lunedì 6 maggio 2024

Europee, riammesso il simbolo di Stati Uniti d'Europa (Lista Pannella). Ovvero, dell'auspicato ritorno alla prevalenza dei simboli sulle parole

Era oggettivamente piuttosto contenuto il numero dei contrassegni ricusati in vista delle elezioni europee dell'8 e 9 giugno 2024, solo 3 su 42 (cui aggiungere i 6 che, per difetti nei documenti presentati, non avrebbero consentito la presentazione di liste); da poche ore, però, i simboli bocciati sono soltanto 2. Proprio quest'oggi, infatti, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha riammesso il contrassegno Stati Uniti d'Europa, depositato il 21 aprile per conto dell'Associazione Lista Marco Pannella
Com'è noto, la Direzione centrale per i servizi elettorali ne aveva chiesto la sostituzione, visto che l'unica espressione letterale contenuta (coincidente con la denominazione del contrassegno) era identica al nome scelto dalla lista cui concorrono +Europa, Italia viva, Psi, Radicali italiani, Libdem europei e L'Italia c'è, il cui emblema era stato presentato prima e avrebbe rischiato di essere confuso con quello "omonimo", abbinato al simbolo della rosa nel pugno: il Ministero dell'interno aveva mostrato di sapere che il contrassegno contestato era già stato depositato (da Maurizio Turco) e ammesso in occasione delle elezioni europee del 2019, ma - oltre a rilevare l'identità del nome e della parte letterale - aveva ritenuto che la Lista Pannella non avesse "fatto notoriamente uso del contrassegno", non avendo presentato liste da esso contrassegnate nel 2019 e avendo presentato un emblema diverso per le elezioni politiche del 2022 (sempre senza candidature). Il depositante, Diego Sabatinelli, si era opposto all'invito a sostituire il simbolo e si era rivolto all'Ufficio elettorale nazionale presso la Corte di cassazione, ma il collegio aveva confermato l'esclusione, a dispetto della grafica del tutto diversa: la confusione poteva essere data anche dalla componente testuale, specie se questa è l'unica e ha particolare evidenza, dunque doveva applicarsi la regola della precedenza nel deposito in vista di questa tornata elettorale, non rilevando il preciso come titolo preferenziale.
Non condividendo il verdetto dell'Ufficio, Diego Sabatinelli e Maurizio Turco il 30 aprile hanno presentato - come previsto dall'art. 129 del codice del processo amministrativo - ricorso al Tar del Lazio (difesi dagli avvocati Gianpaolo Catanzariti e Fabio Federico), chiedendo l'annullamento dell'invito a sostituire il contrassegno e della decisione dell'Ufficio elettorale nazionale. Costoro avevano riaffermato, nello specifico, innanzitutto la non confondibilità dei due fregi elettorali (visti i tanti elementi di distinzione sul piano visivo e, in particolare, simbolico, da considerare più rilevante di quello testuale), come pure la necessità di dare importanza al preuso (da intendere come "uso pubblico del contrassegno già precedentemente effettuato dall’associazione o dal partito politico") maturato negli anni precedenti più che all'ordine di precedenza relativo alla singola competizione elettorale. 

La decisione

Posto che non hanno partecipato al giudizio né il Ministero dell'interno, né l'Ufficio elettorale nazionale (al pari della Prefettura di Roma, ugualmente indicata come controparte), ma nemmeno la lista Stati Uniti d'Europa, indicata come controinteressata (anche se, non essendone stata chiesta l'esclusione, è da intendersi piuttosto come "interessata"), il Tar ha creduto di non doversi occupare del significato da dare alla nozione di "precedenza" nel deposito, se dunque debba riferirsi al mero ordine di presentazione al Viminale in vista della singola competizione oppure se debbano considerarsi anche gli usi precedenti, includendo tra questi anche i depositi compiuti presso il Viminale in passato. La questione sarebbe stata certamente interessante (soprattutto per la soluzione che avrebbe dato al bilanciamento tra l'attenzione alla singola procedura elettorale e l'opportunità di non trascurare totalmente i preusi per non svalutarli del tutto); non è stata però trattata perché, secondo il collegio, il problema di sciogliere il dubbio sulla "precedenza" in caso di confondibilità non si pone perché, a monte, a mancare sarebbe proprio la confondibilità, dunque non ci sarebbe (stato) motivo per escludere il contrassegno oggetto del ricorso.
