non fece piacere al cugino Rocco (candidato del centrodestra) e nel 2008 schierò la sua creatura più famosa, la Lista del Grillo parlante (poi diventata quasi sempre "dei Grilli parlanti" per evitare grane legali) proprio quando si dava per imminente lo sbarco in politica di Beppe Grillo. Rabellino peraltro non si fermò: nel 2010 quando si candidò alla presidenza del Piemonte qualcuno ebbe l'idea di schierare una lista Cota (prima costretta a cambiare il simbolo, poi sospesa); nel 2011 fece presentare come aspirante sindaco a Torino Domenico Coppola mentre il centrodestra schierava Michele Coppola (Domenico divenne consigliere, ma fu stroncato da un'infarto la sera stessa dell'elezione); nel 2013 tentò di far presentare al Viminale il simbolo "Monti presidente" legato a un certo Samuele Monti, consigliere a Frabosa Soprana per il Grillo parlante (emblema puntualmente bocciato, a dispetto dei ricorsi) e sfiorò l'impresa di far eleggere un consigliere regionale in Lazio con la Lega centro per Storace senza uno straccio di campagna elettorale, affidandosi solo al cognome del candidato presidente (con cui la lista era collegata) scritto a caratteri cubitali. L'ultima zampata attribuitagli risale al 2016, quando alle comunali di Roma fece presentare la Lista del Grillo parlante, ma sulla scheda c'era anche la sua Lega centro con Giovanni Salvini e Viva l'Italia con Tiziana Meloni (con i cognomi dei politici giganteschi spariti dopo l'intervento della commissione elettorale, trasformati rispettivamente in "Salviamo" e "Gioia!").
L'associazione di idee è inevitabile, ma naturalmente da qui a dire che Rabellino - ormai inattivo da anni, assieme al suo gruppo e per la disperazione dei maniaci compulsivi di elezioni -. ha qualche responsabilità in questa vicenda ce ne corre. Certamente è possibile che chi ha pensato a quest'operazione sia a conoscenza dei precedenti, come pure delle seccature che la Lega Nord lamentò nel 2015 per la presenza di una Lega Toscana - Più Toscana, presentata da un altro consigliere regionale ex leghista e alleata di Forza Italia: inizialmente le liste erano state escluse, ma il Tar e il Consiglio di Stato le avevano riammesse, precisando che "il termine 'Lega', sia pure assurto nell’ultimo ventennio come automatica definizione della Lega Nord, non può essere ritenuto gravato dal diritto di esclusiva da parte di questo importante partito nazionale" e che "la presenza di fuoriusciti [...] è negli anni correnti un fenomeno purtroppo usuale di tutta la politica italiana e ove il loro “spostamento” da un partito ad un altro venisse ad assurgere ad esclusione di liste, porterebbe ad una semiparalisi di tutte le competizioni amministrative e politiche che si tengono in Italia". Certamente Salvini e il candidato alla presidenza Claudio Borghi non furono contenti, ma si misero il cuore in pace nel vedere che la lista aveva raccolto solo lo 0,6%.
Richiamati questi precedenti, occorre mettere in luce le particolarità di questo caso, che lo rendono particolarmente spinoso per la Lega e la sua candidata. Innanzitutto qui non solo effettivamente c'è un Salvini candidato alla presidenza della regione (e questo, per molti, basterebbe a consentirgli di inserire il proprio cognome nel simbolo, anche se - casualmente! - questo ricorda assai più facilmente il patronimico di persone ben più famose): il Salvini in questione (cioè Roberto), infatti, è anche consigliere regionale uscente, dunque la sua candidatura è assai più plausibile e non sarebbe così semplice sostenere che la sua indicazione sul simbolo è del tutto temeraria e sorretta solo da fini confusori. Qualcuno potrebbe forse negare a un consigliere uscente - come Eugenio Giani, per dire - la facoltà di candidarsi alla presidenza e di identificare la sua lista con il proprio cognome nel contrassegno? In più, il fatto che "Salvini" sia scritto in giallo sì (come per l'ex Carroccio), ma su fondo verde potrebbe apparire come un elemento distintivo dei due contrassegni: se proprio fosse ravvisata confondibilità tra loro, sarebbe sufficiente scrivere il "Salvini" toscano in bianco, come ai vecchi tempi.
