mercoledì 16 gennaio 2013

Analisi e considerazioni sull'esame dei contrassegni

Varie conferme e qualche sorpresa nello scorrere la lista delle ricusazioni operate dal Ministero dell'Interno sui 219 contrassegni depositati per le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013. Non si terranno in considerazione qui gli emblemi che sono stati considerati senza effetti, per l’incompletezza della documentazione: come è noto, non viene compiuto alcun esame su di essi (potrebbero essere ammissibili, come pure non esserlo, ma semplicemente quel profilo non viene nemmeno valutato visto che non sarebbe comunque possibile presentare candidature), per cui è più interessante capire cosa ha portato a respingere gli altri marchi politici. 
I casi più scottanti, quasi inutile dirlo, erano quelli legati ai simboli "clonati" del Movimento 5 Stelle, di Rivoluzione civile e della "lista Monti" (che pure non era clonata a tutti gli effetti, essendo la grafica molto diversa da quella delle due liste a sostegno del Presidente del Consiglio uscente). Come in molti (a partire dal sottoscritto) avevano previsto, i funzionari del Viminale hanno ricusato i simboli che la stampa ha in fretta battezzato come "falsi", anche se erano stati depositati tra i primi (dunque in teoria in posizione "più forte" rispetto ai simboli "clonati") e anche se i presentatori ritenevano di avere diritto di utilizzare quelle grafiche e quei nomi. 
Per quanto si può immaginare, il Ministero deve avere applicato a questi casi l'ormai noto articolo 14 comma 5 del decreto legislativo n. 361/1957 (testo unico per l'elezione della Camera), in base al quale non è ammessa la presentazione di un contrassegno
"con il solo scopo di precluderne surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso". Ciò valeva sicuramente per il M5S, che dal 2010 in avanti ha partecipato a varie tornate elettorali (comunali e regionali) con il simbolo depositato venerdì, ma si può applicare anche alle formazioni a sostegno di Antonio Ingroia e di Mario Monti, che sono alla prima partecipazione elettorale, ma hanno acquistato indubbiamente notorietà negli ultimi giorni grazie all'esposizione mediatica notevole che hanno ricevuto.
Se, nelle loro decisioni, i giudici e l'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Cassazione hanno finora stabilito che questa, come le altre disposizioni dell'articolo 14, sono a tutela innanzitutto degli elettori, si finirebbe per trarli in inganno se si permettesse a soggetti diversi, magari costituiti prima ma certamente meno noti, di utilizzare nomi e simboli che il "pubblico" elettorale ha già collegato ad altri soggetti. 
Se vorranno, i depositari dei tre emblemi in questione potranno modificare le loro icone (ad esempio togliendo la "V" e sostituendo il disegno delle cinque stelle con la dicitura "5 stelle" - ammesso che sia ritenuto sufficiente - oppure riducendo le dimensioni del cognome Monti e aggiungendo il nome Samuele, nel caso del Comitato Monti presidente); non è improbabile, tuttavia, che questi soggetti desistano dalla sostituzione (e il loro emblema sarà definitivamente ricusato) o ricorrano all'Ufficio presso la Cassazione, sperando di avere ragione e di tornare "in corsa".
Per ora, tra l'altro, è saltato anche il simbolo elettorale della Lega Nord, cui per l'occasione è stata aggiunta la "pulce" del movimento 3L di Giulio Tremonti: la ricusazione sarebbe stata causata dall'espressione "TreMonti" (volutamente inserita all'interno del contrassegno), che un po' rimanderebbe indebitamente alla figura del Presidente del Consiglio uscente (senza che sia il capo della coalizione sottoscritto dalla stessa Lega Nord), un po' si porrebbe in contrasto con l'altro nome indicato correttamente sull'emblema, quello di Roberto Maroni. Un semplice ritocco, in ogni caso, e il simbolo tornerà certamente ammissibile (e c'è da scommettere che chi aveva presentato il simbolo se lo aspettasse).
