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sabato 25 luglio 2015

Fare contro Fare! Ovvero, Boldrin non è Tosi


In effetti ci si poteva scommettere sopra, non era nemmeno così difficile pensare che qualcuno l'avrebbe presa male. Questo qualcuno, al momento, si chiama Michele Boldrin e a tutt'oggi è leader di Fare per Fermare il declino, subentrato due anni fa a Oscar Giannino dopo l'incidente relativo ai suoi titoli di studio, alla vigilia delle elezioni politiche.
A provocare irritazione, come era prevedibile, è il nuovo partito di Flavio Tosi che, nel simbolo, porta in grande evidenza la parola "FARE!": il colore è diverso e in più c'è il punto esclamativo, ma per qualcuno la confondibilità resta dietro l'angolo e, a quanto pare, lo pensa anche Boldrin. Non ha fatto nulla per nascondere il suo pensiero, visto che su Twitter e su Facebook nel pomeriggio successivo alla presentazione del simbolo se n'è uscito con questo lancio: 
La cosa, ovviamente, non è piaciuta anche ad altri sostenitori di FiD, che su Facebook hanno subito chiesto se il comportamento di Tosi e del suo staff non fosse leggibile come una sorta di "plagio", in grado di irritare anche chi, come Boldrin, è noto per essere "completamente (e giustamente) contrario alla difesa della proprietà industriale" (lo si legge chiaramente nel commento di tale Luigi Desiderato). Qualcuno ha fatto notare che "fare è un verbo di uso comune e non un brand", per cui non si potrebbe proteggere nulla; in serata in ogni caso, è arrivata la risposta dello stesso Boldrin - di cui Formiche ha dato notizia ieri - e merita di essere riportata per intero: 
1) Sulla PI, David ed io, non a caso, distinguiamo copyright e brevetti dai marchi, riconoscendo ai marchi una funzione sociale utile e scarsissimi costi di monopolio. La funzione sociale utile e' quella della riconoscibilità: una volta che un nome/marchio si e' costruito una reputazione, buona o cattiva che sia, usare quel nome marchio crea grave confusione nel mercato perché ci si appropria della reputazione costruita da altri. Quindi, per quanto ci riguarda, il marchio esclusivo e' legittimo e proprietario. Ovvio che, in base a questo, quella di Tosi&Co, sia pura e semplice appropriazione indebita.2) Nel caso specifico non conosco i dettagli della giurisprudenza italiana abbastanza per dire se si configura violazione della PI copyrighted (han cambiato grafica, aggiunto il "!", tolto "Fermare il Declino" e cambiato colori e simbolo). Ora sento degli avvocati italiani e poi vediamo.3) Sul piano politico, ed elettorale, essendo Fare - per Fermare il Declino il simbolo d'un partito, c'e' chiaramente una violazione che, a mio avviso, va impedita. Come per l'uso della freccia da parte dei Popolari di Mauro (che mi sembrano spariti comunque, quindi abbiam lasciato stare). Gli amici del CGT se ne stanno occupando (per la parte 3)). Vedremo come sia più appropriato agire. La valutazione politica, in ogni caso, e' ovvia e plateale: han cominciato con una cialtronata.
La questione merita di essere analizzata. Non intervengo in pieno sulla "funzione sociale" del marchio, che per Boldrin è la riconoscibilità: mi limito soltanto a dire che, in realtà, il marchio (mark) ha soprattutto una funzione "distintiva", serve cioè a differenziare un prodotto o un servizio dagli altri (il fatto che sia riconoscibile ne è quasi una conseguenza). La riconoscibilità in senso stretto, legata proprio alla reputazione acquisita (e al "mondo" che una rappresentazione grafica riassume in sé), è piuttosto legata al concetto di "marca", che in inglese è ben reso dal sostantivo brand: per approfondire l'argomento, consiglio a tutti la lettura del Manuale della marca, della ricercatrice della Sapienza Laura Minestroni (logo Fausto Lupetti Editore).
