Ci sono vari modi, in fondo, di farsi ricusare un contrassegno alle elezioni politiche ed europee, ma anche alle consultazioni di altro livello. E non c'è nemmeno bisogno di mettersi a scimmiottare per caso o apposta l'emblema di qualche altra formazione: basta, volendo, molto meno. Anche, per esempio, piazzare una bella croce, latina o greca non importa, in modo abbastanza visibile all'interno del cerchio; oppure una raffigurazione come il Sacro Cuore di Gesù, con una crocettina al sommo dello stesso cuore. Già, perché dal 1956 in avanti questo non si può più fare: dopo che varie croci tutte cattoliche erano apparse nei primi appuntamenti elettorali, era stata fatta approvare una norma in base alla quale «Non è neppure ammessa la presentazione di contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi».
L'intento, per i proponenti, era abbastanza manifesto: evitare che qualcuno speculasse su soggetti religiosi o immagini sacre in occasione delle elezioni e, magari, carpisse la buona fede dei votanti facendo loro credere che un partito agiva sotto la guida di questa o di quella figura sacra. Un vero e proprio sacrilegio per chi era credente, semplicemente una truffa per tutti gli altri. Non che fosse tutto così semplice da capire e da applicare: "Come la mettiamo con la Dc, che nel simbolo ha una croce?" si era chiesto il missino Giorgio Almirante nel dibattito in aula. Gli avevano risposto due democristiani, Michele Marotta e Angelo Raffaele Jervolino: per prima cosa quella non era una croce, ma lo scudo crociato ("Se i monarchici si presentassero con lo scudo sabaudo, userebbero anch'essi la croce, ma non come simbolo religioso"), ma soprattutto si era chiarito che i partiti non potevano usare un segno religioso nel simbolo "esclusivamente nella loro propaganda, ai fini delle elezioni", mentre non ci sarebbero stati problemi a utilizzare un soggetto religioso "come simbolo abituale di propaganda".
Sarà che, da allora, molti soggetti hanno provato a utilizzare croci e altri segni religiosi alle elezioni senza avere alle spalle un'attività politica abbastanza lunga da far qualificare l'uso degli emblemi come "simbolo abituale di propaganda", sta di fatto che ogni volta che un simbolo religioso viene riconosciuto, finisce puntualmente sotto la mannaia del Viminale o delle altre autorità che di volta in volta sono chiamate a vagliare i contrassegni. Anche all'ultimo deposito dei marchi elettorali è stato così: non andavano bene le croci latine o greche (e sono saltati Consortio vitae e RSI Nuova Italia, anche se per l'ultimo erano più "gravi" i riferimenti all'esperienza fascista, sui quali peraltro si potrebbe discutere) e continuavano a non andar bene le riproduzioni del Sacro Cuore (per cui di Militia Christi è stato ammesso solo l'emblema con l'ancora, mentre Italia cristiana, che in passato era caduta sullo stesso punto, si era già premunita, sostituendo alla croce una piccola corona). Ma non si è salvata nemmeno una piccola croce greca inscritta in un cerchio, all'interno del contrassegno di "No alla chiusura degli ospedali": normalmente è un segno sanitario, ma per i funzionari del Ministero non doveva essere così chiaro, così quel piccolo segno è saltato.
Il solo modo che ha una croce per passare l'esame ministeriale è, a quanto pare, celarsi bene. Più di qualcuno ha notato che l'albero della zattera di Pane pace e lavoro altro non è che una croce latina, nemmeno troppo nascosta; nessuno, tuttavia, si è mai sognato di bocciarla. Anche le bandiere, a quanto pare, sono un ottimo nascondiglio, visto che di croci se ne sono viste, nei secoli, a decine. E passi per quella di San Giorgio, rossa su fondo bianco, che è la bandiera storicamente legata alla Lombardia e non solo, ma com'è possibile che nessun giudice abbia avuto da ridire sulla croce gialla in bella vista sul tricolore nel contrassegno di Io amo l'Italia? Magdi Cristiano Allam forse non avrebbe gradito, ma la legge varrebbe anche per lui ...
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