Restando in ambito "grillino", sono stati comprensibilmente bocciati, ma per semplice confondibilità, anche i contrassegni del Voto di protesta - Diritto alla dignità (specie per l'espressione BEPPEciRILLO.IT presente alla base del cerchio, simile a "Beppegrillo.it" ma fondamentale per capire che a presentare il contrassegno era stato il sessuologo Giuseppe Cirillo, già fondatore del Partito Preservativi Gratis e del Partito Impotenti esistenziali) e del Partito dei cittadini: il nome era impossibile da trovare nel contrassegno (c'era solo la sigla Pdc), in compenso era evidentissima la dicitura "5° Fabiola Stella", con il nome di persona piccolissimo e all'interno di un gran numero di stelle. Impossibile confondere le grafiche, ma evidentemente per qualcuno si è comunque passato il segno.
Colpisce assai di più invece l'esclusione - a meno di modifiche dell'ultim'ora - del Movimento No Euro - Lista del Grillo parlante di Renzo Rabellino: nel 2008 in effetti era stato ricusato il contrassegno per la troppa evidenza data alla parola Grillo, ma questa volta il termine usato in partenza era "Grilli", con una raffigurazione simile a quella poi ammessa nel 2008. E' probabile che il Viminale abbia ritenuto fuorviante la presenza di un solo grillo sul simbolo (nel 2008 alla fine ne furono inseriti due e anche l'anno dopo alle europee l'emblema rimase così), ma soprattutto è facile immaginare che l'esame sia stato inasprito rispetto a 5 anni prima, per la reale partecipazione di Beppe Grillo alle elezioni come capo di una forza politica in corsa e per il suo inserimento in un altro contrassegno (anche la quasi invisibilità della parola "parlanti" non ha certo aiutato ad ammorbidire il verdetto). 
E' stato b
occiato anche, sempre per confondibilità, un'altro dei due contrassegni storicamente vicini a Rabellino, la Lega padana. Si noti peraltro che a determinare la ricusazione, probabilmente, non è stato il termine "Lega" (accettato in molte altre varianti), bensì il suo accostamento all'aggettivo "Padana", che lo avrebbe reso confondibile con l'Unione padana di Giulio Arrighini e Roberto Bernardelli (depositato in precedenza e con la croce di San Giorgio lombarda nella parte inferiore dell'emblema) e forse anche con la Lega Nord (che aveva presentato un esposto proprio per quel motivo, contro questo e altri simboli, verso i quali invece non c'è stato successo)
; non a caso, la variante Lega Centro è stata accettata senza problemi. 
I funzionari del Viminale hanno ricusato pure il marchio politico della Lega Padana Lombardia, nome precedente della formazione di Arrighini e Bernardelli, per decisa somiglianza all'altro contrassegno dell'Unione padana (e, forse, per riconducibilità allo stesso soggetto); si noti che la Lega Nord si sarebbe certamente opposta all'ammissione dell'emblema se questo fosse stato accettato dal ministero, ma evidentemente non c'è stato bisogno di porsi il problema (questa volta non si è visto il simbolo della Lega per l'autonomia - Alleanza lombarda di Elidio De Paoli, contro cui puntualmente il Carroccio aveva reagito, ma non per questo gli esponenti leghisti non hanno avuto di che lamentarsi).