Certamente, come avevo già anticipato ieri, l'accostamento tra il "Fare!" di Tosi e il "Fare" di Boldrin risulta fin troppo facile; e se avevo scritto che, da un certo punto di vista, il tentativo mostrava un certo coraggio (perché utilizzava un nome legato a risultati elettorali non proprio splendidi), qualche dubbio in più sul piano della correttezza giuridica sorge anche a me. Posto che quello di Fare per Fermare il declino è a tutti gli effetti un marchio registrato - anche se, come si vede nella figura a fianco, non è la versione definitiva usata come contrassegno elettorale, visto che freccia e scritte occupano uno spazio minore del cerchio - la tentazione di agire in tribunale per contraffazione è legittima.
Perché è vero, "Fare" è un verbo di uso comune, che rientra nei discorsi quotidiani di tutti noi; è vero pure che, come notato da Boldrin, Tosi e i suoi "han cambiato grafica, aggiunto il '!', tolto 'Fermare il Declino' e cambiato colori e simbolo". E' altrettanto vero, però, che la parola "Fare" è in posizione di chiara "evidenza prospettica" e si pone come elemento caratterizzante di entrambi gli emblemi, assieme agli inserti grafici di ciascuno (la freccia per Boldrin, il faro acceso per Tosi). In più, è altrettanto innegabile che il gruppo di Giannino prima e di Boldrin poi sia stato il primo a utilizzare la parola "fare" come nome del partito - al punto che nelle elezioni del 2013 "Fare" era usato proprio come forma abbreviata dell'intera denominazione - per cui ci potrebbero essere spazi per riconoscere al segno distintivo di FiD i caratteri del marchio forte, che merita protezione anche quando la somiglianza con altri segni non sia troppo marcata.
Certamente, però, le differenze simboliche vanno considerate. Nessuno può dire che la parola "Fare", d'ora in poi, debba essere esclusa da ogni contrassegno politico resta sempre un termine comune), ma è giusto chiedersi cosa accade quando essa, come qui, risulti elemento caratterizzante di entrambi i segni. E' vero che le modifiche testuali, grafiche e cromatiche introdotte da Tosi non sono poche e per qualcuno potrebbero bastare a scongiurare la confondibilità tra emblemi: il tribunale di Roma nel 1979 non aveva forse salvato il garofano appena adottato dal Psi, dicendo che la diversa foggia del fiore e la presenza di elementi grafico-testuali diversi evitavano la confusione con il garofano varato quattro anni prima dall'Unione rifondazione socialista democratica? E, più di recente, l'Ufficio elettorale della Cassazione non si era accontentato di far modificare il colore di fondo e delle scritte al logo dei Comunisti italiani, perché non lo si scambiasse con quello di Rifondazione comunista?
Tutto vero, come è vero però che la bandiera con falce e martello e il garofano erano pur sempre segni legati a una tradizione politica, per cui si finisce per ammettere la loro presenza su più segni, purché gli elementi differenzianti siano presenti in numero sufficiente. E' impossibile, invece, dire lo stesso di "Fare", per cui al giudice toccherebbe decidere se le modifiche fatte da Tosi bastano a evitare confusioni o "appropriazioni indebite", oppure se il rischio di confusione ci sia ugualmente. Il problema, verrebbe da dire, non si sarebbe posto se Tosi avesse utilizzato un'espressione come "Il partito del Fare", riducendo inevitabilmente lo spazio occupato dalla parola "incriminata". La situazione però è diversa e quindi ora si dovrà aspettare di capire cosa deciderà il Comitato di gestione transitoria di FiD, se lasciar perdere come con la freccia dei Popolari per l'Italia di Mauro (anche se lì gli spazi per un'azione sarebbero stati ben pochi. E perché, allora, non agire anche contro Tremonti e la sua lista 3L?) o se far partire una causa, dall'esito non scontato.

