mercoledì 23 aprile 2025

Addio a Carlo Senaldi, impegnato in una lunga rinascita della Dc

In questi giorni in cui l'attenzione mediatica è catturata pressoché per intero dalla morte di papa Francesco, è giusto che su questo sito non passi sotto silenzio la scomparsa di un'altra persona, dal percorso politico rilevante e con profili d'interesse specifico per i drogatidipolitica. Si parla di Carlo Senaldi, classe 1941, morto il 19 aprile a Busto Arsizio, a una decina di chilometri dalla sua Gallarate, in cui aveva il suo studio da commercialista.
Il primo tempo della vita politica di Senaldi è stato legato indissolubilmente alla Democrazia cristiana, per la quale sedette in consiglio comunale a Gallarate (diventando anche assessore della giunta pentapartita guidata dal socialista Andrea Buffoni), alla Camera per due legislature (1983-1992) e in quota alla quale fu nominato sottosegretario durante la sua seconda legislatura, in tutti e quattro i governi in cui si articolò (occupandosi di trasporti nel governo guidato da Giovanni Goria, per poi approdare alle finanze nell'esecutivo presieduto da Ciriaco De Mita, venendo confermato da Giulio Andreotti nei suoi due ultimi governi).
Nel 1980, sempre sotto le insegne dello scudo crociato, Senaldi era stato candidato alle elezioni regionali in provincia di Varese. Era riuscito a raccogliere 9190 preferenze: certo non poche, ma in quell'occasione non sufficienti per risultare tra i tre eletti democristiani della circoscrizione, considerando che il terzo ne aveva ottenute oltre tremila in più e il distacco era rilevante. Sarebbe potuta andare nello stesso modo tre anni dopo, alle elezioni politiche del 1983, ma così in effetti non fu. Lo ricorda con buona precisione in un commento sul quotidiano online da lui diretto, Malpensa24, Vincenzo Coronetti:
Senaldi militava tra i dorotei, componente tra le più attive e, se si vuole, tra le più spietate nei giochi della politica. Vi era approdato quasi per caso, quando, poco prima delle elezioni politiche del 1983, alla Dc varesina venne a mancare uno dei quattro candidati da lanciare alle urne: Michele Galli, un altro gallaratese, si tirò indietro per ragioni personali. Rimasero in gara Giuseppe Zamberletti, Paolo Caccia, Costante Portatadino. E Carlo Senaldi, propostosi all'assemblea nella sede varesina dopo che altri rinunciarono a candidarsi, fu il quarto uomo. Venne eletto al primo colpo, contro ogni previsione.  
In effetti, nella circoscrizione che per la Camera univa i territori di Como, Sondrio e Varese, la Dc ottenne 8 dei 20 seggi disponibili (con il suo 36,76% di voti), mentre il Pci si fermò a 5 (come primo eletto passò Aldo Tortorella) e il Psi a 2 (primo eletto Francesco Forte). Zamberletti, ministro uscente del coordinamento della protezione civile, fece il pieno con 57916 voti, Caccia e Portatandino ne raccolsero oltre 33mila a testa; il conteggio delle preferenze in seguito collocò Paolo Enrico Moro, Francesco Casati e Stefano Rossattini, ma Senaldi con 24858 consensi personali riuscì a passare (e ci fu spazio per un ottavo eletto). Fu di certo un risultato rilevante, confermato da quello del 1987: di deputati democristiani alla Camera, in quella stessa circoscrizione, ne arrivarono solo 7 (anche i comunisti ne persero uno, mentre i socialisti divennero 4 dopo la legislatura dominata dalla figura di Bettino Craxi al governo) e le quasi 79mila preferenze di Zamberletti restarono inarrivabili da quelle parti, ma Senaldi vide aumentare le proprie a 36485 e confermò il seggio da penultimo degli eletti in quel territorio.
