martedì 30 gennaio 2024

Decreto elezioni 2024: cosa c'è, cosa manca (per ora), effetti sui simboli

Risulta in vigore da oggi ed è già stato presentato al Senato per la sua conversione il decreto legge 29 gennaio 2024, n. 7, rubricato "Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali dell'anno 2024 e in materia di revisione delle anagrafi della popolazione residente e di determinazione della popolazione legale". I media hanno messo in luce soprattutto alcuni aspetti di queste norme, a partire dalla possibilità di accorpare le elezioni europee alle altre scadenze elettorali previste in primavera (il turno più nutrito di elezioni amministrative e, probabilmente, almeno le regionali del Piemonte: si vedrà meglio più avanti) nei cosiddetti election days e dall'intervento sui limiti al numero di mandati consecutivi per i sindaci nei comuni fino a 15mila abitanti. Il contenuto del decreto-legge merita comunque di essere approfondito di seguito.
 

Votare per due giorni: istruzioni per l'uso (ed eccezioni)

Per prima cosa, l'articolo 1 prevede che tutte le consultazioni del 2024 (si parla ritualmente anche di referendum, benché non ne siano previsti) si svolgano in un giorno e mezzo, di norma per l'intera domenica (dalle ore 7 alle ore 23) e per metà del lunedì (dalle ore 7 alle ore 15). Il decreto-legge precisa però che la prescrizione non vale per le elezioni già indette, dunque certamente non vale per le regionali della Sardegna, già previste per il 25 febbraio, né per quelle in Abruzzo, convocate per il 10 marzo già lo scorso 19 ottobre (le liste si presenteranno tra il 9 e il 10 febbraio); avranno invece a disposizione 24 ore (16 + 8) le persone chiamate al voto per le elezioni regionali in Piemonte, Basilicata e Umbria, non ancora indette.
Si prevede il voto in un giorno e mezzo anche per le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, ma con le operazioni articolate diversamente. Poiché infatti lo scorso anno il Consiglio dell'Unione Europea ha previsto che il voto per il rinnovo del Parlamento europeo si sarebbe tenuto in tutti i Paesi dell'Unione tra giovedì 6 giugno e domenica 9 giugno 2024, è impossibile votare di lunedì: per conservare il principio stabilito con il decreto, in Italia si è scelto di votare per le elezioni europee per metà della giornata di sabato 8 giugno (dalle ore 14 alle ore 22) e per tutta la giornata di domenica 9 giugno (dalle ore 7 alle ore 23). Le elezioni (amministrative ed eventualmente regionali) che saranno accorpate alle elezioni europee, ovviamente, seguiranno gli stessi orari di apertura dei seggi.
Non è la prima volta in cui in Italia si vota anche di sabato: è accaduto sempre in occasione delle elezioni europee - e amministrative accorpate - nel 2004 (12 e 13 giugno) e nel 2009 (6 e 7 giugno), cioè nel periodo in cui si era ripreso a votare in un giorno e mezzo (mentre alla fine del 2013 si è tornati a un giorno solo, per risparmiare). Si tratta, com'è noto, di una misura volta a rendere più accessibile l'esercizio del diritto di voto, anche se in questo caso non manca qualche - inevitabile - controindicazione pratica. Lo stesso decreto, infatti, precisa che i seggi (gli "uffici elettorali di sezione") dovranno tassativamente essere insediati entro le 9 del sabato (e i presidenti, insieme ai rispettivi segretari, dovranno ricevere il materiale elettorale entro le 7 e 30); le operazioni preliminari, inclusa l'autenticazione delle schede, dovrà concludersi in mattinata, in modo da poter aprire regolarmente i seggi alle 14, tenendoli aperti fino alle 22; la domenica saranno tutti i componenti dell'ufficio elettorale di sezione (e non solo, come il giorno prima, il presidente, il segretario e il personale del comune interessato, oltre che le forze dell'ordine di vigilanza ovviamente) a dover subire una levataccia per poter aprire regolarmente il seggio alle 7, sapendo che dovranno tenerlo aperto fino alle 23. A dispetto della maratona, converrà che presidente, scrutatori e segretario siano ben svegli e lucidi, visto che - subito dopo la chiusura della sezione, il riscontro dei votanti e il sigillo alle eventuali urne "da rinviare" - dovranno iniziare lo scrutinio delle schede delle elezioni europee, prestando particolare attenzione alle preferenze espresse e verificando che, qualora siano indicati due o tre nomi, siano presenti entrambi i generi (storicamente le persone che si candidano alle elezioni europee sono meno note rispetto a quelle che si presentano alle comunali o alle regionali, quindi occorre che qualcuno nel seggio controlli sempre sui manifesti delle candidature). Finite le operazioni e sigillata la sezione, si potrà andare a dormire un po' di più, in attesa di ritrovarsi al seggio alle 14 del lunedì per scrutinare le altre schede eventualmente rimaste (quelle delle elezioni regionali e comunali, nei territori interessati da quei voti).

Le norme sulle elezioni amministrative

Un gruppo di disposizioni del decreto-legge n. 7/2024 è dedicato essenzialmente alle elezioni amministrative. Oltre ad alcune norme in materia di revisione delle anagrafi della popolazione residente e di determinazione della popolazione legale (quella, in particolare, che determina se un comune ha più di 15mila abitanti, ne ha tra 5mila e 15mila, meno di 5mila o è "sotto i mille", con l'applicazione delle rispettive regole elettorali), si precisa che in tutti i comuni capoluoghi di provincia - e, nelle province con nome composto, la regola vale per tutti i comuni ricompresi nella denominazione - si applica il sistema elettorale previsto per i comuni "superiori" (con le candidature a sindaco sostenute da una o più liste e la previsione di un eventuale ballottaggio se nessuna persona ha superato il 50% dei voti al primo turno), anche se la popolazione fosse inferiore a 15mila abitanti (la norma non vale per i comuni compresi nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano).
Si è molto parlato poi delle modifiche ai limiti ai mandati consecutivi dei sindaci: in particolare, se per i comuni superiori nulla cambia (si possono svolgere al massimo due mandati consecutivi, essendone possibile un terzo solo se uno dei due precedenti è durato meno di due anni e mezzo e non per dimissioni volontarie), per i comuni con popolazione tra 5mila e 15mila abitanti è possibile svolgere tre mandati consecutivi, mentre non è più previsto alcun limite per i comuni con popolazione fino a 5mila abitanti. La norma, che modifica stabilmente le regole prima in vigore (ovviamente fino a eventuali altre modifiche), muove dalla consapevolezza che "nei comuni di minore dimensione demografica risulta di fatto spesso problematico individuare candidature per la carica di primo cittadino, per cui il divieto di rielezione per un terzo mandato comporta rilevanti criticità", a partire dal rischio che non si presenti nessuno (con conseguente commissariamento) o che ci sia solo un candidato (eventualità di cui si dirà tra poco): permettere un terzo mandato consecutivi (o, nei comuni fino a 5mila abitanti) consentirebbe dunque di ridurre i problemi appena citati e di immaginare una programmazione politica potenzialmente a lungo termine; non sono però mancate voci critiche, secondo le quali, in questo modo, si consente di fatto a una persona di guidare un comune per quindici anni di fila - e anche di più, in ipotesi "fino alla consunzione", nei comuni più piccoli - non favorendo la formazione di nuove classi dirigenti locali e, nelle ipotesi peggiori, non scoraggiando il costituirsi di relazioni di potere durature. 
L'inserimento di queste disposizioni sul numero dei mandati, per qualcuno, potrebbe essere il presupposto per elevare a tre mandati consecutivi il limite anche per i presidenti delle giunte regionali; si tratta però di una partita molto delicata (si dovrebbe intervenire sulla "legge cornice" statale che detta i principi in materia di elezioni regionali, la n. 165/2004) e dall'esito per niente scontato (anche perché il presidente della giunta regionale è molto più simile al sindaco di un comune "superiore", per il quale il limite è ancora di due mandati consecutivi, rispetto alla figura che guida un comune "inferiore")
Il decreto-legge contiene poi una norma valida solo per le elezioni ammnistrative del 2024, anche se di fatto ripropone norme previste in passato, sempre una tantum (in decreti-legge o in sede di conversione), dal 2021: nei comuni fino a 15mila abitanti, se è stata ammessa una sola lista, le elezioni sono valide (e tutti i candidati sono eletti) purché vada a votare almeno il 40% delle persone aventi diritto - non computando nel corpo elettorale gli iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) che non si siano recati alle urne - e purché la lista abbia ottenuto almeno il 50% dei voti espressi (percentuale calcolata quindi su tutte le schede votate, incluse quelle bianche e quelle nulle). Si tratta, com'è noto a chi frequenta questo sito, di una delle previsioni contenute nel d.d.l. a prima firma di Luigi Augussori presentato nella scorsa legislatura (e approvato in Senato nel 2021, senza finire il suo percorso alla Camera) e ribattute nell'identico disegno di legge presentato nel 2022 da Daisy Pirovano (approvato meno di un anno fa a Palazzo Madama e tuttora all'esame della commissione competente di Montecitorio). Mentre però dal 2021 si applicano (pur se ogni volta una tantum) le norme anti-commissariamento, non si è ancora arrivati a reintrodurre un numero esiguo di firme da raccogliere a sostegno delle liste nei comuni sino a mille abitanti: si era arrivati a invocare questa norma dopo i noti casi di "liste di extra muros" in tanti piccolissimi centri e che in vari casi sembravano essere state presentate per ragioni extra-elettorali (non di rado provocando disagi al funzionamento delle istituzioni locali). 
Considerando che qualche norma - incluse quelle sul limite ai mandati consecutivi - non riguarda solo il 2024 ma modificano stabilmente le regole, qualcuno potrebbe anche presentare un emendamento che renda stabile l'intervento sulla validità delle elezioni nei comuni inferiori ed estenda la raccolta delle sottoscrizioni ai comuni "sotto i mille", di fatto sfruttando la corsia preferenziale della conversione del decreto-legge per introdurre una volta per tutte una norma già approvata a larga maggioranza in quella stessa aula di Palazzo Madama ed evitare che si incagli di nuovo alla Camera.