martedì 21 luglio 2015

Fare con Tosi, ossia come sfidare il passato

Il faro grigio scuro, con il suo fascio di luce giallo, alla fine è rimasto; il contesto invece è almeno parzialmente cambiato. Di certo, il risultato delle elezioni in Veneto non sembra avere scoraggiato Flavio Tosi, sindaco di Verona e già soggetto di punta della Lega Nord, prima dei suoi screzi con il segretario del Carroccio Matteo Salvini, che hanno portato all'espulsione dalla Lega e alla candidatura alla guida della regione. Alla fine è arrivato quarto, a un'incollatura di voti dal candidato del MoVimento 5 Stelle Jacopo Berti (che ha ottenuto 262.749 preferenze, a fronte delle sue 262.569); a Tosi, però, interessa soprattutto rimarcare l'11,9% dei consensi ottenuti, più del 10,7% relativo alla coalizione di liste a sostegno, compagine formata pur sempre in extremis, negli ultimi giorni disponibili per la campagna elettorale.
Certamente quell'esperimento poteva andare meglio, qualche voto in più poteva essere raccolto, ma Tosi probabilmente ha voluto conservare la parte positiva. Il simbolo che era andato meglio, in fondo, era proprio quello con la luce del faro, cioè la "sua" lista Tosi, sperimentata a Verona e riadattata in chiave regionale. Quel 5,7% non era poi così male, per un emblema nato in una città e che si era tentato di esportare in tutta la regione, sapendo di doversi misurare innanzitutto con il partito di provenienza di Tosi, quella Lega che puntava senza troppa difficoltà alla riconferma del presidente uscente, Luca Zaia. Si poteva partire da quei numeri per costruire qualcosa di più grande; certo, la strada non appariva tutta in discesa, c'era pur sempre da allargare un progetto all'intero territorio nazionale, senza poter contare su un minimo di seguito certo, ma i "fari" avevano cominciato a spuntare qua e là lungo lo stivale, quindi valeva la pena tentare. 
C'era però un'altra pista da considerare. Dopo la lista Tosi e quella di Area popolare, la formazione più votata era stata un'altra lista legata al candidato presidente, ma contenente un messaggio chiaro: "il Veneto del fare". Quel verbo, usato all'occorrenza come sostantivo, per il sindaco di Verona doveva essere un elemento chiave della sua stessa campagna elettorale: nel sito www.tosipresidente.it, fino a qualche giorno fa, campeggiava il motto "Siamo abituati a fare". Perché non ripartire anche da lì, allora, magari unendo i due messaggi che, da soli, si erano conquistati oltre il 7% dei voti in Veneto? Bastava mettersi al tavolo e pensare a una soluzione...
Alla fine, la soluzione è arrivata, almeno per ora. Stavolta il faro torna per intero, con la sua luce, su un fondo bianco; il nome di Flavio Tosi non è sparito, ma è relegato in fondo, in un segmento leggermente curvo e giallo come la luce. L'elemento più evidente, però, è senz'altro la parola "FARE!", gialla e bordata di nero, con il claim già visto che nei manifesti si trasforma appena, "siamo pronti a fare" (perché ora non basta l'abitudine, adesso occorrono rapidità e preparazione). E qui, ci si perdoni, ma è fin troppo facile tornare con il ricordo al progetto lanciato temporibus illis da Oscar Giannino, la "piccola pattuglia di rompicoglioni di professione" che avrebbe dovuto pungolare qualunque governo sull'economia, ma è "naufragata su se stessa" dopo la tempesta sui titoli di studio di Giannino e, anche sotto la guida di Michele Boldrin, non si è mai davvero ripresa.
Di fronte a quell'esito elettorale davvero poco felice, due erano le alternative: lasciar stare del tutto quel verbo all'infinito, per non evocare neanche lontanamente echi di sconfitta, oppure rischiare e sperare di dare nuovo significato a quelle quattro lettere. Tosi e i suoi, a loro modo, hanno scelto la seconda opzione: hanno tolto la freccia (ma la luce del faro punta sempre a destra), hanno aggiunto il punto esclamativo e hanno ridimensionato notevolmente il rosso, riducendolo a un archetto che sulla parte sinistra di Fare! con Tosi ha il suo contraltare verde. Un accenno di tricolore che nella Lega, da cui Tosi proviene, non si era mai visto né forse concepito. Anche i dettagli, in un simbolo, contano maledettamente.

