venerdì 10 maggio 2024

Stati Uniti d'Europa, resta ammesso il simbolo della Lista Pannella. Ricorso del Viminale irricevibile (pur ponendo questioni non irrilevanti)

Salvo sorprese al momento non prevedibili, è praticamente giunto alla conclusione il contenzioso sui contrassegni presentati in vista delle elezioni europee dell'8 e del 9 giugno. Questa mattina, infatti, la seconda sezione del Consiglio di Stato ha dichiarato irricevibile - per il suo deposito tardivo al Tar - il ricorso del Ministero dell'interno contro la sentenza del Tar Lazio che pochi giorni fa aveva riammesso il contrassegno depositato per conto della Lista Marco Pannella, quello con la rosa nel pugno su fondo giallo sormontata dalla dicitura "Stati Uniti d'Europa".
Il processo è stato dunque deciso da una questione "di rito", senza che si entrasse nel merito delle questioni sollevate dal Viminale nel suo ricorso. Questioni che, peraltro, riguardavano punti non secondari, rilevanti soprattutto in vista delle consultazioni future: per questo meritano di ricevere adeguata attenzione in quest'articolo.
 

Il ricorso del Viminale e la tesi della lista Pannella

Leggendo il ricorso redatto per il Ministero dell'interno dall'Avvocatura generale dello Stato emergevano con nettezza i due punti della sentenza del Tar che la Direzione centrale per i servizi elettorali aveva ritenuto più critici, al punto da farle ritenere "errata" la decisione. Le due censure mosse dalla difesa erariale riguardavano certamente il caso specifico di cui ci si sta occupando (per cui, come si è visto e come si vedrà, il Viminale ritiene comunque che il contrassegno riammesso dal Tar sia confondibile con quello che riunisce +Europa, Italia viva, Psi, Radicali italiani, Libdem europei e L'Italia c'è, a causa dell'identità del nome e del suo rilievo grafico in entrambi i fregi); la lettura del ricorso, tuttavia, fa capire che il Ministero dell'interno aveva scelto di impugnare la decisione del collegio di primo grado soprattutto per evitare alcuni effetti ritenuti rischiosi per le future consultazioni elettorali, quelle di livello locale e regionale ma soprattutto quelle nazionali (politiche e ovviamente europee).
Richiamato il contenuto della decisione dell'Ufficio elettorale nazionale (conforme alla valutazione di confondibilità emessa dalla Direzione centrale per i servizi elettorali) e il passaggio centrale della sentenza del Tar Lazio (che invece ha optato per la non confondibilità, a dispetto dell'identità dell'elemento testuale-denominativo), il ricorso contestava innanzitutto l'idea che si potesse far "prevalere una valutazione 'estetica' nella comparazione dei due contrassegni, sottolineando le differenze di tipo grafico e cromatiche, idonee [...] a superare la 'funzione individuante' della identica denominazione 'Stati Uniti d’Europa'", che per il Ministero dell'interno restava comunque dominante e, dunque, poteva da sola essere un elemento di confondibilità.
Con riguardo all'argomento della potenziale confondibilità legata ai nomi impiegati, però, il ricorso introduceva subito una riflessione che andava ben oltre il singolo caso controverso e la procedura elettorale in corso. Vale la pena riportare il testo per intero, anche perché riguarda un passaggio della sentenza del Tar che aveva attirato l'attenzione di chi scrive pochi giorni fa:
Peraltro, se prevalesse l'argomento sostenuto dal Tar del Lazio secondo cui "le modalità di comunicazione politica attualmente prevalenti (imperniate su modelli digitali di fruizione…) sembrano prefigurare (…) l'avvento di una rinnovata prevalenza degli elementi simbolici a discapito di quelli letterali" si aprirebbe la strada all'ipotetica coesistenza sulla scheda elettorale di 'n' contrassegni con la medesima denominazione purché di differente composizione grafica e cromatica. È evidente come una tale interpretazione della normativa in oggetto non possa essere accolta, pena un evidente vulnus della genuinità delle competizioni elettorali. Trattasi, tra l'altro, di una lettura della disposizione di cui all'art. 14 cit., che condurrebbe ad un totale svuotamento del dato testuale, in quanto, nella valutazione dei contrassegni, sposterebbe la predetta valutazione solo sull'elemento simbolico, tralasciando il fatto che la norma in questione pone sullo stesso piano gli aspetti grafici, cromatici e testuali.
