Dopodomani per svariate decine - centinaia, per i più ottimisti - di persone potrebbe non essere un mercoledì qualunque: il 23 luglio può trasformarsi nel primo passo verso il ritorno della Democrazia cristiana. Che secondo i giudici non è mai morta (ammesso che qualcuno la volesse davvero sciogliere) e nell'idea di qualcuno aspetta solo che la si scongeli e la si rimetta in campo.
Tutto potrebbe (ri)cominciare tra due giorni, a Roma, nella sala della Mercede (in via della Mercede 55): lì, alle ore 12, è stata convocata una riunione
del Comitato nazionale dei soci Dc 1992-1993, che di fatto coincide con la sua presentazione ufficiale. "Ci
stiamo affacciando pubblicamente da una sede idonea nazionale per pubblicizzare
l’attività del comitato - spiega il suo presidente, il leccese Raffaele Lisi -. Il tema conduttore finale della nostra riunione è 'La Dc nell’attuale
situazione politica' e di questo parleremo".
Perché, a quanto pare, qualcuno sembra avvertire un'insopprimibile voglia di Balena bianca, anche in formato più ridotto. Non che finora non si sia provato a soddisfarla: è persino difficile contare con esattezza i partiti che negli ultimi anni si sono richiamati all'esperienza diccì o addirittura si sono contesi il nome e soprattutto il simbolo, quello scudo crociato che dal 1994 di pace ne ha conosciuta ben poca. A riportare in vita il vecchio marchio hanno provato in tanti, a partire da Flaminio Piccoli (che nel frattempo è passato nel mondo dei più); ora ci prova anche Lisi, che non sembra affatto spaventato dagli insuccessi di chi lo ha preceduto.
Già, perché alla fine di marzo del 2012 un gruppo aveva seriamente tentato la via "dell'autorisveglio", attraverso un'autoconvocazione del consiglio nazionale del partito, firmata dal "consigliere anziano" Clelio Darida. Alla base di tutto, una sentenza della Cassazione a sezioni unite che alla fine del 2010, confermando una pronuncia vecchia di un anno della Corte d'appello di Roma, aveva posto fine a uno dei tanti contenziosi della diaspora democristiana (iniziato nel 2002): a leggere le carte si scopriva che nel lontano 1994 non solo la Dc non era stata sciolta - intenzione che nessuno aveva - ma la modifica del nome era avvenuta in modo del tutto irregolare, al di fuori di un congresso. Nessun partito dunque poteva proclamarsi erede della Dc, né pretendere di usare in esclusiva lo scudo crociato: non l'Udc, né tanto meno le varie Democrazie cristiane che nel tempo si erano moltiplicate, a partire da quella che si riconosceva nella segreteria di Giuseppe Pizza.
Ma se nessuno poteva dichiararsi erede della Dc - hanno pensato in diversi - bastava risvegliarla per farla operare di nuovo: doveva servire proprio a questo l'autoconvocazione di Darida e il percorso successivo, che a novembre del 2012 aveva portato alla celebrazione del XIX congresso del partito (quello precedente si era svolto nel 1989), da cui uscì eletto segretario l'ex ministro Gianni Fontana. Peccato che i giudici, in due tempi diversi, abbiano sospeso gli effetti del congresso e del consiglio nazionale di marzo per irregolarità gravi nella convocazione delle due riunioni. "Io avevo avvertito Fontana per iscritto un po' di tempo prima di questa possibilità - dichiara Lisi - ma non sono stato ascoltato e questo è il risultato". Nonostante questo, Lisi vuole riprendere la marcia verso il ritorno della Dc e, come detto, lo fa a dispetto degli errori di chi ci aveva già provato: "Io so bene come fare", garantisce.
La strada scelta questa volta è quella del Comitato formato dagli iscritti al partito nell'ultimo tesseramento valido (quello del 1992-1993): toccherebbe solo a loro, secondo Lisi ed altri (come il suo vice Emilio Cugliari) decidere il destino dello scudo crociato. Ma quanti sono a volerlo di nuovo? "Al momento il nostro comitato, costituito il 20 ottobre 2012, conta 500 adesioni, raccolte giorno per giorno tra i vecchi amici iscritti al partito - spiega il presidente -. Se però conta anche i partecipanti al
congresso poi 'congelato' dell'anno scorso, ne deve aggiungere altri 1750". Tutti riuniti sotto il vecchio scudo di stile degasperiano, col bordo superiore arcuato, cui è stata aggiunta la 'indicazione "Dal 1943" ("Per i più giovani", puntualizza Lisi).
L'idea, dunque, è di arrivare entro l'anno a celebrare il congresso, riattivando definitivamente la Dc che, a quel punto, potrebbe rivendicare tutti i suoi beni. Guai però a pensare che lo scopo finale sia quello: "Stiamo operando da artigiani, senza aiuti di nessuno
e senza avere alle spalle il fiato di nessuno - rivendica Lisi -. A noi interessa rimettere in piedi il partito, i beni non ci interessano. E' vero che un semplice iscritto può chiedere la rendicontazione a chi di dovere e, alla lunga, questo si potrà fare, ma ora conta rimettere in pista la Dc". Si dovrebbe appunto iniziare dopodomani, con questo gruppo di "iscritti superstiti": tra loro dovrebbe esserci anche Fontana, mentre quasi certamente non ci sarà Giuseppe Pizza ("Lui figura come persona tra i fondatori Pdl, non sappiamo che fine abbia fatto").
Tutto chiaro? Mica tanto. Per cominciare, c'è chi è convinto che un XIX congresso democristiano ci sia già stato (nel 2003), e volendo anche un XX e un XXI. Si tratta del friulano Angelo Sandri, che dal 2004 mantiene la segreteria della "sua" Dc, ha partecipato a varie elezioni locali con il suo simbolo - a volte persino con lo scudo crociato, quando le commissioni competenti non glielo hanno bocciato - ed è a sua volta presidente di un altro comitato di iscritti 1992-1993 (a onor del vero ce ne sono anche altri, coe quelli presieduti da Franco Mortellaro e Raffaele Cerenza). Sandri è sicuro della saldezza dei suoi titoli e non è escluso che, qualora il gruppo di Lisi proceda nel suo cammino, decida di agire legalmente; lui, in compenso, ha ricevuto dal comitato Lisi una diffida stragiudiziale a rispettare le sentenze sullo scudo crociato, al pari dell'Udc, di Pizza, di Rotondi e di altri (compreso Mario Tassone, artefice della "rinascita" del Cdu).
In più ci sarebbe un particolare non da poco. La sentenza di Cassazione del 2010, infatti, dice espressamente che lo "smontaggio" della delibera del cambio di nome da Dc a Ppi del 1994 - contenuto nella sentenza di appello del 2009 - non vale per chi non ha partecipato al giudizio. In particolare non vale proprio per il Ppi (o ciò che ne è rimasto, dopo la sua confluenza nella Margherita), per il quale dunque la decisione del cambio di nome resterebbe valida. Prima di procedere con le attività del comitato, non era il caso di ottenere una sentenza che valesse anche per i Popolari ancora rappresentati da Pierluigi Castagnetti e Luigi Gilli? "Anche loro devono rispettare le sentenze in materia, che dicono che quell'atto di fatto è nullo, con ciò che ne consegue - conclude Lisi -. Noi andiamo avanti, se qualcuno vuole fare causa la faccia pure e si vedrà". Tutto lascia pensare che la storia dello scudo crociato riserverà altre, imprevedibili puntate.
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