martedì 5 luglio 2022

Popolo della Famiglia ed Exit: compare il simbolo comune di Alternativa x l'Italia (ma il nome non è nuovo e "No Draghi" dovrà sparire)

Due giorni fa, Affaritaliani ha proposto un sondaggio dal titolo "Chi vorresti come premier dopo le elezioni politiche?", indicando - oltre al presidente del Consiglio in carica, Mario Draghi, undici leader di partiti, inclusi Gianluigi Paragone (Italexit), Marco Rizzo (Partito comunista) e Luigi Di Maio, formalmente non ancora a capo di un soggetto politico ma promotore della scissione che per ora ha la forma di due gruppi parlamentari denominati Insieme per il futuro (incluso quello che al Senato è sorto - come su questo sito si era ritenuto possibile anche tecnicamente - grazie al concorso di Centro democratico). Il primo nome della lista, organizzata in ordine alfabetico, è però quello di Mario Adinolfi, presidente nazionale del Popolo della Famiglia, formazione non presente in Parlamento. Alle nuove elezioni politiche, però, sembra proprio che stia facendo un pensiero anche lui e, a quanto pare, non da solo.
Poco dopo le 20 e 30 di ieri, infatti, il canale "Politics" di Ultimora.net ha pubblicato la notizia di un nuovo partito "in rampa di lancio", costituito proprio dal Popolo della Famiglia e da Exit, progetto politico lanciato a febbraio da Simone Di Stefano dopo la sua uscita da CasaPound Italia. Quel lancio dava anche conto di un sondaggio e abbinava, come si vede, anche un "logo" già pronto. Mentre si scrive, in effetti, non si trovano riferimenti alla notizia sui canali di comunicazione delle due forze politiche, né delle loro due figure di vertice. Una conferma, tuttavia, è arrivata dallo stesso Mario Adinolfi: espressamente richiesto di confermare a Isimbolidelladiscordia.it se il simbolo mostrato fosse veritiero (non certo per sfiducia verso Ultimora.net, ma semplicemente nel rispetto dell'opportunità di controllare le fonti, quando non ci sono evidenze dirette pubbliche dalle persone interessate), ha risposto "Lo stiamo testando".
Senza essere andati oltre a indagare le intenzioni dei due soggetti politici, qualche riflessione di natura essenzialmente tecnica è già possibile, a partire dal poco che è stato svelato. Innanzitutto, più che il simbolo di un partito, quello mostrato sembra un possibile contrassegno elettorale legato a un nuovo progetto che appare, appunto, in via di definizione e, comunque, non è detto assolutamente che porti alla creazione di un (nuovo) partito unitario. Ovviamente si tratta di un'impressione di chi scrive, data innanzitutto (ma non solo) dalla presenza delle miniature dei simboli dei due soggetti politici esistenti: le persone direttamente interessate potranno smentire la lettura appena data e confermare che proprio di futuro partito si tratta (nel caso, se ne prenderà correttamente atto) o, magari, di un'alleanza che potrebbe in seguito anche trasformarsi in partito (un po' com'era avvenuto con la Margherita).
Che si tratti di un partito, di un progetto innanzitutto elettorale o di altro ancora, sembra molto più plausibile affermare che quel simbolo non arriverebbe comunque sulle schede elettorali così com'è ora. Sono essenzialmente due i profili che inducono a una riflessione: uno riguarda il nome, l'altro un elemento in particolare del simbolo che è stato mostrato (e che non verrebbe accettato dagli organi competenti).

