Se si dovessero scegliere alcune figure, tra le persone che si sono distinte nella comunità scientifica, come "numi tutelari" dei #drogatidipolitica e, ancora di più, di chi ha la passione incrollabile per le elezioni, senza alcun dubbio Mario Caciagli sarebbe una di queste. Lo è stato per molti anni in vita, lo è altrettanto ora che, da pochi giorni, ha esaurito il suo tempo umano.
Il suo volto non è forse noto a chi esercita la sua passione essenzialmente attraverso la televisione e la Rete, mentre è del tutto inconfondibile per chi ha avuto la possibilità di conoscerlo, di ascoltarlo o di conversare con lui, quasi sempre dopo averlo letto su qualche rivista o qualche libro. Classe 1938, toscano schietto fino al midollo (ed era sufficiente sentire un paio di sue parole per capirlo e sorridere in modo genuino, anche per l'entusiasmo che era sempre tutt'uno con le sue parole), ha insegnato materie nell'ambito della Scienza politica a Catania, Padova, ma soprattutto a Firenze: nell'università cittadina (e in particolare presso il dipartimento di scienze politiche "Cesare Alfieri") era professore emerito e nel capoluogo ha avuto anche altri ruoli, a partire dalla presidenza dell'Istituto Gramsci Toscano (dal 2001 al 2007).
I suoi studi numerosi - sempre attenti alla comparazione e al rapporto con studiose e studiosi di altri Paesi - specie in tema di culture politiche, elezioni e partiti hanno portato Caciagli a essere uno dei fondatori della Società italiana di scienza politica (Sisp) e, soprattutto, a essere una delle colonne irrinunciabili della Società italiana di studi elettorali (associazione, tra l'altro, con sede a Firenze...): ne è stato il secondo presidente (1983-1986), ne è stato fino a pochi giorni fa il presidente onorario e ha fondato (dirigendoli dal 1980) i Quaderni dell'Osservatorio elettorale, periodico nato in evidente simbiosi con l'Osservatorio elettorale della Regione Toscana (a lungo guidato da Antonio Floridia, che ha già trovato spazio su questo sito e che ha presieduto la Sise dal 2014 al 2017) e con il tempo diventato una rivista scientifica di altissimo livello.
Chi scrive ha incrociato per la prima volta Caciagli a Firenze, il 3 luglio 2012, al seminario post-elettorale della Società italiana di studi elettorali, allora presieduta da Ilvo Diamanti: il primo workshop cui il sottoscritto aveva chiesto di partecipare con un breve intervento (A.A.A. Simboli cercansi: nuovi contrassegni elettorali (e partiti che giocano a nascondino); da pochi giorni, tra l'altro, era stato pubblicato il libro che ha dato il nome a questo sito e, addirittura, proprio il giorno prima (il 2 luglio) era stato pubblicato il primo, acerbissimo articolo di questo spazio. Tra gli uditori c'era anche il professor Caciagli: il tema lo incuriosì e volle approfondirlo. Da allora, per chi scrive la Sise si è trasformata in un appuntamento abituale per vari anni, ricco di persone autorevoli diventate a poco a poco amiche (oltre a Diamanti e Floridia, non posso non citare almeno Antonio Agosta, Nico D'Amelio, Gabriele Bracci, Luigi Ceccarini, Fabio Bordignon, Luca Sabatini, Mara Morini, Daniele Comero, Dario Quattromani, Roberto De Rosa, Luigi Di Gregorio e l'inseparabile - nonché fondamentale per me e per questo sito - Antonio Folchetti, ma anche conoscenze più recenti, come Mimmo Fruncillo, Roberto De Luca, Chiara Fiorelli ed Edoardo Colzani).
Per anni gli incontri Sise, manco a dirlo, si sono tenuti a Firenze, nelle sedi della Regione Toscana, e il professor Caciagli era un punto di riferimento costante: moderazioni intelligenti, domande stimolanti e chiacchiere gustose. Se per anni Ilvo Diamanti ha ricordato come - seguendo la lezione appresa da Arturo Parisi, altro ex presidente dell'associazione - i convegni della Sise si distinguessero per avere sempre un pubblico attento, docenti universitari inclusi (che ascoltavano e partecipavano invece che lasciare la sala per discutere di concorsi e cattedre), chi scrive si permette di aggiungere che quei convegni erano uno spettacolo anche perché si poteva apprezzare Mario Caciagli in un appassionato intervento sul futuro quarto mandato da cancelliera per Angela Merkel e poi, qualche manciata di minuti più tardi, vederlo conversare con un losco figuro, avvicinarsi credendolo impegnato in dotte conversazioni e sentirlo nettamente affermare che "beh da Marione si manGia bène, eh!!!" (è accaduto davvero a giugno del 2017). Non a caso, l'ultimo incontro con il professor Caciagli risale all'ultimo convegno internazionale Sise, organizzato a Urbino lo scorso anno: in quell'occasione lui preparò e lesse un discorso iniziale in inglese, provato ma tenacemente presente.