Già questo potrebbe essere sufficiente per incutere alla Lega non certo paura, ma almeno qualche preoccupazione: l'accostamento del vecchio colore leghista a Salvini, tra l'altro, potrebbe calamitare il voto di qualche leghista vecchia maniera, così come potrebbe chiarire ad elettrici ed elettori che, se vogliono votare il Salvini sovranista, devono cercare quello con Alberto da Giussano e il fondo blu. Quelle preoccupazioni per (Matteo) Salvini e Ceccardi, peraltro, sarebbero assai meno forti se il promotore della lista non fosse consigliere regionale uscente: a ciascun membro del gruppo misto, infatti, la legge elettorale toscana consente di essere presentata con il sostegno di sole dieci firme di elettrici/elettori di ogni circoscrizione, invece che 525 o 700 (a seconda della popolazione). Anzi, vista la riduzione a un terzo delle firme richieste a causa dell'emergenza Coronavirus, quella lista potrebbe limitarsi a presentare 3 firme per circoscrizione, invece che 175 o 233 (cifre che sarebbero comunque alla portata). In parole povere, ciò significa che il simbolo della lista Patto per la Toscana, probabilmente col cognome "Salvini", sarà presente in ogni circoscrizione, a meno ovviamente di vizi nella presentazione.
Certo non sarà difficile al Salvini sovranista e all'aspirante presidente Ceccardi invitare i militanti a fare attenzione, a non correre e a non guardare solo il cognome. Sarà pure interessante vedere la disposizione dei simboli sulla scheda e, tra l'altro, proprio Ceccardi potrebbe aver ricevuto un aiuto insospettabile (e non voluto) dalla maggioranza uscente: il modello di scheda, infatti, non è più quello del 2015, (simile a quello delle elezioni amministrative per i comuni superiori adottato nel 2014) con ciascuna candidatura alla presidenza inserita in un rettangolo basso e largo, uguale per ogni aspirante, e sotto i simboli con le liste, in fila per due.
Di fatto la nuova scheda somiglia molto a quella in uso prima del 2015 (e vista all'inizio dell'anno anche in Emilia-Romagna), anche se accanto ai contrassegni resta l'intera lista e non le righe per le preferenze. Ogni aspirante presidente ha alla sua sinistra la sua coppia simbolo-lista o, in caso, di coalizione, tutte le coppie simbolo-lista "impilate" una sull'altra; ne consegue che, più ampia è la coalizione, più grande e vuoto è il rettangolo che contiene la rispettiva candidatura a presidente. Questo ha certamente degli svantaggi, a partire dal fatto che le schede affollate devono essere allargate e chi vota è portato a dare il voto solo a chi si candida come presidente, senza mettere anche una croce su un simbolo, oppure a praticare il voto "disgiunto" (e proprio per questi motivi si era provveduto al cambio di scheda). Quando invece all'inizio di luglio si è adottata la scheda nuova, subito qualcuno ha pensato che tutto sommato potesse far comodo far convogliare molti voti sul candidato alla presidenza sostenuto da un'ampia coalizione, anche solo per giustificare il calo dei voti dei singoli partiti (a partire dal Pd); anche per questo, era stato adito il Consiglio di garanzia regionale, che però ha ritenuto infondate le censure dei gruppi consiliari di Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega. Ora, però, la nuova scheda potrebbe tornare utile a Susanna Ceccardi: basterebbe dire che il Salvini giusto è quello con più spazio sulla destra...
Già questo potrebbe essere sufficiente per incutere alla Lega non certo paura, ma almeno qualche preoccupazione: l'accostamento del vecchio colore leghista a Salvini, tra l'altro, potrebbe calamitare il voto di qualche leghista vecchia maniera, così come potrebbe chiarire ad elettrici ed elettori che, se vogliono votare il Salvini sovranista, devono cercare quello con Alberto da Giussano e il fondo blu. Quelle preoccupazioni per (Matteo) Salvini e Ceccardi, peraltro, sarebbero assai meno forti se il promotore della lista non fosse consigliere regionale uscente: a ciascun membro del gruppo misto, infatti, la legge elettorale toscana consente di essere presentata con il sostegno di sole dieci firme di elettrici/elettori di ogni circoscrizione, invece che 525 o 700 (a seconda della popolazione). Anzi, vista la riduzione a un terzo delle firme richieste a causa dell'emergenza Coronavirus, quella lista potrebbe limitarsi a presentare 3 firme per circoscrizione, invece che 175 o 233 (cifre che sarebbero comunque alla portata). In parole povere, ciò significa che il simbolo della lista Patto per la Toscana, probabilmente col cognome "Salvini", sarà presente in ogni circoscrizione, a meno ovviamente di vizi nella presentazione.
Il fac-simile delle regionali del 2015 di Firenze 1 |
Il fac-simile della nuova scheda (dal BURT) |
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