Ricordate le disposizioni da considerare con riguardo alla vicenda (i commi 3, 4 e - sia pure in misura minore - 5 dell'art. 14 del d.P.R. n. 361/1957) e l'evoluzione dei loro testi, il collegio del Tar romano ha ripercorso la giurisprudenza amministrativa - di primo e di secondo grado - in materia di confondibilità (relativa, secondo i giudici, a "loghi tra di loro uguali in ogni particolare e, quindi, identici", anche se in effetti si considerano molto più spesso casi di somiglianze, visto che l'identità è una fattispecie distinta, pur se sanzionata dall'ordinamento con la ricusazione al pari della confondibilità per somiglianza) e di decettività (situazione che concerne "quei contrassegni che riproducono simboli, o elementi caratterizzanti di simboli, di contrassegni usati da altri partiti o gruppi politici e, per questo motivo, atti ad indurre in errore l'elettore sull'identità del partito o raggruppamento politico dal quale promana la lista"): la sentenza precisa che il giudizio sulla confondibilità o sulla decettività, comunque, richiede a monte che i simboli in questione siano messi a confronto, "ciascuno considerato nel suo complesso ed in ogni sua parte, ma anche negli elementi che, per una qualsiasi ragione, assumono funzione individuante". Il Tar, tra l'altro, cita come precedente la sentenza emessa nel 2019 a fronte del ricorso della Democrazia cristiana allora guidata da Renato Grassi per essere riammessa alle elezioni europee: allora sostenne che "era necessario scongiurare un utilizzo dei contrassegni di lista tale da trarre in errore l'elettore e da pregiudicarne, in tal modo, la libertà di scelta politica; rischio, questo, reso evidente nei casi in cui [...] i contrassegni recano elementi consistenti di assoluta identità", pertanto occorreva la citata valutazione comparativa dei contrassegni, "sia complessivamente considerati sia con riguardo a singoli elementi, primariamente i simboli e le parti di cui si compongono, che assumano una funzione individuante".
I giudici riconoscono che entrambi i contrassegni contengono la stessa dicitura "Stati Uniti d'Europa" (pur riprodotta con posizioni, dimensioni, composizioni, caratteri e colori differenti), ma ritengono che la comparazione tra i due contrassegni non faccia ritenere il fregio depositato per conto della Lista Pannella come confusorio o decettivo rispetto a quello della lista Stati Uniti d'Europa che si presenterà alle elezioni europee di giugno. Se si adotta uno sguardo complessivo dei due emblemi, in particolare, per il Tar "la funzione individuante della dicitura 'STATI UNITI d’EUROPA' risulta, nell'economia complessiva del contrassegno n. 20, ben inferiore rispetto a quella assolta dalla 'rosa nel pugno', simbolo tradizionalmente appartenente all'iconografia del movimento radicale italiano ed internazionale, e dallo sfondo cromatico giallo sul quale tanto la scritta quanto il simbolo in questione si stagliano", mentre nell'emblema depositato al secondo posto si ritrovano "ulteriori elementi grafici distintivi ben chiaramente evincibili e non confondibili con quelli raffigurati nel contrassegno n. 20", a partire dalla bandiera dell’Unione Europea e dalle miniature dei simboli delle sei formazioni aderenti alla lista, riprodotti su sfondo bianco. Il citato sguardo complessivo sui due contrassegni, dunque, farebbe emergere "la funzione personalizzante assolta, nel caso del contrassegno n. 20, dal simbolo della 'rosa nel pugno' e dallo sfondo giallo sul quale tale elemento è raffigurato e, nel caso del contrassegno n. 2, dalla bandiera dell'Unione Europea" e dai microsimboli delle forze politiche partecipanti alla lista": basterebbe questo, per il collegio, per non ritenere configurabile il rischio di confondibilità per il corpo elettorale legato al nome identico riportato in tutti e due i fregi.