Un capitolo delicato del
l'esame degli emblemi riguardava la "moltiplicazione" dei Pirati. Il Viminale alla fine ha deciso di tutelare il Partito Pirata costituito nel 2006, pure se non si era mai presentato alle elezioni e aveva depositato l'emblema dopo un altro "Partito pirata" (di cui è portavoce Marco Marsili) che invece ad alcune elezioni locali aveva partecipato con il suo simbolo "pirata" del jolly roger con le sciabole
Hanno finito per convincere i funzionari del Ministero due ordinanze emesse dal Tribunale di Milano (sezione specializzata in proprietà industriale) l'anno scorso, in cui a Marsili si inibiva - sia pure in via solo cautelare - l'ulteriore uso dell'espressione "Partito pirata" e della bandiera nera tradizionalmente simbolo dei Pirati in Europa. Toccherà a lui, dunque, sostituire l'emblema, verosimilmente privandolo di questi elementi; escluso senza dubbi, invece, il Movimento pirata che aveva utilizzato come unico simbolo la bandiera.
Alcune ipotesi di ricusazione sembrano aver riguardato casi in cui non è stato possibile provare la
continuità giuridica con il partito di cui si voleva utilizzare il simbolo: è il caso quasi certamente del Movimento sociale italiano - Destra nazionale, legato a Gaetano Saya e alla moglie Maria Cannizzaro, non coincidente con il Msi, trasformatosi poi in Alleanza nazionale (l'emblema di Saya era già stato bocciato alle elezioni del 2006 e lo stesso è accaduto nelle occasioni successive, anche se ogni volta il contrassegno veniva modificato in una piccola parte, ma sempre senza toccare il nucleo centrale, vale a dire la fiamma tricolore su base trapezoidale).  
Meno chiaro è cosa sia accaduto all'emblema del Movimento idea sociale, inizialmente facente capo a Pino Rauti, poi a Giuseppe Incardona (non a caso, il simbolo bocciato è proprio quello che lui tentò di presentare nel 2006 alle elezioni politiche): il "vecchio" simbolo di Alleanza nazionale non è stato presentato dalla Fondazione An, che ne è titolare, quindi non è chiaro se questa abbia presentato in qualche maniera un esposto (anche per il caso del Msi di Saya) oppure se il Viminale abbia voluto evitare la confondibilità a prescindere dalla presenza del partito in Parlamento, come a dire che il ricordo dell'uso della fiamma non si era ancora spento del tutto e potevano sorgere confusioni. 
Qualcosa di simile sembra accaduto a quei simboli che imitavano troppo da vicino, anche solo nelle diciture riportate sul contrassegno, il "vecchio" emblema di Forza Italia (che peraltro nessuno in questo caso ha ritenuto opportuno depositare, anche solo per sicurezza e per difendersi da eventuali "copioni"): quella formazione non aveva partecipato nemmeno alle elezioni del 2008, ma anche qui secondo il Viminale gli elettori avevano ancora ben in mente il primo partito di Silvio Berlusconi e non avrebbero dovuto essere in alcun modo tratti in inganno. 
Si è dunque richiesta la sostituzione per confondibilità dei simboli di Viva l'Italia (che ha "taroccato" il testo della bandiera originaria del partito di Silvio Berlusconi), di Forza Italiani (che pure nella grafica - decisamente precaria, tra la bandiera reale al vento e l'arcobaleno - non ha nessuna somiglianza con il simbolo del 1994, che peraltro non conteneva certo l'espressione "Per l'Italia e per l'Europa") e di Nuova ForzaItalia for President: le parole qui sono state ritenute sufficienti, anche per le loro dimensioni, a creare la confondibilità, anche se nemmeno questa grafica - giusto un po' meno improvvisata, con il tricolore creato da tre fiori sullo sfondo - poteva dirsi seriamente imparentata con quella forzista vista nel corso degli anni (interessante, tra l'altro, l'impiego dell'espressione "for President", mai impiegata da Berlusconi ma certamente riconducibile a quell'universo politico; peraltro qui, a dispetto di quelle parole inserite nel contrassegno, manca ogni riferimento a un possibile candidato da proporre per la presidenza.).
