Chi frequenta abitualmente questo sito non ha bisogno che lo si ricordi: il deposito dei contrassegni destinati alle schede elettorali è da sempre il momento pubblico che caratterizza per primo e in modo più evidente l'avvicinamento al giorno - o ai giorni - del voto per il rinnovo delle Camere o del Parlamento europeo. Sembra di poter dire così soprattutto a partire dal 1958, anno in cui trovarono prima applicazione le norme introdotte dalla legge n. 493/1956 - e trasfuse nel testo unico per l'elezione della Camera, cioè il d.P.R. n. 361/1957 - che avevano previsto un'unica procedura di deposito dei simboli presso il Ministero dell'interno per i partiti, per gli altri gruppi politici e per eventuali soggetti singoli: da quel momento, nel giro di pochi giorni (in origine tra il 68° e il 62° giorno prima dell'apertura delle urne, ora tra il 44° e il 42° giorno prima, considerando solo le elezioni politiche), tutti i soggetti interessati a presentare il proprio emblema - e, almeno in linea teorica, a impiegarlo per distinguere candidature - si ritrovano al Viminale e suscitano puntualmente l'interesse della stampa.
Era così, almeno in parte, anche per le due elezioni politiche precedenti (1948 e 1953), ma con una significativa differenza: era previsto un doppio binario, con i partiti e gli altri soggetti politici organizzati "privilegiati" rispetto ad altri soggetti. In particolare, partiti e gruppi politici organizzati avevano la possibilità di depositare presso il Viminale il contrassegno per le loro liste (circoscrizionali o per il collegio unico nazionale) "non oltre il sessantaduesimo giorno anteriore a quello della votazione", con l'esame di ammissibilità dei simboli da parte del ministero entro tre giorni dalla presentazione; nella fase successiva del deposito delle liste/candidature (presso la cancelleria della Corte d'appello o del Tribunale competente), da effettuare "non più tardi delle ore 16 del quarantacinquesimo giorno anteriore a quello della votazione", i presentatori di ciascuna lista avevano l'onere di dichiarare "con quale contrassegno depositato presso il Ministero dell'Interno" volessero distinguere le candidature o - pensando di impiegarne uno diverso - di depositare il proprio fregio elettorale unitamente alle liste e ai relativi documenti (a partire dalle firme a sostegno), fregio la cui ammissibilità sarebbe stata valutata dai vari uffici elettorali - nei dieci giorni successivi - sulla base della confondibilità con i simboli depositati al ministero (dunque più tutelati) e con quelli depositati in precedenza presso il singolo ufficio.
Questo doppio binario comportava che le liste esclusivamente locali o i candidati ai collegi uninominali del Senato interessati a impiegare un proprio contrassegno - sapendo che sarebbe stato comunque possibile collegarsi in gruppo a persone legate a simboli diversi, in base alla legge elettorale del Senato - non avessero normalmente interesse a presentarsi al Viminale (affrontando magari le spese e le difficoltà del viaggio): per questo motivo, oltre che per l'assenza di un formale termine iniziale per il deposito - anche se si può presumere che in qualche modo il Ministero dell'interno indicasse un giorno e un momento prima dei quali i contrassegni non sarebbero stati accettati - si può supporre che dentro e fuori il Palazzo del Viminale ci fosse meno ressa di quanto accade ora prima delle elezioni politiche ed europee, al punto tale che i contrassegni erano ricevuti direttamente al quarto piano, sede - allora come oggi - dei servizi elettorali.
Questo, ovviamente, non significa che il tempo del deposito fosse meno sentito rispetto a ora. Un documento particolarmente interessante, in questo senso, è rappresentato da un articolo pubblicato in prima pagina dal Corriere d'Informazione - vale a dire l'edizione pomeridiana del Corriere della Sera - nel numero distribuito il 17 febbraio 1948: il pezzo, firmato da Alberto Ceretto (già capo del "servizio italiano", dunque degli interni per Ansa e in seguito resocontista dei lavori della Camera per il Corriere), offre appunto una cronaca della presentazione dei simboli che precedette le elezioni del 18 e 19 aprile - il primo voto politico dell'Italia repubblicana - con un uso abbondante dell'ironia nel raccontare quelle fasi. Il pezzo conferma che il deposito, in quell'occasione, si concluse alle 20 di lunedì 16 febbraio 1948 (esattamente 62 giorni prima che si aprissero le urne), ma si apprende che i primi contrassegni erano stati ricevuti dal Viminale la mattina di martedì 10 febbraio, addirittura una settimana prima.
Le quattro colonnine di taglio alto offrono uno spaccato tanto della creatività mostrata allora - quando i simboli erano rigorosamente in bianco e nero e, tra l'altro, non erano ancora vietati i soggetti religiosi e il metro della confondibilità era meno severo - quanto delle reazioni della burocrazia ministeriale, specie davanti a un contrassegno presentato "espresso" (cioè appena realizzato) in modo tanto artigianale quanto difforme rispetto alle prescrizioni dettate dagli uffici. Vale la pena leggere quelle righe, cercando di immergersi in quel tempo, fatto di scrivanie che si affollavano di cartelline verdi, simboli in triplice copia consegnati da soggetti passeggianti da quelle parti e non ancora destinati all'esposizione in bacheca (proprio perché il deposito aveva una connotazione più intima e riservata, ma pur sempre solenne).