La sentenza cita il principio, riaffermato più volte dalla giurisprudenza, del favor partecipationis ("in materia di competizioni elettorali, rileva il principio della massima partecipazione degli attori dell’agone politico alle operazioni elettorali, dovendo il principio in questione trovare un contemperamento solo con il principio della par condicio tra tutti i partecipanti alle elezioni"): se quel principio spesso è stato impiegato per attenuare un metro di giudizio troppo severo circa gli adempimenti del procedimento elettorale preparatorio (come i ritardi senza colpa nella presentazione delle liste o nell'ottenimento e deposito dei certificati di iscrizione dei sottoscrittori alle liste elettorali), in questo caso i giudici lo hanno impiegato anche per alleviare almeno in parte, di fatto, il rigore dell'esame di ammissibilità dei contrassegni, privilegiando - rispetto alle identità di alcuni elementi contenuti dei fregi - le differenze emergenti dallo sguardo complessivo, magari anche grazie al peso di altri elementi. 
A quest'ultimo proposito, il collegio giudicante mostra di aver considerato (e condiviso) anche la parte delle argomentazioni dei ricorrenti relativa alla comunicazione politica, alle sue prassi e al loro interagire con i procedimenti elettorali. Merita di essere riportato innanzitutto il passaggio del ricorso su questo punto:
l'apprezzamento in merito alla confondibilità ovvero alla decettività dei contrassegni postulano una comparazione degli stessi, sia complessivamente considerati, sia con riguardo a singoli elementi, «primariamente i simboli» e le parti di cui si compongono, «che assumano una funzione individuante» [...]. Da tale orientamento ne deriva che in un contrassegno la parte simbolica è quella che incide e prevale in modo pregnante sulla percezione dell'elettore medio. [...] D'altronde, la diffusione dell’utilizzo dei social network, ha in concreto trasformato la comunicazione facendo prevalere alla messagistica testuale quella rappresentata da simboli ed immagini. Immagine e simboli sono oramai entrati di fatto nella comunicazione quotidiana stante la capacità di stimolare e strutturare il ricordo degli utenti. Infatti, i più diffusi social network quale "Instagram", "Whatsapp" ecc. basano ormai i contenuti dei contatti essenzialmente sulla riproduzione di immagini e simboli e la parte testuale è del tutto marginale. In altri termini è decisamente improbabile che nel caso di specie la denominazione contenuta nei contrassegni, una volta posti a confronto, possa minimamente disorientare un utente medio ormai abituato a una costante stimolazione collegata a contenuti simbolici più che testuali.
Di seguito, invece, si cita la parte di sentenza in cui si è affrontato il tema:
le modalità di comunicazione politica attualmente prevalenti (imperniate su modelli digitali di fruizione quali quelli sviluppati dalle piattaforme di social networking) sembrano prefigurare, quasi come in un vichiano ricorso della Storia, l’avvento di una rinnovata prevalenza degli elementi simbolici a discapito di quelli letterali, in analogia con le ragioni che spinsero il legislatore italiano (e non solo), all’avvento del suffragio universale, ad imporre, a tutti i partiti e movimenti politici concorrenti alle elezioni, di contraddistinguersi mediante simboli grafici, al fine di rendere sé stessi riconoscibili anche da grandi masse di elettori incapaci di leggere e scrivere.
Chi appartiene alla categoria dei #drogatidipolitica non può restare insensibile al riferimento alla ratio che portò a introdurre l'obbligo di utilizzare i simboli e la prognosi in base alla quale potrebbero di nuovo prevalere gli elementi simbolici su quelli letterali: sa bene che nella politica italiana, in effetti, non è così da tempo (visto che i simboli - salvo quelli storici cui certe forze non vogliono rinunciare, al punto da litigarseli talvolta - sono sempre meno, mentre parole e nomi si moltiplicano), ma spera nel profondo che l'auspicio della "rinnovata prevalenza degli elementi simbolici a discapito di quelli letterali" possa avverarsi.
