mercoledì 18 marzo 2020

1989, il Piemont cercò da solo l'Europa (ma non finì sulle schede)

Il 1988, lo si è visto, era stato un anno importante per Roberto Gremmo. Solo un anno prima, nel 1987, era finito in seria difficoltà dopo che, sulle schede delle elezioni politiche, erano comparsi due simboli con in evidenza il nome "Piemont" (il suo e quello guidato da Gipo Farassino): l'insuccesso annunciato aveva rischiato seriamente di mandare in fumo oltre un decennio di lotte piemontesiste. Eppure, si diceva, nel 1988 Gremmo era riuscito nell'impresa - tanto audace e temeraria quanto riuscita - di essere eletto consigliere regionale in Valle d'Aosta con la lista Union Autonomiste - Pensionati: questo aveva permesso a lui e al suo progetto politico-territoriale di recuperare un po' di fiato.
Dal sito Trucioli.it
Qualche energia, per esempio, poteva essere spesa per allargare il campo d'azione al di là del Piemonte e della Valle d'Aosta (oltre che della Lombardia, in cui si muoveva da tempo Umberto Bossi). C'era in particolare l'idea di approdare nella vicina - ma nemmeno troppo - Liguria, essendo l'unica regione del Nord-Ovest non ancora coperta; iniziare un radicamento, tra l'altro, avrebbe potuto essere un buon viatico per le successive elezioni europee. Gremmo colse l'occasione del turno autunnale di elezioni amministrative del 1988, che si tenevano anche - in anticipo di qualche mese sulla scadenza naturale - ad Albenga, comune del savonese di oltre 20mila abitanti: si rivolse ad Aldo Coppola, già candidato alle europee del 1984 nella lista comune della Liga Veneta, e insieme concordarono la presentazione di una lista denominata Lega Ligure, con il profilo della regione e il disegno di un'ancora nel simbolo. Coppola, che aveva 54 anni ed era già pensionato, figurava anche come presidente proprio della Lega Ligure, il segretario era Pierluigi Beltrami; in lista c'erano varie persone piemontesi o genovesi (nessuno di Albenga, ma le forze disponibili erano quelle). 
Da La Stampa, 13 novembre 1988
Che quel voto potesse essere una vetrina, però, doveva essere venuto in mente a molti: le liste quella volta erano ben undici. Accanto a simboli nazionali (Dc, Pci, Psi, Dp, Msi, Pli, Pri, Psdi, Verdi) e alla lista propiziata da Gremmo, infatti, c'era anche la formazione Alleanza popolare - Pensionati, un nome che in sé dice poco. Nulla c'entrava il simbolo omonimo con cui si era presentato nel 1987 al Senato il valdostano Movimento autonomista dei democratici progressisti legato al senatore Cesare Amato Dujany (lo stesso che nel 1988 aveva esentato dalla raccolta firme alle amministrative il Piemont autonomista di Farassino). Qui i pensionati erano quelli del Partito nazionale pensionati (con l'albero stilizzato), mentre una non meglio precisata Alleanza popolare schierava nella propria pulce il torchio disegnato da Giuseppe Russo per la testata dell'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Il riferimento, in realtà, non era tanto al "qualunquismo", quanto piuttosto all'oppressione fiscale. Se la capolista, Francesca Ricciardi, era la sola candidata di Albenga, in lista c'era anche il genovese Bruno Ravera, che in Liguria aveva animato il Movimento di liberazione fiscale.
Dalle urne uscirono 66 voti per la Lega Ligure (0,4%) e 34 voti per i Pensionati - Alleanza popolare: un risultato prevedibile vista la scarsità di candidati locali. Di fatto, però, poche settimane dopo venne fondata con tanto di atto notarile l'Uniun Ligure: a costituirla fu lo stesso Ravera, che in un volume del 1990 (La Lega Nord e le altre Leghe tricolori) avrebbe detto di essersi fatto forte di un accordo stretto con Franco Rocchetta, della Liga Veneta. Evidentemente l'appuntamento delle europee - che si sarebbero tenute dal 18 al 19 giugno 1989 - faceva gola a più di qualcuno e c'era chi si stava già preparando un disegno più ampio, che doveva necessariamente operare su larga scala: la partecipazione di Bossi a un evento organizzato a Genova proprio da Ravera alcune settimane dopo il voto di Albenga lo testimoniava (e Ravera, il 4 dicembre 1989, fu tra i fondatori della Lega Nord).
