martedì 17 gennaio 2017

Italia popolare, il nome che Ncd non potrà usare

Che il nome del Nuovo centrodestra non fosse particolarmente gradito a buona parte degli aderenti al medesimo partito, e forse allo stesso Angelino Alfano, era cosa che si poteva indovinare da mesi: lo proverebbero, per esempio, la rapida adozione del nome di Area popolare (che in un primo tempo doveva servire solo per denominare il cartello con l'Udc) e il deposito - a nome dell'attuale ministro degli esteri - di svariati marchi, ciascuno dei quali poteva presentarsi come alternativa all'etichetta attualmente in uso. Questa volta però "la svolta sarebbe davvero imminente", come ha scritto ieri Il Tempo, dando per probabile l'adozione del nome "Italia popolare": un'etichetta che, tuttavia, risulta già occupata da anni, a scapito di chi ha cercato di farla propria.
In particolare, nell'articolo firmato da Carlantonio Solimene, si legge che:
A militanti esponenti del partito Alfano dovrebbe proporre a giorni di cambiare la sigla o in Area popolare (come attualmente si chiamano i gruppi parlamentari alla Camera e al Senato) o in Italia popolare. Quest'ultima ipotesi è data in una posizione visto che Ap simboleggia un accordo politico - quello con l'Udc - che all'atto pratico non ha dato esiti elettoralmente soddisfacenti ed è già in via di disfacimento. In ogni caso ci sarà l riferimento al Partito popolare europeo, nel quale gli alfaniani si riconosceranno senza le sbandate "populiste" di alcuni cugini di Forza Italia.
Qualche fondamento la notizia potrebbe ben averlo, visto che - tra l'altro - tra i segni distintivi depositati a nome di Alfano c'era anche proprio la grafica attuale con la dicitura "Italia popolare". Quella domanda di marchio, però, risulta ancora non assegnata, dunque non si può dire tecnicamente che Alfano disponga di quell'emblema con certezza. 
Al contrario, qualcuno è sicuro che quel nome il Nuovo centrodestra non possa proprio utilizzarlo. "Corre l'obbligo di ricordare che Italia popolare è stata fondata nel 2004 e ha come suo presidente il sen. prof. Alberto Monticone, come presidente onorario l'on. Gerardo Bianco e una struttura territoriale popolare che l'ha vista partecipare a competizioni elettorali locali (in Piemonte e in Campania) con simbolo del gonfalone popolare registrato dall'associazione dei Popolari di Moncalieri (Torino), in particolare con programmi aventi al centro la famiglia ex art. 29 della Costituzione, oltre che alla campagna referendaria a difesa della Costituzione stessa, 'programma di un popolo', per riprendere le parole di La Pira". A parlare è Giancarlo Chiapello, responsabile piemontese e organizzativo nazionale di Italia popolare (quella di Monticone). L'emblema, parente stretto di quello che Guido Bodrato nel 1995 schizzò per la parte di Ppi che aveva "sfiduciato" Rocco Buttiglione preferendogli Bianco, è stato depositato nel 2006 e registrato quattro anni dopo (la versione depositata come marchio, tuttavia, non contiene la dicitura "Italia popolare"). 
Chiapello, peraltro, ha già dovuto combattere per difendere la titolarità di quel nome e il primo scontro era stato con il peso massimo possibile, Silvio Berlusconi: non appena i media, all'inizio del 2011, fecero sapere che l'allora Presidente del Consiglio pensava di usare per il suo partito la denominazione "Popolari", come riferimento italiano al Partito popolare europeo, Monticone e Chiapello dichiararono immediatamente che quella parola era già occupata; tempo qualche giorno e del progetto di Berlusconi non si parlò più. Un avvertimento simile toccò a Mario Mauro, quando volle costituire i Popolari per l'Italia: attraverso contatti informali, i fondatori del nuovo partito furono avvertiti che altri Popolari esistevano già da prima e non si erano mai sciolti; Mauro decise di andare avanti comunque, ma il nome non dovette portargli fortuna più di tanto.
Nel mezzo tra i due episodi, in compenso, si colloca il caso più interessante: all'inizio di dicembre 2012, Gianni Alemanno organizzò una manifestazione intitolandola Italia popolare e più di qualcuno era pronto a giurare che l'allora sindaco di Roma fosse pronto a chiamare proprio Italia popolare un suo nuovo movimento. Anche in quell'occasione, Chiapello ricordò in una nota che il nome era già in uso: "si ritiene dunque opportuno per evitare confusioni diffidare chiunque dall'utilizzo di tale denominazione, in particolare da parte di chi è ben lontano dalla tradizione politica del popolarismo, che mai ha assunto connotazioni o interpretato posizioni di destra". Anche in quel caso, Alemanno non utilizzò più quel nome, creando invece Prima l'Italia (altra etichetta non originale, essendo stata usata come slogan nel 2012 dal Pd e vent'anni prima dalla Dc).
"Come ricordato negli anni precedenti a Berlusconi, Alemanno e Mauro - prosegue oggi Chiapello nella sua nota - il nome 'Italia popolare' appartiene a un movimento il cui statuto è depositato presso un notaio romano; oggi tocca ricordarlo all'on. Angelino Alfano, fondatore del Nuovo centrodestra". Chiapello (come Monticone e vari altri) nel 2002 aveva scelto di "restare popolare" anche quando il Ppi aveva scelto di sospendere la sua attività per confluire nella Margherita: Non stupisce, dunque, che lui voglia difendere la storia di quei "cattolici democratici che hanno ritenuto, attraverso Italia popolare, di conservare e rinnovare la presenza e l'impegno politico e culturale del Partito popolare italiano all'indomani del suo congelamento". 
Non c'è ovviamente certezza che il Nuovo centrodestra scelga proprio di chiamarsi Italia popolare, del resto tra gli emblemi depositati all'Ufficio italiano brevetti e marchi c'erano varie altre versioni; per Chiapello, in ogni caso, è meglio essere prudenti e mettere le cose in chiaro dall'inizio: "Si invitano pertanto Ncd e l'on. Alfano, suo presidente - si legge alla fine della nota - a desistere dall'intenzione di perpetrare un sopruso verso un movimento esistente, i cui membri non possono che trovarsi oggi impegnati per ricostruire una nuova stagione di presenza dei cattolici in politica per superare l'attuale afonia, che troppi politici hanno accompagnato, riprendendo le parole di don Primo Mazzolari: 'né a destra, né a sinistra, né al centro, ma in alto', fuori da geometrie troppo variabili e ormai troppo vecchie". Basterà questo a far tramontare anche quest'ipotesi di usare un "nome" molto ambito, specie nel centrodestra?