La questione del nome, già visto in Parlamento

Andando in ordine, è il caso di parlare innanzitutto del nome scelto, vale a dire Alternativa per l'Italia - anzi, Alternativa x l'Italia, visto il modo in cui è scritto sul simbolo. Verrebbe relativamente facile notare che la prima parola della denominazione richiama piuttosto Alternativa, il partito fondato nel 2021 da vari parlamentari fuoriusciti dal MoVimento 5 Stelle e contrari al governo Draghi (e che al Senato è riuscito a costituire il gruppo autonomo CAL - Costituzione ambiente lavoro - insieme e grazie al Partito comunista e all'Italia dei valori); nemmeno quel nome, peraltro, poteva dirsi del tutto originale, visto che nel 2015 altri parlamentari ex M5S si erano organizzati come Alternativa libera.
Naturalmente l'etichetta "Alternativa per l'Italia" è diversa da "Alternativa", ma il fatto è che anche Alternativa per l'Italia esisteva già e si era affacciata addirittura in Parlamento. Nel 2016, infatti, nacque l'associazione Alternativa per l'Italia, nata a margine del sito Scenarieconomici.it (da cui continua a provenire buona parte del materiale pubblicato negli ultimi tempi sul sito stesso di Alternativa per l'Italia) e in seguito qualificatasi come movimento politico, guidato come segretario dall'economista Antonio Maria Rinaldi, eletto come europarlamentare nel 2019 nella lista della Lega. A maggio del 2016, quel nome entrò a far parte della denominazione più ampia del gruppo parlamentare Grandi autonomie e libertà al Senato, grazie all'ex M5S - e poi rappresentante dei Verdi - Paola De Pin, fino a quando a novembre il riferimento ad Alternativa per l'Italia sparì (in seguito De Pin rappresentò Riscossa Italia, salvo poi avvicinarsi nel 2018 a Italia agli italiani, lista di Forza Nuova e Fiamma tricolore, senza però candidarvisi). Già allora, peraltro, proprio Isimbolidelladiscordia.it notò  che il nome "Alternativa per l'Italia" era già stato usato ancora prima per un altro soggetto politico, che aveva come simbolo una rondine ed era guidato da Fulvio Lorenzetti (al quale peraltro fino al 2012 era appartenuto proprio il sito Alternativaitalia.it, poi passato di mano quattro anni dopo).
Basterebbe questo, insomma, per dire che scegliere un nome di un nuovo soggetto politico è un affare sempre più difficile e delicato, visto che certe combinazioni sono già occupate (tra l'altro, ironia della sorte, proprio il movimento di Rinaldi usa come indirizzo Facebook @alternativaXlItalia, quindi anche la "X" usata come "per" non è nuova). Sulla carta, ovviamente, non si può del tutto escludere che Rinaldi o comunque altre figure legate a quel movimento abbiano scelto di avvicinarsi al progetto politico-elettorale cui Adinolfi e Di Stefano stanno lavorando, mettendo a disposizione il nome; a meno che questo emerga in seguito, tuttavia, al momento ci si limita a dire che anche questa volta il nome pensato non è nuovo, dunque potrebbe cambiare in seguito.

Vietato dire "No Draghi"?