La pioggia cominciò martedì scorso, alle nove del mattino, e ininterrottamente è durata fino alle ore venti di ieri sera. Non era la consueta pioggia primaverile, l'acquerella che vien giù, sottile e tepida, dal cielo, ma una pioggia di carta che si rovesciava in una stanza del Viminale punto per fedeltà di cronaca, la stanza n. 20 del quarto piano, dove i funzionari del servizio elettorale hanno visto, durante questi giorni, i loro tavoli allagati di contrassegni di lista. Le cartelle verdi, con i simboli e i verbali di deposito, sono diventate una collinetta e quando, iersera, è scoccata l'ora fatale di chiusura, 102 contrassegni risultavano presentati al Ministero degli Interni. Centodue in confronto dei 61 depositati per le elezioni del '46: inflazione anche nei simboli.
I primi furono presentati martedì scorso da quattro signori, che, quando l'ufficio si aprì, passeggiavano in già nervosamente dinanzi alla famosa porta n. 20. Da quanto tempo misuravano a gran passi il corridoio? Nessuno lo sa: forse erano arrivati quando il cielo appena sbiancava alle prime luci dell'alba, dopo aver pernottato all'addiaccio, ed ora si guardavano con occhio nemico, invidiosi del primo posto che sarebbe toccato a uno di loro, in ordine di presentazione. Perché, vi chiederete, tanta premura? Perché nel campo elettorale, come in ogni competizione agonistica, l'uomo ha le sue teorie e crede nella scaramanzia. L'urgenza di conquistare il primo posto è connessa con la teoria secondo la quale l'elettore vota per istinto, senza studiare la scheda, è portato a segnare una crocetta accanto al primo simbolo su cui posa l'occhio.
Nei tanti simboli piovuti al Viminale, la fantasia s'è sbizzarrita come più non avrebbe potuto. Ci sono, è vero, dei simboli ricorrenti, che molti partiti hanno scelto e che, pertanto, si ripetono, con lievi sfumature di diversità, all'infinito. La stella a cinque punte, per esempio, che i monarchici hanno naturalmente abbinato alla corona, ed i «frontisti» hanno invece tratteggiato come sfondo alla testa di Garibaldi.
Ma, al di fuori di questi motivi, che sono i più comuni, quante estrose invenzioni! Prendete il sole, ad esempio: voi credete che il sole sia unico, uguale per tutti, inconfondibile. Illusione. Basta sfogliare le cartelline verdi per constatare in quanti modi diversi gli uomini vedono il sole: c'è il sole fermo e senza raggi, quello, invece, che inonda il creato di raggi, dritti e acuti come strali, quasi volesse forarlo con la sua vampa; e c'è il sole leonardesco, dei raggi zigzaganti.
E poi, perché non considerare il sole nei momenti del suo quotidiano e luminoso viaggio che, proiettato nell'eternità, può somigliare al gran viaggio dell'umanità nel tempo? Ecco, quindi, il sole alto sull'orizzonte, lontano, splendido ed irraggiungibile; ed ecco, invece, il sole nascente, ancora a metà della sua prodigiosa apparizione all'orizzonte. Quest'ultimo, lo conoscete, è il sole che, primamente, scelsero come emblema internazionale i socialisti, ed è riapparso all'orizzonte della camera n° 20 del Viminale, recatovi da Ivan Matteo Lombardo e Simonini, come contrassegno dell'Unione socialista.
E che altro, infine, se non il sole volete che scegliesse come simbolo l'associazione politica naturisti italiani? Il suo astro fulgente, però, a una sorta di carattere pubblicitario, perché la parola naturismo spicca proprio al centro della pancetta del sole, come la «réclame» di una pasticca per la gola.
Se parecchi degli emblemi sono mostruosamente complicati, il più semplice fu quello ideato da un mutilato. Egli arrivò all'ufficio elettorale a mani vuote, prese da un tavolo un pezzo di carta e una matita azzurra, tracciò una macchia blu, vi scrisse sotto «mare calmo» e porse il foglio all'impiegato. Questi trasecolò e fece rilevare al presentatore, in primo luogo, che il contrassegno doveva essere disegnato in inchiostro e consegnato in tre esemplari; poiché quella macchia non rappresentava nulla.
Ricostruzione
«Voi lo dite, - si scandalizzò l'altro. - Dint'o mare 'nce sta' tutte cose», e la sua voce di napoletano vibrava di commozione in quel semplice inno al mare. Poi si convinse, e tornò, ieri, recando il nuovo emblema del «gruppo politico degli italiani»: l'Italia effigiata in una donna armata di spada e con lo scudo crociato sul seno rigoglioso. Ma una curiosità c'era, anche questa volta, nel disegno, ed era il copricapo, di foggia veramente inusata per una donna. «E' il colbac del Piemonte reale», spiegò il presentatore dinanzi allo sguardo interrogativo del funzionario.