lunedì 16 gennaio 2017

I Cattolici liberali, ovvero Michelangelo prima di Sgarbi

Che poi, a bocce ferme, le rotelle si rimettono in moto e si cerca di recuperare le puntate perdute. Per esempio, una volta passati lo stupore e l'emozione per il nuovo (e forse non ultimo) simbolo di Vittorio Sgarbi, che per il suo Rinascimento ha voluto il dettaglio più famoso della Creazione di Adamo di Michelangelo, tratto direttamente dalla Cappella Sistina, ti viene in mente (o c'è chi ti suggerisce) che quelle due dita che stanno per sfiorarsi, nell'attimo che precede la trasmissione della vita, qualcuno aveva già avuto l'idea di utilizzarle come emblema politico qualche anno prima, ma l'uso era stato talmente fugace da non lasciare quasi traccia.
A quel punto si va a scartabellare un po' per aiutare la memoria a ricordare, finché - eureka! - la risposta che si cercava appare davanti agli occhi. Perché già in una delle prime elezioni suppletive per la Camera dei deputati - tra il 1994 e il 1995 - tra i contrassegni depositati appare quello dei Cattolici liberali. E le dita che si sfiorano sono proprio quelle, prese giusto da un po' più vicino; a emergere più di ogni altra cosa, tuttavia, è la precarietà del simbolo, disegnato anche con una certa cura, ma da tre pennarelli in tutto. Tocca a loro stendere il verde e il rosso della bandiera italiana sul fondo (in modo irregolare e frastagliato) e tracciare in blu il contorno delle mani, la circonferenza e la scritta in maiuscolo inclinato (evidentemente senza un normografo). 
I Cattolici liberali erano legati ad Alberto Michelini, giornalista, già volto noto del Tg1: nella XII legislatura fu eletto a Montecitorio con il Patto Segni, ma al momento della scelta dei gruppi si iscrisse semplicemente al misto, senza aderire alla componente dei pattisti (al pari, per dire, di Giulio Tremonti ed Ernesto Stajano). Già in quell'occasione, appunto, creò i Cattolici liberali, un movimento - lo spiegò lo stesso Michelini alla prima convention nazionale del partito tenutasi quasi un anno dopo, il 24 febbraio 1995 - che poneva "al centro della propria azione la persona e le sue libertà; valori comuni a laici e cattolici", convinto che gli alleati dovessero essere cercati "sulla base delle affinità ideali e culturali con l'obiettivo di raggiungere un'unità sui valori" (senza per questo rifare la Dc o qualcosa di simile).
A livello parlamentare, in realtà, i Cattolici liberali non ebbero mai visibilità diretta: Michelini, infatti, già a dicembre del 1994 contribuì a creare alla Camera il gruppo dei Federalisti e liberaldemocratici, che alle elezioni suppletive del 9 aprile 1995 - quelle indette per stabilire chi dovesse subentrare a Emma Bonino, nuova commissaria europea - finirono persino sulle schede, accanto al nome di Giovanni Negri, candidato "imposto" al centrodestra dalla Lista Pannella - Riformatori (ma sconfitto da Giovanni Saonara). 
Che quella compagine fosse lontana, lontanissima dall'essere un partito, lo dimostrava il simbolo, uno dei più bianchi e più anonimi di sempre; in seguito, all'inizio del 1996, si sarebbe tentato di mettere in piedi i Federalisti liberali, con il loro elefante tricolore simil-repubblicano, ma i tempi non erano maturi. 
Nel frattempo, il 10 ottobre 1995, Michelini aveva annunciato la confluenza dei Cattolici liberali in Forza Italia: da quel momento il simbolo con le mani michelangiolesche non si vide più sulle schede, dopo aver partecipato a un numero ridottissimo di competizioni elettorali, nemmeno troppo visibili. Chissà se Sgarbi - che nel 1994 aveva presentato un suo emblema, SI con Sgarbi, con cui poi avrebbe tentato di contestare i Socialisti italiani di Enrico Boselli sull'uso della sigla "Si" - ricordava quel fugace precedente, quasi da meteora, anche solo per distaccarsene nettamente mentre faceva progettare il simbolo per il suo nuovo progetto politico... 

