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domenica 26 aprile 2020

Addio a Giulietto Chiesa, ecco tutti i suoi simboli


Si è appreso oggi, attraverso l'annuncio fatto da Vauro (Senesi), della morte di Giulietto Chiesa. In molti ne hanno già ricordato la lunga attività giornalistica, in particolare come corrispondente da Mosca, prima per l'Unità e poi per varie altre testate, di carta stampata o televisive; c'è chi ha posto maggiormente l'accento sulla sua vita più recente, legata soprattutto alla sua attività di blogger e di fondatore-coordinatore di Pandora Tv. Non è però il caso di trascurare l'attività politica di Chiesa, né di limitarla alla sua esperienza da parlamentare europeo, anche se - a suo modo - ne ha costituito il punto di svolta.
La militanza più lunga della vita del giornalista, in ogni caso, è probabilmente quella legata al Partito comunista italiano, per cui Giulietto Chiesa era stato dirigente e consigliere comunale (a Genova, dal 1975 al 1979, esercitando il ruolo di capogruppo). La sua militanza in quell'area sarebbe proseguita oltre la svolta di Rimini, con l'adesione o almeno la vicinanza al Partito democratico della sinistra e ai Democratici di sinistra (non se ne sono messi i simboli nella grafica solo perché non c'è certezza di quell'appartenenza); eppure l'esperienza elettiva più importante della sua vita è avvenuta sotto altre insegne, anche piuttosto distanti da quelle d'origine.
Nel 2004, infatti, Chiesa è stato eletto al Parlamento europeo nella circoscrizione Nord-Ovest, in rappresentanza della Lista Di Pietro-Occhetto - Società civile, con 13.664 preferenze: si classificò terzo, ma il seggio toccò a lui perché il più votato, Antonio Di Pietro, aveva optato per l'elezione nella circoscrizione Sud, mentre Achille Occhetto, secondo più votato (circa 200 preferenze in più di Chiesa), aveva preferito rimanere al Senato, dov'era stato eletto sotto il simbolo dell'Ulivo. Tanto Occhetto quanto Chiesa avevano partecipato alla lista Società civile da indipendenti, come rappresentanti dei "Riformatori per l'Ulivo", anzi, "Riformatori per il nuovo Ulivo", gruppo più o meno informale che avrebbe voluto diffondere il verbo e il disegno ulivista anche in liste diverse da Uniti nell'Ulivo (in cui Di Pietro non era stato fatto entrare soprattutto per opposizione dei socialisti dello Sdi). 
Non a caso, nella prima versione del simbolo della lista di Di Pietro e Occhetto era presente il riferimento "Per il nuovo Ulivo", ma dovette sparire quando l'avvocato degli ulivisti, Andrea Zoppini, lamentò l'uso del simbolo senza titolo e autorizzazione (con conseguente scambio di accuse) tra le parti. Una situazione imbarazzante, a poche settimane dal voto, che indusse, tra l'altro, Edmondo Berselli a domandarsi proprio in quei giorni sulla Repubblica: "Ma esiste l'Ulivo, ed esiste davvero un'entità chiamata centrosinistra? Oppure esiste soltanto un congegno politico 'celibe', un'articolazione di ex partiti che in realtà non sanno come rivolgersi all'opinione pubblica?"
A dispetto dell'inizio traballante, arrivò un risultato elettorale almeno decente, quello che portò Chiesa in Parlamento e che, dal 2006 - dopo che Di Pietro optò per il seggio parlamentare in Italia - ripescò proprio Occhetto come secondo eletto, con entrambi che finirono per aderire al gruppo del Partito socialista europeo e non a quello dell'Alde (cui invece si riferiva l'Idv). Entrambi, nel frattempo, avevano dato vita all'associazione Il Cantiere per il bene comune, con un'inedita C geometrica arcobaleno come simbolo (simile a certe geometrie proposte nel corso del tempo da Ettore Vitale): costituita con atto notarile datato 14 gennaio 2005, vide come fondatori anche Antonello Falomi, Diego Novelli, Elio Veltri e Paolo Sylos Labini e operò per un po' di tempo con l'intenzione di svolgere "un servizio democratico che fornisce i terreni di confronto, apre tavoli programmatici, suscita e coordina iniziative" tra classe politica e società civile (così si leggeva nella Carta d'intenti). Accanto a quell'impegno, peraltro, le cronache hanno dato conto di un contenzioso lungo e doloroso (oltre che, a quanto risulta, non ancora del tutto esaurito) dell'associazione Il Cantiere con Di Pietro a proposito dei "rimborsi" elettorali che l'associazione (come soggetto che aveva raccolto l'eredità politica dei Riformatori per il nuovo Ulivo) rivendicava come partner della lista, mentre per l'Italia dei valori nulla spettava perché, tra l'altro, all'atto della candidatura Chiesa e Occhetto avevano riconosciuto alla stessa Idv il diritto a richiedere e impiegare i finanziamenti pubblici.