I simboli per le europee, tra date e incognite

Il decreto-legge pubblicato ieri non parla mai dei contrassegni elettorali, ma alcune sue previsioni hanno effetti anche su quella materia. Il testo, infatti, precisa opportunamente che, anche se per rinnovare il Parlamento europeo si comincerà a votare già di sabato, "ai fini del computo dei termini dei procedimenti elettorali, si considera giorno della votazione quello della domenica": questo significa, per quanto soprattutto interessa qui, che il deposito dei simboli che distingueranno le liste per le elezioni europee dovrà essere effettuato presso il Ministero dell'interno dalle ore 8 alle ore 20 di domenica 21 aprile e dalle ore 8 alle ore 16 di lunedì 22 aprile (con la presentazione delle liste tra il 30 aprile e il 1° maggio); per le elezioni amministrative, invece, le liste e tutti gli altri documenti relativi alle candidature (inclusi i contrassegni) si presenteranno nei rispettivi comuni tra venerdì 10 e sabato 11 maggio.
Se queste considerazioni possono già preparare un orizzonte di media primavera per la prossima #MaratonaViminale (pur se più breve di un giorno, come da previsione di legge, rispetto ai tempi dettati per le elezioni politiche), restano alcune incognite, che potrebbero avere effetti anche sulla presentazione dei simboli alle elezioni europee. Occorrerà, in particolare, prestare la massima attenzione agli emendamenti che saranno presentati in commissione e in aula: qualcuno, infatti, potrebbe riguardare sia la soglia di sbarramento, sia l'esenzione dalla raccolta delle firme.
Sul primo punto, non è un mistero che varie forze politiche vedano di buon occhio un abbassamento della soglia del 4% attualmente prevista (e introdotta nel 2009). La clausola di sbarramento non sarebbe obbligatoria, se si riporta alle circoscrizioni infranazionali l'obbligo di prevedere una soglia tra il 2% e il 5% per le circoscrizioni in cui si assegnano più di 35 seggi (così prevede la decisione 2018/994 del Consiglio), mentre l'obbligo ci sarebbe se si considerasse come circoscrizione l'intero territorio nazionale (in cui si assegnano 76 seggii); diverso sarebbe il discorso se si abbassasse l'asticella al 3%, in armonia con la legge elettorale politica. Dalla sua introduzione in avanti, la soglia di sbarramento ha favorito l'aggregazione di forze politiche diverse in liste unitarie: se l'esito elettorale spesso è stato insoddisfacente, quasi sempre la grafica dei rispettivi contrassegni ne ha risentito molto (con soluzioni e accostamenti che hanno prodotto accozzaglie visive o fregi difficili da leggere o da riconoscere). L'abbassamento della soglia potrebbe ridurre questa tendenza, ma non è detto: con il risultato utile maggiormente alla portata, partiti diversi potrebbero comunque cedere alla tentazione di unirsi in federazioni ad hoc, cercando di trovare soluzioni "simboliche" più o meno soddisfacenti.
A monte, però, un altro fattore di complicazione della grafica è costituito dalla ricerca spasmodica di scorciatoie per evitare la raccolta delle sottoscrizioni: alle elezioni europee, per essere presenti in tutta l'Italia, ne occorrono almeno 150mila, perché ne servono almeno 30mila per ognuna delle 5 circoscrizioni; come se non bastasse, la legge chiede che in ognuna delle regioni comprese nella circoscrizione sia raccolto almeno un decimo delle firme, altrimenti la lista è nulla, il che richiede l'impresa quasi impossibile di trovare almeno 3mila sottoscrittori in Valle d'Aosta, Molise e Basilicata. Com'è noto, però, varie forze politiche sono esenti per legge quest'onere: vale, in particolare, per i partiti costituiti in gruppo parlamentare anche in una sola delle Camere (cioè Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia, Noi moderati, Pd, Alleanza Verdi e Sinistra, M5S, Italia viva e Azione, nonché gli autonomisti) o che nell'ultima elezione abbiano presentato candidature "con proprio contrassegno" e abbiano ottenuto almeno un seggio in una delle due Camere (cioè certamente +Europa, Maie, Svp-Patt, Union Valdôtaine e Centro democratico, ma probabilmente anche Campobase). In teoria l'elenco fatto sin qui dovrebbe coprire tutto l'elenco delle forze esenti, considerando che vi risultano incluse tutte le forze che hanno eletto europarlamentari nel 2019 e tutte le quattro liste della coalizione di centrodestra del 2022 (ci si sente di escludere che contino come singoli "partiti esentanti" Udc, Italia al centro e Coraggio Italia, visto che non hanno presentato una propria lista, ma la candidatura era di Noi moderati); resterebbe il caso di Impegno civico, quarta lista del centrosinistra, effettivamente collegata ai candidati di coalizione eletti, ma si dubita che si voglia consentire lo sdoppiamento di quel contrassegno elettorale (e non si è certi che qualcuno voglia riproporre Impegno civico, anche solo come "pulce").
Com'è noto, però, nel 2014 l'Ufficio elettorale per il Parlamento europeo, riammettendo i Verdi Europei, ha aperto la via della candidatura senza firme alle liste espressione di forze politiche che aderiscano a un partito politico europeo che alle ultime elezioni europee abbia ottenuto eletti. In origine si era in concreto ammessa l'esenzione a una lista legata a un partito italiano che fosse membro regolare di un partito europeo rappresentato a Strasburgo (con tanto di quote pagate e di dichiarazione del legale rappresentante del partito europeo) e con un contrassegno di lista contenente tanto le insegne del partito europeo quanto quelle del partito italiano membro: il Viminale aveva tradotto queste circostanze in condizioni per l'ammissione di questo "esonero mediato", ma di fatto nel 2019 gli uffici elettorali circoscrizionali hanno praticato un'interpretazione molto generosa di quei criteri, accettando le liste senza firme anche quando sono state presentate da soggetti politici transnazionali che non erano partiti politici europei iscritti al rispettivo registro o da partiti di altri Paesi europei che hanno eletto un eurodeputato (e confermando che un partito politico europeo può esentare più liste, se presentate da diverse forze politiche a questo affiliate). Quei tentativi - quasi tutti riusciti - di evitare la "caccia alle firme" hanno certamente complicato i rispettivi contrassegni elettorali a causa dell'inserimento delle miniature (le "pulci") dei partiti esoneranti, visto che dell'esenzione riconosciuta a questi ultimi beneficiano anche le liste con "contrassegno composito" in cui si riconosca appunto il partito esonerato. Non è però escluso che qualcuno in Parlamento voglia porre un po' di ordine al fenomeno delle esenzioni, regolando in modo più puntuale l'esonero legato ai partiti europei e magari riducendone l'applicazione (per evitare la frammentazione dell'offerta elettorale e, magari, la possibile presenza di "liste di disturbo"): anche in questo caso, si potrebbe sfruttare la conversione del decreto presentando un emendamento.
Le prossime settimane, dunque, saranno decisive per avere un quadro normativo più netto, in preparazione alla scorpacciata elettorale di primavera.

domenica 21 gennaio 2024

Le Democrazie cristiane, tra ricorsi in Sardegna e citazioni in Campania

AGGIORNAMENTO del 22 gennaio, ore 14:45: Il Tar di Cagliari ha accolto il ricorso della Democrazia cristiana che ha come segretario Totò Cuffaro, che dunque potrà presentare regolarmente le proprie liste con il suo simbolo originario
Dalla sentenza si apprende innanzitutto che la Dc-Cuffaro, di fronte alla ricusazione del contrassegno da parte dell'Ufficio centrale regionale presso la Corte d’Appello di Cagliari, il 19 gennaio aveva comunque depositato un contrassegno alternativo (per ora non noto), ma non voleva comunque "effettuare [...] alcuna acquiescenza al provvedimento impugnato" dell'Ucr, chiedendo appunto la riammissione del primo contrassegno (quello ufficiale del partito, con il drappo crociato su fondo blu) e, in caso di necessità, la concessione di misure cautelari urgenti (incluso il rinvio delle elezioni), anche se a quest'ultimo punto ha rinunciato. Questa mattina la difesa della Dc-Cuffaro ha precisato che il secondo simbolo è stato presentato "a titolo puramente cautelativo [...] con l’intento, dunque, di rinunciare al secondo simbolo in caso di riammissione del simbolo originario"; l'avvocatura dello Stato contestava che in quel modo la Dc avrebbe avuto due simboli a disposizione e questo non sarebbe stato accettabile (non essendo prevista la rinuncia del simbolo sostitutivo), ma per i giudici ha valore la precisazione, nel deposito del simbolo sostitutivo, che si trattava di presentazione solo cautelativa (senza accettare l'esclusione del primo emblema) e il fatto che l'ordinamento non preveda espressamente l'impossibilità di rinunciare al secondo simbolo in caso di riammissione del primo (e, in ogni caso, l'Ufficio centrale regionale non avrebbe dovuto ammettere il simbolo sostitutivo a quelle condizioni, cioè con la prospettazione del ricorso).
Nel merito, il collegio ha richiamato il criterio della diligenza/preparazione "dell'elettore medio", dunque che si debba presupporre che chi vota eserciti "un'attenzione e una capacità non inferiori alla norma di confronto tra i diversi simboli, tali da consentire all'elettore di coglierne le differenze a meno di similitudini vertenti su elementi plurimi e davvero significativi" (a tale proposito si è richiamata la sentenza n. 2487/2015 del Consiglio di Stato, sez. V, che aveva confermato l'ammissibilità della lista Lega Toscana - Più Toscana alle regionali del 2015), escludendo rischi di confondibilità in caso di "elementi di differenziazione [...] prevalenti sugli elementi che accomunavano i due contrassegni" e considerando anche che la diligenza dell'elettore medio contemporaneo è (o dovrebbe considerarsi...) assai maggiore rispetto al passato, visto il "più elevato livello di maturità e di conoscenze acquisite dall'elettorato" (così, per esempio, Tar Venezia, sez. I, sent. n. 6464/2002, che aveva confermato l'ammissibilità della Liga Veneta Repubblica alle comunali di Cittadella).
Così tratteggiato l'elettore "mediamente diligente", per i giudici questi non può confondere il simbolo della Dc-Cuffaro con quello dell'Udc: "i due simboli - si legge - hanno in comune il solo elemento cromatico centrale bianco e rosso, ma si differenziano su tutti i restanti elementi", con lo scudo crociato con scritta "Libertas" per l'Udc e la bandiera/drappo senza scritta (e con sviluppo orizzontale, non verticale) per la Dc-Cuffaro; anche i colori dello sfondo (blu scuro per la Dc, azzurro per l'Udc) e le scritte sono diversi, quindi "escludere il simbolo della ricorrente per la comunanza cromatica di un solo elemento non è conforme al sopra descritto criterio interpretativo, costantemente adottato nella prassi giurisprudenziale". Non si considera dunque prevalente la "forte valenza simbolica"  o - parametro usato in passato - la "rilevante valenza identificativa" della croce rossa in campo bianco: le differenze contano di più (cosa che non si sarebbe potuta dire in presenza di due scudi).
Per i magistrati, poi, ha molto peso in questo senso - come si è segnalato ieri - che il contrassegno prima bocciato in Sardegna sia stato già ammesso in varie altre competizioni (elezioni politiche 2022, regionali siciliane 2022, elezioni amministrative 2022 e 2023): questo basta per dire che si discute "non già di un simbolo completamente nuovo, per il quale il rischio di confusione è potenzialmente maggiore, bensì di un simbolo già ammesso a precedenti competizioni elettorali, nonché già rappresentato in seno ai relativi organi politici" (non si fa nessun riferimento alla posizione della presentatrice del simbolo, Francesca Donato, che non risulta essere stata eletta con la Dc-Cuffaro, dunque l'argomento - poco probante di per sé - non è stato sottoposto a verifica). Nulla conta, da ultimo, che il simbolo della Dc-Cuffaro somigli a "simboli di altri partiti, diversi dall’Udc (alcuni dei quali avevano anche diffidato l’odierna ricorrente dall’utilizzo del simbolo in discussione)" (il riferimento è probabilmente alla Dc-Rotondi e alla Dc-Cirillo). lo stesso Ufficio centrale regionale non si è minimamente basato su questo argomento nell'escludere il simbolo.
Effetto immediato di questa sentenza (che peraltro ha compensato le spese processuali) è l'ammissibilità delle liste della Dc-Cuffaro, considerando che la decisione è arrivata con anticipo sufficiente sul termine delle ore 20 per il deposito delle liste presso gli uffici circoscrizionali: si ricorda che la Dc non deve raccogliere le firme grazie all'adesione tecnica di Domenico Gallus, quindi le liste volendo si potranno presentare senza problemi (senza bisogno di misure di rinvio).
Lo stesso collegio giudicante ha invece respinto il ricorso della Democrazia cristiana che si riconosce nella segreteria di Antonio Cirillo. Senza valutare ragioni di rito, i giudici hanno ritenuto molto somiglianti i simboli della Dc-Cirillo (la versione inserita nel contrassegno composito con Alleanza Sardegna e Pli) e dell'Udc: in entrambi c'è lo scudo crociato con la scritta "Libertas", elemento dominante rispetto alla scritta "Democrazia cristiana" o ad altri particolari, quindi c'è "una chiara predominanza, qualitativa e quantitativa, degli elementi di somiglianza tra i due simboli rispetto agli elementi che li differenziano, con evidente rischio di confusione per l'elettore medio". Il fatto che il simbolo della Dc-Cirillo sia stato inserito "in miniatura" nel contrassegno composito per i giudici ha peggiorato la situazione, perché ha reso il nome "Democrazia cristiana" ancor meno leggibile, rispetto allo scudo. Se questo è vero, è inutile chiedersi se è stato rispettato il contraddittorio con il depositante dei due contrassegni quasi uguali nel procedimento elettorale preparatorio. 