Grazie a Mario Cinquetti per avermi ricordato questo episodio.

domenica 15 gennaio 2017

Progetto X, un percorso democratico in Movimento

"Un percorso, una proposta organizzativa, il risultato di un laboratorio di idee"; "una organizzazione libera, egualitaria, laica, democratica e aperta; un'organizzazione politica di persone fondata sul principio della libertà, dell'eguaglianza, della solidarietà, dell'ecologia e della non violenza". Con queste parole si definisce, in alcuni dei suoi documenti fondativi - rispettivamente le FAQ per chiarire e la Carta dei principi - la comunità di Progetto X. Si tratta di una realtà che da qualche mese sta operando per strutturarsi e per nascere "ufficialmente" su scala nazionale, anche se i primi passi li ha mossi ormai due anni e mezzo fa e la vita non è stata delle più semplici. 
Se probabilmente in molti non conoscono ancora il nome di Progetto X, i compulsatori seriali delle composizioni dei gruppi parlamentari certamente conoscono Movimento X, che del Progetto può dirsi il primo nucleo. Al momento a quell'etichetta è legata solo la senatrice Laura Bignami, mentre in un primo tempo nel gruppo misto rappresentavano la componente - che in realtà a Palazzo Madama non esiste, ma ci torneremo - anche altri eletti al Senato (Alessandra Bencini, Bartolomeo Pepe, Maria Mussini e Maurizio Romani).
"La compagine originaria di Movimento X - spiega Giampaolo Sablich, il portavoce nazionale di Progetto X - era costituita da ex aderenti al MoVimento 5 Stelle, fuoriusciti o cacciati a calci, come mia moglie Laura Bignami, che fu espulsa senza nemmeno una votazione, in spregio alle poche regole che allora i 5 Stelle avevano". 
La componente Movimento X si costituì l'11 luglio 2014, ma il primo passo era antecedente di un mese: l’8 giugno, a Roma, si era tenuta una prima riunione, cui parteciparono molti espulsi dal M5S, comprese alcune figure note come Giovanni Favia e Valentino Tavolazzi, personaggi come Antonio Ingroia e diversi rappresentanti di movimenti e associazioni politiche "minori", quali Democrazia in Movimento, Pirati e Rete dei Cittadini. Quello fu il punto di partenza di un cammino di lavoro, in cui Sablich (già consigliere comunale M5S) ha avuto una parte rilevante, e che è stato condiviso - in incontri tanto reali quanto online - con alcuni compagni di viaggio, anche se nel tempo c'è chi ha preso altre strade e, come si è visto, tra aprile e novembre del 2015 la compagine parlamentare si è ridotta, fino a riguardare la sola Bignami. Questo, comunque, non ha fermato l'evoluzione di quell'idea nata nel 2014, l'ha anzi spinta a diventare qualcosa di più strutturato e ambizioso, nelle forme e nei contenuti.
Alcuni degli schizzi che hanno portato al simbolo
Fin dall'inizio, comunque, per costituire la componente in Senato, ci voleva un nome, che non era passato inosservato. Un nome che, per lungo tempo, non è stato assistito da un vero e proprio simbolo; dopo i primissimi giorni in cui si proponevano molte idee e si azzardava anche qualche schizzo, peraltro, la denominazione si è presto caratterizzata per quella X, che dava l'idea di qualcosa di un po' misterioso e ancora in divenire, quasi provvisorio (come i documenti fondativi avrebbero chiarito con precisione), ma era portatrice di più significati. "In effetti - spiega Sablich - la X poteva avere il significato di 'per', ma nella numerazione romana rappresentava anche il 10, ossia il doppio di 5, con riferimento alle stelle da cui eravamo stati cacciati o che avevamo lasciato". 
Le prime versioni non circolari del nome di Movimento X
Per oltre un anno non si cercò un simbolo tradizionale rotondo (era decisamente presto per pensare alle urne), ma già nell'estate del 2014 si iniziò a studiare la possibile resa grafica del nome, partendo ovviamente dal suo elemento caratterizzante. "Abbiamo lavorato graficamente sulla X, costruita in modo volutamente asimmetrico, pixel dopo pixel, a partire dalla lettera della font Times New Roman: l'idea iniziale era partire dalla V, che aveva un'ombra, ruotava e costruiva la X intera, poi piano piano si è arrivati alla X nella forma attuale. Nella X, poi, avevamo fuso la bandiera italiana, colorando semplicemente di verde e di rosso le due gambe inferiori della X; per un certo tempo abbiamo dato a quei segmenti l'effetto della bandiera, leggermente mossa dal vento, ma poi la nostra grafica ci ha suggerito di semplificare il disegno per evitare problemi in fase di riproduzione e stampa, dunque ora i colori sono di nuovo netti, senza sfumature".
Il simbolo presentato nel 2016
Cromaticamente è stata importante anche l'adozione del colore viola, direttamente ispirato a quello di Podemos: "All'iconografia di quel partito - precisa il portavoce nazionale di Progetto X - si ispira anche quella O così particolare, che unisce più cerchi non perfettamente sovrapposti e che per un periodo avevamo inserito all'interno della X, soprattutto nei nostri profili social". Quando poi si è iniziato a studiare un possibile contrassegno elettorale, il segno è stato spostato all'esterno, trasformandolo nella O prima di "Movimento", poi di "Progetto"; per rendere più riconoscibile il concetto di "per", poi, la parola è stata inserita in un cartellino da applicare proprio sulla X, così da non ingenerare confusione.