Il Viminale, insomma, aveva fatto capire di voler evitare soprattutto che l'eventuale conferma dell'ammissibilità del contrassegno depositato in nome e per conto della Lista Pannella (a dispetto dell'identità del nome e dell'unica parte testuale rispetto a un emblema depositato in precedenza nella stessa tornata elettorale) facesse ritenere legittimo - e dunque potenzialmente non censurabile - presentare contrassegni contenenti nomi volutamente uguali a quelli usati da altre formazioni politiche che avevano annunciato la loro partecipazione a quella competizione elettorale, a patto di avere l'accortezza di proporre una grafica e un uso dei colori sensibilmente diverso. Si tratta, per chi scrive, di uno scenario possibile, anche se non sarebbe affatto scontato l'arrivo sulle schede di quei simboli: si dovrebbero comunque raccogliere le firme (il che rappresenta, soprattutto in certi tipo di elezioni, un ostacolo rilevante, come si è visto), benché in linea teorica qualche forza politica tra quelle esenti da quell'onere possa scegliere di "duplicare" i nomi altrui (una simile mossa, peraltro, sembrerebbe più di interesse di chi cerca di affermarsi per la prima volta - e dunque ha bisogno di firme - rispetto a chi ha già ottenuto una rappresentanza qualificata con un certo nome e un certo simbolo e dovrebbe puntare a usare quelle insegne, non altre).
Sempre circa la confondibilità, il Ministero non condivideva la tesi della Lista Pannella, in parte ripresa dal Tar, in base al quale la componente grafica può risultare del tutto prevalente rispetto al nome della lista riportato nel contrassegno e come tale essere avvertita dal corpo elettorale: "Seguendo un ragionamento di tal fatta [...] la denominazione della lista, così come riportata sullo stesso contrassegno, non assumerebbe alcuna valenza identificativa della stessa lista. E allora, non può non evidenziarsi la contraddittorietà della stessa affermazione avversaria, tenuto conto che il Ministero appellante ha [...] invitato le odierne parti appellate a rimuovere e/o modificare l’espressione letterale riportata nel contrassegno. Ma se - come dedotto da controparte - la stessa dicitura non costituiva elemento individuante la lista [...], non è dato comprendere quale pregiudizio sarebbe derivato a controparte dalla sua rimozione". Al di là del discorso "di logica" sul valore individuante della dicitura "Stati Uniti d'Europa" (se non era identificativa, perché rifiutarne la sostituzione?), emerge chiaro il rifiuto dell'idea di fondare l'esame della confondibilità dei contrassegni essenzialmente sulla grafica e quasi per nulla sugli elementi testuali-nominali: lo dimostrerebbe, per il Viminale, il fatto che l'art. 14, comma 4 del d.P.R. n. 361/1957 (testo unico per l'elezione della Camera) precisi che gli elementi di confondibilità - incluse "le espressioni letterali, nonché le parole o le effigi costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità politiche" - si considerano "congiuntamente od isolatamente", senza far prevalere una valutazione solo complessiva (sennò "non avrebbe alcuna valenza l’utilizzo nella disposizione in oggetto della congiunzione 'od'") o dare più peso agli elementi grafici rispetto a quelli testuali (per la difesa erariale "costituisce argomento logico, ancor prima che giuridico, quello per cui due identiche denominazioni, a prescindere dagli ulteriori elementi caratterizzanti i contrassegni, possono indurre in confusione l'elettore medio al momento della scelta"). Si dovrebbe insomma fare "riferimento al caso concreto sottoposto all'Amministrazione, dovendosi sempre prendere quale riferimento principe il concreto rischio che i contrassegni inducano in errore l’elettorato".