Ben due i "Fratelli d'Italia" non ammessi alla fase successiva: nessun problema con la bocciatura del secondo (depositato poco prima della scadenza del termine), per il nome identico anche se basato su una grafica del tutto diversa. La stessa situazione si potrebbe indicare per il primo dei due emblemi ricusati, ma la situazione era indubbiamente delicata: a presentarlo, infatti, è stato il movimento Fratelli d'Italia, fondato nel 2007 a Marsala, che aveva già diffidato Guido Crosetto e Giorgia Meloni (e Micaela Biancofiore prima di loro) dal presentare un emblema con quel nome. Anche in questo caso, però, il Ministero probabilmente ha dato atto a Crosetto e Meloni della notorietà conquistata nei giorni precedenti grazie ai media e ha ritenuto di non dover privilegiare il movimento Fratelli d'Italia, che per di più aveva presentato il suo emblema dopo quello più "noto"
degli ex Pdl: avere una grafica del tutto diversa, con un cavaliere su fondo blu e la base tricolore, non è bastato a salvare il simbolo
Qualcosa di molto simile sembra accaduto anche all'Unione di Centro - Udc, già presentata (sia pure
con un contrassegno più semplice e spoglio) nel 1994 alle politiche da Ugo Sarao; già in quell'occasione, tra l'altro, l'emblema era stato in un primo tempo escluso per la compresenza dell'Unione di centro di Raffaele Costa, ma riuscì a dimostrare che la denominazione l'aveva in qualche modo ideata lui e che la grafica non era affatto confondibile. Le considerazioni sulla grafica rimangono anche oggi, mentre il confronto con l'Udc di Casini ha fatto prevalere questo partito, per la tutela che l'articolo 14 comma 6 attribuisce ai partiti già rappresentati in Parlamento (mentre l'Udc di Costa era alla prima partecipazione)
Devono essere caduti in una somiglianza "pericolosa" anche altri due simboli, del Partito comunista (nuovo nome assunto dai Comunisti sinistra popolare di Marco Rizzo) e
dei Proletari comunisti italiani: le sigle di entrambi rimandano molto al vecchio Pci e devono aver ricordato un po' troppo altri emblemi depositati per tempo, il Partito comunista dei lavoratori e il Partito comunista italiano marxista-leninista; anche il deposito del simbolo da parte di Rifondazione comunista, con falce e martello gialli sul fondo rosso della bandiera, non deve aver aiutato a far ritenere ammissibile l'emblema legato a Rizzo (il quale non sembra aver accolto bene la richiesta di sostituzione del contrassegno).

Accanto alle somiglianze, non sono mancate addirittura le identità tra contrassegni: un'eventualità più rara, ma che può capitare quando ci si contende la rappresentanza del medesimo soggetto politico o la titolarità dello stesso emblema. Ai tavoli del Viminale, infatti, sono arrivate due copie identiche del contrassegno di Alba dorata Italia ed è stata accolta quella depositata per prima da Giorgio Berardi e non quella di Alessandro Gardossi, portata solo successivamente (non c'era del resto altro criterio); lo stesso è accaduto con l'emblema di Grande Sud, di cui è stato riconosciuto regolare solo il secondo deposito (di Giuseppe Fallica) a scapito del primo e di un'altra formazione con un nome molto simile (Grande Sud indipendente) e una grafica più artigianale. 
Manco a dirlo, l'identità che più colpisce riguarda gli scudi crociati. Già, perché a fronte del simbolo dell'Udc che, come previsto e prevedibile, ha avuto tutela rispetto a tutti gli altri usi dello scudo crociato, sulle bacheche del Viminale sono apparse addirittura tre Democrazie cristiane; l'unico modo per distinguere per bene i contrassegni è guardare con attenzione ai dettagli.  