Al di là del simbolo, il lavoro per costruire una nuova realtà politica partecipata è proseguito: Movimento X sarebbe rimasto il nome della componente parlamentare, ma è stata costituita - anche grazie all'impegno, tra gli altri, di Alessandro Quarenghi, Rossano Recchia e Francesco Orru - un'associazione apposita, col nome appunto di Progetto X, mantenendo l'idea originaria di "permettere ai cittadini italiani di contribuire alla vita politica italiana ridando loro dignità di protagonisti, incentivando il merito, la responsabilità, l'etica comune". Quest'associazione ha iniziato subito a collaborare con il gruppo Amici di Podemos e con il circolo italiano dello stesso movimento spagnolo (al quale Sablich aderisce): lo stesso codice etico di Progetto X è analogo a quello di Podemos. "I suoi principi sono molto ampi - continua Sablich - spaziano dalla dichiarazione dei diritti dell'uomo a quelli di associazioni come Emergency. Potrei definire l'impronta di Progetto X come autenticamente socialdemocratica, un progressismo-liberalismo alla Bobbio, ecco, con innesti di democrazia diretta".
La struttura pensata per Progetto X ha la forma della federazione, all'interno della quale si vota online ("Usiamo la piattaforma di Podemos - precisa il protavoce - prima si chiamava Agorà Voting, ora si chiama NVotes; per la nostra elezione comunale di Busto Arsizio, invece, abbiamo adottato un sistema misto, le nostre primarie sono state effettuate in rete ma abbiamo allestito anche un seggio in piazza"). Al contenitore nazionale possono affiliarsi soggetti collettivi locali o anche associazioni più ampie: ciascun gruppo mantiene la propria indipendenza (nel rispetto, ovviamente, del codice etico), salvo partecipare tutti insieme alle scelte di respiro nazionale, sulle decisioni da prendere e sulla governance interna (le cariche ruotano piuttosto in fretta, avendo la durata di un anno). "Non vogliamo federare solo le liste civiche, come se fossero nostri circoli - spiega il portavoce nazionale - ma anche le associazioni: per noi è un modo per portare in politica in prima persona le persone che si spendono nell'associazionismo. Per esempio, in un certo luogo può crearsi una lista civica che segue il programma di una certa associazione, ma sono direttamente gli aderenti a mettersi in gioco, senza dover bussare alla porta del politico per chiedergli un favore o cercare compromessi".
Dopo la presentazione della lista Movimento X Busto Arsizio alle amministrative della scorsa primavera (primo appuntamento elettorale per un soggetto legato a Progetto X), è in corso da tempo un percorso comune con la lista Indipendenza civica: "Si tratta - precisa Sablich - di una formazione composta da vari gruppi civici indipendenti, operanti in Toscana, che hanno sposato i principi e i regolamenti di Progetto X e chiedono di essere accreditati per poter usare il simbolo e lavorare democraticamente per la creazione delle liste". Chi si federa/affilia è libero di usare un suo simbolo, purché contenga la X-per; Indipendenza civica per il momento ha scelto di mantenere la stessa struttura grafica e cromatica, preparandosi a indicare nel segmento viola inferiore il nome di un candidato o del luogo in cui presenterà liste. 
Il Progetto X nazionale, invece, in quello stesso punto ha inserito la dicitura "Tu e Noi Insieme", per ribadire la natura comunitaria del progetto; ma nella parte inferiore, tuttavia, potrebbero essere inserite altre scritte, non a caso circola anche una versione senza alcun elemento testuale. Nome e simbolo, peraltro, potrebbero cambiare, essendo i segni distintivi - da statuto - nella piena disponibilità del congresso, in particolare dell'assise fondativa del "Progetto 2.0". 
L'attività di Progetto X si intensificherà nei prossimi mesi, per farsi conoscere e raccogliere la disponibilità di quante più persone possibili, immaginando di costruire qualcosa in vista delle elezioni: "Stiamo cercando - chiarisce Sablich - di raccogliere sul territorio adesioni al nostro progetto, se tutti quelli che aderiranno vorranno metterci energie sarà una cosa fattibile, altrimenti sarà difficile fare passi ulteriori. Non si tratta, lo sappiamo, di uno scenario semplice: le forze disponibili a impegnarsi sul territorio per costruire un'organizzazione di livello nazionale dovrebbero essere molte, anche solo per trovare i candidati necessari a coprire le liste. Noi, tra l'altro, abbiamo regole interne che rifiutano la nomina dei candidati, le persone devono essere sempre scelte in un qualunque modo purché sia democratico, dal basso, cosa che raramente viene accettata". 
La X del Progetto, in ogni caso, si prepara a essere stampata sulle schede (e, non assomigliando affatto a una croce tracciata a mano, non rischia nemmeno di essere bocciata dal Viminale o da altri organi di controllo).