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Domani sera scadranno i termini per la presentazione delle liste per le elezioni regionali in Sardegna, previste per il 25 febbraio (le candidature alla presidenza della giunta, invece, dovranno essere presentate entro il 25 gennaio). Sempre domani, peraltro, è previsto che il Tar di Cagliari si riunisca per pronunciarsi sui ricorsi presentati contro l'esclusione dei contrassegni dalla competizione elettorale. Nel momento in cui si scrive i ricorsi risultano essere due, entrambi presentati da formazioni politiche denominate "Democrazia cristiana": occorre quindi attenzione per ricostruire correttamente il quadro e capire esattamente quali simboli sono stati esclusi dall'Ufficio centrale regionale e chi sta tentando di farsi riammettere alla competizione (anche prospettando un rinvio della data del voto per poter compiere tutti gli adempimenti legati alla presentazione delle candidature).
Il primo ricorso è quello presentato dalla Democrazia cristiana che si riconosce nella segreteria di Salvatore "Totò" Cuffaro e che il 14 gennaio aveva depositato il proprio contrassegno al posto n. 6 in Corte d'appello a Cagliari. L'Ufficio centrale regionale, però, il 17 gennaio ha escluso quel simbolo e quello della Democrazia cristiana con Rotondi (n. d'ordine 28), ritenendo che questi contengano innanzitutto "elementi letterali, grafici e cromatici palesemente idonei a generare confusione nell'elettore medio", per la presenza in entrambi della dicitura "Democrazia cristiana" su sfondo blu e di una croce rossa in campo bianco: in questo senso, per i membri del collegio non ha importanza che una croce "sia inserita in uno scudo e l'altra in un drappo, attesa la forte valenza simbolica della croce in sé". 
Sempre l'Ufficio centrale regionale ha rilevato la confondibilità di entrambi gli emblemi "per simboli, dati cromatici e diciture con elementi caratteristici del simbolo usato tradizionalmente" dall'Unione democratici cristiani e democratici di centro - Udc, presente tanto in Parlamento quanto in Consiglio regionale e tra i depositanti dei contrassegni anche per le nuove elezioni regionali. In quest'occasione, tra l'altro, l'Udc ha scelto di depositare un simbolo in cui lo scudo crociato è più grande rispetto a quello degli anni precedenti (un po' come avvenuto lo scorso anno) e, soprattutto, nel segmento superiore rosso ha scelto di inserire la propria sigla, creando di fatto un ulteriore punto di somiglianza nel contrassegno della Dc-Cuffaro (che nella parte superiore ha dal 2021-22 l'acronimo Dc). 
L'esclusione dei simboli della Dc-Cuffaro e della Dc-Rotondi, dunque, è avvenuta sulla base dell'art. 8, comma 7 della legge regionale n. 7/1979, in base al quale "Non è ammessa [...] la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento e nel Consiglio regionale possono trarre in errore l'elettore": si tratta, com'è facile verificare, di una disposizione quasi identica all'art. 14, comma 6 del d.P.R. n. 361/1957 (testo unico per l'elezione della Camera dei deputati), cui si aggiunge solo la presenza in Consiglio regionale - oltre che nelle assemblee parlamentari - come fonte di protezione più intensa per un contrassegno, anche ove questo non fosse depositato nella singola competizione elettorale. Mentre tuttavia la Democrazia cristiana con Rotondi ha scelto di depositare un emblema sostitutivo (con la sigla al posto del nome intero e con il disegno della balena bianca su fondo non più blu, ma bianco), la Dc guidata da Cuffaro ha scelto di opporsi alla decisione dell'Ufficio centrale elettorale. 
Gli avvocati della Dc-Cuffaro, in particolare, nel ricorso contestano radicalmente che il simbolo del partito sia confondibile con quello dell'Udc, sostenendo che per rendersene conto basterebbe "analizzarli sinotticamente con serenità". La sigla "Dc" sarebbe diversa da "Udc"; il drappo rettangolare (crociato) senza scritte sarebbe diverso dallo scudo crociato con l'iscrizione "Libertas"; il "blu oltremare" della Dc sarebbe diverso dal fondo azzurro dell'Udc (peraltro sormontato dalla "mezzaluna rossa in testa". L'atto che ha escluso il contrassegno della Dc-Cuffaro, per la difesa del partito, sarebbe "manifestamente ozioso, puntiglioso quanto inutilmente cavilloso, soffermandosi e magnificando elementi di confondibilità che in un quadro di insieme non sussistono, non si reggono e si sfaldano nella loro inconsistenza": si sarebbe invece dovuto seguire quanto stabilito nel 2020 dal Consiglio di Stato, che aveva ribadito la necessità di un giudizio "non incentrato esclusivamente sulla 'quantità' dei segni grafici somiglianti, ma anche e soprattutto sulla 'confondibilità' e sulla capacità di trarre in errore l’elettore medio alla luce di un giudizio qualitativo e contestualizzato", dovendosi sanzionare con l'esclusione l'esistenza di "una oggettiva e non minimale capacità decettiva" (così  la sentenza della sez. III, n. 5404/2020, che peraltro aveva escluso la lista Patto per la Toscana - Roberto Salvini presidente dalle regionali di quell'anno).
Per la difesa della Dc-Cuffaro sarebbero prova dell'errore di valutazione compiuto dall'Ufficio centrale regionale l'ammissione del contrassegno "senza contestazione alcuna" alle elezioni politiche del 2022 e, nello stesso anno, alle ultime elezioni amministrative a Palermo (tra l'altro nella stessa coalizione dell'Udc) e alle regionali siciliane (con l'ammissione di Dc-Cuffaro e Udc senza contestazioni). Gli avvocati ribadiscono anche le osservazioni proposte all'Ucr dalla depositante del contrassegno della Dc, l'europarlamentare Francesca Donato: questa, eletta nelle liste della Lega nel 2019 e uscita dal gruppo Identità e democrazia nel 2021, a gennaio del 2023 ha scelto di rappresentare la Dc (allora guidata da Renato Grassi, poi da Cuffaro). Per i magistrati dell'Ufficio centrale regionale, però, l'elezione di Donato con un diverso partito non consentirebbe di sostenere che la Dc ha eletto un proprio rappresentante al Parlamento europeo, dunque non attribuirebbe un titolo di protezione del simbolo; per la difesa della Dc-Cuffaro, invece, è "totalmente irrilevante il fatto che il Partito ricorrente abbia o meno partecipato alle consultazioni elettorali europee" (elezioni cui non ha partecipato essendo stato bocciato il contrassegno nel 2019) e nessun organo potrebbe "alterare i connotati intrinseci e la ragione sociale" della Dc. In più, per gli avvocati il divieto per "altri partiti o gruppi politici" di usare simboli impiegati da "partiti presenti in Parlamento e nel Consiglio regionale" non varrebbe per "i partiti già nati e strutturati" ma solo per quelli "che si presentano ex novo in una competizione elettorale", dunque non per la Dc. 
Nell'ultima parte del ricorso la difesa della Dc-Cuffaro insiste  nell'affermare che quella formazione sarebbe stata "pacificamente riconosciuta quale continuatrice ed erede" della Dc storica, invocando a proprio sostegno la sentenza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione del 2010. Sul punto, peraltro, occorre ricordare che a quella sentenza la Dc guidata da Fontana, Grassi e Cuffaro non ha partecipato: di quella decisione si dice che avrebbe "riconosciuto la permanenza in vita giuridica del Partito fondato da De Gasperi, mai sciolo o liquidato, ma solo con organi decaduti" (come avrebbe potuto farlo la sentenza di Cassazione, che si limita a dichiarare inammissibili sul piano formale quasi tutti i ricorsi, è davvero difficile da capire; anche la sentenza della Corte d'appello del 2009, peraltro, riconosce solo l'irregolarità del passaggio da Dc a Ppi, ma non lo dichiara nullo, anche perché il Ppi non era parte necessaria del giudizio). Il ricorso cita pure la "sentenza Scerrato" del Tribunale di Roma (n. 17831/2015), che invitava al rispetto dello statuto della Dc: proprio su quella base il giudice aveva demolito gli atti del XIX congresso del 2012, in preparazione al quale era stato compilato l'elenco degli iscritti (rinnovati) alla Dc che è stato usato nel 2016 per il processo di riattivazione che ha portato alla segreteria Cuffaro...