Le acque nel settore dell'autonomismo, peraltro, erano già agitate da tempo. Già alla fine di luglio del 1988, a un incontro milanese - decisamente tumultuoso, come racconta Gremmo nel suo libro Contro Roma - tra gruppi dirigenti di Lega Lombarda, Liga Veneta e Union Piemonteisa, Umberto Bossi aveva preteso che gli statuti della Liga ma soprattutto dell'Union fossero modificati e "resi compatibili" con quello della Lega Lombarda: questo avrebbe voluto dire, in particolare, che le redini delle decisioni non avrebbero dovuto più essere nelle sole mai di Gremmo e della moglie Anna Sartoris, in qualità di fondatori. Tornava, in qualche modo, la polemica sui documenti fondativi dell'Union Piemonteisa, già alla base dello scontro che aveva portato nel 1987 alla nascita di Piemont Autonomista. 
A quel punto Gremmo - che in quell'incontro a Milano si era sentito diffamato e attaccato sul piano personale - fu convinto che la "sua" Union avrebbe dovuto correre da sola, cercando di raccogliere le firme necessarie per correre nel Nord-Ovest e tentare l'avventura elettorale. Alternative non ce n'erano: non era certo praticabile la strada di una qualche alleanza con l'Union valdotaine, che non aveva ancora digerito la lista Union Autonomiste di Gremmo e i voti che era riuscita a distrarre su di sé. D'altra parte, i risultati degli anni precedenti avevano dimostrato che, grazie al lavoro fatto sino a quel momento, i voti sarebbero potuti arrivare e, aumentando gli sforzi, avrebbero potuto essere anche di più.
Dopo una riunione nella sala consiliare di Rivoli convocata dallo stesso Gremmo con il gruppo di persone più vicino a lui, la scelta venne confermata; alcuni però - come i militanti storici Antonio Bodrero "Barba Toni" e Angelo Colli - non condivisero l'idea della corsa autonoma - romantica ma poco produttiva - e preferirono seguire Farassino (e il suo Piemont autonomista, che proprio in quell'occasione sfoggiò un simbolo rinnovato, con la "bistecca" piemontese ridisegnata, la comparsa di una stella alpina e il nome reso ancora più visibile), che invece continuava a portare avanti l'idea di un progetto politico-elettorale insieme alla Lega Lombarda e a Umberto Bossi.
Di cosa si trattava? Naufragata una prima idea di mettere insieme tutte le forze autonomiste d'Italia (un disegno impraticabile, visto il panorama molto disomogeneo), Bossi propose la creazione di una lista unitaria ma più limitata, denominata Alleanza Nord: al centro ci sarebbe stato sempre Alberto da Giussano (ancora con il piede destro posato sul sasso), ma stavolta il profilo intorno sarebbe stato quello dell'Italia settentrionale; la presenza del guerriero e del nome della Lega Lombarda avrebbero evitato con certezza alla lista di raccogliere le firme. Al di sotto dell'immagine, ci sarebbe stato spazio per le miniature dei simboli della Lega Lombarda, della Liga Veneta, di Piemont Autonomista, della neonata Uniun Ligure, ma anche per altre forze che fossero nate nel frattempo, giusto per dare l'idea che la mobilitazione riguardava tutto il Nord. Era il caso della Lega Emiliano-Romagnola (peraltro guidata da un cremonese, Giorgio Conca) e della Alleanza Toscana.
Racconta Gremmo in Contro Roma che, nelle settimane che precedettero il deposito dei contrassegni, Bossi propose ad Andrea Fogliato dell'Union Piemonteisa un ingresso di quello stesso partito nel cartello, aggiungendo anche la sua "pulce" alle altre. "Mi sembrava già una vittoria politica essere riusciti con la nostra intransigente fermezza a obbligare Bossi e i suoi ad aprire una trattativa. Roberto Vaglio, invece, non ebbe dubbi: 'Se dovessimo accettare di finire a essere un puntino in quel simbolo saremmo dei cadaveri politici'. Parve una frase nobile e giusta". Così l'offerta fu declinata e la raccolta firme autonoma proseguiva abbastanza bene, pur tra mille difficoltà. 