venerdì 13 gennaio 2017

Sgarbi, dalla Rivoluzione al Rinascimento

Il 2016 doveva essere l'anno della sua candidatura a sindaco di Milano, annunciata con molto anticipo, ma alla fine non concretizzatasi. Vittorio Sgarbi, in ogni caso, fa capolino nelle cronache politiche già in quest'inizio 2017, presentando il primo simbolo nuovo nuovo - e decisamente artistico - di quest'anno che conterrà le elezioni o vi condurrà. Si tratta di Rinascimento, nuovo movimento politico che probabilmente non è ancora nato in modo ufficiale, ma dovrebbe vedere la luce nelle prossime settimane: dalla sua ha un programma ambizioso e un imperativo ben preciso, "ricominciare a credere e investire nella bellezza". 

Presentazioni e anticipazioni

L'emblema è stato svelato oggi da Sgarbi al Corriere della Sera, in un'intervista di Maurizio Donelli che ha incontrato il critico d'arte nella casa-museo di famiglia a Ro Ferrarese. In quell'occasione Sgarbi ha illustrato la genesi del suo progetto: "L'idea mi è venuta qualche mese fa, sfogliando l'inserto del Corriere dedicato al Bello dell'Italia. Ho pensato fosse giusto creare un progetto che riportasse al centro dell’azione politica il primato della bellezza. Abbiamo un patrimonio immenso che racchiude un'economia ignota. C'è qualcosa di alterato nella percezione di ciò che l'Italia è. E di questo la politica non si occupa".
La notizia del nascituro movimento, tuttavia, l'aveva già data la Gazzetta di Reggio poco meno di un mese fa, il 19 dicembre 2016. Sgarbi, infatti, lo aveva svelato in anteprima in una videointervista con il direttore del quotidiano - e amico di vecchia data - Stefano Scansani: "Ho un progetto piuttosto subdolo, - aveva detto - cioè far coincidere il mio spettacolo sul Rinascimento con un movimento politico di simile nome, Rinascimento".
Il casus belli raccontato in quel caso era un po diverso, ma ugualmente eloquente: 
"La decadenza che noi abbiamo nella politica italiana parte da una consapevolezza, che percepii già parlando con Gianni Agnelli e con Berlusconi una volta in cui, come Parlamento in seduta comune, eleggevamo il Presidente della Repubblica: nessuno dei due era o è mai stato a vedere Piero della Francesca ad Arezzo. Può un italiano che ha un ruolo di governo ed è parte della classe dirigente ignorare il più importante ciclo di opere d'arte che vi sia in Italia? Sarebbe come se ignorasse la pizza... Occorre che riprendiamo coscienza della civiltà artistica italiana."
A Scansani, che gli ricordava il passato da "scapigliato" col Partito della rivoluzione - ma si potrebbero citare, ancora prima, i suoi Liberal, all'apparenza poco rivoluzionari e rinascimentali - e lo punzecchiava ("Devi decidere cosa vuoi essere"), Sgarbi rispondeva risoluto: "Non cambia niente, il concetto è lo stesso: la rivoluzione è un rinascimento e viceversa. Il problema è capire che queste rivoluzioni o questo rinascimento corrispondono a un rovesciamento dell'offerta politica: qual è l'offerta politica del Pd, della Lega? Boh... E' tutta in negativo o legata a scelte miserabili".  

Primo: salvare la bellezza 

Non è affatto miserabile, invece, investire sulla bellezza, "anche limitandosi a lasciare certi luoghi come sono perché - ha precisato Sgarbi al Corriere - nulla ha più valore di ciò che è incontaminato". Stop dunque al modello di sviluppo industriale come l'unico da considerare ("Questo ha portato agli scempi di Bagnoli, Taranto, Termini Imerese") e sì agli investimenti sul passato, su ciò che merita di essere preservato, conservato e valorizzato. "Possibile - aveva detto invece a Scansani - che oggi gli uomini costruiscano solo orrori e non salvino la bellezza che c'è?"
La bellezza, ovviamente, non dovrebbe essere solo quella da salvare, ma anche un canone cui tornare nella costruzione. "IItalia - ha continuato il critico d'arte nell'intervista uscita oggi - ci sono 25 milioni di edifici: di questi, 12 milioni sono stati eretti dal sesto secolo avanti Cristo fino al 1960, tutti gli altri, 13 milioni, da quel momento in poi. Il caos estetico è evidente": la soluzione, secondo lui, sarebbe inventare una sorta di Slow Architecture, "che non prevede pale eoliche ma un ritorno all'edilizia con materiali tradizionali e dall'impatto estetico positivo".
Se questo dovrebbe essere il cuore del programma (magari da realizzare coinvolgendo il Fai "e la parte più sana di Italia Nostra"), altri punti forti riguarderebbero l'abolizione delle Regioni ("Oggi i parlamentari a Roma lavorano solo dal martedì al giovedì. Poi tornano a casa. Se venissero abolite le Regioni, le funzioni degli attuali consiglieri potrebbero essere assunte da questi parlamentari i quali dedicherebbero il venerdì, in apposite commissioni, ai problemi delle loro singole regioni") e l'introduzione di tetti fiscali (il 15% fino a 36mila euro, il 25% fino a 500mila euro, il 30% fino a un milione di euro, il 35% oltre un milione di euro), superabili solo in caso di calamità naturali "come espressione di solidarietà"

Simbolo artistico, con un occhio alla legge elettorale

Quando Sgarbi aveva parlato con Scansani di Rinascimento, non c'era ancora un simbolo (o, se c'era, non era ancora definitivo). Da oggi, invece, possono vederlo tutti: l'elemento più evidente è il dettaglio più noto di uno degli affreschi più riprodotti e parodiati al mondo, la Creazione di Adamo della Cappella Sistina, uno dei reali capolavori del Rinascimento (appunto), opera di Michelangelo. Così, su un fondo blu-azzurro sfumato stile cielo, si staglia in modo netto la scena del dito indice di Dio che sfiora quello di Adamo (e non di Abramo, come purtroppo i lettori del Corriere hanno letto sull'edizione cartacea di oggi e come qualche quotidiano online ha riscritto, nel rilanciare la notizia). 
La stessa figura di Adamo (ma senza il braccio disteso di Dio), tra l'altro, figura sulla copertina di Gli immortali, libro pubblicato da Sgarbi nel 1999 per Rizzoli; al di là del precedente editoriale, emerge con forza come quel dito divino, pronto a trasmettere la scintilla vitale, voglia simboleggiare il desiderio e l'auspicio di un (nuovo) Rinascimento, artistico e non solo. E' il quotidiano online ForlìToday a rivelare che "una buona parte del concept [...] della [...] nuova formazione politica è stata elaborato a Forlì", città in cui peraltro risiede Sauro Moretti, "braccio destro" di Sgarbi, e città in cui ha la sede principale l'agenzia PubliOne, curatrice dell'emblema; completano l'emblema il nome del movimento e del suo leader (quest'ultimo un po' più sobrio graficamente rispetto al passato, ma sempre in bella vista), proposti in una font stile Bodoni Bold, in controtendenza rispetto alla consuetudine che preferisce i "bastoni" alle grazie.
Per sapere se quel simbolo finirà o no sulle schede alle prossime elezioni politiche, tuttavia, bisogna attendere di conoscere la nuova legge elettorale. Lo stesso Vittorio Sgarbi, infatti, a Stefano Scansani ha spiegato i diversi orizzonti a seconda del sistema elettorale che verrà scelto: 
"Ci sono due possibilità: la prima è quella di un proporzionale puro, che è la più logica ma non so se passerà, nel qual caso ognuno presenterà il menù che riterrà più giusto, senza doversi qualificare come di destra o di sinistra. La seconda è il ritorno al Mattarellum, che non mi è mai piaciuto ma questa volta ha un significato: i poli non sono più due, ma tre più o meno equivalenti e tutto quello che porterà il candidato sarà merito suo, nel senso che chi vincerà non lo farà sulla base dei voti che il partito che lo candida aveva già in quel collegio, ma perché è un candidato buono. A quel punto, dovremo decidere se schierarci con Renzi o col centrodestra".     
"Ti sei disamorato di Berlusconi?", ha chiesto Scansani in modo provocatorio a Sgarbi, il quale ha risposto senza mezzi termini: "Berlusconi è finito, fuori gioco, poi la linea della destra non mi piace". E sul gruppo che dovrebbe accompagnare Sgarbi in quest'impresa politica - "Convivere con te - diceva sempre Scansani - è impossibile!" - il critico ha dato qualche cenno: "Ho già fatto un movimento che ha funzionato, con Nicola Grauso, lui sicuramente è disponibile, come è disponibile chi ha fatto cose nell'ambito della politica e si sente fuori dal gioco. Non faremo molta fatica a trovare aderenti; il problema è convincere i cittadini che la tua offerta politica è migliore degli altri". Col tocco divino scelto come simbolo forse sarà più facile, chissà...