Finita la legislatura del Parlamento europeo, Chiesa decise di ricandidarsi, ma non in Italia: nel 2009 fu infatti tra i candidati di PCTVL (Par cilvēka tiesībām vienotā Latvijā), formazione lettone legata alla minoranza russa, che come simbolo aveva un'ape con pungiglione. La lista ottenne un'eletta e Chiesa non tornò a Bruxelles; quel precedente, tuttavia, spinse qualcuno a fantasticare sulla possibilità che nel 2014 Silvio Berlusconi si sarebbe potuto candidare in un altro paese europeo, pur di aggirare l'incandidabilità che allora lo colpiva in Italia. 
Tornando a Chiesa, anche dopo la fine della sua esperienza da europarlamentare, continuò a guardare con interesse alla politica. Lo fece, ad esempio, quando all'inizio del 2010 fondò l'associazione politica "Alternativa - Laboratorio Politico-Culturale internazionale", soggetto che - lo si legge sullo statuto - "nasce dalla consapevolezza che l'umanità si trova di fronte a una svolta epocale, determinata dall'impossibilità di proseguire uno sviluppo distruttore delle relazioni umane e delle risorse del pianeta, quale è stato quello degli ultimi tre secoli. Ciò che si annuncia [...] è la fine della società umana come la conosciamo e l'avvio di una transizione verso una società radicalmente diversa, dove tutte le relazioni sociali saranno dettate dalla limitatezza delle risorse disponibili e dalla necessità di un loro uso in termini di sostenibilità, di solidarietà, di giustizia sociale e di democrazia effettiva. Alternativa si pone il compito di diffondere questi concetti e di contribuire a organizzare un movimento consapevole di comunità e popoli, capace di affrontare le difficili tappe di questa transizione inevitabile", imperniate sui concetti di sovranità popolare e di solidarietà umana, "che dovrà sostituire la concorrenza tra individui e popoli". Nessun vero simbolo per l'associazione: solo un logo, con la "A" verde di "Alternativa" abbinata a una stella rossa e a un'esile freccia puntante in alto a destra, su cui la lettera si poggiava.
Giulietto Chiesa sarebbe ricomparso alla fine del 2017, al fianco di Antonio Ingroia, quando insieme lanciarono la Lista del Popolo per la Costituzione in vista delle elezioni politiche del 2018. Nei giorni precedenti era stata annunciata come "la mossa del cavallo" (con gergo degli scacchi e caro ai lettori di Andrea Camilleri), cavallo che poi finì all'interno del simbolo; in compenso, a invocare una "mossa del cavallo capace di scompaginare i vecchi giochi, una mossa che saltando le pedine più vicine vada a coprire una casella vuota dalla quale sia possibile guardare a nuovi orizzonti" era stato Achille Occhetto all'inizio del 2005, in una lettera aperta ad Alberto Asor Rosa. Evidentemente quella suggestione doveva essere rimasta in testa anche a Chiesa, tanti anni dopo l'esperienza del Cantiere occhettiano. La lista arrivò sulle liste - con molta fatica a causa delle firme da raccogliere - e in effetti andò piuttosto male, dovendosi accontentare di poco meno di 10mila voti (0,03%). Quello fu l'ultimo impegno politico certo di Giulietto Chiesa. Non lo si giudica qui, come non se ne giudica nessun altro: si lascia a ogni lettore decidere l'importanza e l'opportunità di ogni pagina. Anche se, nella personalissima idea di chi scrive, difficilmente qualcosa prevale sul ritratto di "un uomo ancora capace di piangere per l'orrore della guerra", come ha scritto oggi Vauro. Anche per questo, sia lieve la terra a Chiesa. Comunque sia, ovunque sia o volesse essere.