Al di là della questione del contrassegno, il ricorso del Ministero dell'interno si era concentrato anche sulla parte della sentenza del Tar Lazio che cita il dovere dell'amministrazione dell’Interno "di ammettere alla competizione elettorale indetta per l'8 ed il 9 maggio 2024 [...] anche il contrassegno presentato dall’associazione ricorrente": aveva sottolineato come l'Amministrazione dell'interno (intesa dal ricorrente in senso stretto, riferita solo alla Direzione centrale per i servizi elettorali e non anche, come l'espressione sembra fare, alle Prefetture) fosse competente solo sull'esame dei contrassegni, non anche sui passaggi successivi, a partire dalla presentazione delle candidature presso gli Uffici elettorali circoscrizionali, il cui termine era però scaduto già da alcuni giorni. A tale proposito, nel ricorso si sottolineava sia la mancanza di "meccanismi di 'riapertura' della fase di deposito delle liste" (spiegandone l'assenza pure sulla base della successiva serie di "concatenati adempimenti amministrativi ed organizzativi, in parte riguardanti l’organizzazione del voto all’estero [...]"), sia l'impossibilità - nel caso specifico e, in generale, con riguardo alle elezioni europee - di concepire un ipotetico rinvio del voto, visto che le date entro le quali le operazioni elettorali devono svolgersi su tutto il territorio dell'Unione Europea sono determinate da fonti eurounitarie (dunque l'ordinamento italiano non potrebbe discostarsene). Un passaggio del ricorso dell'Avvocatura dello Stato, peraltro, risultava molto interessante nel sottolineare che "L'associazione 'Lista Marco Pannella' avrebbe ben potuto, in pendenza del giudizio dinanzi al Tar del Lazio, chiedere agli Uffici elettorali circoscrizionali l'ammissione con riserva delle liste di candidati": lo stesso Ministero dell'interno sembra dunque ritenere che una lista che abbia preparato le sue candidature ma abbia ancora in corso un contenzioso sul contrassegno possa comunque presentare le liste che, in presenza di tutti gli altri requisiti (a partire da quello delle firme raccolte o dell'esenzione da tale onere), dovrebbero essere ammesse con riserva, per venire definitivamente ammesse in caso di "ripescaggio" del contrassegno (o escluse in caso di conferma della ricusazione del simbolo).
 
Alle censure del Viminale aveva replicato la Lista Pannella, facendo valere argomenti di rito e di merito: ora ci si sofferma solo su questi ultimi. In primo luogo si era rifiutata l'idea che il Tar Lazio avesse adottato una "valutazione 'estetica' nella comparazione dei due contrassegni", con le differenze grafico-cromatiche prevalenti sul valore individuante del nome: per il soggetto politico la tesi del collegio di primo grado era innanzitutto fondata su varie decisioni dei Tar e dello stesso Consiglio di Stato, in base alle quali la comparazione tra due contrassegni "deve avvenire sia complessivamente, sia con riguardo ai singoli elementi 'primariamente i simboli e le parti di cui si compongono, che assumano una funzione individuante'", ritenendo che quest'ultima nel contrassegno della Lista Pannella spettasse - per storia e per rilievo grafico - alla rosa nel pugno e non alla dicitura "Stati Uniti d'Europa". Le considerazioni della difesa erariale sulla necessità di un esame basato sul "concreto rischio che i contrassegni inducano in errore l'elettorato" e sul valore identificante delle espressioni letterali pari a quello dei simboli, secondo la Lista Pannella, non erano in grado di ribaltare la decisione del Tar Lazio: dire che le parole non hanno "una valenza meno pregnante rispetto ai simboli riprodotti" non impedisce "che da una lettura complessiva della parte simbolica e letterale emerga una prevalenza della prima sulla seconda", potendo gli elementi letterali essere meno efficaci "rispetto ad immagini e simboli che, come nel caso di specie, prevalgono e catturano, nel loro significato profondo ed emotivo, la sensibilità dell'elettore medio" (ribadendo così il carattere individuante della rosa nel pugno - col quale, secondo la forza politica, il Viminale non si sarebbe confrontato - assai maggiore rispetto a quello della denominazione, nonché il carattere distintivo degli altri elementi visivi del fregio della futura lista Stati Uniti d'Europa, rilevante in un giudizio comparativo complessivo).