mercoledì 11 gennaio 2017

Pde Italia, nuovo partito di Rutelli tra Roma e Bruxelles

Lo ha fatto in modo molto soft, quasi in sordina, almeno stando all'attenzione che ha avuto dai media che contano. Eppure, alla fine di dicembre, Francesco Rutelli ha fondato un nuovo partito, almeno il terzo per lui, dopo la Margherita e Alleanza per l'Italia (per non considerare anche i Democratici, anche se il suo ruolo in quel caso era stato più marginale). "In una conferenza a Roma il 15 dicembre - si legge in una breve nota diffusa online - il co-presidente del EDP Francesco Rutelli ha annunciato la creazione del PDE Italia, una nuova forza centrista e democratica per l'Italia." 
La sigla Edp sta per European Democratic Party, dunque Partito democratico europeo: si tratta della formazione politica europea che lo stesso Rutelli aveva contribuito a fondare nel 2004, assieme al francese François Bayrou, diventandone con lui co-presidente. Chi seguì le cronache politiche di allora ricorda bene il travaglio che percorse il centrosinistra italiano, che aveva visto Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani europei correre insieme, sotto le insegne di Uniti nell'Ulivo, salvo poi spaccarsi dopo il voto: per Democratici di sinistra e socialisti fu naturale aderire al gruppo del Pse e proposero alla Margherita di fare altrettanto, ma Lapo Pistelli e gli altri della pattuglia di neoeletti non ci pensarono nemmeno, non accettando di portare le loro radici "cattoliche democratiche e popolari, riformatrici, ambientaliste, laiche e liberaldemocratiche" (parole proprio di Rutelli) in un partito di sinistra; d'altra parte, gli ex popolari non considerarono nemmeno di tornare e portare gli altri nel gruppo del Ppe, per non prolungare una convivenza poco gradevole con gli eletti di Forza Italia. 
Il logo originario del Pde
Dovendo cambiare gruppo, il più vicino (o il meno lontano) come sensibilità era quello dei liberali, il gruppo Eldr, che corrispondeva agli eletti riferiti al Partito europeo dei liberali, democratici e riformatori. L'accordo per allargare la compagine, creando un gruppo che si facesse davvero carico di portare avanti le istanze europeiste, c'era; era importante, tuttavia, che quel gruppo avesse un nuovo nome e che, oltre all'Eldr, vi facesse riferimento un partito europeo nuovo nuovo, diverso da quelli operanti fino a quel momento e in cui potessero sentirsi a casa tanto i centristi, quanto i liberaldemocratici. Nacque così l'idea di creare il Partito democratico europeo, la cui anima era costituita dai rutelliani e dall'Udf (Union pour la démocratie française) di François Bayrou: assieme all'Eldr, poco più avanti, avrebbero fatto nascere il gruppo Alde - Alleanza dei liberali e dei democratici per l'Europa) al Parlamento europeo (lo stesso nome che, in seguito, avrebbe assunto lo stesso partito Eldr: anche per questa omonimia, il Pde è sempre stato meno noto della famiglia liberale).
Alla fine di novembre, Rutelli è stato confermato (sempre con Bayrou) co-presidente del Pde per il biennio 2017-2018; la dirigenza italiana vede anche la presenza del vicepresidente Luigi Cocilovo (già vicepresidente del Parlamento europeo quando militava nella Margherita, poi confluito nel Pd) e del vicesegretario generale Gianluca Susta (anch'egli ex Margherita-Pd, poi eletto deputato con Scelta civica in quota "montiana" e dal 2015 tornato nel Pd); alla riunione del council era presente, tra gli altri, anche Giovanni Palladino, deputato di Scelta civica, ora nel gruppo dei Civici e innovatori, contrari all'alleanza coi verdiniani di Ala. 
In quell'occasione Rutelli ha presentato un documento, intitolato Democratici nell'Europa del XXI secolo: la nota diffusa dal Pde precisava che quel testo partiva "dai grandi cambiamenti politici per proporre di partecipare ad una direzione risolutamente nuova, per evitare che la crisi dell'Europa divenga irreversibile e si affermino estremismi e populismi". Scorrendo quel documento, tuttavia, assieme al nuovo logo del Pde (monocromatico in blu e meno schiacciato rispetto al precedente) appare il simbolo tipicamente circolare del Pde Italia preannunciato da Rutelli due settimane dopo. Si tratta, a ben guardare, di una grafica parente stretta di quella che nel tempo ha caratterizzato il partito europeo: restano le otto stelle, disposte su due archi di cerchio; la sigla Pde è nella font attualmente usata in Europa, stondata e meno schiacciata rispetto a quella precedente; accanto al blu, in compenso, è stato mantenuto il colore arancione già presente in passato. Così, se nel sito del Pde Rutelli figura ancora come esponente di Alleanza per l'Italia (sebbene nel sito del partito ci sia solo la pagina iniziale in cui si legge che il partito "ha concluso le sue attività"... anche se ha continuato a presentare i suoi bilanci anche dopo la sua sparizione dalle Camere), tra poco è probabile che possa sfoggiare la sua nuova etichetta, di un partito che può sentire veramente suo, avendolo fondato due volte, prima in Europa e poi in Italia, come diretta emanazione della sua creatura nata a Bruxelles.