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Il secondo ricorso al Tar di Cagliari è stato invece presentato sabato 20 gennaio dalla Democrazia cristiana che ha sede non in piazza del Gesù (senza numero civico) come la Dc-Cuffaro, ma in via delle Giunchiglie 8: si tratta della Dc che dopo il XIX congresso del 18 febbraio 2023 ha come segretario amministrativo (e legale rappresentante, nonché già depositante del contrassegno al Viminale prima delle elezioni politiche del 2022) Sabatino Esposito e come segretario politico Antonio Cirillo (SPSSTN54B24H834U), sulla base di un diverso percorso giuridico che parte sempre dalla sentenza della cassazione a sezioni unite del 2010 ma si è articolato in modo diverso e con passaggi differenti, pur nel dichiarato rispetto dello statuto del partito.
In particolare, oggetto di ricusazione non sarebbe stato un contrassegno riproducente solo il simbolo di questa Dc, ma un emblema composito, depositato il 15 gennaio con il n. 34, che all'interno del simbolo di Alleanza Sardegna (formazione guidata da Gerolamo Solina) ospita le miniature dei simboli del Partito liberale italiano (guidato a livello nazionale da Roberto Sorcinelli) e della Dc-Cirillo. Curiosamente, peraltro, in questo caso lo scudo crociato è sempre proposto nella versione "arcuata", ma la grafica in questo caso è leggermente diversa, essendo stato scelto lo scudo normalmente impiegato dalla Democrazia cristiana guidata da Angelo Sandri (il quale, salvo errori, non dovrebbe essere parte di questo tentativo: è probabile che la scelta grafica si spieghi solo con l'idea di rendere più leggibile lo scudo e la scritta "Libertas").
Le ragioni alla base della ricusazione sarebbero due. La seconda è, anche qui, la presenza dello scudo crociato confondibile con il simbolo dell'Udc, ma in prima battuta l'Ufficio centrale regionale ha rilevato che il contrassegno in questione era "pressoché identico al contrassegno n. 21, fatta salva una variazione grafico-cromatica marginalmente differente e, in quanto tale, idonea a generare confusione nell'elettore medio". Il simbolo elettorale depositato con il n. 21, in effetti, è una "bicicletta" che comprende i simboli di Alleanza Sardegna e del Pli, la cui alleanza - a sostegno della candidatura di Paolo Truzzu nel centrodestra - era stata annunciata pochi giorni prima. 
L'avvocato della Dc-Cirillo ha innanzitutto provveduto a ribattere a questa contestazione: ha sostenuto in particolare che il contrassegno n. 21 (As-Pli) sarebbe stato "presentato a titolo puramente cautelativo" da Gerolamo Solina "in vista della definizione degli accordi elettorali con la Democrazia Cristiana, che hanno poi portato alla successiva presentazione del contrassegno [...] raffigurante al suo interno anche il simbolo su fondo bianco dello scudo crociato", da parte dello stesso Solina (delegato all'uso dei simboli di Pli e Dc-Cirillo): per la difesa democristiana, insomma, l'Ufficio centrale regionale avrebbe dovuto interloquire con Solina che avrebbe negato ogni rischio di confusione tra i due contrassegni (tanto più che - anche ove fossero stati ammessi entrambi - in sede di presentazione delle liste ne sarebbe stato scelto solo uno dei due, in particolare quello con tre simboli, in base all'ultimo accordo raggiunto), mentre questo contraddittorio sarebbe mancato (e, sempre stando al ricorso, non sarebbe stata nemmeno indicata espressamente la possibilità di sostituire il contrassegno: Solina avrebbe tentato di chiederlo, ma il "ricorso" sarebbe stato dichiarato irricevibile).
Quanto alla contestata confondibilità con il simbolo dell'Udc, la difesa della Dc-Cirillo richiama la sentenza n. 6391/2010 della V sezione del Consiglio di Stato, con cui era stato respinto il ricorso dell'Udc contro la riammissione del simbolo della Dc-Pizza alle elezioni provinciali di Milano nel 2009 (tra l'altro con il sorteggio che si era divertito a collocare il simbolo dell'Udc, con proprio candidato presidente, subito sotto a quello della Dc-Pizza, che sosteneva nel centrodestra Guido Podestà). In quell'occasione i giudici di Palazzo Spada avevano rilevato "svariati elementi di difformità" tra i simboli delle due formazioni (la divisione del contrassegno dell'Udc in due parti ben distinte, con la scritta "Casini" ben marcata in alto e al di sotto uno scudo crociato più piccolo rispetto a quello della Dc-Pizza e sovrapposto alle vele di De e Ccd, oltre che abbinato al nome "Unione di centro", mentre la Dc-Pizza aveva solo lo scudo crociato grande su fondo blu e il nome): senza entrare nel merito dell'uso legittimo dello scudo crociato e dell'eventuale continuità tra Dc storica e Dc-Pizza, per il Consiglio di Stato non c'era facile confondibilità vista la presenza di "elementi comportanti diverso impatto visivo, come la diversità dei colori prevalenti, e sostanziale diversità data" dalla presenza del riferimento evidente a Casini. 
Per la difesa della Dc-Cirillo, se si applica il parametro usato nel 2010 al caso in esame, si ritrova di nuovo la presenza di "elementi comportanti diverso impatto visivo", cioè i colori (azzurro con mezzaluna rossa per l'Udc, bianco per la Dc) e le scritte del tutto diverse. In particolare, il simbolo della Dc sarebbe "individuabile in modo immediato per l'indicazione della scritta 'Democrazia cristiana' nello scudo crociato", mentre l'Udc userebbe una sigla e un nome differente, in più sono "diverse e distinguibili le dimensioni grafiche dello scudo crociato" (così come le forme: unico punto di identità sarebbe la presenza della scritta "Libertas"). Basterebbe tutto questo a dire che "i tratti differenziali dei due simboli sono ragionevolmente maggiori di quelli che li accomunano", mentre "la visione complessiva esclude il paventato rischio di confusione". Nessun riferimento qui alla pretesa legittimità del percorso di riattivazione della Dc e alla titolarità del suo simbolo storico.

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Con riguardo all'impugnazione decisa dalla Dc-Cirillo, va detto che il ricorso presentato il 20 gennaio sembra essere tardivo rispetto alla ricusazione comunicata il 17 gennaio (il termine è di 48 ore); probabilmente il ricorrente spera di essere comunque in tempo visto che il ricorso con cui Solina - quale delegato all'uso del simbolo della Dc nel contrassegno composito depositato per secondo - aveva reagito in prima battuta all'esclusione del fregio è stato dichiarato irricevibile il 19 gennaio, ma non è detto che questo basti. Naturalmente non è affatto in discussione la partecipazione alle elezioni della lista Alleanza Sardegna - Pli, il cui contrassegno è stato regolarmente ammesso e la cui presentazione senza firme è garantita dal sostegno tecnico dei consiglieri Francesco Paolo Mula (AS) e Giovanni Satta (Pli).
Quanto al ricorso della Dc-Cuffaro, questo merita più attenzione, se non altro perché oggettivamente c'è un precedente di peso, ossia l'ammissione incontestata del contrassegno alle elezioni politiche del 2022 (anche se, va detto, in quell'occasione l'Udc era stata inserita nel cartello Noi moderati e lo scudo crociato era quasi invisibile, ma era pur sempre presente in Parlamento con alcuni eletti nei collegi uninominali per il centrodestra); ciò potrebbe però non essere sufficiente al Tar per ribaltare la decisione dell'Ufficio centrale regionale.
Vale la pena precisare che alla fine del 2023 la Dc guidata da Totò Cuffaro ha fatto causa alla Democrazia cristiana con Rotondi (e allo stesso Rotondi), a Nino Luciani, ad Antonio Cirillo, ad Angelo Sandri, a Emilio Cugliari e a Raffaele Cerenza e Franco De Simoni, chiedendo che siano convocati davanti al tribunale di Avellino (città in cui la Dc-Rotondi ha sede e in cui Rotondi risiede) per sentir accertare dal giudice che la Democrazia cristiana guidata da Cuffaro è "in continuità giuridica soggettiva con il Partito della Democrazia cristiana fondato nell'anno 1943", dunque ha diritto all'uso esclusivo del nome del partito e che tutti gli altri soggetti devono smettere di impiegarlo (dovendo anche pagare i danni legati a usi illegittimi). 
Nell'atto di citazione si legge che Luciani, Cirillo, Sandri, Cugliari, De Simoni e Cerenza si proclamano "tutti segretari della Democrazia cristiana, in forza di dichiarazioni unilaterali di investitura o invocando l'esito di votazioni di fantomatici congressi della Dc, neppure astrattamente riferibili alla vita associativa della Democrazia cristiana", usurpando il nome, il simbolo e l'identità del partito; quanto a Rotondi, si dice che si afferma titolare del diritto a usare il nome "Democrazia cristiana" sulla base di un atto compiuto dai "pretesi legali rappresentanti di un partito (neppure è chiaro con esattezza quale), in tesi titolare del nome" (si dice che il Ppi ne sarebbe titolare sulla scorta degli accordi di Cannes giudicati nulli dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, eppure non c'è nessuna dichiarazione di invalidità esplicita di quegli atti, ma solo un'osservazione obiter dictum in altro processo) e si nota che grazie alla visibilità dovuta all'appartenenza al gruppo parlamentare di Fratelli d'Italia - indicato come "reale soggetto [...] che si cela dietro il tentativo di impedire che la Democrazia cristiana ritorni centrale nel dibattito politico" - Rotondi sarebbe responsabile dei maggiori danni patiti dalla Dc.
L'atto introduttivo del giudizio fonda la tesi della continuità tra Dc storica e Dc-Cuffaro su vari elementi: a) sul mancato passaggio congressuale nel cambio di nome da Dc a Ppi (il che "corrispondeva, nella sostanza, alla nascita di un nuovo soggetto politico in discontinuità" con la Dc, rimasta invece "sostanzialmente inattiva negli anni successivi al 1994 per effetto del mancato rinnovo alla scadenza e, quindi, della intervenuta decadenza di tutti gli organi statutari"); b) sulle ben note sentenze del 2009 (Corte d'appello di Roma) e del 2010 (Corte di cassazione a sezioni unite civili), anche se pare che si faccia dire loro ciò che in effetti non dicono (nessuna parte di quelle sentenze ha invalidato il cambio di nome o gli accordi di Cannes, pur essendone stati segnalati i "difetti"); c) sul percorso iniziato nel 2016 a norma dell'art. 20, comma 2 del codice civile (percorso, a detta della citazione, suggerito dalla Cassazione e dal Tribunale di Roma nella citata "sentenza Scerrato", ma ci si permette sommessamente di non condividere queste affermazioni) e sugli atti che ne sono seguiti - ovviamente non considerando valide le contestazioni al XIX congresso del 2018 mosse da Luciani e altri - ma anche sui risultati elettorali ottenuti soprattutto in Sicilia nel 2022 e in vari luoghi nel 2023 (come prova della "rilevanza dell'attività associativa e politica" della Dc, dunque della sua esistenza concreta).
Ci sarà tempo per conoscere gli esiti di quest'azione legale (che segue all'esito non positivo del ricorso contro l'Udc con cui l'anno scorso Cuffaro aveva chiesto al Tribunale di Roma di inibire al partito di Lorenzo Cesa l'uso dello scudo crociato); nel frattempo sarà interessante vedere l'esito del ricorso sardo, anche per le sue ricadute sulla procedura elettorale.