Un altro dettaglio del simbolo, invece, quasi certamente dovrà cambiare. Nel contrassegno dal fondo tricolore - anche se, in effetti, il rosso appare più in tonalità vermiglione scura - organizzato in fasce orizzontali, infatti, se la parte inferiore contiene le miniature dei due simboli (con la "pulce" del Popolo della famiglia che copre leggermente quella di Exit) e quella centrale bianca ospita il nome del progetto politico, il segmento verde in alto contiene l'espressione "No Draghi 2028". In effetti la prima questione che sorge è sulla corretta interpretazione del testo: al di là di un'esplicita contrarietà al governo in carica e all'idea che quell'esperienza possa continuare, non è chiaro se si voglia scongiurare l'idea che si creino le condizioni perché Mario Draghi possa restare alla Presidenza del Consiglio addirittura fino al 2028 o se, al contrario, il nascente progetto politico voglia darsi appunto quell'anno - lo stesso delle successive elezioni politiche, immaginando che la nuova legislatura non finisca anzitempo - come orizzonte temporale per i propri piani.
La questione più facile da sollevare, però, riguarda la legittimità dell'uso del cognome di Mario Draghi all'interno di un simbolo o contrassegno elettorale a lui non legato. L'ha posta già ieri, poco più di un'ora dopo la diffusione della notizia da parte di Ultimora.net, Piercamillo Falasca - tra i promotori del progetto L'Italia c'è - sul suo account Twitter: "Ma lo sanno che per usare un cognome nel simbolo occorre avere l’autorizzazione con atto notarile del diretto interessato?". C'è chi ha giocato la carta dell'ironia ("è che hanno un programma così fantasioso che il punto principale è la sconfitta dei draghi"), ma in effetti la questione potrebbe facilmente porsi, sul piano elettorale o anche già prima.
Le Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature predisposte dal Ministero dell'interno per le elezioni politiche contengono almeno dal 2013 l'indicazione per cui "Qualora il contrassegno contenga uno o più nominativi di persone diverse dal mandante o dal depositante, è necessario presentare, contestualmente al contrassegno, un espresso consenso all'uso di tale o tali nominativi da parte degli interessati con firma autenticata da uno dei soggetti" abilitati all'autenticazione delle firme in ambito elettorale. In mancanza dell'atto con cui si consente l'uso del nome, il Ministero dell'interno chiederà la sostituzione del contrassegno (potendo accogliere anche la produzione dell'eventuale documento di consenso in un primo tempo non prodotto) e, qualora l'emblema non venga modificato, deciderà per la ricusazione. Non esiste in effetti una norma precisa relativa al procedimento elettorale, ma si è ritenuto di potere e dovere procedere così a tutela del diritto al nome previsto dall'articolo 7 del codice civile, anche per evitare che il Viminale possa - in ipotesi - essere ritenuto "complice" di un uso lesivo di un nome.
Quel riferimento all'interno della guida per chi intende presentare candidature è stato inserito certamente dopo che, nel 2008, nelle bacheche del Ministero dell'interno erano finiti ben cinque contrassegni - legati a persone vicine a Renzo Rabellino - contenenti il riferimento a Beppe Grillo o anche al solo cognome Grillo, nel periodo in cui il MoVimento 5 Stelle non c'era ancora ma l'attore aveva iniziato a manifestare un proprio interesse per la politica italiana (pur se non con quella legge elettorale, da lui giudicata negativamente). Il Viminale li escluse tutti - a volte ritenendoli senza effetto per mancanza di altri documenti necessari per poter poi presentare liste - accogliendo le versioni modificate (Lista dei Grilli parlanti, avente Rabellino come capo della forza politica, e Grilli d'Italia). Il Ministero non cambiò idea neppure di fronte all'osservazione in base alla quale il candidato capolista al Senato nelle varie regioni in cui si erano raccolte le firme sarebbe stato - lo si può facilmente verificare sul sito dell'archivio elettorale - tale Giuseppe Grillo (nato a Bra nel 1954), per cui l'uso del cognome sarebbe stato comunque giustificato.
Nel frattempo, peraltro, Beppe Grillo - difeso già allora, tra gli altri, dall'avvocato Andrea Ciannavei - si era rivolto al Tribunale civile di Roma per tutelare il proprio diritto al nome e all'identità personale, ritenendo che l'inserimento del proprio nome in contrassegni di soggetti politici cui era del tutto estraneo fosse preordinato "ad avvalersi della notorietà e del consenso goduto presso l'opinione pubblica al solo scopo di trarne indebito vantaggio in termini di consenso elettorale". La giudice designata intervenne quando si era già compiuta la fase di esame degli emblemi, per cui alcuni erano stati bocciati e altri sostituiti: precisò che "l'utilizzazione non autorizzata del nome di Beppe Grillo" integrava "una patente violazione del diritto al nome e all'identità personale, quest'ultimo inteso nella sua accezione del diritto a non vedersi attribuiti fatti, azioni e comportamenti estranei alla propria persona" e che "qualsiasi utilizzazione del suo nominativo (Grillo, Grilli), in quanto volta a suggerire una sovrapposizione o quantomeno una contiguità con la sua persona, appare idonea a sortire, nei confronti dell'elettorato, un palese effetto confusivo". Sulla base di questo, ordinò ai presentatori delle liste di non usare più elementi che potessero far identificare i loro progetti politici con Grillo, anche se i contrassegni elettorali non potevano più essere cambiati; è noto che in seguito per vari anni è continuato l'uso dei contrassegni "Lista dei Grilli parlanti" (e a volte, a livello locale, persino "del Grillo parlante"), ma questa è un'altra storia.
Più vicino nel tempo - esattamente dieci anni più avanti - va ricordato il caso della lista Mir-Rinascimento, il cui contrassegno (depositato al Viminale da Gerardo Meridio, coordinatore nazionale Mir) in un primo tempo conteneva il riferimento a Vittorio Sgarbi, leader di Rinascimento, che nel frattempo aveva però annunciato la propria candidatura in Forza Italia. Per questo motivo Sgarbi prima aveva chiesto al Viminale di ritirare il simbolo (richiesta non accolta), per poi rivolgersi all'Ufficio elettorale centrale nazionale: questo collegio non ritenne il critico d'arte legittimato a chiedere l'esclusione dell'emblema (non avendo egli depositato nulla), ma gli riconobbe il diritto a vedere rimosso il suo cognome, al fine di non indurre in errore gli eventuali votanti circa una propria candidatura con quella lista e non con Forza Italia.
Non sfugge che entrambi i casi che si sono visti sin qui riguardano l'ipotesi in cui un emblema schieri un riferimento personale con l'idea di creare consenso intorno a questo (e, dunque, un'identificazione tra la persona e il progetto), mentre appare diversa l'idea che in un simbolo ci si voglia opporre nettamente alle scelte operate dalla persona citata nell'emblema. Per il Ministero, però, la situazione è esattamente la stessa: non si può "costringere" un soggetto a partecipare con il proprio nome a un contrassegno elettorale senza il suo consenso, anche se quella forza politica intende porsi agli antipodi del suo modo di fare politica e vuole segnalarlo in modo inequivocabile. Lo stesso principio, peraltro, è stato utilizzato con i nomi dei soggetti collettivi: si veda l'esempio di Liberi da Equitalia, il cui contrassegno è stato bocciato nel 2013 - e lo stesso è avvenuto per altri emblemi simili a livello locale - proprio per il mancato consenso all'uso del nome di quella società.
Se nascerà, dunque, il progetto politico che accosta Il Popolo della Famiglia ed Exit dovrà fare a meno della contestazione a Draghi nel simbolo (e, magari, qualche riflessione sul nome da impiegare potrebbe essere opportuna). Di certo, l'anticipazione data ieri ha dato al progetto nascente una certa notorietà, tutto sommato non disprezzabile per chi sta preparando nuove strade comuni qualche mese prima delle elezioni. 

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