Grazie a Tommaso Gentili per la segnalazione.

martedì 10 gennaio 2017

Frosinone, se basta una lettera (socialista) per riconoscersi

In certi luoghi, in alcuni contesti, il tempo sembra non essere mai passato, anzi, sembra di vedere un fermoimmagine che resta anche se intorno e davanti molto cambia e si evolve (non necessariamente in meglio). Le idee, per esempio, possono restare in netta minoranza, inchiodate dalla dittatura dei numeri; nonostante questo resistono e, a volte, basta un segno ben leggibile da tutti per farle riemergerle. 
A livello nazionale, per esempio, i fasti dei socialisti sono finiti da tempo, si direbbe da poco meno di un quarto di secolo: l'ultima percentuale a due cifre, infatti, si è vista alle elezioni politiche del 1992, mentre le amministrative dell'anno dopo furono l'inizio della débâcle, proseguita con la frammentazione in diverse sigle, tra tentativi (poco fortunati) di corse solitarie e scelte di alleanze e "asili elettorali" nella speranza di ottenere comunque qualche seggio; eppure, non mancano i luoghi in cui rose e garofani non sono appassiti, anzi, sono ancora vivi tra gli elettori e, nelle occasioni giuste, sanno trovare nuova linfa. 
Uno di questi luoghi è certamente Frosinone, città legata al nome di Gian Franco Schietroma, figlio di Dante (già senatore e ministro della Funzione Pubblica), avvocato e da anni attivo in politica: già consigliere regionale, deputato per due legislature, membro laico del Csm e sottosegretario alle Finanze con D'Alema e Amato, Schietroma era stato segretario del Psdi dal 1995 al 1998 (anno in cui contribuì a far nascere lo Sdi, anche se altri in seguito si sarebbero ripresi il sole socialdemocratico), attualmente è coordinatore della segreteria nazionale del Psi guidato da Riccardo Nencini.
Nel frusinate i rapporti tra socialisti e Pd non sono i migliori da tempo: in provincia, addirittura, negli ultimi due anni aveva finito per crearsi una "maggioranza innaturale" che ai dem vedeva affiancata Forza Italia. Non c'è da stupirsi, dunque, che il Psi - che al comune di Frosinone, al voto nei prossimi mesi, ha schierato un candidato sindaco autonomo rispetto alla coalizione del Pd, il segretario cittadino Vincenzo Iacovissi - abbia lavorato per presentare una lista autonoma alle elezioni provinciali che si sono svolte nei giorni scorsi: la lista A difesa del territorio. Una formazione che si proponeva di dare una svolta più incisiva all'amministrazione provinciale (puntando alla provincia come un ente fondamentale per il territorio, costituendo una commissione antimafia provinciale e una cabina di regia sul tema del lavoro, nonché lavorando sul marketing territoriale) e per ricostruire il centrosinistra senza che questo si appiattisca sul solo Pd.
Oltre al Psi, la lista è stata costituita da esponenti di Sinistra Italiana, Possibile e Sinistra Tricolore, con anche l'appoggio del Pci; la "trazione" socialista, tuttavia, era inequivocabile, per la presenza della "A" di Avanti!, la storica testata legata al partito (e solo da pochi anni tornata nelle mani del Psi, dopo la "parentesi" di Lavitola). La foggia inconfondibile di quella lettera ha dato un'impronta molto netta - al di là del nome civico - a un simbolo che, per il resto, era piuttosto neutro dal punto di vista grafico (al di là dell'uso interessante del Bodoni, a fronte dell'uso molto più frequente di caratteri "bastoni" rispetto a quelli "graziati").
Gli elettori - o meglio, quella platea particolare di elettori prevista dalla legge per le elezioni provinciali, dunque sindaci e consiglieri comunali - devono comunque aver riconosciuto con nettezza l'emblema: A difesa del territorio, infatti, ha portato a casa quasi il 13% dei voti (ponderati), ottenendo un consigliere e rischiando di ottenerne un altro. Il che, probabilmente, rappresenta l'unico vero motivo di rammarico per il Psi: a essere eletto in consiglio provinciale, infatti, non è stato un socialista, ma il candidato di Sinistra italiana Luigi Vacana. La A di Avanti!, in ogni caso, non è passata inosservata: in futuro, il Psi interessato a progetti civici potrà tenerne conto.