Al di là di questo, per il giudice rileva che le considerazioni fatte portino all'accoglimento del ricorso e alla necessità di annullare il provvedimento di invio a sostituire il contrassegno e pure la decisione dell'Ufficio elettorale nazionale che ha respinto l'opposizione presentata in nome e per conto della Lista Pannella. Effetto diretto della sentenza (oltre alla condanna del Ministero dell'interno al pagamento delle spese processuali, compensate con riguardo alle altre parti evocate) è il prodursi di "ogni conseguenza in ordine al dovere dell’amministrazione dell’interno di ammettere alla competizione elettorale indetta per l’8 ed il 9 maggio 2024 per il rinnovo dei componenti del parlamento europeo [...] anche il contrassegno presentato dall’associazione ricorrente ed avente numero d’ordine 20" (con il rituale ordine all'autorità amministrativa a eseguire la sentenza pronunciata).

Gli effetti (sulla vicenda e in futuro)

Ripercorso il contenuto della sentenza, vale la pena proporre qualche riflessione sugli effetti di questa decisione.
Sul piano dell'esame dei contrassegni, in linea teorica quanto deciso dal Tar Lazio potrebbe indurre a configurare i prossimi esami dei simboli con uno sguardo che, al fine di valutare l'eventuale confondibilità o decettività, dia maggiormente peso alla visione complessiva dei fregi elettorali, piuttosto che all'uguaglianza o somiglianza di singoli elementi grafici o testuali. Questo spesso in parte già avviene nelle elezioni locali, soprattutto per motivi contingenti (ci si concentra di meno sul contenuto dei simboli, visto che in poche ore la commissione elettorale deve vagliare i documenti presentati da molte liste, firme incluse, visto che non è prevista alcuna ipotesi di esenzione); potrebbe esserci più spazio per questa riconsiderazione in sede di esame degli emblemi da parte della Direzione centrale per i servizi elettorali, che nel corso del tempo spesso (ma oggettivamente non sempre) ha mostrato di applicare un metro di giudizio un po' più severo, meno disposto ad accettare certe somiglianze (ma spesso confermato in sede di riesame da parte dell'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione). Non si dimentichi, tra l'altro, che la stessa lista Stati Uniti d'Europa, in sede di esame dell'opposizione a sostituire il contrassegno, era intervenuta per dichiarare di non avere nulla in contrario alla riammissione del fregio con la rosa nel pugno, a dispetto del nome uguale.
Molto più delicate sono le considerazioni legate al procedimento previsto per il contenzioso elettorale. Come si è visto, è la stessa sentenza a indicare, nella parte finale della motivazione, che dall'accoglimento del ricorso dovrà derivare "ogni conseguenza in ordine al dovere dell’amministrazione dell’interno di ammettere alla competizione elettorale [...] anche il contrassegno" in un primo tempo escluso. Nell'immediato questo significa, per prima cosa, riammettere il contrassegno, ma non si può non considerare che, di norma, al deposito del fregio segue la presentazione delle candidature (liste, in questo caso); la decisione del Tar, tuttavia, arriva quando i termini per presentare le liste sono ormai scaduti da tempo. Si è già notato, con riguardo a questo caso, che la Lista Pannella con tutta probabilità avrebbe semplicemente voluto riaffermare il suo diritto all'uso del simbolo presentato cinque anni fa, senza l'idea di presentare le liste (e raccogliere le firme a sostegno): il problema, in questo caso, sembra piuttosto limitato. 
