Si è parlato ieri del progetto politico elettorale - Alleanza della destra nazionale - cui sta lavorando da alcune settimane il Movimento sociale italiano - Destra nazionale di Gaetano Saya e Maria Antonietta Cannizzaro: si è visto anche come l'uso della storica fiamma tricolore all'interno del contrassegno sarebbe garantito, secondo i dirigenti dello stesso (Nuovo) Msi, dalla sentenza della Corte d'appello di Firenze del 2016 che aveva negato ad An e alla Fondazione An il titolo a impedire al Msi l'uso dei segni distintivi missini.
Meno fortunata è stata, ma solo in apparenza, un'altra decisione - questa volta un'ordinanza - emessa dal Tribunale di Roma un mese fa, il 7 giugno esattamente, a seguito di un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile presentato a febbraio dallo stesso Msi, per chiedere come provvedimento d'urgenza l'inibizione a Fratelli d'Italia dell'uso della fiamma tricolore (contenuta nel simbolo-"pulce" di An). Il partito di Saya e Cannizzaro l'aveva chiesto proprio in virtù di quella sentenza della Corte d'appello fiorentina che, avendo - a detta del Msi - accertato la dismissione del simbolo da parte di An, rendeva illegittimo l'uso dello stesso emblema da parte di Fdi (che dalla Fondazione An l'aveva ricevuto, prima provvisoriamente e ora in modo più stabile): un uso che, secondo Cannizzaro, oltre a confondere gli elettori, creava un danno economico al suo partito, intenzionato a vendere gadget con il marchio missino. La giudice Cecilia Pratesi ha rigettato la richiesta, anche se le ragioni sono da guardare con attenzione, perché le conseguenze potrebbero essere di non poco conto.
Da una parte, infatti, la giudice ha negato la confondibilità dei due emblemi, sufficientemente distinti sul piano cromatico (l'azzurro dominante di Fdi e il bianco del Msi) e per la diversa proporzione della fiamma, per cui non vi sarebbe alcun effetto decettivo sul piano merceologico e, secondo chi ha emesso l'ordinanza, anche elettorale, essendo i due simboli "nettamente distinguibili"; dall'altra, nella decisione si è negata anche la lesione dell'identità personale del Msi, poiché - basandosi proprio sulla sentenza fiorentina citata prima - la fiamma sarebbe stata il simbolo di "un patrimonio ideologico ben radicato nella storia politica italiana" e, venuto meno il Msi "storico", "non può essere inibito ad altre entità politiche, figlie della medesima identità ed ispirazione, di richiamare - nel proporsi al pubblico - la simbologia storicamente propria della stessa unica matrice".
Meno fortunata è stata, ma solo in apparenza, un'altra decisione - questa volta un'ordinanza - emessa dal Tribunale di Roma un mese fa, il 7 giugno esattamente, a seguito di un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile presentato a febbraio dallo stesso Msi, per chiedere come provvedimento d'urgenza l'inibizione a Fratelli d'Italia dell'uso della fiamma tricolore (contenuta nel simbolo-"pulce" di An). Il partito di Saya e Cannizzaro l'aveva chiesto proprio in virtù di quella sentenza della Corte d'appello fiorentina che, avendo - a detta del Msi - accertato la dismissione del simbolo da parte di An, rendeva illegittimo l'uso dello stesso emblema da parte di Fdi (che dalla Fondazione An l'aveva ricevuto, prima provvisoriamente e ora in modo più stabile): un uso che, secondo Cannizzaro, oltre a confondere gli elettori, creava un danno economico al suo partito, intenzionato a vendere gadget con il marchio missino. La giudice Cecilia Pratesi ha rigettato la richiesta, anche se le ragioni sono da guardare con attenzione, perché le conseguenze potrebbero essere di non poco conto.