lunedì 9 gennaio 2017

Dc, la strada del risveglio passa per Bologna

Il cammino verso la riattivazione della Democrazia cristiana, sulla base del decreto del Tribunale di Roma che ha disposto la convocazione degli iscritti per il 25 e 26 febbraio, prosegue e diventa via via più chiaro, grazie alle notizie che via via vengono diffuse agli interessati. 
In ossequio alla decisione del giudice, a portare avanti il percorso verso il ritorno alla luce dello scudo crociato è Nino Luciani, in qualità di primo firmatario (assieme ad Alberto Alessi e altre tre persone) della richiesta al tribunale di riconvocare l'assemblea degli associati alla Dc: è stato proprio lui - in una nota diramata ieri - ad annunciare per il 21 gennaio la convocazione di un "incontro privato", fissato tra le ore 10 e le 16 a Bologna (in via d'Azeglio 45, al Collegio S. Luigi).
L'occasione sarà propedeutica all'assemblea di fine febbraio, ma anche a quella successiva che dovrà essere convocata subito dopo, "per l'approvazione di un nuovo Statuto, considerata l'impossibilità di applicare quello attuale": uno statuto che, tra l'altro, dovrebbe essere "al passo con i tempi, a tutela della convivenza dei partecipanti in piena dignità e pari opportunità". La necessità di modificare lo statuto è figlia di una precedente ordinanza del Tribunale di Roma - quella con cui nel 2013 il giudice Francesco Scerrato sospese gli effetti del "XIX congresso" che confermò alla segreteria della Dc Gianni Fontana - in cui si disse con chiarezza che per chi si ritiene continuatore di un determinato partito, mai estinto, "lo Statuto, ossia la regola di funzionamento dell'ente e dei suoi organi, deve essere osservato in tutto e per tutto": non esistendo più le sezioni, l'applicazione del vecchio statuto sarebbe impossibile, dunque per operare legittimamente occorrerebbe modificare prima quello vecchio. Certo, in teoria anche per modificare lo statuto bisognerebbe utilizzare le forme previste dallo stesso statuto, ossia la convocazione di un regolare congresso, con tutto l'iter che lo dovrebbe precedere; anche per questo percorso, tuttavia, dovrebbero esistere ed essere operative le sezioni, per cui si rischierebbe il circolo vizioso. 
A spezzarlo, però, dovrebbe aver provveduto proprio la richiesta di convocare l'assemblea di tutti gli iscritti (organo di primo grado, non di terzo come il congresso del partito): la platea degli iscritti, infatti, non è stata convocata secondo le forme dello statuto, ma in base all'art. 20, comma 2 del codice civile. Lo stesso giudice Guido Romano, nel disporre la convocazione dell'assemblea (su richiesta di almeno il 10% dei soci), ha precisato che tutti gli organi dell'associazione Democrazia cristiana erano decaduti; anche dopo l'assemblea di cui sopra, del resto, la sola carica esistente sarebbe quella del presidente (e legale rappresentante), prevista dal codice e non dallo statuto democristiano. Toccherebbe proprio al presidente convocare una nuova assemblea degli iscritti - sempre da codice civile, continuando la fase transitoria iniziata nelle settimane scorse - da prevedere verso marzo o aprile 2017 e proporre in quella sede un nuovo testo statutario, il cui vaglio dovrebbe seguire le regole dell'art. 21, comma 2 dello stesso codice: al voto dovrebbero partecipare almeno tre quarti dei soci e la proposta dovrebbe ottenere il favore della maggioranza dei presenti.
In occasione dell'incontro del 21 gennaio, all'ordine del giorno c'è innanzitutto la presentazione di un codice etico del cristiano impegnato in politica, basato sul codice che Guido Gonella redasse nel 1982 e che un gruppo di studio di Bologna ha aggiornato nel 2015: per Luciani la presentazione del codice serve a preparare l'assemblea dei soci di febbraio con "una riflessione di carattere etico" e a "dare un segnale di buon inizio, alla Chiesa Cattolica, sia pure in modo unilaterale". Il secondo punto, invece, sarà un appello di Ettore Bonalberti (che aveva partecipato attivamente al tentativo di rifare la Dc con Fontana e anche questa volta ha dato il suo contributo sensibile) "alla coesione e alla partecipazione alla Assemblea dei soci": tra gli ostacoli da superare, per Luciani e Bonalberti ci sono anche le "ferite rimaste aperte dall'annullamento del XIX congresso del 2012 e forse anche con radici più lontane".
Sempre Luciani traccia poi per sommi capi le tappe successive della riattivazione del partito: dopo la modifica dello statuto, con le nuove regole si lavorerà per celebrare il (XIX, per davvero stavolta) congresso Dc, dando al partito prima una dirigenza nazionale, per poi completare i livelli territoriali inferiori. Espletato questo passaggio, rimarrebbero in carica gli organi previsti dallo statuto rinnovato, mentre "il Presidente della Associazione e l'Assemblea dei soci - secondo Luciani - cessano di operare, pur continuando a esistere giuridicamente", una ricostruzione che di fatto corrisponderebbe alla realtà "concreta". 
Non è dato sapere se Luciani abbia già fatto partire le convocazioni, come disposto dal Tribunale di Roma; certamente, però, è iniziata la raccolta del denaro che serve per l'affitto della sala Leptis Magna dell'hotel Ergife a Roma e per la spedizione via raccomandata dell'avviso personale di convocazione dell'assemblea del 25 e 26 febbraio. Con il suo invito Luciani ha rinnovato l'invito a versare un "contributo individuale libero" sul conto aperto appositamente e all'incontro del 21 ci sarà una prima rendicontazione di quanto raccolto. Perché non c'è alcuna certezza, al momento, sull'esito finale della riattivazione della Dc, ma l'unica sicurezza è che anche solo tentare di ridare vita allo scudo crociato costa e non è a buon mercato.