Nel 1992 Senaldi fu nuovamente candidato nello stesso collegio plurinominale di Como-Sondrio-Varese, ma era decisamente cambiato il tempo: dei 19 seggi della Camera che si assegnavano in quella circoscrizione, per la Dc ne restarono disponibili solo 5, anche perché 6 li conquistò la Lega Lombarda - Lega Nord, divenendo il primo partito. In casa democristiana Zamberletti non era più candidato, del trio di testa era rimasto solo Caccia (comunque con poco meno di 27mila voti, un po' di più della metà di quelli ottenuti cinque anni prima); Senaldi si collocò di nuovo al settimo posto nella classifica delle preferenze, ma i suoi 14351 consensi personali - qui più che dimezzati - non furono sufficienti a confermare il seggio. Questo sfumò per poco più di 600 voti (e la delusione fu anche più profonda per Francesco Casati, fuori da Montecitorio per sole 400 preferenze avendo ottenuto un terzo dei voti raccolti cinque anni prima). La batosta dovette essere dolorosa, soprattutto a voler dare credito alle "leggende di famiglia" in base alle quali "la Democrazia cristiana lo tradì, nella notte pre-elettorale del 1992. Un pacchetto di voti sposati all’ultimo verso amici di partito più generosi, non nello spirito. Vicende prescritte, morte prima di lui come tutti i protagonisti".
Le parole sono di Pietro Senaldi, condirettore di Libero e nipote dello stesso Carlo Senaldi, da lui descritto così sulla Prealpina il 20 aprile:
Mio zio era un politico, lo si resta per tutta la vita. Anche in ospedale, quando nel caos della malattia confondeva le persone, tracciava scenari. D'altronde la sfida all’impossibile ha caratterizzato gli ultimi trent'anni della sua esistenza. [...] Dopo che tutto era crollato, Silvio Berlusconi gli offrì un seggio nel 1994, come a tanti, quando doveva formare la sua classe dirigente. Il Carlo declinò l'invito. Nulla di personale, anzi: non invidiava il talento altrui, lo rispettava. Solo voleva morire democristiano, e ce l'ha fatta. Non usò mai lo Scudo Crociato per nascondercisi dietro e farsi gli affari propri. Il poco potere che ha avuto non l'ha arricchito e l'ha usato per gli altri; talvolta forse anche per chi non meritava, ma sono certo che non se ne sia mai pentito. Lui lo Scudo Crociato lo portava fiero in battaglia e ha combattuto in maniera irrazionale, inarrendevole e pressoché solitaria per farlo avanzare, con tutti noi ad ascoltarlo affettuosamente attoniti. 
Chi scrive ora - lasciando in disparte ogni considerazione sull'agire di Pietro Senaldi in altre circostanze - trova particolarmente significative le ultime frasi di questa citazione, ritenendole adattissime al secondo tempo della vita politica di Carlo Senaldi. Un tempo lontano dalle aule che contano - e, tutto sommato, con poca aderenza a quelle di tribunale, visto che "Mani Pulite" lo sfiorò soltanto, con la vicenda Enimont che per Senaldi si chiuse con un lieve patteggiamento - ma certamente tutt'altro che inattivo. Già, perché dal 1996 da varie parti si era sentito il bisogno di mettersi in movimento per cercare di far rinascere la Democrazia cristiana, dopo il cambio di nome in Ppi nel 1994, il disastro elettorale di quell'anno (con contorno di prime fratture) e la scissione dolorosissima del 1995 tra Popolari guidati da Gerardo Bianco e Cristiani democratici uniti seguaci di Buttiglione. Tra il 1997 e il 1998 a reggere le fila di quel movimento pensò Flaminio Piccoli, che della Democrazia cristiana divenne presidente, mentre come segretario fu indicato proprio Senaldi. Fin dall'inizio, tuttavia, fu difficile - per non dire difficilissimo - presentare liste con quel nome, ma soprattutto con il simbolo dello scudo crociato, vista la lotta continua tra Ppi e Cdu e la presenza in Parlamento di quest'ultimo: lo scudo saltò alle provinciali di Roma del 1998 e in tante occasioni successive, così il gruppo preferì cambiare nome (Partito democratico cristiano) e simbolo.