domenica 6 aprile 2014

Scelta europea (e civica) e Ncd-Udc: matrimoni in zona Cesarini

Non fai in tempo ad abituarti ai simboli che sono già stati presentati in pubblico, con tanto di conferenza stampa, che qualcuno si è già adoperato per metterli in soffitta e tirarne fuori di nuovi. In un giorno, per dire, almeno due emblemi possono spuntare dal nulla, a quanto pare dopo trattative serrate e abboccamenti dell'ultima manciata di ore, ed essere pronti per il deposito al Viminale, quando manca davvero poco all'apertura del portone.
Un emblema rappresenta l'esito che in prima battuta si era immaginato per l'area libdem, o per lo meno qualcosa di simile. L'unità elettorale sembrava ormai impossibile, dopo che il tandem Centro democratico - Fare aveva creato la sua Scelta europea, facendo irritare parecchio i montiani che avevano prontamente schierato la loro Scelta civica per l'Europa, annunciando fuoco e fiamme per il "furto" di parte del loro nome. Nelle ultime ore, però, Scelta civica è rientrata nel disegno della lista Alde, al punto che tra le "pulci" di Cd e Fare (stavolta riportato per intero nel nome) ora al posto del tondino con la sigla della famiglia europea c'è proprio l'emblema del partito della Giannini e di Bombassei nella versione originale (non quella presentata pochi giorni fa); visto che è sparito il riferimento all'Alde, prende corpo almeno la sua esplicazione testuale, ingrandendo la dicitura "Alleanza liberali democratici europei". Niente più ricorsi montiani a questo punto e il simbolo (senza bisogno di firme grazie a Cd e Sc) può tranquillamente superare la soglia prevista, contando anche sul sostegno di varie forze minori (da LibMov ad Ali, dal Pli di De Luca fino al Pri).
Problemi di sbarramento si dice siano alla base di un altro rassemblement simbolico più o meno previsto: quello tra il Nuovo centrodestra e l'Unione di centro. C'è chi sarebbe pronto a giurare (e il Mattinale lo scrive direttamente) che il matrimonio temporaneo tra le formazioni di Alfano e Cesa sarebbe dettato esclusivamente dal timore per entrambe di non riuscire a superare la soglia del 4%. L'Udc probabilmente ha pensato ai risultati delle ultime politiche, Alfano non ha dati elettorali in mano ma certamente avrà dei sondaggi: a dispetto delle dichiarazioni fatte, forse, le previsioni di risultato non sarebbero buone. 
Dipenderebbe da questo la scelta di far convivere i due contrassegno, schiacciando nel 55-60% superiore del cerchio il simbolo di Ncd (mantenendo il nome di Alfano) e inserendo al di sotto il segno dell'Udc, con lo scudo crociato in primo piano e le due vele al di sotto, quasi invisibili su un inedito sfondo bianco. Attorno, solamente le sigle azzurrine dell'Udc e della famiglia di riferimento, il Ppe.
Il risultato di questa unione, tuttava, sembra piuttosto deludente e - se rimanesse così - potrebbe concorrere per il premio "Pastrocchio d'oro" di queste elezioni, rischiando di vincerlo. Entrambi gli emblemi risultano profondamente compressi, quasi alterati nel loro risultato. Si salva Ncd più dell'Udc (ma nemmeno troppo), giusto perché il fondo del simbolo di Alfano più o meno è conservato; il bianco della parte inferiore invece rende l'area di Cesa decisamente cheap, quasi che il grafico intervenuto avesse particolare fretta o come se il risultato non convincesse nemmeno lui. In generale, c'è un'idea di precarietà che non aiuta: ora probabilmente il 4% non è in discussione, ma i risultati che arriveranno non saranno senz'altro merito del simbolo, di rara bruttezza.