Intorno al simbolo di Forza Italia, trent'anni dopo

Le date contano, anche quando sembrano di minore importanza (schiacciate da altre più divulgate) o quando sono note a poche persone. Il 21 gennaio 1994, esattamente trent'anni fa, il Ministero dell'interno apprese ufficialmente della nascita del movimento politico denominato "Forza Italia!" (con tanto di punto esclamativo) e costituito con atto notarile tre giorni prima a Roma. Proprio l'atto costitutivo e lo statuto erano stati depositati presso il Viminale, con raccomandata a mano (la lettera accompagnatoria risulta datata 19 gennaio), dal legale rappresentante ancora fresco di nomina, Mario Valducci. Risultava anche lui tra i fondatori che si erano ritrovati davanti al notaio Francesco Colistra, in via di Santa Maria dell'anima: gli altri erano Antonio Martino, Luigi Caligaris, Antonio Tajani e ovviamente colui che fu designato fin dall'inizio come presidente, Silvio Berlusconi.
Il plico fu ricevuto dal direttore centrale dei servizi elettorali allora in carica, il prefetto Rocco Statera, anche se lui stesso si premurò di avvertire l'interessato che "il presente deposito non ha valore alcuno". Questo appunto sembrava riferito soprattutto al primo dei documenti depositati (insieme all'atto costitutivo e allo statuto), vale a dire la descrizione del contrassegno del movimento politico, insomma del suo simbolo, anche se la rappresentazione grafica non era stata allegata. Quel deposito, infatti, non avrebbe potuto sostituire la presentazione ufficiale del contrassegno in vista delle elezioni politiche, che si sarebbero tenute - anche grazie a un decreto-legge, emanato proprio il 19 gennaio per consentire agli ebrei osservanti di votare il lunedì appena terminata la Pasqua ebraica - il 27 e il 28 marzo: sulla base di quelle date e delle previsioni di legge, il deposito dei contrassegni presso il ministero era stato fissato per venerdì 11, sabato 12 e domenica 13 febbraio, quindi solo la presentazione del simbolo in quei giorni avrebbe avuto valore ai fini del rito elettorale (e, probabilmente, il deposito anticipato non avrebbe nemmeno costituito un valido titolo di priorità, se qualcun altro avesse presentato un emblema simile per primo nei giorni stabiliti).
La descrizione merita comunque l'interesse di chi vi si imbatte. Si tratta ovviamente di un simbolo che - comunque la si pensi - ha profondamente modificato la vita politica italiana e ne è stato a lungo protagonista o tra i protagonisti fino a oggi (fatta eccezione per il quinquennio 2008-2013) e anche oltre la morte dello stesso fondatore: il 1° ottobre 2023 il consiglio nazionale del partito ha deliberato la modifica dello statuto inserendo il cognome di Berlusconi nella descrizione ufficiale del simbolo (e la nuova versione dello statuto è stata da poco pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale). La descrizione allegata nel 1994, però, è importante anche perché di fatto completava i documenti ufficiali: né l'atto costitutivo né lo statuto di Forza Italia (datati 18 gennaio 1994), infatti, contenevano alcun accenno al simbolo o al contrassegno elettorale (una prassi diffusa all'epoca, vista anche l'assenza di regole volte a fissare il contenuto minimo degli statuti). Vale dunque la pena conoscere il contenuto di quel documento, riportato di seguito:
Il marchio rappresenta la stilizzazione di una bandiera sventolante divisa diagonalmente in due campi (simili, equivalenti) ribaltati, di colore diverso. Al centro della bandiera, disposto diagonalmente campeggia il logotipo FORZA ITALIA nella versione negativa appunto il loro tipo Forza Italia è retinato con un'ombra nera scatolata a 45° sulla destra di spessore 1/3 dell'asta del logotipo stesso. I due campi non sono contigui, ma separati da due bande bianche di altezze 1/12 del lato minore della bandiera. sul campo superiore del colore Verde (Pantone 355) compare la scritta FORZA. Sul campo inferiore colore Rosso (Pantone 485) compare la scritta ITALIA. il campo inferiore compreso fra la lettera I e la lettera A è contiguo a quello Verde. Il logotipo "FORZA ITALIA" è composto in Helvetica Compressed Extra maiuscolo opportunamente modificato nella inclinazione e nella compressione con i seguenti parametri: inclinazione di 7° a destra (senso orario); condensazione al 96% (scala orizzontale).
Questo sito si è già occupato nel 2013 della genesi grafica del marchio (perché come tale è stato pensato, più che come simbolo partitico) di Forza Italia intervistando il suo creatore, Cesare Priori: si rimanda dunque a quell'articolo ogni considerazione sulla realizzazione del fregio. Si preferisce dare spazio ora a un altro punto di vista, non esattamente interno, ma di una persona che a suo tempo fu consulente del progetto originario di Forza Italia (o almeno di uno di questi), anche se con il tempo il ruolo di "consulente-osservatore non partecipante" si è trasformato - al di là delle intenzioni della persona stessa - n quello di "clandestino a bordo". E proprio Un clandestino a bordo era il titolo (o almeno uno dei titoli) che avrebbe voluto dare al proprio libro sulla gestazione, la nascita e i primi passi di Forza Italia Ezio Cartotto, giornalista, militante nella sinistra di Base della Dc (vicino soprattutto a Giovanni Marcora), dall'inizio degli anni '80 impegnato in varie attività formative con Publitalia su richiesta di Marcello Dell'Utri: Cartotto dal 1992 ha collaborato alla concezione del progetto politico che avrebbe poi preso il nome di Forza Italia. "Dovendo scegliere tra Berlusconi e Occhetto ho scelto Berlusconi" ha sintetizzato nel 2012 Cartotto (intervenendo al "Consiglio nazionale" della Dc - inserito nell'11° episodio del podcast Scudo (in)crociato - convocato il 30 marzo per ricostituire i vertici e che elesse come segretario Gianni Fontana, salvo essere poi dichiarato nullo), per spiegare la decisione di concorrere allo studio e alla nascita di un soggetto politico moderato, aperto a tutte le forze di centro e anche a una parte del Psi, in grado di prevalere - anche grazie al sostegno multiforme di Fininvest, che naturalmente auspicava quello scenario- rispetto alla sinistra in via di progressivo rafforzamento.
Cartotto - scomparso nel 2021 - pubblicò sì il suo libro, ma solo nel 2008 (benché se ne parlasse dal 1996, quando era in programma l'uscita per i tipi di Tullio Pironti), dall'editore Sapere 2000. Pure il titolo era nel frattempo cambiato, mettendo in evidenza il nome che era stato dato informalmente al piano per far nascere Forza Italia, "Operazione Botticelli". Per l'esattezza, quel nome in codice distingueva il progetto e l'idea di Dell'Utri, con al centro l'impegno politico diretto di varie figure di Publitalia e aperto - secondo il racconto di Cartotto - ad alleanze fin dall'inizio con Lega Nord e Alleanza nazionale, sempre per opporsi alla sinistra post-comunista. Si trattava dunque di un sentiero diverso rispetto a quello perseguito da Cartotto, che già prima delle elezioni del 1994 si trovò estromesso dal progetto forzista. 
Il percorso successivo di Cartotto è stato certamente segnato dal biennio 1992-1994, senza trarre da esso qualche giovamento: non solo nel 1996 - e anche in seguito - non arrivò la candidatura promessa (come più volte Cartotto ha raccontato), ma l'opera prestata in quegli anni ha comportato vari passaggi in tribunale e una notorietà decisamente indesiderata (anche per gli effetti sulla salute)  quando - a partire dal 2001, con la pubblicazione del libro di Elio Veltri e Marco Travaglio L'odore dei soldi - i verbali di quelle deposizioni hanno avuto ampia diffusione. 
In questa sede si cita il libro di Cartotto - da tempo esaurito (al di là di alcune copie tuttora nella disponibilità della famiglia, che su richiesta le spedisce), ma quasi di certo ben presente a chi ha concepito e sceneggiato la serie 1992 - perché nelle prime pagine contiene anche qualche riferimento alla genesi del simbolo di Forza Italia: altri aspetti di quelle vicende, considerati anche con grande spazio altrove, qui non rilevano. 
Il primo punto interessante è una sorta di prologo e corrisponde al primo capitolo, intitolato 4 aprile 1993: il concepimento:
È una domenica piena di pioggia. La sera, alle diciotto, è buio come se fosse notte. Sembra d’essere ritornati al periodo invernale. Io sono tutto fasciato perché il giorno prima sono riuscito, cadendo dopo aver inciampato sul marciapiede, a farmi male al gomito, al ginocchio e alle mani. Sono in auto e mio figlio sta guidando, mi sta portando alla villa San Martino di Arcore dove devo incontrare Silvio Berlusconi per un colloquio. L'appuntamento fa parte di una serie, iniziato ormai da alcuni mesi, dal settembre precedente, quando alla convention di Publitalia a Montecarlo avevo avuto un incontro a cena con Dell'Utri e Berlusconi, preoccupati della situazione politica in atto. [...] Questi incontri hanno l'obiettivo di verificare l'opportunità e la misura di un intervento da parte di Berlusconi stesso nell'attività sociale e politica italiana. Sembra che questo incontro debba essere particolarmente importante. 
Arrivo ad Arcore e, con l'aiuto di mio figlio, riesco a scendere dall'auto. Il maggiordomo m’attende e, a differenza delle volte precedenti, m’accompagna non nel solito salotto, ma nello studio piccolo. Nella stanza c'è una scrivania con una sedia dietro la quale è collocato un mega televisore; dall'altra parte, verso la vetrata che separa lo studio dal giardino, ci sono altri due sedie. Alla parete sono appese alcune fotografie che conosco bene: rappresentano personaggi illustri che hanno abitato la villa in passato, quando erano ancora vivi i marchesi Casati, per esempio c'è Benedetto Croce. Mentre attendo l'arrivo di Berlusconi, ripasso a memoria i passi salienti che, lo so, dovrò sottolineargli per l'ennesima volta. 