Da una parte, infatti, la giudice ha negato la confondibilità dei due emblemi, sufficientemente distinti sul piano cromatico (l'azzurro dominante di Fdi e il bianco del Msi) e per la diversa proporzione della fiamma, per cui non vi sarebbe alcun effetto decettivo sul piano merceologico e, secondo chi ha emesso l'ordinanza, anche elettorale, essendo i due simboli "nettamente distinguibili"; dall'altra, nella decisione si è negata anche la lesione dell'identità personale del Msi, poiché - basandosi proprio sulla sentenza fiorentina citata prima - la fiamma sarebbe stata il simbolo di "un patrimonio ideologico ben radicato nella storia politica italiana" e, venuto meno il Msi "storico", "non può essere inibito ad altre entità politiche, figlie della medesima identità ed ispirazione, di richiamare - nel proporsi al pubblico - la simbologia storicamente propria della stessa unica matrice".
Nei giorni successivi sui media il contenuto dell'ordinanza è stato diffuso come riconoscimento della legittimità dell'uso della fiamma fatto da Fratelli d'Italia (ma nel testo dell'ordinanza, che si inserisce in un procedimento a cognizione sommaria, non si valuta la legittimità della ricezione della fiamma dalla Fondazione An) o, addirittura, come riconoscimento dell'esclusiva a beneficio di questo partito (cose che nella decisione proprio non c'è). Leggendo bene il provvedimento, in realtà, le due affermazioni della giudice hanno qualcosa di innovativo e di favorevole al partito di Cannizzaro.
Agli occhi dello studioso, in effetti, è strano che un giudice civile abbia detto che l'uso del simbolo composito di Fratelli d'Italia, rispetto a quello del Msi, non comporta "effetto decettivo" (cioè ingannevole) neanche sul piano elettorale, visto che l'ambito delle elezioni è considerato "speciale" ed è retto da regole specifiche rispetto a quello civile, più ampio, dei titoli di proprietà industriale; eppure, se il tribunale si è sentito di poter e dover dire questo, la sua decisione potrebbe spiegare effetti anche nel procedimento che precede le elezioni.
Certo, tali conclusioni hanno un peso relativo, essendo contenute in un'ordinanza ex art. 700 c.p.c.; se però fossero confermate nel giudizio di merito conterebbero di più. Il valore aumenterebbe se diventasse definitiva la sentenza della Corte d'appello di Firenze del 2016, su cui la decisione del tribunale di Roma si basa nel riconoscere il diritto di chiunque si ritenga "erede politico" di un partito a reinterpretare il simbolo originale di questo, purché non si confonda con gli altri eredi. Il punto debole dell'ordinanza è l'accettazione acritica della tesi alla base della sentenza fiorentina, in contrasto con quanto deciso fino ad allora sulle scissioni seguite a una virata ideologica in un partito (prima sulla lite tra la futura Rifondazione comunista e il Pds e poi proprio sul Msi di Rauti, non ancora Fiamma tricolore, contro An): solo chi resta nel partito - anche se ha cambiato idee, nome e simbolo - mantiene i diritti sui segni del passato, a differenza di scissionisti e altri emuli. Detto questo, è vero che dagli eventi di Fiuggi del 1995 - e dal presunto abbandono del vecchio simbolo, anche se per chi scrive reale abbandono non fu - sono passati oltre vent'anni: sebbene Fratelli d'Italia abbia ricevuto in uso il simbolo di An dalla fondazione, sembra difficile continuare a privare un gruppo che voglia seguire gli ideali missini della possibilità di avere un simbolo molto vicino a quello storico (tanto più che An, specie alla fine della sua storia, fu cosa molto diversa rispetto al Msi).
Agli occhi dello studioso, in effetti, è strano che un giudice civile abbia detto che l'uso del simbolo composito di Fratelli d'Italia, rispetto a quello del Msi, non comporta "effetto decettivo" (cioè ingannevole) neanche sul piano elettorale, visto che l'ambito delle elezioni è considerato "speciale" ed è retto da regole specifiche rispetto a quello civile, più ampio, dei titoli di proprietà industriale; eppure, se il tribunale si è sentito di poter e dover dire questo, la sua decisione potrebbe spiegare effetti anche nel procedimento che precede le elezioni.