martedì 25 marzo 2014

La Scelta civica che guarda all'Europa


Saltata la lista unica dell'Alde, Scelta civica non poteva certo stare a guardare: proprio oggi è stato presentato il nuovo emblema che correrà alle elezioni europee per rappresentare in modo più solido l'area liberaldemocratica.
Si tratta naturalmente di una variazione dell'emblema già noto, presentato alla fine di dicembre e "stabilizzatosi" nell'autunno, con la scomparsa del cognome di Monti e la maggior evidenza data alla dicitura "per l'Italia". Questa volta, visto il contesto europeo, la dicitura diventa inevitabilmente "per l'Europa" e il cerchio viene marcato da una corona blu, con le consuete dodici stelle disposte a semicerchio, tanto per marcare ancora di più la vocazione europeista. Bastano però il nome noto e il nastrino a evitare la raccolta delle firme.
A presidiare l'area libdem provvedono invece le parole collocate nella parte alta della corona: "liberali democratici riformatori". Certamente l'addio dei Popolari per l'Italia di Mario Mauro ha facilitato questa declinazione del soggetto politico e farà certamente piacere a quelle forze liberali - come l'Alleanza liberaldemocratica per l'Italia, il Pli e la Federazione dei liberali - che avrebbero visto con molto favore una lista unitaria nel nome dell'Alde e invece si sono ritrovate superate dalla doppia punta Centro democratico - Fare.
Non si dimentichi poi che nel contrassegno nuovo nuovo di quel cartello elettorale spicca la dicitura "Scelta europea", cosa che aveva fatto infuriare subito i montiani. Non è un caso che, nell'emblema ritoccato, l'espressione "Scelta civica" sia decisamente ingrandita, avendo un rilievo molto maggiore: si vorrà evitare che qualche voto prenda vie diverse e - c'è da giurarlo - Sc cercherà concretamente di opporsi in sede di deposito degli emblemi al nuovo nome scelto dal duo Tabacci-Boldrin. Appuntamento al 9 aprile per sapere come andrà a finire.

giovedì 20 marzo 2014

La "Scelta europea" di Tabacci e Boldrin che spiazza (e fa infuriare i montiani)

Le notizie simboliche che si susseguono in questi giorni danno l'ampia dimostrazione - qualora ce ne fosse il bisogno - di una verità molto concreta: l'unione forse non fa la forza, ma andare da soli è un vero suicidio. In realtà era già così anche prima del 2009, se non altro per una questione matematica: nel 2004 le forze politiche italiane potevano dividersi 78 seggi, quando in patria tra Camera e Senato se ne gioca(va)no 945, per cui era più facile ottenere un seggio lì da soli (a patto di superare gli sbarramenti) che non a Strasburgo. Da quando poi i partiti maggiori si sono accordati per introdurre anche per le elezioni del Parlamento europeo una soglia del 4% per accedere alla ripartizione dei seggi, si capisce perché i partiti medio-piccoli tendano tutti a unirsi, nel tentativo di superare l'asticella e accedere a una delle 73 poltrone disponibili.
Così, dopo il tandem (quasi scontato, viste le manovre delle ultime settimane) di Udc e Popolari per l'Italia, ecco presentato il secondo, un po' meno ovvio, di Centro democratico e Fare per Fermare il declino. Le due formazioni presentano un cartello denominato "Scelta europea" (Monti, almeno nel nome, sembra avere fatto scuola, anche se per qualcuno la decisione di usare quell'etichetta sarebbe un vero sgambetto malizioso), che ha come denominatore comune il riferimento alla famiglia europea dell'Alde (quindi i libdem) e il sostegno a Guy Verhofstadt alla guida della prossima Commissione europea. Questa scelta di campo è scritta a chiare lettere sul contrassegno e la cosa non può non lasciare perplessi.
Dal sito di Lettera.43
Già, perché solo poche settimane fa sembrava avviato un percorso comune nel solco dell'Alde tra il Pli di Stefano De Luca, il nucleo originario di Fare ora costituito in Ali - Alleanza liberaldemocratica per l'Italia (con Silvia Enrico e Oscar Giannino) e la Federazione dei liberali di Raffaello Morelli, così come si era immaginato un possibile coinvolgimento di Scelta civica, ormai depurata della parte popolare. E invece finiscono per riferirsi all'Alde un ex diccì come Bruno Tabacci e un ultraliberista come Michele Boldrin, mentre al momento non è dato sapere che faranno gli altri. E se i montiani sono su tutte le furie, perché ritengono che il nome dell'inedito duo sia un "uso surrettizio" della propria etichetta (al punto da essere pronti a opporsi all'ammissione del simbolo), sembra sfumare definitivamente il disegno di un'unica lista Alde italiana.
Nel frattempo, Centro democratico e Fare (che toglie l'espressione Fermare il declino, forse perché sulla scheda sarebbe stata praticamente invisibile e avrebbe dato solo problemi di stampa) sono presenti con le loro pulci nella parte inferiore del nuovo emblema. Particolarmente importante è quella del "compagno Br1", visto che con i suoi parlamentari eletti è in grado di evitare la raccolta firme all'intero soggetto politico. La strada verso il 4%, in ogni caso, è ancora lunga: forse sarebbe stato difficile arrivarci anche con Scelta civica, ma ora la pendenza della salita è ai livelli di guardia. Tabacci e Boldrin lo sanno di certo; nel frattempo, attendiamo il prossimo rassemblement, anche abbastanza avventuroso (sabato si attendono notizie da destra).  