venerdì 17 novembre 2017

La Mossa del cavallo: Ingroia e Chiesa per una Lista del Popolo

Era stata annunciata pochi giorni fa la presentazione - avvenuta ieri alla sala stampa della Camera - di una nuova iniziativa politica, denominata La Mossa del cavallo. Al di là della particolarità del nome scelto, di ascendenze scacchistiche e camilleriane, non aveva mancato di scatenare ironie e critiche feroci in ambienti politici e giornalistici il fatto che a guidare il progetto fossero Giulietto Chiesa, cronista di lunghissimo corso e già parlamentare europeo eletto nel 2004 nella lista Di Pietro-Occhetto (esperienza peraltro chiusa male sul piano dei rimborsi elettorali, come cronache anche recenti hanno ricordato) e soprattutto Antonio Ingroia, già magistrato antimafia, scelto come capo della lista Rivoluzione civile nel 2013 (fuori dal Parlamento, essendo rimasta sotto al 4%) e tuttora a capo del suo movimento Azione civile, erede di quella non fortunata avventura politica.
Cosa stia dietro a quel nome "apparentemente bizzarro e intenzionalmente provocatorio", l'ha spiegato Ingroia, sgombrando subito il campo da alcune ipotesi: "Noi non siamo e non saremo mai un partito, anzi, con questo appello al popolo noi proponiamo un'alleanza tra cittadini contro i partiti, principali responsabili del disastro in cui ci troviamo". Ha negato anche con convinzione che il progetto politico nascente sia di sinistra, a dispetto della storia politica sua e di Chiesa: "Oggi la parola sinistra non significa più nulla, noi guardiamo a quel 60% di elettori che hanno già deciso oggi di non votare alle prossime elezioni, un vulnus alla democrazia e vogliamo dare un contributo per cercare di cambiare la situazione".
Il contributo, dunque, non passa attraverso la costituzione di un partito ("e nemmeno di un movimento, almeno per ora, quindi non chiediamo ai cittadini di iscriversi"), ma si traduce nella proposta della "necessità che quel 60% di possibili astenuti dal voto di non essere vittime delle scelte altrui: tutti noi cittadini - ha continuato Ingroia - abbiamo diritto di dire la nostra, ribellandoci a un sistema ignobile che ha stracciato e quotidianamente straccia la Costituzione italiana". Inevitabile il riferimento al referendum sulla riforma costituzionale: "noi abbiamo vinto, è stata una vittoria straordinaria", ha rimarcato Ingroia, cercando di proporre il nuovo progetto politico come (unico e ideale?) collettore apartitico e antipartitico dell'esito di quella consultazione, a dispetto delle posizioni nette prese dai partiti sul fronte del No. Quello del 4 dicembre, tuttavia, sarebbe stato solo un punto di partenza, occorrendo una "offensiva costituzionale" di cui La Mossa del cavallo vuole essere un punto di partenza.  
Il nome del progetto politico, però, non sarà l'etichetta della formazione elettorale che il gruppo spera di riuscire a presentare nel 2018 (ammesso che si riescano a raccogliere le firme, "un carro armato che ci è stato messo sulla testa", ha denunciato Chiesa). Il nome scelto è Lista del Popolo per la Costituzione, ma ci sarà comunque un cavallo con cavaliere nel simbolo, "che non sarà quello definitivo", ha precisato una volta di più Ingroia (e forse è un bene, visto che il risultato grafico non pare dei migliori, anche per il fondo arancione, che sicuramente spicca ma non pare troppo armonico). 
