C'era stato persino il colpo di scena ieri pomeriggio, quando l'ufficio di presidenza della Camera avrebbe dovuto decidere come sciogliere il nodo "nominale" legato a Scelta civica. La questione, pur nota, va riepilogata in breve: Enrico Zanetti, leader di Sc e sottosegretario del governo Renzi, ritenendo che parte degli iscritti al gruppo non fossero (economicamente) adempienti verso il partito e che le decisioni del gruppo fossero condizionate da membri non iscritti al partito, decise di abbandonare la compagine parlamentare e di fondarne un'altra, chiamandola Scelta civica verso Cittadini per l'Italia, poi associata al Maie di Ricardo Merlo e comprendente anche i deputati verdiniani di Ala. Contemporaneamente, però, Zanetti decise di ritirare l'affiliazione di Scelta civica all'omonimo gruppo, portando con sé il nome e, con questo, la possibilità di formare un gruppo in deroga (anche senza arrivare, dunque, ai 20 componenti, utilizzando la clausola regolamentare che consente la deroga a chi ha dimostrato una certa presenza alle elezioni); a quel punto, coloro che non avevano voluto seguire Zanetti avevano dato una diversa versione, sostenendo il loro pieno diritto di continuare a chiamarsi Scelta civica ed esistere a Montecitorio, anche in un numero inferiore a 20.
La decisione sul punto, si diceva, è stata presa ieri dall'Ufficio di presidenza della Camera (composto, oltre che dalla presidente Boldrini, dai quattro vicepresidenti, dai tre questori e dagli otto segretari, che devono rappresentare tutti i gruppi) e, nel bel mezzo della riunione, era arrivata una lettera direttamente da Mario Monti, ispiratore e fondatore di Scelta civica (ma fuori da tempo dal partito). In quella missiva, il senatore a vita sosteneva di essere titolare del simbolo usato da Scelta civica e, come tale, negava il proprio consenso all'uso del nome in un gruppo nato con gli aderenti alla formazione di Denis Verdini. In seguito a un approfondimento giuridico e regolamentare, svolto dal segretario d'aula Giovanni Sanga (Pd), sarebbe tuttavia risultato che - in base allo statuto del partito e, soprattutto, alla scrittura privata relativa alla costituzione di Scelta Civica, purtroppo non resa pubblica - Monti è titolare sì del simbolo, ma non anche del nome che contiene: l'uso di quest'ultimo (disgiunto dal logo), dunque, è stato riconosciuto a Zanetti in quanto segretario.
La decisione sul punto, si diceva, è stata presa ieri dall'Ufficio di presidenza della Camera (composto, oltre che dalla presidente Boldrini, dai quattro vicepresidenti, dai tre questori e dagli otto segretari, che devono rappresentare tutti i gruppi) e, nel bel mezzo della riunione, era arrivata una lettera direttamente da Mario Monti, ispiratore e fondatore di Scelta civica (ma fuori da tempo dal partito). In quella missiva, il senatore a vita sosteneva di essere titolare del simbolo usato da Scelta civica e, come tale, negava il proprio consenso all'uso del nome in un gruppo nato con gli aderenti alla formazione di Denis Verdini. In seguito a un approfondimento giuridico e regolamentare, svolto dal segretario d'aula Giovanni Sanga (Pd), sarebbe tuttavia risultato che - in base allo statuto del partito e, soprattutto, alla scrittura privata relativa alla costituzione di Scelta Civica, purtroppo non resa pubblica - Monti è titolare sì del simbolo, ma non anche del nome che contiene: l'uso di quest'ultimo (disgiunto dal logo), dunque, è stato riconosciuto a Zanetti in quanto segretario.
E coloro che non volevano lasciare né il gruppo né il nome? La loro esistenza come gruppo è stata confermata, ma con due limitazioni: da una parte, è stato necessario cambiare nome, e come nuova etichetta è stata scelta Civici e innovatori; dall'altra parte, essendo rimasti solo in 15 i deputati e non essendo possibile far valere la deroga legata all'uso del simbolo di Scelta civica, si è dovuto trovare un'altra soluzione (se non altro perché gli scissionisti, formalmente, non erano loro e l'esistenza in vita del gruppo andava tutelata in qualche modo). Per questo, la "sopravvivenza" del gruppo è stata autorizzata, ma solo in via provvisoria, concedendo alla compagine un "tempo congruo" per raggiungere la quota minima di 20 deputati.
Quasi inutile dire che il verdetto non è piaciuto a Mario Monti, a giudicare da una sua nota diffusa subito dopo:
Quasi inutile dire che il verdetto non è piaciuto a Mario Monti, a giudicare da una sua nota diffusa subito dopo:
L’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati, con decisione politica su pressione del Partito democratico ha oggi autorizzato, senza alcun adeguato approfondimento, la costituzione, in deroga al Regolamento, di un nuovo Gruppo. All’utilizzo della denominazione "Scelta Civica" da parte di tale gruppo mi sono opposto, con lettera alla presidenza della Camera, quale fondatore di Scelta Civica e tuttora titolare della denominazione e del simbolo. Mantengo la mia opposizione e mi riservo di far valere le mie ragioni. [...] Si tratta di un'operazione che snatura completamente l’ispirazione originaria che diede vita a Sc, condotta con soggetti che sono in totale contrasto con i valori in base ai quali circa 3 milioni di cittadini diedero il loro voto nel febbraio 2013 esercitando un’influenza decisiva sull'esito di quelle elezioni. Dopo avere lasciato la presidenza di Scelta Civica e in seguito lo stesso partito, mi ero sempre astenuto da qualsiasi intervento nei confronti degli organi responsabili e non ho mai ritenuto di esercitare il diritto di revocare l’uso della denominazione e del simbolo. Ma in questa occasione ho considerato mio dovere intervenire.Così, mentre Monti esprimeva il suo personale rammarico perché, nella sua compagine schierata alle elezioni del 2013, "accanto a tante donne e uomini che, eletti, hanno servito con lealtà e dignità, vi fosse anche chi ora vuole portare una parte del movimento a legarsi con il senatore Verdini" e concedeva a costoro di farlo, "ma non usando violenza al simbolo di Scelta Civica", la componente ufficiale del partito ufficializza il suo matrimonio (parlamentare) con i verdiniani, lasciando alle spalle quello - invecchiato di colpo - coi Moderati di Portas, che a Montecitorio si sono dovuti accontentare di costituire una componente del gruppo misto con il Ppa.
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