sabato 8 febbraio 2014

I Popolari per l'Italia: una freccia, in barba ai flop di un anno fa

Bisogna proprio dirlo: a qualcuno i flop del recente passato non fanno paura. Anche quando, in fondo, ricordarli è piuttosto semplice. C'era un minimo di attesa per la presentazione - prevista per oggi - del simbolo dei Popolari per l'Italia, la nuova formazione di Mario Mauro, Andrea Olivero e degli altri fuoriusciti da Scelta civica. Qualcuno, ovviamente, più che all'emblema pensava al problema spinoso della collocazione, visto che l'ex forzista-pidiellino Mauro in questi giorni ha marcato più volte le distanze da Slivio Berlusconi, proprio quando i probabili nuovi compagni di strada dell'Udc hanno annunciato con Pierferdinando Casini il loro ritorno nel centrodestra. Un tempismo invidiabile, non c'è che dire, ma ormai il meccanismo era avviato e il rito dell'emblema doveva compiersi. 
Giusto qualche giorno fa erano circolate alcune protografiche, legate ai primi appuntamenti che hanno sancito la nascita del partito: come ingredienti, i soliti quattro colori nazionali, con una striscia tricolore diagonale crescente su fondo blu, con le scritte sulle bande colorate a seguire il loro andamento. Oggi che l'emblema è stato varato, bisogna riconoscere a chi ha concepito la grafica un tasso di estro contenuto, incurante di alcuni canoni di leggibilità e - come si diceva - dei precedenti dal retrogusto amaro.
Già, perché il tema già anticipato del tricolore diagonale è interpretato con la sovrapposizione di tre frecce, quella bianca sopra le altre, a coprire parzialmente quella verde e quella rossa, pronte a fermare un freccione che, ospitando il nome del partito nel suo corpo, punta in alto (e, viste le dimensioni del partito, è un obiettivo ambizioso) e a destra (si può anche dire avanti, ma difficilmente pare che la strada porti a sinistra). iIl tutto su uno sfondo blu-azzurro, con tre cerchi tangenti, dal più grande scuro al più interno chiaro, a tentare di movimentare un po' il contrassegno.
Il simbolo potrebbe finire sulle schede già alle amministrative (oltre che alle europee), ma non si può non spingere la memoria indietro di un anno e passa, quando le frecce sembravano andare per la maggiore tra gli ultraliberisti antitasse: Tremonti (con il suo 3L) abbandonò in fretta le sue velleità sagittarie, i libertari di Forza evasori - Stato ladro si scontrarono mortalmente con il "no" del Viminale; si salvò solo Fare per Fermare il declino, almeno fino all'incidente dei titoli di Oscar Giannino, che decretò il de profundis elettorale per la formazione che sembrava concretamente avviata a ben altri risultati. Che la freccia potesse portare grane, però, non sembra nemmeno avere sfiorato i grafici dell'ultimo simbolo nato e i loro committenti. Poco superstiziosi, forse, ma il lato estetico lascia a desiderare: il premio per il miglior simbolo del 2014 non lo vinceranno i Popolari per l'italia, poco ma sicuro.
 