Per il soggetto politico guidato da Maurizio Turco, la tesi del Viminale in base alla quale una potenziale "rinnovata prevalenza degli elementi simbolici a discapito di quelli letterali" potrebbe fondare una proliferazione di contrassegni con lo stesso contenuto letterale in diverse soluzioni grafiche sarebbe "diretta a ritenere prevalente il solo elemento letterale del contrassegno senza comprendere, come motivato dal Tar, che il giudizio deve tenere conto di tutta una serie di elementi capaci di avere nel contrassegno un significato ed una pregnanza prevalenti e tra questi certamente la parte simbolica e figurativa". Né si potrebbe dire che, secondo il Tar, la denominazione di una lista riportata nel contrassegno non avrebbe alcun valore identificativo, al punto tale da non giustificarsi la scelta della Lista Pannella di non voler rinunciare alla dicitura o modificarla: per il gruppo politico, semplicemente la denominazione non era prevalente nel contrassegno quindi, non risultando disorientante per il corpo elettorale, non c'era motivo di rinunciarvi.
Quanto alla seconda censura mossa dal Ministero dell'interno, a proposito dell'inesistenza di strumenti per (ri)ammettere la Lista Pannella alle elezioni europee con il simbolo contestato, per la forza politica era innanzitutto inammissibile (perché formulata solo in secondo grado, senza che il Viminale si fosse costituito davanti al Tar), in più non avrebbe tenuto conto di un superiore "diritto a partecipare al procedimento elettorale" che meriterebbe una tutela effettiva. Le controdeduzioni, poi, sono state l'occasione per ribadire quanto già sostenuto davanti all'Ufficio elettorale nazionale e al Tar circa il significato da dare all'espressione "contrassegni presentati in precedenza", se dunque ci si dovesse riferirsi all'ordine di presentazione in quella particolare procedura elettorale (tesi del Viminale e dell'Uen) o anche a eventuali preusi (tesi della Lista Pannella, che in mancanza di tutela in tal senso aveva paventato una "corsa al deposito" di vecchi simboli senza alcuna protezione per chi li aveva usati in precedenza).

La decisione (in rito) e le questioni aperte

Come si è detto, il Consiglio di Stato oggi ha deciso sul ricorso dell'Avvocatura dello Stato, ma lo ha fatto senza entrare nel merito delle questioni poste: lo ha infatti dichiarato irricevibile, sulla base di un'eccezione procedurale - sollevata dalla Lista Pannella - che, come tale, in base al codice del processo amministrativo dev'essere esaminata per prima (evidentemente per ragioni di economia processuale: se il ricorso presenta difetti formali, non si passa nemmeno a esaminare le censura di merito che contiene).
In particolare, la difesa della Lista Pannella aveva eccepito il mancato rispetto della disposizione che richiede che il ricorso al Consiglio di Stato debba essere notificato ai soggetti indicati dalla disposizione, depositato presso il Tar del processo di primo grado e presso la segreteria del Consiglio di Stato "nel termine di due giorni dalla pubblicazione della sentenza", termine tassativo - vista l'importanza delle cause legate ai procedimenti elettorali - che dunque vale per tutti e tre gli adempimenti. La sentenza del Tar Lazio è stata pubblicata il 6 maggio 2024, quindi il termine per le notifiche e i depositi del ricorso è scaduto l'8 maggio 2024; secondo la Lista Pannella le notifiche sarebbero regolarmente arrivate l'8 maggio, come pure il deposito presso il Consiglio di Stato, mentre il deposito presso il Tar Lazio sarebbe avvenuto solo ieri.
Lo stesso collegio di seconde cure ha riconosciuto che "dagli atti del giudizio risulta che l’appello sia stato [...] depositato al TAR solo il 9 maggio": tanto è bastato ai giudici per ritenere che il ricorso fosse irricevibile (pur ritenendo che la questione processuale sia stata peculiare al punto da giustificare la compensazione delle spese del secondo grado). Qualcosa di strano, peraltro, sembra essere accaduto: l'8 maggio, infatti, il ricorso del Ministero dell'interno risultava depositato sia al Tar Lazio sia al Consiglio di Stato, tant'è che proprio ieri il collegio di primo grado ha emesso una sentenza a seguito di quel ricorso, sostenendo che "il deposito del ricorso di cui trattasi presso questo Tribunale costituisce, a tutta evidenza, conseguenza di un errore materiale commesso dalla parte ricorrente la quale, pertanto, non può vantare interesse alcuno alla proposizione del medesimo, come confermato dall’istanza di cancellazione del ricorso presentata, in data odierna, dalla difesa erariale con la quale si esplicita come l’intendimento della medesima consistesse nell’effettuare il deposito 'in adempimento di quanto prescritto dall'art. 129, comma 8, cod. proc. amm. ai fini dell'affissione del ricorso in appello in spazi aperti al pubblico nel diverso giudizio recante r.g. n. 4834/2024'". Al di là della sentenza di inammissibilità pronunciata ieri dal Tar, sembra di poter dire che il deposito del ricorso, che doveva servire ai fini del giudizio presso Palazzo Spada, potrebbe per errore essere stato effettuato nelle forme dell'impugnazione della pronuncia del Tar... presso lo stesso ufficio, mentre l'istanza dell'Avvocatura dello Stato di ieri potrebbe essere stata contestuale al nuovo deposito nelle forme corrette e ai fini del giudizio d'appello, ma - evidentemente - tardivo.