Uno scudo - presumibilmente il più tridimensionale e chiaro, con tanto di riflesso - è stato depositato dalla Dc guidata da Gianni Fontana; un altro - perfettamente identico, se non per il colore del fondo, un briciolo più scuro - è stato presentato da Alessandro Duce (fino a poco tempo fa segretario amministrativo della Dc-Fontana), in qualità di ultimo segretario amministrativo della Dc "storica", a suo dire "riattivata" grazie alla sentenza della Cassazione civile a sezioni unite n. 25999/2010 (che ha confermato la sentenza n. 1305/2009 della Corte d'appello di Roma) sul mancato scioglimento del partito e sul suo cambiamento di nome invalido. 
Un terzo scudo - appena più chiaro del precedente - sarebbe stato conferito per conto della cd. Dc-Pizza, della cui attività negli ultimi mesi si era persa traccia [in realtà in seguito si è saputo che l'emblema era riferito al comitato della Dc guidato da Francesco Mortellaro]. Sono comunque stati tutti bocciati, quegli scudi, perché il diverso scudo che campeggia da anni sul contrassegno dell'Udc ha fatto scattare l'applicazione dell'articolo 14 comma 6 del t.u. Camera, che in caso di confondibilità tutela i partiti già rappresentati in Parlamento (e già votati dagli elettori): di fronte a questo argomento, non c'è sentenza o tentativo di "rianimazione" del partito di De Gasperi che tenga.
Tre simboli tra quelli presentati sono stati ricusati per la presenza di immagini religiose all'interno degli emblemi: si tratta in particolare delle croci presenti in Rsi Nuova Italia, nella Lista civica Militia Christi e nel contrassegno di
Consortio vitae. E' la legge a chiedere che il fenomeno religioso non sia coinvolto nel meccanismo elettorale, dunque non stupisce la decisione del Viminale (che ha invece risparmiato questa volta formazioni come l'Unione cattolica italiana o Italia cristiana, che non hanno più inserito croci riconoscibili nei loro simboli, dopo che negli anni scorsi avevano avuto gli stessi problemi riscontrati dalle formazioni citate). 
Viene piuttosto da domandarsi se sia stata la croce rossa, generalmente legata alla Croce Rossa, a generare l'esclusione della lista No alla chiusura degli ospedali, o se non si sia trattato piuttosto di un uso di segno distintivo non autorizzato. E' questa, infatti, la causa quasi certa dell'esclusione - temporanea o definitiva, a seconda che sia presentato e accettato o meno un emblema sostitutivo - dei contrassegni Noi consumatori - liberi da Equitalia
e di No Gerit Equitalia: in entrambi i casi, l'uso del nome avrebbe dovuto essere permesso dall'avente diritto (da Equitalia in questo caso), mentre non risultava alcun consenso o autorizzazione in tal senso.
Da ultimo, curiosa è la ricusazione che riguarda Forza evasori - Stato ladro
è probabile che il contrassegno della formazione legata a Leonardo Facco sia stato escluso dal Ministero dell'interno perché visto come una sorta di apologia di reato (dell'evasione fiscale, esattamente) e perché il nome stesso ne commetteva un altro, probabilmente uno dei reati di vilipendio previsti dal Codice penale (forse il "vilipendio della Repubblica" ex art. 290). Era un esito almeno in parte prevedibile, considerando che nel 2001 un contrassegno che riportava la scritta "Basta ladri" (Italia unita dei liberaldemocratici), presentato da Luciano Garatti, era stato bocciato proprio per lo stesso motivo e la frase era più sibillina (non è che si desse del ladro allo Stato), per cui fu purgata con un semplice e secco "Basta!" e il nuovo emblema passò. Del criterio non c'è traccia all'interno dell'articolo 14 del t.u. Camera, ma il Viminale è stato fermo nella ricusazione, creando di fatto una nuova regola da seguire in futuro. I rappresentanti di Forza Evasori - Stato ladro hanno già annunciato che non presenteranno un emblema nuovo, né faranno ricorso; c'è ancora tempo, invece, per porre rimedio alle altre ricusazioni.

(versione ampliata dell'articolo pubblicato su LeggiOggi.it il 16 gennaio 2013) 

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