sabato 16 marzo 2013

Brigare per Taroccare il Giannino

Aveva cercato di essere, a modo suo, una novità, mettendo in campo la sua «piccola pattuglia di rompicoglioni» provenienti da ogni parte d’Italia, adepti più della riduzione delle tasse e spesa pubblica che del suo abbigliamento improbabile. La pattuglia frangipilatoria e la potenziale coorte di votanti di Oscar Giannino, peraltro, hanno subito un notevole smottamento una volta emersa la vicenda dei titoli di studio fantasma, che il leader di Fare per Fermare il declino avrebbe detto o scritto di possedere senza averli mai conseguiti.
Si potrebbe riflettere a lungo sul rapporto tra Italiani e bugie e sulla loro concezione selettiva del perdono, magari condannando senz’appello chi ha avuto il grave torto di farsi scoprire (come se il vero problema fosse quello e non le mancanze) e assolvendo quasi con bontà chi per anni si è esercitato nella consolidata arte del promettere, anche fuori dalle campagne elettorali. Eppure, se si vuole sorridere almeno un po’, si possono prendere in considerazione le taroccature della creatura politica di Giannino circolate in Rete (e soprattutto su Facebook), per vedere come la fantasia si sia spinta a mettere alla berlina un progetto che era riuscito ad autoaffondarsi a pochi metri dal traguardo. Un’operazione un po’ maramalda, forse, ma assolutamente inevitabile.
Così, può diventare quasi automatico procedere per antitesi, inneggiando al «Disfare per Accelerare il declino» (ovviamente ribaltando anche la freccia, come è giusto), quasi in una parodia delle ultime ore di Giannino alla guida del suo movimento, oppure in un’ipotetica ricetta per dare il colpo di grazia a un paese già precario (come fosse l’unico modo per essere psicologicamente pronti per il baratro). Oppure si può optare per una legittima e strategica astensione – tanto di moda, del resto – a tasso alcolico importante, scegliendo di «Bere per Dimenticare il declino», annegando il Paese che va a ramengo in svariate pinte di birra oppure in raffinati bicchieri da liquore.
Altrimenti si può rispolverare un ruolo da studente o da tirocinante, dedito a sottoscrizioni periodiche, all’adempimento compulsivo pur di portare a casa il risultato, così che diventi del tutto naturale «Fare per Firmare lo statino». Se vi sembra troppo meccanica e troppo irreggimentata come azione, decisamente inadatta alla vostra vena artistica, potete sempre scegliere la strada canora e intavolare trattative e contatti per «Fare per Andare allo Zecchino». Requisiti: capacità di stare sulla scena, età mentale adatta all’Antoniano (o da bambino o da Mago Zurlì) e tanto, tanto fiato (in politica, del resto, ne è sempre servito molto). E se vi è piaciuta l’idea di tornare bambini, beccatevi anche il «Dire Fare per Baciare il declino»: l’immagine è quella che è, ma come nella realtà c’è sempre chi sta sotto, chi conta (i debiti o le tasse) e chi fa penitenza. E se per la «lettera» si aspetta il prossimo, ineluttabile risveglio di Veltroni, per il «testamento» c’è tempo: se la politica allunga la vita, aspetterete un bel pezzo.

domenica 30 dicembre 2012

Tremonti, una freccia contro la paura (della paura)

Mentre i telegiornali sono ricchi di dichiarazioni sul centrosinistra (Pd+Sel+Psi+Cd), sull'area "arancione" (Rivoluzione civile), sul Pdl (o ciò che rimane) e sui possibili alleati, sulla Lega e talvolta sul Movimento 5 stelle: non appare, invece, la formazione guidata dall'ex ministro Giulio Tremonti, il cui programma è tutto meno che semplice, ma è presentato senza mezze misure. Lui, il principale alfiere della "finanza creativa", ha creato la "Lista lavoro e libertà". 3L, per chi volesse far prima.
"Siamo in guerra. Dentro una strana guerra: economica, non violenta, “civile” e per questo diversa da quelle del passato. Ma pur sempre una guerra! Possiamo perderla, questa guerra, se per paura accettiamo di farci colonizzare, se nel 2013 votiamo per dare il nostro richiesto consenso al nostro assistito suicidio". Una frase d'impatto, non c'è che dire, come sorta di preambolo per il programma del partito. Per Tremonti in Italia ci sono "troppe tasse e troppa paura", si fallisce non solo più per debiti, ma anche "per i crediti, perché il denaro – fatto per circolare – non circola".
Per vincere la guerra di cui parla, Tremonti sostiene che occorre vincere la paura "perché è la paura, e solo la paura, che fa paura": a suo dire, l'Italia sarebbe "(ancora) enormemente ricca, più ricca di quanto si dice agli italiani" e, se indubbiamente servono sacrifici, secondo l'ex ministro "avranno un fine ed una fine e non saranno per fare guadagnare gli altri, ma per mettere davvero in sicurezza l’Italia e gli italiani".
Tutto questo, compreso il suo programma - una sberla di 81 pagine, che anche nelle proposte sintetiche non sembra particolarmente chiaro a chi non si ciba normalmente di economia e finanza - dovrebbe stare nella grafica minimalista del simbolo che l'ex ministro ha scelto per la sua creatura politica: una frecciona arancione, che punta in alto a destra (come quella di Fermare il declino, che però viene prima), sormontata soltanto dalla denominazione del partito, blu e di font oblungo come il cognome di Tremonti sovrapposto alla freccia; appena sotto alla punta, la sigla 3L, in un grigio poco entusiasmante (come del resto l'effetto dell'intera cromia non è di quelli da ricordare).
Tremonti ritiene essenziale che a portare avanti il suo progetto, che punta in alto come la sua freccia, sia "una maggioranza di giovani" e che la politica sia messa in quarantena, così che "almeno per un giro [...] per nessun incarico politico si potrà guadagnare più di un precario". Verrebbe da chiedersi: compreso Tremonti stesso?