Morto Piccoli l'11 aprile 2000, Senaldi ne continuò il progetto. Non lo fece però con il Pdc, la cui guida passò nelle mani del napoletano Alfredo Vito (che nel 2001 sarebbe stato eletto alla Camera, candidato dalla Casa delle Libertà in quota Biancofiore, poi iscrittosi al gruppo di Forza Italia): divenne presidente di Rinascita della Democrazia cristiana, rifondata alla fine del 1999 da Angelo La Russa in Sicilia (stesso nome dell'associazione costituita nel 1996 da Andreino Carrara e del soggetto di coordinamento delle prime realtà ri-democristiane) e che a luglio 2000 riprese il cammino come partito, guardando soprattutto al centrodestra (ma considerando anche Democrazia europea alle politiche del 2001), con Senaldi che entrò a far parte del consiglio nazionale del Cdu ("ci avviciniamo per darvi il nostro aiuto nelle singole realtà regionali e provinciali - disse alla fine del 2000 - I cattolici democratici ormai hanno soltanto questa possibilità: si rimettano insieme, facciano la parte, perché noi dobbiamo difendere interessi che non sono particolari, ma di carattere generale").
Nel 2002, tuttavia, Senaldi come presidente di Rdc divenne membro di diritto della direzione nazionale dell'Udeur, partito fondato da Clemente Mastella dopo la fine dell'esperienza dell'Udr cossighiana (e che, dopo aver preso parte alle elezioni politiche del 2001 con la Margherita, aveva proseguito il cammino da solo). Nel frattempo, peraltro, si era verificato un passaggio rilevante: un gruppo di iscritti alla Dc nel 1993 si era rivolto ad Alessandro Duce, ultimo segretario amministrativo della Dc, perché si attivasse per "risvegliare" la Dc ufficialmente mai sciolta; una delle azioni legali ottenne una certa attenzione dalla stampa, che credette alla versione in base alla quale il tribunale di Roma avrebbe invalidato gli atti del 1994 riattivando il partito storico (anche se così non era).
A occuparsi delle operazioni di tesseramento - almeno prima che le bloccasse lo stesso tribunale di Roma - era stata proprio la struttura della Rinascita della Democrazia cristiana, presieduta da Senaldi e coordinata dal friulano Angelo Sandri. Intanto, visto che dai tribunali non arrivavano buone notizie e che Rdc si poneva come partito, aveva colto l'occasione delle elezioni amministrative del 2001 e del 2002 per presentarsi alle elezioni, ma raramente lo scudo crociato arrivò sulle schede elettorali. Lo stesso Senaldi, per evitare contenziosi quando si candidò - fuori dai poli - alle elezioni provinciali a Varese nel 2002, fece elaborare un contrassegno nuovo, che in un cerchio bordato di blu con dodici stelle ricreava su fondo bianco una croce grazie a due pennellate rosse. Per qualche membro delle commissioni elettorali che ricevettero quel simbolo si trattava di una figura "sanguinolenta, due macabre pennellate da Grand Guignol che nemmeno lontanamente facevano ricordare lo scudo crociato della vecchia Dc", ma oggettivamente sulle schede (anche fuori da Varese: per esempio a Borgomanero, in provincia di Novara) ci arrivò e, pur se su territori limitati, rimase (al punto che la foto pubblicata dal quotidiano La Prealpina comprendeva proprio quel simbolo). Nel frattempo, a luglio del 2002, Senaldi era stato indicato come presidente della Dc che - a dispetto del primo stop dei giudici romani all'iniziativa di Duce - aveva continuato a operare scegliendo Sandri come segretario (iniziando, tra l'altro, la causa che sarebbe finita in Cassazione nel 2010, generando una serie di pronunce molto commentate, poco lette e ancor meno comprese); il livello di confusione della vicenda fu tale che, nel giro di qualche mese, lo stesso Senaldi si trovò citato in tribunale proprio da Sandri, perché smettesse di utilizzare il nome della Dc per il suo partito, rimasto in piedi.