Intanto, però, c'era da depositare il contrassegno per le elezioni: lo si poteva presentare al Viminale tra le 8 del 30 aprile e le 16 del 1° maggio. Gremmo si era preparato per tempo, concependo con sua moglie un simbolo studiato nei dettagli. La parola più in vista, sotto al lambello e dentro la bandiera piemontese, era "Piemont" e non c'era da stupirsi, trattandosi di una creatura di Gremmo. Nella parte inferiore del cerchio, poi, c'era la parola "autonomista": poteva essere riferito alle battaglie di Gremmo, ma anche alla lista con cui era stato eletto in Valle d'Aosta (del resto era stata aggiunta, in piccolo, la parola "Union"). In alto, in più, c'era il riferimento alla Lombardia nella parte superiore: per come era congegnata la grafica, si sarebbe potuto leggere "Lombardia autonomista", facendo passare chiaramente il messaggio. Si trattava insomma di un simbolo votabile in tre regioni su quattro, tra le quali erano comprese le due più importanti: se si fosse presentata la lista, i voti sarebbero arrivati.
Gremmo arrivò a Roma - con un'auto a noleggio, perché i treni erano in sciopero - la sera del 29 maggio, trovando davanti al Viminale una ventina di attivisti della Lega, venuti a "scortare" Bossi, Farassino e il loro simbolo, già in fila per conquistare la prima posizione al mattino dopo.  CI fu persino il tempo - lo racconta sempre Gremmo in Contro Roma - di un invito a cena formulato a Bossi e consumato in un vicino ristorante cinese: non fu un pasto particolarmente cordiale e rese ancor più chiaro che non ci sarebbe stato alcun accordo tra i due. Andarono entrambi in albergo (i militanti leghisti invece erano rimasti davanti ai cancelli del ministero), per poi prepararsi al giorno dopo: Bossi tra i primissimi, Gremmo con più calma. 
Quando il simbolo dell'Union piemonteisa - era comunque questo il nome dato alla forza politica - finì nelle bacheche di legno del Viminale, Gremmo lo guardò soddisfatto, ma si avvicinarono anche Ettore Beggiato e Francesco Speroni. Il primo osservò con attenzione il contrassegno e se ne uscì - come ricorda Gremmo - con questa frase: "Piemont... Lombardia... autonomista... ma xe el nome del vostro giornale, Lombardia Autonomista!", quello di cui Gremmo era stato in due periodi diversi direttore responsabile. Speroni, sempre secondo Gremmo, sbiancò.
Il simbolo, dunque, aveva dimostrato sul campo di poter riscuotere attenzione: qualcuno lo avrebbe votato con convinzione, qualcun altro per suggestione, ma alla fine quei voti sarebbero stati impossibili da distinguere. Perché però poche o tante persone potessero mettere la croce su quell'emblema, era necessario raccogliere le firme. Ancora una volta, dunque, la strada di Gremmo (e, più in generale, quella degli autonomisti) si trovava davanti l'ostacolo delle sottoscrizioni da raccogliere: trattandosi di elezioni europee, il compito era particolarmente difficile. Già, perché la disciplina delle elezioni europee prevedeva, allora come oggi, che le liste non rappresentate al Parlamento italiano o europeo dovessero raccogliere 30mila firme in ogni circoscrizionein più c'era l'obbligo di coprire tutto il territorio della circoscrizione, facendo in modo che in ogni regione fossero raccolte almeno 3mila sottoscrizioni. Questo valeva anche per la Valle d'Aosta, da sempre piazza difficilissima, per chiunque. 

Gremmo aveva però pensato a tutto. In Liguria aver creato nel 1988 la Lega Ligure era stata un'utile intuizione, che in quel momento permetteva un buon dispiego di forze per trovare i sottoscrittori. Il Piemonte, ovviamente, non era un problema. In Lombardia la lista avrebbe potuto contare sull'ex leghista Augusto Arizzi e, un po' a sorpresa, anche su Pierangelo Brivio, cognato di Bossi e tra i fondatori della Lega Lombarda, ma che era stato espulso tempo prima dal Carroccio).