La cronaca appena riportata può essere completata con il resoconto puntuale che sempre il Corriere d'Informazione (edizione della notte), uscito proprio il 10 febbraio, offriva della prima mattina di deposito degli emblemi. I primi quattro signori che si contendevano il primo posto nelle procedure di deposito, a quanto pare, dovevano essere lì per depositare i fregi del Movimento nazionale unitario (distinto dal "profilo dell'Italia geografica", con tanto di Venezia Giulia "larga", Istria e Dalmazia, Savoia e Nizzardo e persino un po' di costa africana; presentatore risultava Luigi Gasparotto), del Partito nazionale monarchico (con Alfredo Covelli presentatore ufficiale), del Partito socialista italiano (contrassegno simile a quello del Psiup del 1946 e apportato da Lucio Luzzatto) e del Fronte democratico popolare (con Garibaldi sopra la stella presentato da Virgilio Nasi). L'elenco continuava con il Partito comunista italiano (stesso emblema della Costituente, depositato da Pietro Secchia e presentato - al pari del fregio del Psi - per evitare che altri potessero accampare diritti su quel segno o su segni simili), il Partito democratico del lavoro ("una ruota dentata che racchiude una spiga di grano e una fiamma emergente", presentato - a quanto pare di capire - da Edgardo Longoni), la Gioventù comunista (da cui sarebbe nata la Fgci: depositante fu Giancarlo Pajetta) e il Movimento sociale italiano (con la fiamma tricolore presentata da Giorgio Almirante). La "prima dozzina" si completava con il Blocco popolare unionista (presentato da Santi Paladino), la Concentrazione degli indipendenti per l'indipendenza d'Italia (presentato da Luciano Maria Moretti: "un reticolato con delle fiamme da esplosione, in alto una croce con la scritta 'Per l'indipendenza d'Italia'"), il Fronte liberale democratico dell'Uomo Qualunque (col simbolo della testata di Guglielmo Giannini presentato da Mario Rodinò) e l'Alleanza cattolico-monarchica (emblema presentato da Giorgio Asinari di San Marzano). Secondo un articolo uscito il giorno dopo sull'edizione "principe" del Corriere, al posto numero 13 si era collocato il simbolo della Dc.
Dell'Alleanza cattolico-monarchica, tuttavia, sarebbe stata chiesta la sostituzione del fregio, perché la corona al centro si sarebbe potuta confondere con il simbolo di "Stella e Corona" del Pnm: rimase dunque una corona di alloro, abbinata al nodo Savoia e a una croce. Il 18 febbraio il Corriere d'Informazione diede notizia anche della bocciatura del simbolo del Fronte della Gioventù per la somiglianza col simbolo del "Blocco democratico popolare", anche se una forza con quel nome non c'era: in effetti si trattava del Fronte democratico popolare già ricordato. In effetti, tra i simboli ammessi non figura quello del Fronte della Gioventù (che ovviamente non era il Fdg che si sarebbe affermato come "giovanile" del Msi-Dn, ma la continuazione - o, se si preferisce, quel che rimaneva - dell'organizzazione giovanile partigiana ormai molto vicina al Pci: a depositare il simbolo con il volto di Garibaldi, in effetti, fu Enrico Berlinguer).
Rileggendo l'articolo scritto da Alberto Ceretto per il Corriere d'Informazione, tra l'altro, si trova citata l'Associazione politica naturisti italiani menzionata nel testo: nel cercare tra i simboli ammessi nel 1948 le grafiche per illustrare l'attento e ironico resoconto, tuttavia, non emerge alcuna traccia Associazione politica naturisti italiani - nome che non figura in alcuna dei simboli presentati pure in seguito - né di un sole contenente la parola "naturismo" (mentre emergono, per esempio il sole "leonardesco, dai raggi zigzaganti" del Movimento sociale rivoluzionario europeo mostrato sopra e quello "alto sull'orizzonte" e "che inonda il creato di raggi, dritti e acuti come strali" del Movimento nazionale fra sinistrati e danneggiati di guerra). Guardando al numero di contrassegni contenuti nella pubblicazione ufficiale del Viminale, peraltro, si nota la presenza di 98 emblemi, a fronte dei 102 di cui parla l'articolo: se uno di quelli mancanti potrebbe essere quello del Fronte della Gioventù depositato da Berlinguer, che qualcosa sia andato storto in fase di esame del contrassegno naturista - da parte dei servizi elettorali guidati dal capo divisione (Angelo?) Vincenti - portando alla sua esclusione? Il mistero, almeno per ora, resta, insieme al fascino di un racconto ex post della #maratonaViminale.
Un ringraziamento meritatissimo va a Lorenzo Pregliasco, che ha segnalato l'articolo e ha spinto all'approfondimento sulla vicenda.
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