S’apre la porta, non quella che proviene dalla sala della musica ma l’altra, quella del corridoio. Silvio Berlusconi entra e, salutandomi, mi dice che era rimasto incerto fino all'ultimo sull'opportunità di farmi venire o meno. Poi però lui aggiunge subito: "Sai - dice - c'è qui una persona. È questo il motivo per cui non sapevo se farti venire o meno, ero indeciso sul fartela incontrare. Alla fine ho deciso che fosse meglio tu venissi, perché io sono esausto. M’avete fatto venire l’esaurimento nervoso. Fedele Confalonieri e Gianni Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e che mi distruggeranno. Che mi faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte per vedere se trovano qualcosa fuori posto. Loro sono convinti che magistratura, sindacati, partiti di sinistra, tutti mi si metteranno contro e di traverso. Tu, invece, e Marcello (Dell'Utri) mi dite che io sono il bottino di un’eventuale vittoria della sinistra e che, se le cose dovessero andare male… dovessero vincere loro... mi ritirerebbero le concessioni, mi impedirebbero di fare il mio lavoro... e le banche mi toglierebbero i fidi. Credo che da un certo punto di vista Letta e Fedele abbiano ragione, perché so che quelli della sinistra controllano buona parte della magistratura. Voi, invece, avete ragione da un altro punto di vista, perché mi rendo perfettamente conto che le banche, per non parlare delle concessioni televisive, dipendono dalla volontà dei Ministeri, del Parlamento, del Tesoro, di Bankitalia e subiscono l'influenza di chi governa il paese. E allora cosa devo fare? A volte mi capita persino di mettermi a piangere, quando sono sotto la doccia e sono solo con me stesso. Non so veramente come venirne fuori. A questo punto voglio mettere a confronto te, che hai una grossa esperienza, con la persona che io stimo di più nel mondo politico e che si trova in questo momento qui. Voglio proprio vedere se, da un confronto tra di voi, scaturisce qualcosa che mi dia un'indicazione definitiva, giusta di quel che devo fare. Vado a prenderlo e te lo porto qui. Ti presenterò Bettino Craxi. È venuto da me ed è qui da un po' di tempo. Meno male che tu sei stato puntuale perché lui deve andare via presto. L'hai mai conosciuto prima?”. 
“No - dico io - non ho avuto occasione.” 
Comunque tu - precisa lui - digli le stesse cose che da tempo continui a dire a me. Io gliele ho un po' riferite ma... aspetta... 
Ho un attimo per pensare. Mi vedo davanti ai vertici della Fininvest Confalonieri e Letta, entrambi con solida cultura e da anni responsabili dei rapporti politici e sociali del gruppo. Gelosi custodi del loro ruolo. Gli altri vertici non hanno gran peso sulle scelte politiche. Se penso, poi, agli opinionisti mi rendo conto che sono divisi. Si sa che Costanzo e Mentana hanno qualche simpatia a sinistra, mentre Fede è, come sempre, con Berlusconi. Montanelli e Orlando sono con Segni, Monti di Panorama è per un centrosinistra, mentre Briglia di Epoca è sulle posizioni di Costanzo e Mentana. Funari e Liguori andrebbero a rafforzare l'orientamento di Berlusconi. [...]
L'unico che è a capo di un'azienda forte, anzi cassaforte del gruppo, che ha una forte autonomia culturale e una vera sensibilità politica che, pure nel completo rapporto di fiducia con Silvio, sostiene iniziative in proprio è Marcello Dell'Utri. Senza lui non sarei qui. 
I miei pensieri e le valutazioni sugli uomini di Berlusconi sono interrotti dal suo rientro nella stanza. Con lui c’è Bettino Craxi. Questa volta Silvio passa dalla parte della sala della musica. È la seconda volta che incontro da vicino Craxi, la prima volta s’era verificata occasionalmente in aeroporto mentre aspettavamo entrambi i bagagli, quando lui non era ancora diventato Presidente del Consiglio. È effettivamente molto alto: di fronte a lui io stesso, che sono alto, mi sento piccolo. Mi muovo con fatica dalla sedia. Ci salutiamo mentre Berlusconi spiega che vorrebbe gli riferissi quel che penso della situazione. Io attacco immediatamente, senza pensarci su due volte. 
"Le inchieste giudiziarie [...] e il referendum, che si terrà tra qualche settimana per modificare il sistema elettorale del Senato e che sarà sicuramente vinto dai proponenti, hanno creato una situazione del tutto nuova, una miscela esplosiva. Assistiamo l'effetto combinato di diversi fattori: il disgusto verso i partiti celato dietro ai referendum, Tangentopoli, che sta su scuotendo in tutta Italia le forze politiche del pentapartito e che però risparmia ancora il Pci-Pds, il Msi e la Lega, il debito pubblico, la svalutazione della lira, la crisi economica e fiscale, la malavita organizzata che colpisce sempre più duramente, i risultati elettorali parziali sempre più favorevoli alla Rete in Sicilia e alla Lega al Nord. Tutto questo sta creando una situazione grave e seria, capace di sconvolgere profondamente e per lungo tempo la vita del paese. Se l'azienda Italia affonda come potrà sopravvivere l'azienda Fininvest? Inoltre, poi, si può escludere che nell'attuale contesto mondiale, l'Italia abbia per le grandi potenze lo stesso interesse che rivestiva ai tempi più duri, della guerra fredda. Quindi dobbiamo contare solo su noi stessi. Ci attende una riforma del sistema elettorale rivoluzionaria. Si è appena deciso che i sindaci dei comuni, nel caso al primo turno nessuno ottenga la maggioranza assoluta, siano eletti direttamente dai cittadini attraverso un ballottaggio. Chi vince avrà in consiglio comunale un premio di maggioranza pari al 60% degli eletti. De Gasperi per molto meno, a suo tempo, si sentì definire dalle sinistre "truffatore". Poi, dopo il referendum, ci attenderà una legge elettorale che renda analoghi in modo direzione della Camera e del Senato e prevedibilmente le Camere saranno elette con il sistema cosiddetto maggioritario uninominale. [...] Chi avrà più voti, anche se meno della maggioranza assoluta dei votanti, sarà il deputato o il senatore che rappresenterà il collegio. Se sarà scelto il doppio turno come per i sindaci, ci sarà il ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto più voti al primo turno, come in Francia. Non si può ancora sapere se questo sistema, fortemente voluto dalle sinistre e dalla Dc, potrà essere temperato da una quota proporzionale che potrebbe essere mantenuta alla Camera e al Senato per accontentare chi protesta (Msi, Lega e Rifondazione). Ecco - concludo - la sinistra, utilizzando il suo radicamento sul territorio e lo sconcerto degli elettori del pentapartito, sconvolti dalle richieste in corso, potrà vincere in moltissimi collegiali uninominali e, conseguentemente, potrebbe avere un'ampia maggioranza alla Camera e al Senato, con la quale potrebbe persino cambiare la Costituzione senza il consenso dell'opposizione. Inoltre anche la Lega, le cui scelte politiche sono imprevedibili, potrà essere ampiamente presente e, con Roma in mano ad Occhetto, Bossi potrebbe avere l'alibi per spingere verso la Secessione. Si creerebbe un caos indescrivibile. La Jugoslavia non è lontana.”
Craxi cammina nervosamente avanti e indietro, non si siederà quasi mai durante i tre quarti d'ora nei quali rimarremo assieme. E Berlusconi, che ha addosso la solita tuta da ginnastica che usa quando è a casa sua, lo guarda. Guarda me, guarda Bettino e non fiata. Ad un certo momento Bettino comincia a farmi delle domande. Mi chiede come secondo me sarà la legge elettorale. Io gli dico che ci sarà una quota riservata alla proporzionale di regole di cui non so la misura e l'entità perché non è stata ancora decisa, ma che si parla di una quota del 20 o 30%. Mi chiede se secondo la mia opinione potranno i partiti tradizionali non comunisti, se trovano un'etichetta, una sigla, mantenere un certo consenso. Io gli dico che sarà possibile. Mi chiede ancora se questa sigla potrebbe essere la somma delle sigle delle varie forze politiche presenti. Gli dico che questo sarà molto più difficile perché quasi tutti i partiti sono a pezzi e la disciplina è allentata. In particolare per lui e per il Psi sarà difficile che altri partiti decidano di avvicinarsi sotto una sigla comune. Si parla per un attimo di Mario Segni verso il quale Craxi manifesta un disinteresse politico molto forte, una non considerazione come futuro possibile leader. Si parla poi di Martinazzoli per il quale Craxi esprime maggiore rispetto per le qualità politiche, ma non per l'ideologia che professa. È della sinistra democristiana - dice Craxi rivolto a Berlusconi - e per te è peggio di Occhetto. Quelli della sinistra democristiana sono i tuoi nemici. Ricordatelo sempre, più di quelli del Pci-Pds. Non farti illusioni. Se bisogna fare una coalizione di centro non comunista con asse portante Martinazzoli pe te sarebbe una soluzione più pericolosa del danno che vogliamo evitare. A questo punto bisogna trovare un'etichetta, un nome nuovo, un simbolo, un qualcosa che possa unire agli elettori che un tempo votavano per il pentapartito. Sarebbe importante distinguere tra Nord e Centro-Sud. Al Nord c'è la Lega e bisognerebbe trovare un punto d'accordo con loro, perché altrimenti la Lega potrebbe dividere l'elettorato non comunista facendo vincere gli ex comunisti salvo qualche collegio dove vincerà la Lega stessa. La linea della Lega è ambigua, al suo interno ci sono estremisti e moderati, cattolici e no. L'abilità di Bossi sta nel tenerle insieme". 