Certo, tali conclusioni hanno un peso relativo, essendo contenute in un'ordinanza ex art. 700 c.p.c.; se però fossero confermate nel giudizio di merito conterebbero di più. Il valore aumenterebbe se diventasse definitiva la sentenza della Corte d'appello di Firenze del 2016, su cui la decisione del tribunale di Roma si basa nel riconoscere il diritto di chiunque si ritenga "erede politico" di un partito a reinterpretare il simbolo originale di questo, purché non si confonda con gli altri eredi. Il punto debole dell'ordinanza è l'accettazione acritica della tesi alla base della sentenza fiorentina, in contrasto con quanto deciso fino ad allora sulle scissioni seguite a una virata ideologica in un partito (prima sulla lite tra la futura Rifondazione comunista e il Pds e poi proprio sul Msi di Rauti, non ancora Fiamma tricolore, contro An): solo chi resta nel partito - anche se ha cambiato idee, nome e simbolo - mantiene i diritti sui segni del passato, a differenza di scissionisti e altri emuli. Detto questo, è vero che dagli eventi di Fiuggi del 1995 - e dal presunto abbandono del vecchio simbolo, anche se per chi scrive reale abbandono non fu - sono passati oltre vent'anni: sebbene Fratelli d'Italia abbia ricevuto in uso il simbolo di An dalla fondazione, sembra difficile continuare a privare un gruppo che voglia seguire gli ideali missini della possibilità di avere un simbolo molto vicino a quello storico (tanto più che An, specie alla fine della sua storia, fu cosa molto diversa rispetto al Msi).
"Quelli di Fratelli d'Italia - precisa Candida Pittoritto, portavoce del Msi - si sono incastrati con le loro mani. Giusto poche settimane prima, quando avevamo fatto ricorso contro l'esclusione delle nostre liste alle elezioni comunali di Verona e Lecce, loro avevano sostenuto la tesi della confondibilità del simbolo; davanti al tribunale di Roma, invece, hanno negato che gli emblemi di Msi e Fdi fossero confondibili, puntando tra l'altro sulla protezione che darebbe loro la rappresentanza parlamentare e sul loro disinteresse per la vendita di gadget con quel marchio che noi abbiamo registrato. A questo punto, la decisione del giudice ci mette in condizione di utilizzare senza problemi in ambito elettorale il simbolo, proprio perché è stato ritenuto non confondibile; io stessa, del resto, mi sono candidata a sindaco a Cerveteri col simbolo del Msi, in una delle coalizioni c'era anche Fratelli d'Italia e i due simboli hanno convissuto sulla scheda".
Lo scontro, c'è da giurarci, è ben lontano dall'essere risolto. Anche perché, al di là dell'aspetto elettorale, c'è quello dell'uso del marchio e nemmeno su questo il Msi intende demordere: "Visto che poi non è stato messo in discussione il nostro diritto sul marchio - continua Pittoritto - dai vertici del Msi partirà presto una denuncia-diffida a Fratelli d'Italia, perché loro non possono utilizzare la fiamma per farne gadget, nemmeno le bandiere, dunque saranno chiesti i danni. In sede di elezioni politiche, poi, non solo ci presenteremo al Viminale con il nostro simbolo, a questo punto legittimato, ma attraverso quest'ordinanza ci opporremo all'uso delle bandiere di Fdi in campagna elettorale". Se il ministero accetterà questo punto di vista, ora non è dato sapere; per conoscere il finale della storia, comunque, basterà aspettare qualche mese. Il tempo di finire la legislatura, sciogliere le Camere, mettersi in fila e depositare i simboli.
Lo scontro, c'è da giurarci, è ben lontano dall'essere risolto. Anche perché, al di là dell'aspetto elettorale, c'è quello dell'uso del marchio e nemmeno su questo il Msi intende demordere: "Visto che poi non è stato messo in discussione il nostro diritto sul marchio - continua Pittoritto - dai vertici del Msi partirà presto una denuncia-diffida a Fratelli d'Italia, perché loro non possono utilizzare la fiamma per farne gadget, nemmeno le bandiere, dunque saranno chiesti i danni. In sede di elezioni politiche, poi, non solo ci presenteremo al Viminale con il nostro simbolo, a questo punto legittimato, ma attraverso quest'ordinanza ci opporremo all'uso delle bandiere di Fdi in campagna elettorale". Se il ministero accetterà questo punto di vista, ora non è dato sapere; per conoscere il finale della storia, comunque, basterà aspettare qualche mese. Il tempo di finire la legislatura, sciogliere le Camere, mettersi in fila e depositare i simboli.
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