lunedì 24 dicembre 2012

"Fermare il declino", per Giannino è tempo di "Fare"


Tanto se n’è parlato, che alla fine il partito è arrivato. Oscar Fulvio Giannino, sempre più simile – comunque vesta – al primo vero personaggio da quiz della tv italiana, Gianluigi Marianini di Lascia o raddoppia – ha trasformato ufficialmente in soggetto politico strutturato il suo movimento “Fermare il declino”, nato in estate. Giannino punta a presentarsi alle elezioni politiche e a quelle regionali con la sua squadra di persone, possibilmente in tutta l’Italia: ci sono i 45mila firmatari del manifesto (anche se non parteciperanno di certo tutti all’impresa politica), ci sono docenti di livello come Luigi Zingales e Michele Boldrin, politici di altre epoche (persino Carlo Scognamiglio ha firmato il manifesto, ma c’è anche Giancarlo Pagliarini) e c’è il tentativo di candidare Pietro Ichino, pur avendo egli immaginato una sua disponibilità per una lista Monti in Lombardia (mentre il Monti delle tasse a Giannino non piace proprio). 
Le idee sono le stesse dieci proposte messe in campo finora: ridurre il debito pubblico, la spesa pubblica (almeno 6 punti di PIL in 5 anni) e la pressione fiscale (almeno 5 punti in 5 anni); completare in fretta le liberalizzazioni, preferire il sostegno al reddito di chi perde il lavoro alla tutela dei posti esistenti; regolare i conflitti d'interesse; far funzionare la giustizia; liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne; rendere di nuovo l’istruzione strumento di emancipazione socio-economica delle nuove generazioni; approdare a un «vero federalismo» che preveda ruoli chiari e coerenti per i vari livelli di governo.
Per Giannino – che peraltro vanta militanze politiche precedenti, dai repubblicani ad Alleanza democratica di Bordon, fino ai Riformatori liberali di Della Vedova e di nuovo al Pri – il movimento crede in una politica «fattiva, pragmatica, con poche chiacchiere e molti fatti. Siamo quelli del Fare, perché è il momento di agire con concretezza per fermare il declino». Non a caso, «Fare» è la parola che campeggia nel contrassegno scelto dalla formazione per le elezioni di febbraio: su fondo rosso, sono particolarmente evidenti la scritta e la frecciona bianca, naturalmente puntata verso l’alto (e verso destra, anche se loro direbbero piuttosto «in avanti»), quasi a pensare alla risalita dopo il declino. La freccia, a dire il vero, è uno dei simboli meno utilizzati nell’iconografica partitica: se ne ricordano obiettivamente poche, almeno tra i partiti di un certo peso, eccetto – si fa per dire – la prima versione dei Moderati italiani in rivoluzione di Samorì. Riuscirà la «piccola pattuglia di rompicoglioni di professione» (© di Giannino) ad approdare in Parlamento, a dispetto di ogni clausola di sbarramento e della mancanza di grandi finanziatori alle spalle?