Tra coloro che hanno fatto opposizione alla ricusazione del proprio contrassegno da parte del Viminale c'è anche l'Unione di centro. No, non quella di Casini e Cesa, che ha presentato tranquillamente il proprio scudo crociato con l'indicazione del proprio leader (avendo scelto di non inserire il nome di Monti, per non avere grane), sapendo che nessuno avrebbe potuto realmente ostacolarla. E nemmeno, per chi ha ottima memoria politica, l'Udc di Raffaele Costa, che negli anni '90 riunì quella parte dei liberali legati al centrodestra e alleati con Silvio Berlusconi alla sua prima candidatura, per poi sparire nel giro di qualche anno, direttamente inglobata in Forza Italia già dopo poco tempo.
L'Unione di centro - Udc in questione era stata fondata nel 1992 da Ugo Sarao, cancelliere di Corte d'Appello a Milano, come evoluzione politica della propria sigla precedente (ma presentata anche in seguito), il Partito di centro, quello con l'uomo-bilancia disegnato sopra. Già nel 1992 Sarao aveva depositato al Ministero dell'interno l'emblema: molto semplice, solamente letterale, con le lettere scritte forse con un normografo. Il Viminale glielo bocciò, visto che aveva presentato sempre lui il Partito di centro a quelle stesse elezioni e non poteva depositare un altro emblema a suo nome, ma Sarao non è tipo che si arrenda facilmente e lo avrebbe dimostrato.
Dal 1992 il cancelliere avrebbe partecipato a varie consultazioni amministrative con il simbolo, da solo o in composizione grafica col simbolo del Pli; in più egli sostiene di aver proposto a più riprese a liberali, repubblicani, socialdemocratici e (massì) socialisti di sciogliere le loro sigle per dar luogo concretamente a un'Unione di centro, senza ricevere particolare attenzione. Almeno finché, nel 1993, spuntò Costa (in quel periodo anche segretario del Partito liberale) con la "sua" Udc e un simbolo tutto diverso, un nastro tricolore in una corona circolare blu, con tutta l'intenzione di presentarsi alle elezioni dell'anno dopo, appunto per traghettare nel centrodestra la parte dei liberali che non si riconosceva nella Federazione dei liberali di Raffaello Morelli.
Ovvio che, alle stesse elezioni, si sia presentato di nuovo anche Sarao, col suo emblema, che anche in quel caso fu ricusato dal Ministero, visto che il simbolo di Costa aveva il numero 191, quello di Sarao il 275. L'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Cassazione, tuttavia, riammise l'Udc-Sarao (senza per questo estromettere quella di Costa) ricordando, da una parte, che "Unione" e "Centro" erano parole generiche che non potevano essere utilizzate da un soggetto in modo esclusivo; notando, dall'altro, che non c'era alcuna confondibilità grafica e nulla dunque ostava al mantenimento di entrambi, nemmeno il fatto che Costa avesse depositato il suo emblema per primo. Quella volta, dunque, furono ammessi tutti e due, senza altri problemi.
Il simbolo dell'Udc-Casini nel 2013 |
La denominazione, in seguito, è stata ripresa da altri soggetti più o meno noti, finché se ne sono avvalsi proprio Casini e gli altri esponenti dei partiti (Ccd, Cdu e De) che nel 2002 hanno costituito l'Unione dei Democratici Cristiani e di Centro, ma fin dall'inizio hanno utilizzato la sigla Udc e giornalisticamente erano richiamati proprio come Unione di centro. Col simbolo con la scritta Udc hanno partecipato alle elezioni europee del 2004, alle politiche del 2006 e a quelle del 2008: proprio in quell'ultima occasione, il soggetto politico presentato e premiato dagli elettori con una rappresentanza parlamentare si chiamava esattamente "Unione di centro", poiché vi avevano partecipato anche i cattolici di Pezzotta della "Rosa per l'Italia" e gli ex-Margherita legati a Ciriaco De Mita, oltre ad altre figure fuoriuscite da Pd e Pdl.
A queste elezioni, il movimento Unione di centro (che nel frattempo è guidato, come il Partito di centro, da Cesare Valentinuzzi) ha scelto di ripresentarsi, sia pure dopo molto tempo e aggiornando il proprio contrassegno, ora con varie sagome umane su un bersaglio bianco e rosso, il tutto su sfondo giallo, che fa risaltare anche le parti letterali, immodificate rispetto al 1994. Anche stavolta, però, il Viminale ha detto no e, come nel 1994, del caso è stato interessato l'Ufficio elettorale centrale nazionale. Valentinuzzi, in particolare, nota che l'Udc di Casini è presente solo alla Camera, mentre la propria Udc è schierata soltanto al Senato: ciò basterebbe a escludere che gli elettori possano essere tratti in errore, visto che non troverebbero mai l'emblema dell'Udc sulle schede del Senato, dunque non ci sarebbe una confondibilità "in concreto" (vista anche la completa differenza grafica tra i due emblemi).
A queste elezioni, il movimento Unione di centro (che nel frattempo è guidato, come il Partito di centro, da Cesare Valentinuzzi) ha scelto di ripresentarsi, sia pure dopo molto tempo e aggiornando il proprio contrassegno, ora con varie sagome umane su un bersaglio bianco e rosso, il tutto su sfondo giallo, che fa risaltare anche le parti letterali, immodificate rispetto al 1994. Anche stavolta, però, il Viminale ha detto no e, come nel 1994, del caso è stato interessato l'Ufficio elettorale centrale nazionale. Valentinuzzi, in particolare, nota che l'Udc di Casini è presente solo alla Camera, mentre la propria Udc è schierata soltanto al Senato: ciò basterebbe a escludere che gli elettori possano essere tratti in errore, visto che non troverebbero mai l'emblema dell'Udc sulle schede del Senato, dunque non ci sarebbe una confondibilità "in concreto" (vista anche la completa differenza grafica tra i due emblemi).
Le osservazioni di Valentinuzzi non sono certo prive di senso, anche nel richiamare il precedente del 1994, ma non tengono probabilmente conto di due particolari: da una parte, l'Udc-Casini ha alle spalle un intero mandato parlamentare con quella denominazione sul contrassegno, per cui gode senza dubbio della tutela per i simboli già rappresentati in Parlamento (cosa che l'Udc-Costa non poteva vantare); dall'altra, bisogna considerare - anche qui, come nel caso di Fratelli d'Italia - le modifiche che nel frattempo le disposizioni sui contrassegni hanno subito. Va ricordato di nuovo, infatti, che l'art. 14 comma 3 del testo unico per l'elezione della Camera ora dice che "Non è ammessa la presentazione di contrassegni identici o
confondibili (...) con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, usati tradizionalmente da altri partiti"; per il comma 4,
sono elementi di confondibilità anche "le parole o le effigi
costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità
politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica".
Morale, se nome e sigla sono gli stessi, si rischia comunque la confondibilità, anche se la grafica è diversa, anche se un simbolo era già stato presentato, anche se i due simboli non finirebbero mai sulla stessa scheda perché l'Udc-Casini non si presenta a Palazzo Madama. Certamente non aiuta il fatto che, dal 1994, l'Udc di Sarao e Valentinuzzi non sia più apparsa nelle bacheche del Viminale, anche solo a scopo cautelativo. "Se fosse sufficiente la sola identità di una o due parole per generare un rifiuto del contrassegno, allora sarebbero molti i simboli che dovrebbero essere esclusi" lamenta Valentinuzzi; anche la Cassazione, però, gli ha dato torto. Il sogno di Sarao, a quanto pare, è passato definitivamente di mano.
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