Chi si aspettava l'immagine di un cavallo da scacchiera è rimasto deluso (giusto il loghino tricolore a quadrati presente sull'appello agli elettori contenuto nella cartella stampa, volendo usare molta fantasia, può rimandare alla scacchiera), anche se l'ex magistrato ha tenuto a precisare che "Giulietto e io siamo appassionati di scacchi" e ha rivendicato la necessità di una mossa "a sorpresa, non prevedibile, che scavalca le file nemiche". La scelta del cavaliere - con la minuscola - sul destriero che spicca un salto (immagine tratta da un affresco, chissà quale, e sormontata da un arcobaleno tricolore) è invece stata fatta come emblema di quell'offensiva costituzionale che il gruppo ha in mente, per esigere e ottenere l'attuazione "totale" della Carta entrata in vigore il 1° gennaio del 1948 e che aveva, sempre per Ingroia, "un contenuto rivoluzionario, rimasto inascoltato".  
Il gruppo che ha dato vita all'iniziativa presentata ieri si sarebbe allargato giorno per giorno sulla base di una "situazione anomala", denunciata da Giulietto Chiesa: "Siamo in pieno colpo di stato, senza carri armati ma portando il paese per la quarta volta a un'elezione illegale, con una legge elettorale anticostituzionale, prodotta da un Parlamento 'illegale' che darà un altro Parlamento di nominati". Ha contrastato con forza il giornalista l'accusa di voler dividere gli elettori: "Non siamo stati noi a dividere il Paese, semplicemente il Paese non è rappresentato democraticamente, per questo oltre metà degli elettori non va a votare". 
L'idea è di mettere in piedi una lista di persone illustri, oneste, competenti e coraggiose, lo stesso coraggio che per Chiesa avranno gli italiani che voteranno la Lista del Popolo: "Il populismo è importante, è una rivolta dei popoli contro una politica che li ha espropriati. Noi non siamo di destra o di sinistra, stiamo con quelli che sono di sotto per combattere con quelli che stanno di sopra". Due gli obiettivi principali: il primo, voltare pagina rispetto alla situazione di "colonia degli Stati Uniti" per una nuova condizione di neutralità, senza nemici e senza sanzioni ("Spendiamo 60 milioni di euro al giorno per tenere in piedi un sistema difensivo che non ci consentirebbe di combattere nemmeno per una settimana"); il secondo, dire chiaramente che i trattati europei risultano contrari alla Costituzione e devono essere tutti rinegoziati ("Non siamo antieuropeisti, siamo per un'Europa forte e per un'Europa diversa: abbiamo delegato la nostra sovranità e rinunciato alla nostra democrazia a favore di istituzioni che non sono democratiche").   
A presentare il progetto, assieme a Ingroia e Chiesa, c'erano Sandro Diotallevi (avvocato del cattolicesimo sociale, convinto che in Parlamento nessuno stia difendendo i principi ispiratori della Costituzione e che sia necessaria una nuova e diversa partecipazione dei cattolici), Carlotta Balzani (europrogettista, presidente del Comitato salute casentinese, certa della necessità di smetterla con la sanità come "uno dei più grandi business in Italia") e Nicolò Gebbia, generale dei carabinieri in congedo (sostenitore della necessità di dichiarare pubblicamente, per ogni titolare di ufficio pubblico, l'appartenenza a qualunque tipo di loggia massonica). Sostegno all'iniziativa è arrivata anche da storici come Aldo Giannuli (spesso citato come legato al MoVimento 5 Stelle, specie nella fase di revisione della normativa elettorale) e il medievista Franco Cardini, noto per non essere proprio di sinistra (a dispetto di una sua fase guevarista); ci sono anche giornalisti come Fulvio Scaglione (già giornalista di Famiglia Cristiana) e artisti come Davide Riondino
La tabella di marcia prevede il ritrovarsi circa tra un mese - dopo le prime assemblee sui territori - con i cittadini interessati, per un'assemblea ampia che permetta di entrare nel merito dei punti del programma e avvii la costruzione di "un Comitato di liberazione nazionale sul modello di quello che si costruì all'indomani delle macerie del regime fascista": l'idea è di ricostruire il Paese a seguito di un altro ventennio, quello berlusconiano "con gravissime responsabilità della sinistra, anche radicale, che continua a fare gli stessi errori", come ha sostenuto con convinzione Ingroia. Toccherà agli elettori valutare la credibilità della proposta; gli ideatori della lista, nel frattempo, lavoreranno per portare sulla scheda il cavallo che salta, sperando che le zampe non restino imbrigliate dalle firme da raccogliere.