Potrebbe però accadere, con riferimento alle sole elezioni europee (che prevedono il deposito preventivo dei contrassegni) che una forza politica fosse seriamente intenzionata a partecipare, avendo magari raccolto le firme, ma fosse invitata a sostituire il contrassegno per la confondibilità di parte del suo contenuto. Una scelta prudente e "concreta" potrebbe suggerire di modificare il contrassegno per evitare di mettere a rischio l'impegno profuso per partecipare a quelle elezioni, ma quella forza politica potrebbe essere convinta di avere diritto a utilizzare il contrassegno così come lo ha presentato, al punto da voler insistere nell'uso. Se dunque si opponesse alla sostituzione e la sua opposizione fosse respinta dall'Ufficio elettorale nazionale, per rientrare in gioco dovrebbe fare ricorso al Tar Lazio e, in caso di sentenza sfavorevole, al Consiglio di Stato; già prima della decisione di primo grado, però, sarebbe scaduto il termine per presentare le liste. Per non compromettere troppo la propria posizione (pur volendo insistere nel non cambiare il simbolo), quella forza politica dovrebbe comunque presentare le liste, sapendo che gli Uffici elettorali circoscrizionali gliele bocceranno senza nemmeno esaminare la completezza e correttezza dei documenti (essendo stato ricusato il contrassegno), che dovrà dunque ricorrere all'Ufficio elettorale nazionale - lo stesso, anche se forse in diversa composizione, che ha già dato torto alla stessa forza politica sull'ammissibilità dell'emblema - e, magari, prepararsi a ricorrere di nuovo ai giudici amministrativi. Tutto ciò, ovviamente, nella speranza che il Tar Lazio o, alla peggio, il Consiglio di Stato, nel frattempo riammettano il contrassegno presentato e, in seguito, rendano possibile la riammissione delle liste (che, comunque, dovrebbero essere esaminate) e senza lasciarsi sfiorare dal timore che quei collegi giudicanti possano decidere di bocciare i ricorsi per evitare che sorgano problemi delicatissimi legati alle conseguenze della riammissione del fregio elettorale. In particolare: se per caso quella forza politica non ha presentato le liste per non farsele ricusare, una volta riammesso l'emblema può essere rimessa in termini per depositarle? Soprattutto, visto che l'eventuale riammissione di simbolo e liste arriverebbe a procedimento elettorale inoltrato, il partito o il movimento dovrebbe entrare semplicemente "in corsa" o avrebbe diritto allo stesso numero di giorni di campagna elettorale degli altri soggetti politici? In quest'ultima ipotesi, come sarebbe possibile rinviare il voto, prevedendo giorni diversi rispetto a quelli stabiliti a livello europeo?
Per il futuro, l'unico strumento per evitare alcuni di questi problemi sarebbe allungare leggermente il procedimento elettorale preparatorio, anticipando la presentazione dei contrassegni in modo che l'eventuale contenzioso davanti al giudice amministrativo possa concludersi prima della presentazione delle liste (un po' come si è pensato di fare con il disegno di legge - discusso nella scorsa legislatura ma non approvato definitivamente, ripresentato nel 2022 al Senato senza che sia iniziata la discussione - volto ad assegnare al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva dei contenziosi anche per il procedimento preparatorio alle elezioni politiche). Diversamente si rischia di restaurare il "diritto al simbolo" senza effetti concreti (volendo escludere l'ipotesi peggiore per cui un collegio di giudici potrebbe preferire negare il "diritto al simbolo" per non creare il problema degli effetti del ripristino di quel diritto). Resta, nel frattempo, la soddisfazione per chi appartiene ai #drogatidipolitica di vedere "riabilitato" un contrassegno contenente un simbolo dalla storia importante, in Europa (legato alla famiglia socialista, vista l'origine francese) e in Italia (legato ai radicali)
 

Nel frattempo, riammessa Pace Terra Dignità nelle Isole

Nello stesso giorno in cui il Tar Lazio ha riammesso il simbolo Stati Uniti d'Europa della Lista Pannella (anche se la decisione potrebbe essere impugnata), sono stati depositati alcuni ricorsi da Partito animalista - Italexit per l'Italia contro i verdetti dell'Ufficio elettorale nazionale che hanno confermato l'esclusione delle liste; ieri altrettanto ha fatto Democrazia sovrana popolare (per la sola circoscrizione Sud), mentre oggi anche Pace Terra Dignità ha presentato un ricorso (di ben 33 pagine) contro la non ammissione della lista nella circoscrizione Nord-Ovest, sperando che il Tar possa ritenere che la mancata indicazione della qualifica dell'autenticatrice in Valle d'Aosta sia una carenza solo formale o comunque rimediabile, per vedere riammessa la lista e poter concorrere in tutte le circoscrizioni.