Già, ma la Valle d'Aosta? Ci voleva un'idea vincente e, a un certo punto, Gremmo sentì di averla. Come consigliere regionale, egli si fece promotore di una proposta di legge regionale popolare per rendere gratuita per i cittadini valdostani la fruizione delle autostrade sul territorio regionale; alla raccolta di firme per quel progetto di legge avrebbe legato quella per la lista. L'intuizione di Gremmo colse nel segno: le firme avevano iniziato ad arrivare, ci voleva solo pazienza e costanza per cercare di arrivare alle 3mila necessarie. Nel frattempo c'era molto lavoro da fare per ottenere i certificati di iscrizione alle liste elettorali in lungo e in largo dai comuni delle regioni coinvolte.
Alla fine i documenti furono preparati, messi in 19 scatoloni e custoditi a Carignano da Andrea Fogliato. Dopo vari conteggi, per Gremmo le firme in tutto erano 32238: occorreva solo mettersi in viaggio e portarle all'ufficio elettorale alla Corte d'appello di Milano. La consegna avvenne il 10 maggio 1989: l'obiettivo che per molti, Bossi compreso, era impossibile da raggiungere era lì a portata di mano. Era fatta. O meglio, sembrava fatta. Perché due giorni dopo la consegna Anna Sartoris, moglie di Gremmo, ricevette una telefonata dalla Corte d'appello che la avvisava che la lista era stata respinta, proprio perché mancava un pugno di firme della Valle d'Aosta rispetto alle 3mila richieste. Sembrava incredibile e, infatti, Gremmo e i suoi non volevano crederci. Sartoris, che figurava come presentatrice della lista, fece opposizione, rivolgendosi all'Ufficio elettorale centrale per il Parlamento europeo. 
La Stampa,18 maggio 1989
Fu necessaria una trasferta romana, per difendere quelle richieste in Corte di cassazione. Visto che il problema era di numeri, si dovette per forza ricontare e il presidente dell'ufficio dispose il riconteggio. "Risultò che le firme valdostane erano sì 3181 - racconta Gremmo nel suo libro - ma mancanti di 253 certificati." Nessuno sa che fine abbiano fatto quelle carte; giusto Anna Sartoris ricordò che i certificati relativi alla Valle d'Aosta "erano stati spostati a Carignano in uno scatolone differente".
Giusto per non farsi mancare nulla, si scatenarono due diversi focolai di polemiche. Uno ebbe risvolti di natura penale, visto che erano partite varie denunce che accusarono Gremmo di avere presentato firme false; l'altro fu solo di natura politica, ma non fu meno grave, visto che lo stesso Gremmo fu accusato di aver "venduto" la lista all'Alleanza Nord, in nome di imprecisati vantaggi personali.
Non potendo partecipare direttamente a quelle elezioni, Gremmo si limitò a invitare dalle colonne del suo periodico ad annullare la scheda a quelle europee. Alla fine le urne consegnarono 542.201 schede votate a favore dell'Alleanza Nord nella circoscrizione Nord-Ovest, sufficienti a eleggere i due europarlamentari conquistati in quell'occasione (il Nord-Est non contribuì in modo decisivo). In Piemonte, però, Alberto da Giussano sfiorò 55mila voti, quando nel 1987 la somma dei due "Piemont" aveva superato 133mila consensi: l'Alleanza Nord - che recava comunque nel simbolo in grande evidenza la dicitura "Lega Lombarda" - non riuscì a raccogliere gran parte del consenso che era stato dei piemontesisti. Ci fosse stata nel Nord-Ovest anche la lista di Gremmo, il risultato sarebbe stato diverso (anche se nessuno può dire in che misura): se l'Union Piemonteisa fosse riuscita a ottenere il tanto agognato europarlamentare, il seguito della carriera di Gremmo sarebbe stato ben altro. Invece, dopo la bocciatura della lista e l'affermazione, pur se a ranghi ridotti, di Alberto da Giussano, i progetti autonomisti di Gremmo accusarono un colpo durissimo, ancora doloroso da raccontare, che allontanò molte persone. Si sarebbe rialzato, un'altra volta, ma ci sarebbero voluto alcuni mesi e un altro progetto, destinato a far parlare molto di sé. Al punto che è il caso di dirne più avanti.

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