“Sarebbe importante - Bettino afferma - fare esplodere le contraddizioni della Lega, cercare divisioni tra loro. [...] Tu li conosci?” “Li conosco poco - risponde Silvio - ho visto qualcuno di loro, anche Bossi. Quello che mi preoccupa è quel che dicono, manifestano una sorta di moralismo puritano e aggressivo. Non mi piace trattare con loro, preferirei che si dividessero e che i loro moderati si mettessero con gli altri moderati”. 
A questo punto Bettino riprende il tema generale. È convinto che si possano vincere i collegi uninominali al Nord alleandosi con la Lega e che al Centro-Sud, invece, i notabili del Psi, della Dc e degli altri partiti di centro possano prevalere sia contro gli ex comunisti sia contro Fini. Pensa di tenere il Sud e parte del Centro. Silvio accenna timidamente ad aprire a Fini in funzione anticomunista. Bettino non concorda. Per lui Fini non è determinante, può fare più male che bene. Berlusconi nota che tutto è più difficile se si rinuncia in partenza a voti che potrebbero essere determinanti. Sottolinea poi che la sinistra ha dalla sua la maggior parte dei giornali, degli opinionisti e la Rai. La battaglia gli sembra disperata, poi mostra d’avere difficoltà a capire come funziona il sistema elettorale. Allora Craxi prende un foglio di carta, ed è uno dei pochi momenti nei quali si siede. Comincia a fare dei cerchietti. 
“Questo - dice - è un collegio elettorale. Gli elettori di un collegio saranno presumibilmente 110.000 persone e 80-85.000 quelli che avranno diritto al voto. Quelli che andranno a votare saranno 60-65.000. Prendendo in considerazione queste 60-65.000 persone e con l’arma che tu hai in mano delle televisioni attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante a favore di questo o quel candidato che sarà presentato, ti basterà organizzare un’etichetta che riesca a raggrupparne 25-30.000 per avere forti probabilità di riuscire a rovesciare il pronostico. Accadrà per l’effetto sorpresa, per l’effetto televisione o per l’effetto del desiderio che gli elettori non comunisti hanno di non essere governati dai comunisti”. 
“E cosa succede - chiede Berlusconi - se invece questa cosa non si può fare, se non si riesce a mettere in piedi questo partito, se non si riesce a trasformare quest’idea in una realtà? Io guardo le cose da imprenditore, perché le idee sono una cosa e la realtà è un’altra e il cammino dalle idee alla realtà è molto lungo”. 
A quel punto intervengo io dicendo che quello che sta succedendo è sotto i nostri occhi, ed è quello che sta succedendo al presidente Craxi. “Io non credo che tu possa pensare di cavartela perché da certi giornali, che sono in un certo senso i portavoce di questa forza di sinistra che si va costituendo, sei considerato la base culturale ed economica del craxismo, sei considerato come il peggio che si possa immaginare nella storia della politica italiana. Di conseguenza oggi è Craxi e domani è Berlusconi. Questo significa che domani potresti vederti mettere in discussione le concessioni, o in modo diretto attraverso l’azione di un governo che vuole rinegoziare o attraverso il Parlamento che vuole cambiare le leggi”. 
“Sì, ma Fedele e Gianni Letta - obietta Berlusconi - mi dicono che noi siamo in uno Stato di diritto e che io potrei rivolgermi alla Corte internazionale di giustizia, potrei far rispettare queste leggi”.  
Craxi si fa una bella risata e dice: “Ma quando mai questi organi internazionali hanno avuto potere sulla legislazione interna di uno Stato? Casomai potrai cercare di farti pagare i danni dopo che t’avranno rovinato”. Se 
Forte di quest’interruzione di Craxi proseguo, dicendo che io credo che il presidente Craxi abbia perfettamente ragione e che, una volta in moto il meccanismo di revisione delle concessioni, eventualità che potrebbe innescarsi in maniera anche indiretta attraverso un processo di referendum, e con le banche allertate da un Ministro del Tesoro di quella coalizione, si dirà che lui è troppo esposto finanziariamente [...]. “Quindi - dico - sosterranno che tu sei troppo esposto rispetto alle banche e ti chiederanno di rientrare. Tu non riuscirai a rientrare e a quel punto inizieranno dei procedimenti fallimentari nei tuoi confronti. Del fallimento alla bancarotta fraudolenta il passo è molto breve e a quel punto tramite la bancarotta fraudolenta ti inseguiranno coi carabinieri anche alle Bermuda. per cui vi troverete tutti e due in fuga, il presidente Craxi da una parte e tu dall'altra. Questo è un processo giacobino in cui si sta involvendo il sistema politico giudiziario italiano che deve avere le sue vittime e, come dopo Luigi XVI la vittima da sacrificare fu Maria Antonietta, così, in un certo senso, dopo Bettino Craxi la vittima predestinata sei tu". 
C'è un attimo di silenzio, Craxi si è rialzato, ha ricominciato a camminare avanti e indietro. "Vedi - dice Craxi rivolgendosi a Berlusconi - c'è gente vicino a te che ha le idee chiare. Cerca di seguire quello che ti dicono. Io sono ancora convinto che, se tu trovi una sigla giusta, con le televisioni e con le strutture aziendali di cui disponi e attraverso le quali hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso ma anche deciso non farsi governare dei comunisti e dagli ex comunisti e a salvare il salvabile." 
Berlusconi s’alza e, senza quasi rendersi conto che fuori piove che Dio la manda, dice: "Non potremmo camminare un attimo?". Io, terrorizzato perché sono tutto fasciato e bendato, sto per fare presente che non posso accompagnarli, ma è Bettino che risolve la situazione dicendo che lui deve andare. A questo punto mi alzo e lo saluto. 
Bettino esce, s'allontana e dopo pochi minuti Silvio rientra con un'aria più distesa, molto meno nervosa di quella che aveva all'inizio. "Bene - dice - adesso so quello che devo fare". Poi aggiunge: "Hai visto che uomo uomo però? Che impressione. Si sente anche così... fisicamente. È un cervello. Lo si vede. È un grande uomo, sotto tutti i punti di vista". Capisco in questo momento che lui verso Craxi ha veramente un’ammirazione straordinaria. 
"Deciso - dice - adesso bisogna agire da imprenditori. Chiamare gli uomini, comunicare la decisione. Adesso bisogna dirlo a Marcello, perché mi metta attorno persone che mi possono accompagnare. Bisogna fare questa operazione di marketing sociale e politico. Prendere contatto con tutti gli uomini del centro, con tutte le forze del centro. Mettere giù un programma di lavoro". E lì si vede l'imprenditore che parte immediatamente in quarta. Apre la porta e chiama il suo segretario […]. Poi fa entrare suo fratello, che era lì in villa anche lui con tutta la famiglia. Dice a suo fratello che aveva avuto un incontro approfondito. Non parla della presenza di Bettino, ma ovviamente quei signori l'avevano visto e probabilmente l'avevano anche salutato pochi istanti prima. E dice di aver preso la decisione, che adesso si parte in quarta, che tutti devono rimboccarsi le maniche perché non c'è tempo da perdere. 
"Bisogna vedere se è possibile influire su questa legge elettorale - dice - perché a noi farebbe comodo avere il proporzionale, non il maggioritario". "No - gli spiego - guarda che il proporzionale non si può avere perché ormai, dopo il referendum, indietro non si potrà tornare. Si andrà avanti, Bisogna solo stare a vedere la quota di proporzionale che sarà lasciata. Ma, da come vanno le cose, speranze ce ne sono poche". 
"Ah, speranze poche?" dice Berlusconi. E lì capisco che, pur essendo un imprenditore che vuole realizzare l'idea che ormai ha accettato di mettere in piedi, continua ad avere dei pensieri, delle riserve mentali che poi ricorreranno nel seguito del progetto, ritorneranno ogni tanto. Ogni tanto sarà preso da scoraggiamento, ogni tanto da paura, ogni tanto da perplessità e cercherà di trovare degli alibi per non andare avanti nell'iniziativa. Anche lì, subito, solo cinque minuti dopo già gli veniva in mente che si poteva modificare la legge elettorale per un sistema proporzionale che gli desse maggiori garanzie. Ma, a quel punto, non mi ci vollero molte parole. Capì subito e si rimise sullo scranno dell'imprenditore: "Va bene - disse - d'accordo, allora andiamo avanti, procediamo su questa strada, ormai la decisione è presa”.
Mi augura di rimettermi al più presto in salute e mi fa accompagnare fuori dove mio figlio m'attende. Il maggiordomo di Berlusconi, che è un uomo molto spiritoso, dotato di notevole senso dell'umorismo e dalla battuta sagace, accompagnandomi al vestibolo non perde l'occasione: "Ma senta un po', lei che se ne intende: quel signore che se n'è andato via poco fa devo continuare a chiamarlo presidente oppure d'ora in avanti posso farne a meno?" 
In quell'incontro raccontato da Cartotto già si trova l'idea di unire varie sensibilità sotto lo stesso simbolo (non a caso in Forza Italia si sono ritrovati cattolici moderati, liberali, socialisti, liberalsocialisti, socialdemocratici non interessati al campo avverso) e sorge l'idea di un'alleanza a geometrie variabili tra Nord e Centro-Sud nei collegi uninominali, come in effetti ci sarebbe stata (proprio con la Lega Nord nei collegi settentrionali, formando il Polo delle libertà, mentre al Centro-Sud l'alleanza del Polo del buongoverno fu soprattutto con Alleanza nazionale, diversamente da quanto suggerito da Craxi e Cartotto).