Già, perché sempre oggi l'Ufficio elettorale nazionale ha accolto il ricorso di Pace Terra Dignità contro l'esclusione della lista nella circoscrizione Isole, dopo che l'ufficio circoscrizionale aveva rilevato come 156 firme non fossero regolarmente autenticate (perché anche qui mancava la qualifica del soggetto autenticatore) e, soprattutto, solo 14621 sottoscrizioni fossero corredate dal relativo certificato di iscrizione alle liste elettorali. Sabato mattina, tuttavia, un delegato della lista si è recato presso la Corte d'appello di Palermo per l'accesso agli atti e depositare entro il termine previsto per legge (appunto le ore 12 di sabato) altri 524 certificati, relativi a firme già ritenute valide e richiesti tempestivamente ma - a quanto si apprende - rilasciati dai rispettivi comuni in tempo non utile per la consegna entro le ore 20 del 1° maggio; contestualmente è stato presentato ricorso all'Ufficio elettorale nazionale proprio per far valere l'integrazione documentale e chiedere di considerare valide anche le firme autenticate senza l'indicazione della qualifica del soggetto autenticatore (anche se, a quanto si apprende, in uno degli atti separati contestati era presente almeno il timbro di un servizio del comune di Sassari).
Il collegio di magistrati di Cassazione, pur respingendo quest'ultima richiesta (confermando dunque che l'indicazione espressa della qualifica di chi autentica le firme, che sia un autenticatore professionale o di natura politico-amministrativa, è assolutamente necessaria per la validità dell'autenticazione e delle rispettive sottoscrizioni), ha rapidamente accolto il motivo di ricorso legato all'integrazione delle firme. Lo ha fatto basandosi sulle controdeduzioni dell'ufficio elettorale dell'Italia Insulare (che ha riconosciuto il deposito degli ulteriori certificati, la loro corrispondenza ad altrettante sottoscrizioni riconosciute valide e il conseguente superamento della soglia minima di 15000 firme; in Corte d'appello, tra l'altro, sono stati depositati anche i file a testimonianza della richiesta tempestiva dei certificati e dell'avvenuto ricevimento da parte degli uffici comunali) e su una decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 32/1999) relativa a un caso affine in materia di elezioni amministrative: 
Il presentatore della lista, qualora non sia in grado di consegnare i certificati elettorali dei sottoscrittori al segretario comunale, può direttamente consegnarli alla Commissione circondariale, che non può ricusare la lista se, dalla documentazione trasmessa dal segretario comunale o direttamente consegnata dal presentatore, le risulti che essa sia stata sottoscritta dal prescritto numero di elettori iscritti nelle liste del Comune; nel caso di mancata produzione (anche parziale) dei certificati da parte del presentatore della lista, la Commissione circondariale deve tenere conto della documentazione posta a sua disposizione e, qualora ritenga di non poter svolgere con la propria struttura gli adempimenti (perchè particolarmente onerosi, in ragione della popolazione del Comune), può disporre l’ammissione di nuovi documenti, ai sensi dell’art. 33, ultimo comma (fissando un adempimento che va rispettato dal presentatore della lista, tenuto a collaborare con gli uffici perchè vi sia il buon andamento dell’azione amministrativa, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione); qualora il presentatore della lista neppure abbia tenuto conto della statuizione di integrazione della documentazione, la Commissione elettorale ricusa la lista.
Ora, dunque, Pace Terra Dignità sa di poter essere presente in quattro circoscrizioni su cinque; resta la speranza - di difficile praticabilità - di rientrare in corsa anche nella circoscrizione Nord-Ovest, per non rendere ancora più difficile il percorso verso la soglia del 4%.

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