Chi scrive non poteva non citare in questo sito il professor Caciagli, anche perché nella sua produzione ha inevitabilmente incrociato anche i temi che più direttamente appassionano chi frequenta questo sito. Basti dire che, tra i primi lavori monografici, c'è un volume corposo, datato 1977: Democrazia cristiana e potere nel Mezzogiorno. Il sistema democristiano a Catania (legato al periodo di insegnamento catanese). Sulla copertina del libro, edito da Guaraldi, giusto per non correre il rischio di sbagliare, c'era la foto in bianco e nero di una sezione locale democristiana, con lo scudo crociato rosso e bianco come unico elemento cromatico, una soluzione grafico-politica di sicuro impatto. Il volume è imprescindibile per chi vuole studiare la politica di allora, il comportamento e le dinamiche (non solo interne) del maggior partito italiano in un'area in cui era particolarmente forte; la presenza sulla copertina del simbolo di maggioranza relativa in tutta la cosiddetta Prima Repubblica non può che connotare in modo ancora più interessante uno studio decisamente apprezzato da chi lo ha consultato a suo tempo.
Qui però si vuole dare attenzione soprattutto all'ultima monografia di Mario Caciagli, pubblicata da Carocci nel 2017: Addio alla provincia rossa. Origini, apogeo e declino di una cultura politica. Frutto di lunghi studi (incluse quattro serie di interviste) realizzate tra il 1984 e il 2006 nel Medio Valdarno Inferiore, il libro racconta l'evoluzione di una terra e delle sue idee attraverso le persone e il loro agire. Il decimo capitolo del libro (che chi scrive, insieme a un prezioso amico, si ostinava a chiamare Com'era rossa la mia valle) è significativamente intitolato "Miti, riti, simboli": "Nell'agire politico - si leggeva all'inizio - l'attività razionale si sovrappone continuamente alle emozioni e ai sentimenti. Le esperienze del secolo XX, ma anche quelle che sono venute dopo, ci hanno insegnato [...] che occorre tener conto dell’importante ruolo che ha il simbolismo politico nel comportamento degli individui, la dimensione simbolica essendo una riserva di senso". Vale per tutto ciò che è simbolico (inclusi i riti, i cortei, le campagne "casa per casa", le feste...), ma a maggior ragione per i simboli veri e propri. L'ultimo paragrafo è dedicato inevitabilmente a "falce e martello" e raccoglie le voci di varie persone su quel fregio che era diventato "il simbolo di speranza e di emancipazione per milioni di operai e contadini" e che non faceva pensare più all'Unione sovietica (almeno per le persone intervistate). "Fin da piccolo, allora non sapevo neppure cosa volesse dire, mi piaceva il simbolo, la falce e martello" aveva raccontato nel 1984 "un operaio di 50 anni di Montanile (Montopoli Valdarno) che era nato a Sant'Angelo dei Lombardi e ne era emigrato a vent’anni" (e "non aveva partecipato prima alla vita del Pci, perché al suo paese nemmeno c'era una sezione"). Dieci anni dopo, nel 1995, "quando il Pci non c’era più e la falce e il martello erano rimpiccioliti nel simbolo del Pds, molti giovani intervistati del 1995 non solo sapevano, ma avevano rimpianto per gli 'utensili degli operai e dei contadini', come alcuni di loro ripetevano". Per una diciottenne della Scala (San Miniato), operaia precaria in una confezione, quel simbolo rappresentava "una vita migliore", mentre una studentessa di medicina di 23 anni di Ponte a Elsa, guardando al "simbolo della solidarietà fra i lavoratori, della volontà di battersi per i propri diritti", sospettava che falce e martello non bastassero più: "Ci vorrebbero anche una penna e un computer". Un pensiero comunque inclusivo, più di quello di una ragazza della Serra (San Miniato) che nel 1995 aveva 27 anni ed era stata eletta come consigliera comunale per il Pds (ma come indipendente): "È il simbolo di un partito che ha contribuito alla crescita democratica
del nostro paese. È legato alle rivendicazioni della gente. È storia profonda, ma è passato! Oggi non rappresenta più nulla. No, oggi. secondo me, non ha futuro". Quasi trent'anni dopo, non ci saranno falci e martelli sulla scheda delle elezioni europee e nelle bacheche del Viminale ne è arrivata una sola (quella del Pci di Mauro Alboresi, evoluzione del Pdci con un simbolo quasi uguale all'originale); in quei comuni amministra il centrosinistra ma è cosa ben diversa dal Pci. Mario Caciagli lo sapeva bene e lo ha spiegato. Per chi vuole, queste e altre pagine sono ancora pronte a parlare: attendono solo chi voglia sfogliarle.
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