La sentenza di oggi del Consiglio di Stato, per quanto emessa soltanto su una questione di rito, consolida l'ammissione del contrassegno della Lista Marco Pannella, che dunque per la seconda elezione europea consecutiva presenta il simbolo della rosa nel pugno abbinato alla dicitura "Stati Uniti d'Europa". Trattandosi di una pronuncia in rito, però, restano irrisolti i dubbi che sono stati sollevati dal Viminale nel suo ricorso, come pure quelli inseriti dalla Lista Pannella nel suo ricorso al Tar e non trattati dal collegio di primo grado nella sua sentenza. In particolare, sarebbe stato interessante conoscere l'opinione dei giudici di Palazzo Spada sul modo di contemperare il riconoscimento dell'ordine di deposito dei contrassegni (che richiede comunque lo sforzo di mettersi in fila prima degli altri) e la tutela o - almeno - il riconoscimento del preuso che una forza politica può avere maturato nel frattempo (non per forza con la presentazione di candidature): il primo elemento è rilevante perché di fatto è il modo più facile per misurare il concetto di "arrivare prima" (non tutti i preusi hanno la stessa visibilità, lo stesso peso, lo stesso valore), il secondo merita di trovare qualche forma di riconoscimento, senza che ogni volta si debba necessariamente azzerare tutto, consentendo a chi si mette in fila per primo - e magari conta su maggiore attenzione dei media - di riutilizzare simboli o nomi già utilizzati da altre forze politiche in precedenza (evitando dunque di legittimare le "corse al simbolo" paventate dalla Lista Pannella).
Allo stesso tempo, non sarebbe positivo se in futuro qualcuno si sentisse e fosse legittimato a utilizzare (senza averlo fatto prima in modo ragionevolmente percettibile) un nome di cui è già noto l'impiego da parte di altre forze politiche, limitandosi a proporre una grafica molto diversa. Come si è detto sopra, lo scenario paventato dal Viminale nel suo ricorso sarebbe naturalmente ridimensionato dalla necessità di raccogliere le sottoscrizioni, ma teoricamente una "clonazione dei nomi" sarebbe possibile e, specie in certe condizioni, non sarebbe meno dannosa della citata "corsa al simbolo". Entrambe le fattispecie, poi, sarebbero particolarmente delicate se calate in un contesto locale, a fronte di firme raccolte alla base delle liste, con la necessità di decidere luogo per luogo e caso per caso l'ammissibilità dei fregi con nomi simili, recuperati o clonati.
Questi dubbi restano senza soluzione, così come resta problematica la scansione temporale del procedimento preparatorio delle elezioni europee, soprattutto con riferimento alla tempestività degli strumenti di tutela per chi si sente leso nelle sue aspettative di partecipare alle elezioni. Vero è, come ha segnalato il Viminale nel ricorso, che non è prevista la possibilità di rimettere una forza politica nei termini per depositare una lista (a prescindere dal fatto che la Lista Pannella questa volta probabilmente non l'avrebbe presentata). Altrettanto vero è che non è ufficialmente previsto che una lista distinta da un contrassegno non ammesso alle europee e su cui sia in atto un contenzioso amministrativo possa veder ammessa "con riserva" le proprie candidature: il Viminale lo ha significativamente prospettato nel suo ricorso, ma non è (e soprattutto non era) scontato che la stessa posizione sia (e fosse) condivisa dagli Uffici elettorali, in mancanza di un'espressa previsione. Di questo e di altri temi converrà continuare a parlare, anche una volta finito questo rito elettorale.

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