Il secondo capitolo contiene un altro accenno "simbolico" rilevante, che parla della scelta del nome e di un "incidente di percorso" occorso nell'estate del 1993 al primo simbolo di Forza Italia, non ancora il partito politico ma l'omonima associazione costituita con atto notarile a Milano il 29 giugno 1993 (i fondatori, per quanto se ne sa e racconta lo stesso Cartotto, furono Gianni Pilo, Dario Rivolta, Luigi Scotti, Alberto Spinelli, Sergio Travaglia e Giuliano Urbani). Quel simbolo era nato come marchio - quadrato, non ancora tondo e senza bandierina, ma con il sottotitolo "Alleanza per il buongoverno", un termine che sarebbe tornato in seguito - e, a quanto pare, era stato trattato come marchio fin dall'inizio.

Fin da metà aprile, Berlusconi mi aveva incaricato di verificare se poteva essere utilizzata la parola "Italia" all'interno del nome di una forza politica che volesse presentarsi in Parlamento. Berlusconi non era certo che nessuno potesse dire "no, un partito non può appropriarsi del nome Italia". Io condividevo questa incertezza e non avevo la risposta pronta perché si trattava anche per me di una cosa veramente nuova. 
Questo accertamento fu fatto nella seconda metà di aprile, quando anche si stabilì che, per il momento, il deposito del simbolo e del nome poteva essere fatto presso un notaio da due o più persone che si fossero date uno statuto, quindi persone godenti dei diritti civili. Non c'era altro da fare in quanto il deposito definitivo poteva avvenire solo al Ministero degli Interni e in epoca pre-elettorale. Farlo prima non avrebbe dato nessun particolare vantaggio se non quello di stabilire una priorità cronologica. Riguardo al simbolo, poi, Berlusconi era molto preoccupato che qualcuno glielo potesse "soffiare". Io avevo contribuito ad accrescere questa sua preoccupazione facendogli presente che, come stava regolarmente ormai accadendo per la Lega da diverso tempo, eran apparsi diversi "furbacchioni" capaci, presentando simboli il più possibile simili a quelli dei partiti maggiori, di far perdere loro dei voti. basti pensare alla Lega Alpina Lumbarda alle iniziative della sorella e del cognato di Bossi e a quelle di Roberto Bernardelli con la sua Lega Casalinghe-pensionati. Per evitare questa deprecabile evenienza Berlusconi diede disposizioni ai suoi grafici di preparare molti simboli simili con tutte le possibili varianti da depositare in modo che nessuno potesse utilizzare il nome e il simbolo da lui scelti. 
Mentre il simbolo fu deciso tra vari possibili nel mese di agosto, già ai primi di giugno Berlusconi comunicò la scelta del nome Forza Italia a un livello molto riservato di persone a conoscenza del progetto, ricevendo una poco entusiastica adesione. Ci furono anzi diverse critiche e osservazioni. Berlusconi mi disse, per esempio, che Giuliano Ferrara aveva giudicato il nome Forza Italia troppo calcistico. Da parte mia preferii non fare commenti perché, avendo una grande stima di Berlusconi come comunicatore, ero assolutamente convinto che, se lui riteneva attraverso quel nome di comunicare con la gente in modo più efficace che con altri nomi;, probabilmente aveva ragione lui. 
Nel mese di luglio accadde un fatto increscioso, il logo e il simbolo di Forza Italia furono presentati al Ministero dell'Industria come fossero il marchio e il nome di una birra. Fu uno stretto collaboratore ad avere questa pessima idea, un errore clamoroso di cui, per fortuna, la sinistra non venne a conoscenza. 

Per l'esattezza, le classi di prodotti e servizi per cui fu registrato il marchio furono 6 (articoli in metallo, in particolare portachiavi, fermasoldi e fermacravatte), 14 (metalli e pietre preziose, gioielli - in particolare medaglie, monete, spille, ciondoli - e orologi), 16 (materiali cartacei, in particolare riviste, opuscoli, bandiere di carta, fermacarte e francobolli), 18 (oggetti in pelle, come portadocumenti; borse, sacche, ombrelli, cartelle e zaini), 20 (oggetti di arredamento in vario materiale, in particolare aste per bandiere), 24 (beni di natura tessile, in particolare bandiere, foulard e fazzoletti in tela, gagliardetti in stoffa), 25 (generi di abbigliamento, in particolare foulard e fazzoletti in seta, cravatte, cappelli e magliette), 26 (accessori, in particolare fasce per capelli e spille), 28 (giocattoli e articoli sportivi, in particolare pupazzi, bamboline, borse e sacche sportive, palloncini), 35 (pubblicità, consulenza aziendale, distribuzione di materiale pubblicitario), 36 (prodotti assicurativi e finanziari), 38 (telecomunicazioni), 42 (servizi di varia natura, alimentari inclusi... ma la birra non c'entra, visto che sarebbe stata nella classe 32). A settembre sarebbero state depositate anche altre versioni del marchio, inclusa - alla fine del mese - quella con la bandierina che sarebbe stata protagonista dal 1994 in avanti. Chissà se lo avrebbero immaginato Cartotto e coloro che nel 1993 lavoravano a quel progetto nuovo alternativo alle sinistre...

giovedì 18 gennaio 2024

Dc-Rotondi, balena bianca al posto dello scudo (bocciato in Sardegna)

Nelle scorse ore l'Ufficio centrale regionale costituito presso la Corte d'appello di Cagliari ha completato l'esame dei contrassegni presentati per le elezioni regionali in Sardegna (si è parlato di un totale di 35 simboli depositati) e molti sono stati ammessi, com'era prevedibile. Nei giorni precedenti, peraltro, sui media era circolata la voce che sarebbe stato altrettanto prevedibile uno scontro tra Democrazie cristiane, avendo annunciato l'idea di partecipare tanto quella che ha come segretario Totò Cuffaro e rivendica continuità con la Dc operante fino alla fine del 1993, quanto quella - riattivata da pochi mesi, in continuità con l'esperienza iniziata nel 2004 - guidata da Gianfranco Rotondi.
Lo scontro si è puntualmente verificato, innanzitutto nella forma della non ammissione degli emblemi di entrambe le formazioni sopra citate. Questo, almeno, si apprenderebbe da Gianfranco Rotondi, che questa mattina presso la sala stampa della Camera ha presentato un nuovo simbolo per il suo partito, proprio in coincidenza con la data in cui nel 1919 mosse i primi passi il Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo e nel 1994 Mino Martinazzoli decise di far partire il nuovo corso della Democrazia cristiana, rinominandola Ppi, anche se lo stesso giorno (poche ore prima) la parte più moderata e desiderosa di essere davvero alternativa alla sinistra aveva presentato il Centro cristiano democratico e la sua vela.
Il simbolo ricusato
Ufficialmente la conferenza stampa era stata preparata giorni fa per la "presentazione della nuova tessera" della Dc con Rotondi; l'Ufficio centrale regionale, tuttavia, deve avere comunque ritenuto confondibile il simbolo con quello dell'Udc benché lo scudo crociato sia stato ribaltato nei colori. Dai magistrati componenti il collegio sarebbero arrivate "annotazioni utili a diversificare i simboli che saranno presenti" e lo staff di Rotondi - a partire da Giampiero Catone - ha dovuto agire in fretta per porre rimedio al problema: la soluzione, probabilmente, è stata individuata nella sostituzione dello scudo con una raffigurazione simpatica di una balena bianca. L'animale che campeggia all'interno del cerchio, simile a quella già adottata da Rotondi per la sua vecchia testata Democrazia cristiana (ma probabilmente ritrovata in Rete), rimanda allo stile degli illustratori per bambini o volendo a quello dei vignettisti, ma soprattutto all'intuizione di Giampaolo Pansa che aveva battezzato la Dc proprio "Balena Bianca", con tanto di maiuscole. Lo sfondo passato da blu a bianco suggerisce che anche questa modifica sia stata apportata per distanziarsi dall'azzurro dell'Udc (lasciando un blu simile alla Dc-Cuffaro). La riduzione del nome visibile da "Democrazia cristiana con Rotondi" a Dcr farebbe venire la tentazione di pensare che anche sulla denominazione sia stato eccepito qualcosa, ma l'atto con cui i legali rappresentanti del Ppi - ex Dc avevano concesso a Rotondi l'uso del vecchio nome fa escludere quest'ipotesi: viene piuttosto da pensare che si sia voluto togliere di mezzo un altro motivo di scontro con Cuffaro, che nei giorni precedenti ha intrapreso un nuovo giudizio contro varie altre Dc; l'ingrandimento del nome di Rotondi, più leggibile grazie al cambio di carattere (anche se quello usato sembra fin troppo lezioso per un contrassegno elettorale), caratterizza certamente il fregio del partito.
"Il simbolo - ha spiegato Rotondi in conferenza stampa - è fatto per segnare un nuovo inizio: la vicenda della Dc storica si è chiusa il 18 gennaio 1994; noi, la Democrazia cristiana della Seconda Repubblica, uno di quei cespugli per cui Francesco Storace invocava il diserbante, in effetti siamo rimasti cespugli. La Terza Repubblica riserva ancora un posto alla Democrazia cristiana, senza lo scudo crociato, che da tempo è simbolo dell'Udc, nostro partito fratello con cui abbiamo ottimi rapporti; abbiamo voluto evitare di usare un segno che poteva creare confusione con un partito presente in Parlamento, sostituendolo con la Balena Bianca coniata da Pansa, che piaceva però ad Arnaldo Forlani, cui dedichiamo il simbolo. L'inserimento del mio nome nel simbolo non è un atto di vanagloria, ma è una risposta alla tendenza a inflazionare la Dc creandone tante in modo da non farle contare: scrivere 'con Rotondi' serve a creare una distinzione grafica, politica, giuridica e pubblicitaria. Saremo un balenottero piuttosto piccolino, che però parte dal mare della Sardegna con decisione e rivendica la storia della vecchia Dc e la nostra degli ultimi vent'anni".
Non è da escludere che, con un po' più di tempo a disposizione, il simbolo venga ancora ritoccato (soprattutto nell'immagine della balena), ma intanto il simbolo sostitutivo della Dc con Rotondi è stato ammesso e parteciperà alle regionali sarde, anche grazie al sostegno solo tecnico del consigliere regionale del Grande Centro Valerio De Giorgi che consentirà alla lista di correre senza dover raccogliere almeno 500 firme per ogni circoscrizione
In effetti anche la Democrazia cristiana guidata da Totò Cuffaro ha ottenuto l'esenzione dalla raccolta delle sottoscrizioni grazie alla dichiarazione del consigliere regionale del Psd'az Domenico Gallus; lo stesso Rotondi, tuttavia, ha fatto sapere che il simbolo della Dc-Cuffaro sarebbe stato ricusato e che sarebbe intenzione del partito ricorrere al Tar. Non c'è modo al momento di verificare questa notizia (in particolare, se l'eventuale esclusione dipenda dall'uso di una croce su fondo bianco collocata in un cerchio simile al colore azzurro - benché il simbolo sia stato ammesso dal Viminale nel 2022 - o se le ragioni siano altre), ma si preciserà meglio nelle prossime ore in presenza di nuovi elementi che consentano di capire cosa sia davvero accaduto e cosa ci si deve attendere in seguito. 
Ci sarebbe anche un altro punto da chiarire: su profilo di un'altra Dc, quella guidata da antonio Cirillo, è stato annunciato il deposito del simbolo, ma non se ne ha notizia da nessun'altra parte. Erano dunque tre le Dc ai nastri di partenza, invece che due? Con un po' di pazienza - si spera - lo sapremo.