In seguito, sempre nel tentativo di riportare sulla scena una Dc, Senaldi scelse di concorrere - sempre grazie al suo gruppo della Rinascita - a rinforzare la Democrazia Cristiana (poi per le autonomie) di Gianfranco Rotondi, operante dal 2005, senza scudi crociati (o loro surrogati), ma almeno con il nome storico concesso in uso dal Ppi - ex Dc (e dunque senza il rischio che qualcuno lo contestasse). Quella scelta riavvicinò Senaldi alla coalizione di centrodestra, probabilmente nella convinzione che fosse da quella parte la vera continuità politica con la sua esperienza democristiana. Non a caso, nelle sue ultime candidature la collocazione nel centrodestra è stata una costante, anche se sotto diverse insegne elettorali.
Nel 2014, per esempio, Senaldi fu inserito nella lista di Fratelli d'Italia del Nord-Ovest alle elezioni europee: quella scelta - che di fatto anticipò di otto anni quella fatta alle politiche del 2022 dallo stesso Rotondi - portò 518 preferenze a Fdi (che comunque non ottenne eletti, non avendo superato di poco lo sbarramento del 4% a livello nazionale). Quei voti raccolti erano decisamente in quantità minore rispetto al passato - i numeri sono in grado di parlare da sé - ma è probabile che Senaldi non l'abbia presa troppo male, continuando la sua professione senza smettere di guardare con attenzione alla politica, innanzitutto locale. 
La sua ultima candidatura, a quanto si sa, risale alle elezioni regionali lombarde del 2023, quando è stato inserito nella lista Lombardia ideale, formazione un po' civica e un po' contenitrice di varie esperienze a sostegno della ricandidatura di Attilio Fontana. Pure in questo caso il conteggio finale dei voti raccolti non deve essere parso troppo soddisfacente, se rapportato al percorso politico passato (49 voti in tutto, peraltro raccolti nella circoscrizione di Milano e non in quella "naturale" di Varese), ma Senaldi, che probabilmente immaginava che la competizione sarebbe stata difficile, la sfida l'aveva raccolta lo stesso e si era impegnato (aprendo anche un proprio ufficio a Milano e riallacciando contatti in loco). 
Non aveva peraltro rinunciato a fare politica con la "sua Rinascita della Democrazia cristiana: nel 2021, per dire, la Rdc aveva partecipato a due liste composite, presentate alle amministrative di Busto Arsizio e di Gallarate (in quest'ultima, denominata Centro popolare Gallarate, era candidato anche Guido Senaldi, uno dei figli di Carlo). La commissione elettorale, tuttavia, chiese di sostituire il simbolo in entrambi i casi: alla base della richiesta, a quanto si sa, non c'era una ritenuta somiglianza con lo scudo crociato, ma l'aver considerato come "soggetto religioso" le due pennellate del simbolo di Rdc. Si dovette correre rapidamente ai ripari e il simbolo fu ridisegnato con una sola pennellata: pur dimezzato e accanto ad altri, il simbolo di Senaldi riuscì a tornare sulle schede (e in entrambi i comuni concorse a ottenere un eletto). 
I passaggi descritti fin qui rendono evidente l'interesse per la figura di Carlo Senaldi da parte dei drogatidipolitica, anche di coloro che non sono particolarmente attratti dalle traversie e dalla diaspora dei democristiani. Si condividano o meno determinate idee e posizioni, non può non colpire la determinazione nel non demordere, su ampia o su ridotta scala, per poter portare avanti un messaggio in cui si crede e nel proporlo ad elettrici ed elettori, sperando di trovare chi lo accoglie una volta di più: Senaldi è rientrato certamente nel paradigma, essendo stato tra coloro che hanno fatto tutto questo, più che con il timore di nuove delusioni, con il sorriso e la serenità per non avere perso l'occasione di provarci.

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